Non se ne parla (ancora) molto, ma è appena uscito un rapporto sulle crisi alimentari e sulla volatilità dei prezzi delle materie prime agricole che potrebbe rappresentare un punto di svolta importante sia per quanto riguarda le politiche agricole che quelle energetiche nel prossimo futuro. Le fonti sono piuttosto autorevoli, dato che il rapporto è il frutto di un lavoro comune che ha coinvolto appena 10 organizzazioni sovranazionali tra cui la Banca Mondiale, l’OCSE, il WTO, la FAO ed altre agenzie delle Nazioni Unite.
La novità è che si invitano con decisione i governi del G20, ai quali il rapporto è indirizzato, a
“rimuovere le disposizioni delle attuali politiche nazionali che sovvenzionano la produzione o il consumo di biocarburanti”
In subordinata ipotesi, i governi dovrebbero almeno sviluppare piani di contingenza per sospendere temporaneamente i sussidi ogni volta che il gap tra produzione e consumi dovesse provocare repentini aumenti nei prezzi dei generi alimentari.
Giordano Masini ambiente, energia, mercato biocarburanti, biofuel, Ocse, onu, sussidi, Wto
Ho visto che cresce la febbre cinese tra i lettori del nostro blog. Soprattutto tra diversi che grazie al Cielo hanno preso negli ultimi tempi a frequentarci, e magari non è affatto detto che la pensino come noi ma sono curiosi di vedere come argomentiamo le nostre tesi. Considero questo “annusamento tra diversi” assolutamente benefico, ed è la ragione di fondo per la quale abbiamo in definitiva deciso di aprire questo foro. I contributori che l’hanno originato hanno idee e formazione simili, ma non per questo si considerano “nati imparati” o depositari di verità assolute. Anzi, si sono posti il problema di uscire dalla conventicola “chiusa”, una trappola in cui spesso la nostra scuola finisce spesso, vedi a mio giudizio per esempio il pur ottimo blog del Mises Institute (a proposito, il 29 settembre era il compleanno di zio Ludwig…). Questa premessa per dire che capisco bene come ad alcuni sul blog – e a moltissimi fuori – la Cina coi suoi bassi costi e i suoi zero diritti politico-sociali appaia un’enorme trappola attivata dagli Usa per sostenere il proprio deficit estero, mentre erode soprattutto la nostra base produttiva. Tuttavia, un’analisi che a mio giudizio ha pure dei fondati elementi storici – il processo d’ingresso “incondizionatlo” della Cina nel Wto ebbe ragioni in sostanza vicine a quelle da sempre descritte  con una punta di acrimonia da Tremonti -  ma si fonda anche su una mispercezione  della Cina e del suo gigantismo in quanto tali. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino finanza, mercato Cina, crescita mondiale, delocalizzazione, USA, Wto
La Cina di Hu Jintao difende i diritti umani di tutti, e specialmente di americani ed europei. Pechino ha infatti inviato due proteste formali all’Organizzazione mondiale del commercio contro le politiche protezionistiche di Usa e Ue. Si tratta di una mossa necessaria a proteggere il mercato di valle dei prodotti cinesi – stimato in oltre 600 miliardi di dollari nel 2008 – dall’aggressione regolatoria di cui è oggetto nei paesi industrializzati, che amplifica l’impatto della crisi. Già nella seconda metà dell’anno scorso si era registrato un crollo del commercio mondiale, e nel rapporto annuale della Wto erano presenti le prime esplicite preocupazioni sul rischio protezionista:
Un quarto fattore che potrebbe contribuire alla contrazione degli scambi è l’aumento delle misure protezioniste. Qualunque crescita di questo tipo di misure minaccerà le prospettive di ricupero e prolungherà la crisi. Il rischio di una crescita del protezionismo è fonte di preoccupazione.
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Carlo Stagnaro liberismo, mercato Cina, protezionismo, Stati Uniti, unione europea, Wto
Oggi l’Amministrazione americana ha presentato una argomentata protesta ufficiale contro la Cina in sede Wto, scavalcando in durezza l’Unione europea che sulla stessa materia aveva sinora tenuto un profilo formalmente più basso. Qui la nota ufficiale del governo Usa, e l’elenco delle restrizioni in termini di quote all’import export dichiarate dal governo cinese, in spregio al Trattato e agli impegni espliciti assunti nel firmarlo. Si tratta, dome vedrete, soprattutto di minerali essenziali nel settore metallurgico, macchinari e costruzioni, la base del rapido ed energico shift dall’export alla domanda interna deliberato dal governo cinese tre mesi fa, per impedire che il calo vorticoso dell’export cinese abbassasse oltremodo la crescita del Pil. La guerra per disancorare il peg tra dollaro e reminmbi si fa dura, al di là del merito del commercio unfair sul quale un anno fa Tremonti teneva lezione, sbertucciato allora dai più… Il problema è che, rispetto ad allora, la gara protezionista ha fatto proseliti a decine. In Italia, però, i politici non se ne occupano più. È rimasta solo Confindustria, a levare la voce quasi ogni giorno sul tema.
Oscar Giannino liberismo commercio, globalizzazione, Stati Uniti, Wto
Sono in giro per una serie di incontri e convegni, in licei, cooperative, armatori, i Giovani di Confindustria, il Forum della PA con Brunetta, e via continuando. Per questo mi scuso di esser mancato un giorno, e ne approfitto per un post al volo. Mi ha molto sorpreso dieci minuti fa leggere l’editoriale di Nouriel Roubini sul New York Times di oggi, perché è raro che le sue tesi sopra le righe mi convincano. Ma mi sono ritrovato esattamente nel ragionamento che avevo esposto ieri agli studenti del Sacro Cuore di Milano e oggi al parlamentino nazionale degli juniores di Confindustria guidati da Federica Guidi. Si tratta delle conseguenze che potrebbe avere per tutti i paesi grandi esportatori in semilavorati e componentistica a non altissimo valore aggiunto – come l’Italia – un eventuale cambio del tallone monetario del commercio mondiale. In altre parole: dello scioglimento del peg semi fisso tra dollaro e reminmbi, che negli anni alle nostre spalle ha “aggiunto” competitività monetaria, attraverso il collegamento automatico alla svalutazione del dollaro sull’euro, ai prodotti cinesi già avvantaggiati da basso costo congenito. Secondo stime riservate che l’Ice esita comprensibilmente a rendere note, potrebbero essere dolori per almeno due delle famose “4 A” che costituiscono i due terzi dell’export italiano. Per l’automazione e componentistica elettromeccanica, e per l’abbigliamento-tessile-moda, ciò potrebbe costituire un cambio rilevante delle ragioni di scambio, in grado di convincere molte grandi aziende capofiliere – soprattutto tedesche, nel primo settore – a rinviare il più possibile la ripresa di ordini ad aziende fornitrici italiane, in attesa di verificare se non convenga spostare altrove le proprie catene di supply.
Quel che in apparenza è un tema “alto e lontano” – la proposta cinese di una seria modifica dei diritti di prelievo e relativo paniere monetario di riferimento, in sede di Fmi – in realtà potrebbe colpire in profondità le possibilità di ripresa dell’export italiano. Gli americani sono convinti che i cinesi si convinceranno presto a rivalutare, pur di riavviare comunque il proprio export. I cinesi sono persuasi che saranno gli americani per primi a dover mollare la loro pretesa, perché di mese in mese i disoccupati aggiuntivi Usa da ottobre passeranno dagli attuali 5,7 milioni a 7 e oltre entro l’estate, e a quel punto Obama sarà costretto a piantarla e a rassegnarsi, se vuole che i cinesi riprendano ad acquistare asset in dollari, cioè a finanziare a debito il risanamento Usa come fino ad ottobre ne finanziavano la crescita dei consumi.
Purtroppo, se è corretto ipersemplificare in questi termini il braccio di ferro monetario sotteso alla ripresa del commercio mondiale, occorre ricordare che i cinesi possono contare su di uno strumento assai più efficace di quello americano. L’Armata Popolare Cinese mette sui treni e rispedisce in campagna ogni mese dai 3 ai 5 milioni di cinesi risospingendoli all’economia di sussistenza agricola, nel mentre si attua il colossale shift della crescita da estero-trainata a focalizzata su infrastrutture e domanda interna. Gli americani, al contrario non possono certo arruolare milioni di disoccupati nella Guardia Nazionale. Di conseguenza, al il nostro export converrebbe una posizione filocinese anzichenò.
Nel frattempo, una raffica di notizie che mi sembrano smentiscano gli ottimismi di circostanza: il deficit tedesco a 50 miliardi di euro quest’anno da 11 nel 2008 con tanto di addio ai tagli fiscali preannunciati; la cattiva – e giustificata – reazione del mercato alle trimestrali di Unicredit e Intesa; la scontata sconfitta degli imprenditori privati in Assolombarda, vista la sconsideratezza con cui la presidente uscente ha cercato di pilotare la sua successione su un candidato debole come già avevo scritto, con inevitabile vittoria del candidato “pubblico”, Maugeri dell’Eni, che dopo un anno di ridicolaggini su Expò 2015 infligge una nuova bella ridimensionata alle pretesi milanesi; il venir meno della residua finzione di Cai su Malpensa, e scontate chiacchiere dei governatorid el Nord che solo ora riscoprono la necessità di liberalizzare gli slot intanto riassicurati ad Alitalia anche se non li usa; la conferma che nella riscrittura a puntate del rapporto Caio riemerge lo scorporo “tutto pubblico” della rete fissa di Telecom Italia… e poi vi chiedete perché Mike Bongiorno è andato da Murdoch per riprendere a scandire tutte le sere il suo proverbiale “allegriaaaa”: perché qui da noi c’è poco da ridere, e lo sa anche lui.
Oscar Giannino Senza categoria Cina, Dollaro, export, Wto