CHICAGO BLOG » valore della moneta http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 REPLICA AI PROFESSORI STATALISTI /2010/06/30/replica-ai-professori-statalisti/ /2010/06/30/replica-ai-professori-statalisti/#comments Wed, 30 Jun 2010 13:32:02 +0000 Guest /?p=6405 Riceviamo da Sivano Fait  e volentieri pubblichiamo

Cari professori,

L’abbondante liquidità creata dal sistema bancario, sia sotto forma di progressiva espansione della base monetaria, sia sotto forma di credito amplificato da un sistema monetario a riserva frazionaria è andata a finanziare uno stile di vita al di sopra delle proprie capacità e progetti di investimento non sostenibili, leggasi mal investimenti (pubblici e privati). La localizzazione di questi è coerente con il fatto che l’area euro, per quanto capitale politico possa esserci stato speso sopra, non è un’area valutaria ottimale, né completamente omogenea. L’applicazione del medesimo tasso di interesse monetario, inferiore al tasso di interesse naturale, in aree dove gli attori scorgono differenti opportunità di rendimento e quindi differenti saggi di rendimento potenziali del capitale influisce sulla localizzazione delle bolle. E’ sufficiente l’inesorabilità delle leggi del libero mercato a spiegare ciò, non serve ricercare un particolare colpevole nel fatto che le bolle non si distribuiscano secondo una normale gaussiana o qualsiasi altra, tanto complessa quanto inutile, formula matematica.

Purtroppo non viviamo in un mondo statico ed immutabile o programmabile a piacimento e l’unica solvibilità statale che una banca centrale può garantire è quella nominale procedendo alla monetizzazione degli stessi come del resto sta già avvenendo. Sotto questo profilo la banca centrale può assicurare anche la solvibilità di tutti gli emittenti privati e la redenzione di qualsiasi collaterale. Tuttavia la mugabenomics (v. Robert  Mugabe) credo sia abbastanza esemplificativa degli effetti negativi di questo genere di politiche, pertanto scusate me e tutti coloro i quali non aspirano a fare la fine dello Zimbawe se il vostro tipo di ricette comincia a destare sempre maggiore perplessità. I mercati sono più perplessi riguardo alla capacità degli stati di intervenire sui deficit pubblici semplicemente perché questo tipo di azioni presenta dei costi di agenzia e transazione elevati, dove per costi di agenzia e transazione devono intendersi i processi di negoziazione interni (con i propri corpi elettorali) ed esterni (con gli altri stati in fase di coordinamento) e le relative tempistiche connesse.

Ridurre risorse e dimensioni di un deficitario comparto pubblico favorisce una migliore riallocazione delle stesse nel comparto privato. Quest’ultimo tipo di allocazione è volta a soddisfare le esigenze dei consumatori finali, piuttosto che i bisogni della classe politica. Non vi sono – come sostenete – investimenti sottoutilizzati, ma semplicemente pessimi investimenti che necessitano di essere liquidati o ridimensionati, anziché essere mantenuti artificialmente in vita da una politica monetaria lassista che favorendo i fenomeni di evergreening contribuisce all’occultamento sistematico delle perdite del sistema bancario. La ricomposizione di una sostenibile struttura del capitale, quando il ciclo economico si è ormai avviato verso una fase di “bust” non può non essere dolorosa.  L’interventismo a oltranza, monetario e/o fiscale, nel suo vano tentativo di procrastinare lo status quo può soltanto rendere questo processo più ricco di sofferenze.

Il capitale politico speso nella creazione dell’euro, nell’idea di un governo centrale dell’unione, dalle Canarie a Helsinki è così grande da aver fatto accettare alla Germania politiche di salvataggio e azzardo morale fino a dieci anni fa semplicemente impensabili. Tutto questo non può spingersi al punto da credere e/o pretendere che i tedeschi abbiano voglia di sostituirsi ad Atlante, sorreggendo sulle loro spalle (e su quelle dei loro posteri) il peso delle dissennatezze altrui.  L’unica cosa che può essere chiesta alla Germania ed alle sue banche, di fronte ad eventuali fenomeni di insolvenza, è semplicemente quello che può essere chiesto ad un creditore che ha mal allocato i propri capitali: sedersi ad un tavolino, prendere atto della realtà e negoziare le perdite senza incaponirsi a pretendere ciò che oramai non può essere più escusso. Sbagliando si impara. E’ un proverbio, ma funziona piuttosto bene anche in economia.

L’articolo di Krugman, ripreso e tradotto dal sole24ore di sabato 26 giugno, con il suo affannarsi a biasimare Cina e Germania quali presunti sabotatori della ripresa mostra evidentemente come il ragionare continuamente per macroaggreati finisca per creare un fertile background culturale a nazionalismi economici e revanchismi commerciali. Trattare le nazioni, gli stati o le classi sociali come delle entità autonome e pensanti è la mera traslazione sul piano politico di una forma mentis ormai da troppo tempo abituata a rendere singolare e uniforme ciò che è plurale e variegato, a negare ad ogni singolo individuo la qualifica di “homo agens” con tutto quello che ne consegue.

Negli ultimi anni i sostenitori dell’interventismo hanno avuto tutto quello che volevano: non vi sono precedenti storici di espansioni quantitative e qualitative dei bilanci delle banche centrali, né nell’espansione della spesa pubblica a livello mondiale. Il risultato è quello di aver semplicemente tamponato la situazione a fronte di squilibri ancora maggiori. L’interventismo chiede sempre di più, si appiccica alla banca centrale e agli stati come un tossicodipendente al proprio spacciatore senza rendersi conto che in realtà sta semplicemente andando incontro ad una morte per overdose. L’interventismo si rifiuta di prendere atto della necessità di purgare il sistema dai propri eccessi e che questo processo comporta dei costi, che per quanto sgradevoli siano, è indispensabile sostenere. Se la ripresa è flebile significa che non si è speso abbastanza, se non vi è ripresa significa che è necessario spendere di più e se a qualcuno viene in mente che forse, nonostante tutto, è bene cominciare a disintossicarsi si risponde che è un sabotatore del pubblico benessere. Definire questa impostazione populista è fare un’offesa al populismo.

Cari (ex) professori, con molti dei quali sono tuttora legato da un rapporto che si materializza sotto forma di sostituto di imposta con cadenza regolare ogni mese, l’economia non è un flusso circolare che si perpetua indefinitamente nel tempo, né un asettico e neutrale laboratorio scientifico dove è possibile isolare elementi e condurre esperimenti a piacimento. Salvaguardare il valore della moneta in quanto connettivo sociale, rispettare il capitale quale frutto dell’evoluzione degli individui, nonché degli errori e dei successi compiuti generazione dopo generazione non è un optional. E’ un istanza etica e politica di primaria grandezza.

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