CHICAGO BLOG » Westerwelle http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Il declino (annunciato) dei liberali tedeschi /2010/10/02/il-declino-annunciato-dei-liberali-tedeschi/ /2010/10/02/il-declino-annunciato-dei-liberali-tedeschi/#comments Fri, 01 Oct 2010 23:19:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=7188 Quando, esattamente due mesi fa, abbiamo pubblicato questo post sul futuro dei democristiani tedeschi, la bolla in casa FDP non era ancora esplosa. E sì perché, nel partito liberale, dopo il grandioso risultato di un anno fa, tira oggi una brutta aria. In meno di dodici mesi i Freidemokraten hanno letteralmente polverizzato il consenso, che aveva permesso loro di tornare sui banchi dell’esecutivo dopo 11 anni di opposizione: dal 14,6% giù in picchiata fino al 4-5%, ormai quasi fuori dal Bundestag. Non passa giorno senza che la leadership di Westerwelle venga criticata o messa in discussione, tanto che egli stesso pare abbia già pensato alle dimissioni da presidente dell’FDP. Ma anche la carica di Ministro degli Esteri e Vice-Cancelliere gli sta molto stretta. A differenza del suo predecessore, il socialdemocratico Steinmeier, Westerwelle non ha infatti tratto alcun giovamento dal ricoprire una posizione di alto profilo. Nella mente dei tedeschi c’è sempre il Guido delle campagne elettorali un po’ esuberanti e patetiche o il Guido che strilla contro i sindacati. Le elezioni del settembre 2009 non sono state altro che un’illusione ottica per chi- come noi- credeva che Westerwelle si sarebbe finalmente scrollato di dosso  gli strascichi di una carriera fino ad allora magra e deludente.

D’altra parte i tedeschi che si recarono a votare per l’FDP lo scorso anno volevano meno tasse subito. Steuersenkungen. Questo era il motto semplice e trasparente dei liberali. Fin dalla distribuzione dei Ministeri tra le varie forze politiche, è parso tuttavia chiaro che il motto non avrebbe avuto seguito alcuno. Quando si seppe che al Ministero delle Finanze si sarebbe accasata l’eminenza grigia Wolfgang Schäuble (CDU) e non il Principe Hermann Otto Solms (FDP), molti elettori si resero conto che il Governo era giallo-nero, ma solo sulla carta. Al timone c’era sempre e solo una persona: Angela Dorothea Merkel.

In un anno di legislatura è difficile fare un bilancio delle cose fatte. Non una manovra è stata condivisa dall’opposizione: il pacchetto fiscale per “l’accelerazione della crescita” (!) dello scorso anno fu anzi l’inizio della fine. Come può un partito come l’FDP, che programma la rivoluzione fiscale, che urla “fate l’amore e non la dichiarazione dei redditi”, pensare che il cambiamento possa passare dall’aliquota IVA agevolata per ristoranti ed alberghi? Per carità, ogni riduzione fiscale, tanto più se l’imposta grava sul consumo, è sempre da accogliere con favore. Ma l’elettorato liberalconservatore, quello che non aveva gradito il quadriennio interventista della signora Merkel, si aspettava ben altro. A Westerwelle è mancato il coraggio. Ha sistemato i suoi in Ministeri di dubbia rilevanza, ad esempio quello per gli “aiuti allo sviluppo del Terzo Mondo”, la cui abolizione l’FDP aveva propagandato fino al giorno prima delle elezioni. Per non parlare degli aiuti alla Grecia e del cd. fondo di stabilizzazione; una figuraccia per un partito che si era opposto alle enormi iniezioni di denaro pubblico per le banche soltanto un anno prima. Guido è stato capace di fare la voce grossa solo con i giornalisti inglesi che parlano inglese in Germania, non con Angie. L’attacco ai costumi da “decadenza tardoromana” che regnano nell’era dello Stato sociale non è stato che un lampo retorico in un buio programmatico. Dopodiché Guido si è inabissato definitivamente, perdendo quel poco appeal che ancora gli restava. Neanche il fatto di essere omosessuale, leader di una “destra moderna” (come piace dire oggigiorno), lo ha aiutato. In Germania, a differenza che in Italia, delle sue tendenze sessuali si parla il meno possibile e queste non rappresentano né un’arma contro né un’arma a favore.

In questo declino che sa molto di tragedia greca, si inserisce il Liberaler Aufbruch (Risveglio liberale), un’iniziativa di un gruppuscolo di parlamentari, insoddisfatti da una FDP fiacca e arrendevole, che non trova “il coraggio di essere liberale”. Il manifesto della corrente, guidata dall’ormai noto esponente libertario Frank Schäffler, lo si è potuto leggere nelle scorse settimane sulle principali testate tedesche. Tra i riferimenti principali F.A. Von Hayek. E scusate se è poco. “In questi anni abbiamo fatto troppe concessioni al collettivismo”, si legge nel testo dei deputati. La reazione di molti liberali all’interno del partito e dello stesso Westerwelle è stata a dir poco scomposta. “Un collettivo di frustrati”, dice un membro del consiglio di presidenza del partito. “E’ solo un ritrovo di euroscettici, negazionisti del global warming e liberisti radicali. Dubito che ciò sia liberalismo”, soggiunge un altro. L’unico che invece potrebbe accogliere con favore un movimento del genere è Nigel Farage, leader dell’UKIP, il quale proprio l’altro giorno tornava a spronare i tedeschi a fondare un partito critico verso l’attuale costruzione europea.

In conclusione due previsioni sul futuro. Se è vero che un movimento liberista spinto in Germania rischia di avere il fiato corto, esattamente come un partito liberale senza nè arte nè parte come quello attuale, si può dire che l’unica speranza liberalconservatrice che non emani polvere e muffa nel centrodestra, al di là del giovane segretario generale dell’FDP Christian Lindner (molto svelto con la parola ma ancora troppo legato all’attuale dirigenza), si chiama Karl-Theodor Zu Guttenberg, un cristiano-sociale bavarese di ampie vedute, che vuole chiudere con la coscrizione obbligatoria in un partito tendenzialmente contrario, sensibile alle ragioni del mercato e abile stratega in politica estera, riuscito a cavarsi d’impaccio con maestria dall’imbroglio del raid di Kunduz e attualmente politico tra i più amati dagli elettori. Wait and see.

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Grazie Guido /2010/02/13/grazie-guido/ /2010/02/13/grazie-guido/#comments Sat, 13 Feb 2010 10:30:09 +0000 Giovanni Boggero /?p=5162

“Those who work must earn more than those who do not. I must be allowed to say that in Germany. Everything else is socialism” Guido Westerwelle German Vice-Chancellor.

Neanche a farlo apposta avevamo lambito i confini dell’argomento proprio la scorsa settimana. Nel frattempo un ottimo reportage della Wirtschaftswoche ha contribuito a far luce sull’iniquità del sussidio Hartz IV. Chi non lavora riceve più di chi lavora. Questa la sintesi. I sindacati e l’SPD sostengono che il problema risieda altrove, ovvero proprio in quei lavori scarsamente qualificati, a loro giudizio “sottopagati”. La soluzione a loro avviso è molto semplice: basta alzarli. E il “gioco economico” è fatto. Il sospetto che non sia la produttività ad essere determinata dai salari, ma i salari dalla produttività, che il sommerso possa aumentare, tornando o anche superando il 17% del Pil (livello più alto raggiunto nel 2003) e le aziende fuggire nei paesi vicini non li sfiora minimamente. La battuta del leader dell’FDP (sulla falsariga dello slogan scelto per la campagna elettorale: “Lavorare deve di nuovo valer la pena”) si lega alla recente sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che ha giudicato incompatibile con la Legge fondamentale il metodo contabile di fissazione del sussidio sociale Hartz IV. Benché non vi sia stato alcun accenno all’opportunità di aumentare il contributo, la percezione che l’opinione pubblica ha avuto della decisione è che le aliquote Hartz IV vadano generosamente corrette verso l’alto. La discussione nella già traballante coalizione giallo-nera si è così infiammata. Staremo a vedere. In un paese in cui molti bambini, interrogati sul proprio futuro lavorativo, rispondono: “Ich will hartzen” (ovvero, “voglio hartzeggiare”), l’uscita di Westerwelle, dalla quale la Merkel ha prontamente preso le distanze, ci è parsa persino troppo morbida.

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La paura tedesca e la retromarcia dell’FDP /2009/10/28/la-paura-tedesca-e-la-retromarcia-dellfdp/ /2009/10/28/la-paura-tedesca-e-la-retromarcia-dellfdp/#comments Wed, 28 Oct 2009 10:55:53 +0000 Giovanni Boggero /?p=3471 Paura della libertà. Ludwig von Mises parlò addirittura di odio. Il capitalismo alle pendici del Reno è, da che mondo e mondo, la cartina di tornasole del modo di pensare tedesco. Il mercato non è cosa per ruvidi sassoni. Più sicurezza, meno libertà. Questo è il fil rouge che corre- pur con qualche lodevole eccezione- da Otto von Bismarck ad Angela Merkel. Ecco perché il successo dell’FDP alle scorse elezioni del 27 settembre non deve illudere l’ignaro lettore italiano. E ciò è tanto più vero oggi, alla luce dell’accordo di coalizione raggiunto lo scorso fine settimana tra CDU/CSU e liberali. 24 miliardi di sgravi fiscali “possibilmente dal 2011”. Annuncio positivo. Che però rimane un mero annuncio. Sul filo di quelli collezionati sul tema dal nostro Presidente del Consiglio. Come le tasse verranno tagliate non è chiaro. Di certo, tutto si tratterà fuorché di una rivoluzione copernicana. Non foss’altro che una delle premesse è il mantenimento della tassa di successione, alla quale verranno apportati soltanto alcuni ritocchi. La ferma opposizione dei Länder, contrari anche all’ipotesi di ripiego che li porrebbe in concorrenza fra loro nell’imposizione del balzello, ha frustrato le pretese del partito di Westerwelle, che puntava alla sua abolizione. L’amara uscita di scena di Hermann Otto Solms, vera e propria mente del programma economico dei liberali, testimonia tutto sommato la sconfitta dell’FDP. Sconfitta- checché se ne dica- incassata anche su altri fronti: dall’abolizione dell’obbligo di leva (solo accorciato), alla tutela contro i licenziamenti (nulla di fatto), passando per la riforma della sanità. Ai fini della realizzazione di quest’ultima, FDP, CDU/CSU si sono accordate finora solamente su un punto: la nomina di una commissione ad hoc. Il che sa molto di rinvio all’italiana. Il leader della CSU Seehofer ha perfino tagliato corto: “Il fondo unico rimane e sulla sanità nulla cambia”. Riuscirà il giovane neo-Ministro della Salute Philipp Rösler (FDP) a dire la sua? Le casse mutue potranno tornare a farsi concorrenza o il mostro burocratico e pianificatore del Gesundheitsfonds le fagociterà? L’abilità della signora Merkel di liquidare i colleghi di governo, assumendo le decisioni che le garantiscono una maggiore popolarità, abbiamo imparato ad osservarla negli ultimi quattro anni di gabinetto rosso-nero. Perciò, non è affatto escluso che come si è mangiata i socialdemocratici, così riduca alla marginalità anche i liberali. Le premesse ci sono tutte. Basta dare uno sguardo veloce ai volti scelti per il suo nuovo gabinetto giallo-nero: da Ursula von der Leyen a Thomas De Maiziére, da Norbert Röttgen a Wolfgang Schäuble (e ai sottosegretari socialdemocratici  alle Finanze che rimarranno in carica). Tutti politici fidati, che sapranno farle da spalla, isolando i pochi ministri dell’FDP. E così la continuità con il passato esecutivo emergerà in tutta la sua nitidezza: “l’FDP sarà la CDU, e la CDU sarà l’SPD”, si potrebbe riassumere. I sussidi per i figli -Kindergeld- verranno ancora aumentati (nonostante gli scarsi risultati ottenuti fino ad oggi), le condizioni per ottenere il sussidio di disoccupazione Hartz IV migliorate e i fondi -a pioggia- destinati all’istruzione generosamente fatti lievitare. Certo, l’unica cosa di cui ci si può rallegrare è l’archiviazione dell’ipotesi di un salario minimo generalizzato e l’introduzione di un contributo a carico dei lavoratori per favorire il passaggio ad un’assicurazione privata di assistenza per invalidi ed anziani (cosiddetta Pflegeversicherung). Ma da un governo che sulla carta avrebbe dovuto segnare un netto cambiamento rispetto ad undici anni di governo socialdemocratico, ci si sarebbe aspettato più coraggio. Ma in Germania ha vinto, come al solito, la paura: the German Angst, la definì a suo tempo Rainer Hank, editorialista della Frankfurter Allgemeine, ritornato in questi giorni con accenti di forte criticità sul Koalitionsvertrag appena siglato. L’FDP ha negato sé stessa. Impegnata com’era a scrollarsi di dosso l’accusa di essere un pericoloso manipolo di neoliberisti, il partito di Westerwelle ha calato le braghe. Delle proposte di riduzione della spesa pubblica formulate in campagna elettorale non se ne rintraccia manco mezza nel patto di coalizione. La stessa signora Merkel ha detto che “pensare di ristabilire equilibrio nei conti pubblici risparmiando, non ha senso”. Peccato. Invertire il senso di marcia sarebbe stato importante, tanto più in un momento come questo. La spesa pubblica tedesca negli anni non è mai diminuita. Al contrario, è sempre aumentata, anche nella scorsa legislatura, quando i cordoni della borsa avrebbero potuto essere stretti. Ma questa diffidenza nei confronti del taglio alle tasse, come ben spiega anche Alberto Mingardi sul Riformista, è tanto più curioso, se si considera che allorquando vi sono da aumentare le prestazioni sociali o i sussidi le riserve di esperti e politici sono tre volte meno pronunciate di quando si discute di lasciare in tasca ai cittadini una fetta più ampia del proprio patrimonio. Per diminuire le tasse, in Germania come altrove, non è mai il momento. La congiuntura non lo permette. I tagli non avrebbero necessariamente l’effetto di aumentare i consumi e, in tempi di crisi economica acuta, con le entrate fiscali in discesa, la Germania sarebbe condannata a deficit sempre più alti. Il che, tenuto conto del famoso freno ai debiti (alzi la mano chi ci crede davvero!) inserito di recente nella Legge fondamentale, non sarebbe consigliabile. Nessuno, a parte poche voci nel deserto, sembra ricordare che la Germania non ha un problema di entrate, bensì un problema di uscite. Mai come negli scorsi anni lo Stato tedesco ha potuto giovarsi di così tante entrate fiscali (nel 2008, in confronto a quattro anni prima, la Germania poteva contare su qualcosa come 268 miliardi di euro in più!). Eppure chiudere il rubinetto non è realistico, molti osservatori l’hanno pragmaticamente fatto notare. La classe politica non riduce volentieri il proprio potere di controllo sulla società, nè taglia volentieri i rami del proprio consenso. Tanto più se il politico in questione si chiama Angela Merkel. Il freno ai debiti inserito in Costituzione è quindi un libretto delle buone intenzioni, che si presta ad eccezioni ed interpretazioni di varia natura. Sulla Frankfurter Rundschau, quotidiano progressista, se ne chiedeva qualche giorno fa addirittura l’eliminazione. Il bilancio dello Stato non può essere paragonato a quello del cittadino medio, si è scritto. Idea che ricorre anche in un libello molto discutibile di Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times, tutto sommato ben disposto nei confronti di una maggiore spesa pubblica con funzione anticiclica. E allora? E allora è forse meglio finanziare il taglio delle tasse in deficit, piuttosto che passare ad un girone più doloroso dell’inferno fiscale.

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Germania, se Westerwelle NON andasse agli Esteri /2009/09/28/germania-se-westerwelle-non-andasse-agli-esteri/ /2009/09/28/germania-se-westerwelle-non-andasse-agli-esteri/#comments Mon, 28 Sep 2009 01:10:04 +0000 Oscar Giannino /?p=3001 Meglio una Germania governata da una coalizione Cdu-Csu-Fdp, che la riedizione della Grande Coalizione con la Spd. Angela Merkel è riuscita a ottenere il suo obiettivo. Sfiancare i socialdemocratici incatenandoli a un governo che li ha visti andare in crisi sul tradizionale estremismo che in quel partito convive con il realismo filobancario e filorusso di Schroeder. Così la sinistra si divide tra socialdemocratici ai minimi storici, Verdi e Linke, mentre democristiani e liberali governano. Il leader della Fdp Westerwelle è il vincitore numero due, dopo la Merkel. A questo punto, da europei parecchio scassati nel dopo crisi, e da italiani a corto di buona politica, dovremmo augurarci che il leader liberale NON accettasse l’incarico di governo tradizionalmente riservato in Germania al leader del partito numero due in una coalizione, cioè il ministero degli Esteri. Conta solo per gli affari con la Russia, ormai, visto che il più dei fronti delicati - l’attività di primo piano  anche se molto riservata dei servizi tedeschi sullo scacchiere mediorientale tra Libano, Siria, Afghanistan e Iran (vedi il colpaccio che ha smascherato l’impianto segreto nucleare di Ahmadinejad e Khamenei, i tedeschi sono stati preziosi) - passano assai più per la Difesa e gli Interni. Se Westerwelle si concentrasse sulle Finanze, forse – ma dico: forse – vedremmo davvero qualche taglietto alle tasse e alla spesa pubblica non puramente simbolico. Ce ne sarebbe, a onor del vero, un gran bisogno. Anche per rilanciare il dibattito qui da noi. Singolare Paese nel quale al contempo mancano all’appello 20 miliardi di euro di spesa pubblica, tra minori entrate ed esplosione nel 2008 della spesa per beni pubblici intermedi (oltre 4 bn oltre il previsto), eppure al contempo Tremonti a fine dicembre conta di avere a disposizione tra i 12 e i 14 bn di euro, per rabberciare con i tanti che digrignano i denti: tra un terzo e un quarto dallo scudo fiscale, un terzo dalle eccedenze inutilizzate degli ammortizzatori sociali, un terzo da entrate aggiuntive per lotta all’evasione, che quest’anno batterà tutti i record. E meno male che Berlusconi, alla festa della PdL a Milano, ha declamato che finché c’è lui al governo non avremo mai la tirannia fiscale sognata da Visco…

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