Ogni tanto ci vuole. Una sana invettiva che svuota i polmoni e scarica le meningi, collassa le endorfine e ripristina l’equilibrio metabolico. Tipo quella diAlessandro Penati oggi su Repubblica, che purtroppo non lo linka se non a pagamento, dunque se non l’avete letto qui solo una sintesi. E’ una replica invettivista all’intervista che Cesare Geronzi ha rilasciato a Massimo Giannini di Repubblica, dopo che questi aveva romanzato la vicenda della defenestrazione di Profumo come una resa all’asse Berlusconi-Letta-Geronzi. L’allineata delle tre botte mediatiche di Repubblica Giannini-Geronzi-Penati dice molto , per me, di come si seguano in Italia le vicende finanziarie. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino credito, informazione banche, Geronzi, Repubblica, Unicredit
In banca l’azionista decide, ma è il manager a dirgli tra che cosa. Così diceva il grande Raffaele Mattioli alla Comit, il modello da cui non solo Cuccia ma anche i giovani banchieri McKinsey italiani hanno sempre tratto insegnamento. Alessandro Profumo tra tutti, in un decennio e mezzo di strepitosa cavalcata in Italia e 22 Paesi esteri. Ma quando i dividendi agli azionisti scendono a meno della metà rispetto al difficile anno precedente, e poi a un quarto o un quinto degli anni precrisi come nella semestrale 2010 Unicredit, e si è dovuto pure mettere mano al portafoglio per miliardi in aumenti di capitale, lo spazio dei manager si restringe. E di Mattioli non si ricorda più nessuno. Ecco spiegata la levata di scudi in Unicredit di Cariverona con Paolo Biasi e dei trevigiani di Cassamarca, dei piemontesi di Crt con Palenzona, dei bolognesi di Carimonte e della fondazione Banco di Sicilia. Sono loro, con gli azionisti tedeschi, i veri assassini di Profumo. Non la politica, anche se so che nel dirlo farò storcere a molti la bocca. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino credito banche, profumo, Unicredit
Ci sono due modi di guardare all’apparente crisi di fine estate dei due amministratori delegati delle due maggiori banche italiane. La prima è quella di perdersi nel filo di Arianna delle considerazioni di ordine personale, che tanto vanno per la maggiore nella stampa retroscenista, e non solo in quella politica. E così si sono lette fior di illazioni, su che cosa abbia spinto davvero o quali benedizioni abbiano indotto il Corriere della sera a pubblicare per due giorni di seguito articoli intorno agli investimenti alberghieri della famiglia Passera. E analogamente si sono sprecate le strizzate d’occhio, intorno al mormorio delle fondazioni azioniste raccolte insieme al presidente di Unicredit Dieter Rampl, nel protestare per aver appreso dai giornali che il fondo sovrano della Libia aveva aggiunto un altro due per cento buono di capitale alla quota di poco sotto al 5% già detenuta dalla banca centrale del Paese guidato dal finalmente amicissimo dell’Italia, il colonnello Gheddafi. Senonché chi scrive qui non intende inseguire considerazioni personalistiche. Hanno sicuramente il loro peso, per carità . Perché alla testa di grandi banche lo stile personale del numero uno operativo investe inevitabilmente il modello gestionale, il rapporto con gli azionisti, la scelta della prima cerchia del management alla testa delle diverse unità di business, e la modalità attraverso la quale essi trasmettono valori e procedure dell’istituto nelle attività di cui sono responsabili, a scendere fino all’ultimo sportello. Ma il primario giudizio su questo spetta agli organi e agli azionisti della banca. Tocca a noi tentare di capire invece se le polemiche tardoestive siano anche figlie di peculiarità sistemiche, quelle di cui ci occupiamo qui. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino corporate governance, credito banche, Intesa, Italia, Unicredit
Ha mai pensato di darsi alla politica? “No. Anche perché penso di avere un carattere non adeguato”. Era il 29 maggio 2008 e Unicredit era da poco inciampata sulla mina dei derivati. Ecco allora uscire sulle pagine de L’Espresso una lunga  intervista sentimentale all’amministratore delegato, Alessandro Profumo.
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Camilla Conti credito, finanza banche, profumo, Unicredit
Anche a marzo le banche italiane hanno mantenuto il trend affermatosi con crescente divario a loro vantaggio dallo scorso autunno. A marzo gli impieghi sono saliti solo del 2,8% sull’analogo mese 2008, mentre la raccolta è salita della bellezza dell’11,3%. Trainata dalle obbligazioni bancarie che gli istituti italiani continuano a piazzare ai propri sportelli a ritmi incrementa,li vertiginosi, con un più 20,5% mensile che va parametrato al più 5,8% dell’euroarea, al più 11,5% francese, e al meno 1,7% tedesco e al meno 3,1% spagnolo.
Si tratta di due dati sui quali riflettere. Da mesi la forbice crescente tra raccolta e impieghi ormai sui dieci punti mensili testimonia non solo la maggior propensione al risparmio delle famiglie innanzi alle incertezze della crisi – fenomeno fisiologico perché dovunque in tali condizioni sale la propensione al risparmio sul reddito disponibile, persino negli usa dove era negativo si alza del ritmo impressionante di quasi 5 punti al mese. Nel caso italiano, il divario tra raccolta e impieghi ha assunto proporzioni tali, e si è manifestato in tempi tanto rapidi, da precedere la contrazione degli investimenti da parte delle imprese a fronte del rallentamento dell’economia reale, ed è dunque una deve vere e più concrete misure della restrizione di credito che il sistema bancario italiano pratica, per rafforzarsi patrimonialmente. Che tutto ciò venga trainato dalle obbligazioni bancarie spiazzando i fondi, è espressione della garanzia statale che in Italia i risparmiatori avvertono dietro banche che pure non hanno dovuto ricorrere a interventi pubblici in alcun modo paragonabili a quelli che hanno cambiato le coordinate bancarie e del mercato in Paesi come Usa, Uk, Germania, Francia e Paesi Bassi. E’ da rimarcare poi che una tale strategia assai aggressiva di funding avviene in concomitanza, dopo 5 mesi di braccio di ferro sui cosiddetti Tremonti bonds troppo onerosi, con l’emissione di obbligazioni potenzialmente costosissime per l’emittente come l’appena collocato strumento di Unicredit per oltre un miliardo di euro. A beneficio di chi l’ha acquistato – anche in questo caso spiazzando investimenti più necessari – ma non certo a conferma di un solido stato di salute della banca italiana che non avrebbe avuto bisogno di un aumento di capitale né di aiuti pubblici, malgrado già paghi solo l’11% di tax rate e approfittiper oltre un miliardo nel 2008 di sgravi fiscali da rettifiche degli avviamenti patrimoniali concesse dal “famigerato” Tremonti…
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