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Posts Tagged ‘urbanistica’

Il futuro non è più quello di una volta. Di F. Gastaldi

2 luglio 2011

Riceviamo da Francesco Gastaldi e volentieri pubblichiamo.

La chiusura di stabilimenti e attività produttive (a causa di delocalizzazioni, riarticolazioni aziendali, crisi economica ecc.), in molte località italiane, spinge molti a ricordare il passato. Il ridimensionamento di attività industriali che per molti decenni avevano assicurato condizioni di benessere spinge molti ad evidenziare il venir meno di una stretta correlazione fra economia, società e ambiti di vita ordinaria, altri rievocano un tempo passato dove “tutto andava beneâ€.

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Siamo tutti musulmani

8 gennaio 2011

L’attentato di Alessandria ha ulteriormente alzato il livello della polemica sulla costruzione di moschee in Italia. I due casi più importanti sono a Genova e Torino. In entrambi i casi ci sono molti aspetti non del tutto limpidi, relativi sia all’individuazione del sito per la nuova moschea, sia al finanziamento delle spese necessarie, sia agli aspetti “estetici” degli edifici di culto e, in particolare, alla presenza o meno di minareti (che però ne sono parte integrante). Quello che colpisce, però, è che il dibattito pubblico sia sostanzialmente privo di sfumature, e privo di riferimenti concreti, se non occasionali e strumentali, a questi aspetti. Il dibattito pubblico è semplicemente: mosche sì, moschea no, e, come dimostra il sondaggio di Radio 24, essendo chiamati al derby, gli italiani reagiscono nel peggiore dei modi. Il problema è che quasi nessuno – neppure i sostenitori della moschea, che si appellano ad argomenti quasi esclusivamente utilitaristici – va alla sostanza. E la sostanza è: non stiamo parlando si una moschea, di cui francamente mi interessa poco; non stiamo parlando neppure di libertà religiosa, che mi interessa già un poco di più; stiamo parlando di libertà tout court.

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Milano si agita, ma manca il progetto. di Mario Unnia

2 luglio 2010

Riceviamo da Mario Unnia e volentieri pubblichiamo:

Un entusiasmo progettuale percorre la città dopo tanto letargo. Il Manifesto per Milano promosso dal Corriere della Sera è emblematico: all’elenco chilometrico delle adesioni seguono incontri e assemblee di cittadini che fanno richieste sproporzionate alle risorse e ai tempi necessari. C’è poco da aspettarsi da questa progettazione collettiva se non un’attivazione dell’opinione pubblica a scopo politico, in vista delle elezioni, e forse un incremento delle vendite della testata.

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Uomini liberi, case inviolabili. Di Marco Romano

23 marzo 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Marco Romano.


“Questa casa è inviolabileâ€, scrivevano spesso orgogliosamente sulla porta i cittadini di qualche città nei primi secoli di questo millennio: perché per essere tali, cittadini di una città, dovevano avere il possesso di una casa, e tuttora, se vogliamo trasferirci in una nuova città, un vigile urbano verrà a controllare per l’appunto dove abitiamo.

Se sulle facciate delle case la città ha una qualche competenza e una qualche giurisdizione perché il loro aspetto esteriore contribuisce, come del resto sappiamo per esperienza, alla sua bellezza – e per questo fin dal Cinquecento vengono costituite commissioni edilizie per controllarne la corrispondenza ai canoni stabiliti dagli architetti rinascimentali – la pretesa di legiferare sul loro assetto interno ha un fondamento dubbio.

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Piano casa, ecologismo e fine del diritto

13 ottobre 2009

In un precedente intervento su questo blog (“Per favore, non usiamo l’ecologismo contro gli ecologistiâ€) Carlo Stagnaro ha giustamente evidenziato come anche taluni industrialisti progressisti possano talvolta arrendersi, non fosse altro che per ragioni retoriche, agli argomenti dell’ecologismo. Le cose sono perfino messe peggio se si considera come siamo amministrati e, in particolare, se si prende in esame la vicenda del “piano casaâ€. Prosegui la lettura…

Carlo Lottieri energia, liberismo, mercato , , , ,

Dietro la tragedia messinese, il declino della proprietà e quindi lo sfascio del territorio

5 ottobre 2009

A destra come a sinistra, la tragedia messinese viene letta sostanzialmente nello stesso modo: come effetto di una carenza di intervento pubblico. L’idea è che ci sia bisogno di “più Stato†per la cura del territorio, “più Stato†per impedire abusivismi, “più Stato†per delineare una politica ambientale che sia poi tradotta in realtà e, alla fine, eviti altri smottamenti tanto disastrosi. L’idea che sia possibile leggere le cose diversamente neppure è presa in considerazione. Prosegui la lettura…

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“Rapallizzare” l’Italia? Alcune buone ragioni

20 agosto 2009

Qualche giorno fa un amico fiammingo mi ha riferito con entusiasmo di una sua recente vacanza in Liguria, ricordando con piacere i giorni passati a Camogli e Rapallo. La cosa mi ha colpito perché, da qualche decennio, nei dizionari della lingua italiano con il verbo “rapallizzare” si indica un processo di cementificazione selvaggia: come quando si prende un paesino costiero e lo si riempie di casermoni e villaggi turistici. In questi giorni ferragostani può essere allora opportuno provare a sviluppare qualche minima riflessione sul rapporto tra natura e turismo, tra bellezze storico-ambientali e sviluppo urbanistico.

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Milano, Italia: l’edilizia pubblica di ghetto in ghetto

15 agosto 2009

In data 14 agosto, l’agenzia ANSA dava notizia di un’azione condotta dalle forze dell’ordine nella zona Nord di Milano all’interno di un quartiere Aler (gli edifici costruiti dallo Stato e messi a disposizione delle categorie più deboli).

Operazione congiunta di polizia e carabinieri in un quartiere periferico della zona Nord di Milano, il cosiddetto “ghetto”, una serie di palazzi popolari tra viale Zara e viale Fulvio Testi. Le forze dell’ordine hanno circondato i palazzi, eseguito controlli a persone e autoveicoli, e perquisizioni domiciliari per droga e armi.

Le case popolari del cosiddetto “ghetto”, quartiere periferico della zona Nord di Milano, sono state recentemente oggetto di un’inchiesta del Corriere della Sera per via del degrado, dell’abusivismo e dello spaccio di droga. Una sorta di “terra di nessuno”, come ha denunciato il quotidiano di via Solferino, di fronte alla quale si sono levate, da più parti, richieste di intervento.

Se l’opposizione in Comune a Milano ha chiesto a più riprese di far intervenire nel “ghetto” i militari, l’Aler ha anche proposto di assegnare case a poliziotti nel quartiere. Anche il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha affrontato la questione: in un’intervista ha riferito di aver “chiesto al prefetto un intervento più incisivo per questa e altre zone della città”.

Insomma : l’edilizia popolare produce non solo morosità, sprechi e corruzione, ma favorisce anche (per ragioni facilmente comprensibili) un progressivo degrado della vita sociale. Costruire quartieri e destinarli a quanti posseggono i requisiti per essere aiutati e si trovano in cima alle graduatorie significa “pianificare” (un po’ per stupidità, un po’ per superficialità) un fallimento. Significa far sì che i figli di persone caricate da problemi si trovino a convivere – nelle classi scolastiche come nei cortili – quasi esclusivamente assieme ad altri bambini che vivono in famiglie caricate da analoghi problemi.

Eppure solo il 21 luglio scorso l’assessore alla Casa del comune milanese, Gianni Verga, salutava con soddisfazione il varo dell’ennesimo piano casa governativo (i 100 mila alloggi in 5 anni promessi dal premier Silvio Berlusconi):

“Il Piano Casa decretato dal Presidente del Consiglio arriva in ritardo, ma rappresenta un avvio importante per sviluppare interventi utili che serviranno a dare una casa alle diverse fasce del bisogno”. Con queste parole l’assessore alla Casa Gianni Verga ha accolto il decreto che si pone l’obiettivo di costruire centomila alloggi in 5 anni. Beneficiari del Piano Casa saranno i nuclei familiari a basso reddito, le giovani coppie, gli anziani in condizioni sociali svantaggiate, gli studenti fuori sede, gli sfrattati e gli immigrati regolari a basso reddito e residenti da almeno 10 anni in Italia o da 5 nella stessa Regione. Insieme ai più bisognosi, potranno beneficiarne i ceti medi e medio-bassi che non possono sostenere i prezzi di mercato”.

È davvero bizzarro che un giorno si intervenga con il fucile spianato per tentare di porre rimedio ai guasti causati dal socialismo urbanistico, e un altro giorno – quasi senza avvedersi del nesso tra le due cose – ci si impegni a porre le basi per un’ulteriore espansione della gestione statale delle abitazioni e, quindi, per nuovi e sempre più pericolosi ghetti.

Non sarebbe molto meglio privatizzare (anche offrendo condizioni di favore per gli attuali residenti ) le abitazioni oggi di proprietà pubblica e con il ricavato avviare un programma di buoni-casa a favore di quanti hanno seri problemi economici, lasciando però che essi vadano a vivere in quartieri “normali”, e non nei dormitori predisposti da sindaci e assessori?

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Abolire le Province

9 maggio 2009

L’ostilità preconcetta per una riforma degli Enti locali che comporti l’abolizione delle Province può essere spiegata solo in due modi: con la fiducia cieca e talvolta inconsapevole verso le istituzioni e il loro operato da parte di onesti, ancorché ignari cittadini oppure con la difesa di rendite di posizione da parte di gruppi di interesse politico-clientelari. Tertium non datur. Meglio di noi l’ha spiegato in un agile libercolo pubblicato di recente per la casa editrice Rubbettino il team capitanato da Silvio Boccalatte. Eppure, proprio in questi giorni di “febbrile†attesa per le consultazioni del 6 e 7 giugno prossimi, si sente spesso ricordare (almeno questa è la mia esperienza) che le Province sono e restano indispensabili, perché, tra i notevoli compiti cui sono preposte, v’è quello, imprescindibile, di varare il piano territoriale di coordinamento. Ebbene, questa vitale competenza di livello urbanistico è in realtà stata attribuita alle Province nel 1990 con lo scopo conclamato di conferir loro un qualche ruolo (!). Come dire: in Italia prima si creano gli enti e solo dopo si decide quali funzioni essi debbano ricoprire. Il piano territoriale di coordinamento è lo specchio di questo modus operandi. Si tratta infatti di un ulteriore livello di pianificazione urbanistica del quale non si sentiva affatto il bisogno e che in buona sostanza si sovrappone a quello delle Regioni, ingolfandone l’attività e accrescendo il garbuglio normativo. Il piano provinciale, infatti, una volta redatto, deve essere rimesso alla Regione, la quale ne accerta la conformità agli indirizzi regionali di programmazione (ottimo, ma allora non ne basterebbe solo uno?) e stabilisce le procedure di approvazione garantendo la partecipazione dei Comuni interessati. I Comuni, in pratica, non dovranno soltanto attenersi alle disposizioni dei piani urbanistici regionali, ma dovranno fare riferimento anche a quelli provinciali. Talora, però, i piani di coordinamento provinciale sembrerebbero poter essere approvati in deroga a quelli regionali. Si pensi al caso degli strumenti di pianificazione paesaggistica, i quali, prima di una legge del 2004, avrebbero dovuto essere inglobati nei piani di coordinamento provinciale a seguito di intese con le amministrazioni locali. La legge del 2004 ha scombussolato il quadro, dando la precedenza agli strumenti di pianificazione paesaggistica regionale su quelli adottati a livello provinciale. Insomma. L’estrema confusione e incertezza del quadro normativo imporrebbe un ripensamento del ruolo di un ente, sotto più punti di vista, davvero pletorico e sovrabbondante. Ecco perchè, cara Claudia Porchietto, non possiamo che storcere la bocca di fronte ad un programma che si propone di tagliare gli sprechi, ma che non ci dice nulla di certo sul futuro delle Province. Almeno il suo avversario è stato chiaro: le Province non si toccano.

Giovanni Boggero Senza categoria , , , , ,