Negli Stati Uniti è partito il grande dibattito (vedi l‘impostazione che ne dà Morgan Stanley) intorno a se confermare i tagli alle tasse introdotti da Bush e che il Congresso approvò solo “a tempoâ€, con scadenza al dicembre 2010. E il dibattito si innesta su richieste sempre più corpose di una nuova manovra di finanza pubblica con massiccio debito aggiuntivo, per sostenere l’economia. Non è un confronto che riguarda solo gli USA, ma l’exit strategy mondiale dalla crisi. La scelta americana su fisco e spesa pubblica avrà effetti complessivi. Perché a sua volta si innesta su una ripresa mondiale che nel secondo trimestre 2010 ha cambiato passo rispetto al primo, rivelatosi insostenibile. Tanto è vero che l’indice PMI degli ordini esteri globali è in frenata nella seconda metà 2010 rispetto alla prima, a luglio la previsione era su 54,4 (oltre quota 50 significa espansione) rispetto al 58,1 del primo semestre. E’ l’effetto combinato dell’atterraggio morbido della Cina, e dell’esaurimento progressivo dell’effetto aiuti pubblici negli USA. Il primo fattore merita un voto positivo. Il secondo, no. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino macroeconomia, spesa pubblica Barack Obama, debito pubblico, Keynes, liberismo, spesa pubblica, Stati Uniti, ue
Ma quanto conta davvero, il fattore cambio tra le valute delle tre macroaree mondiali, ai fini dell’exit strategy? Se diamo un’occhiata alle tante proposte del post Lehman, c’è da perdere la testa. Mi faccio aiutare da una guida, elaborata in proposito da Kati Suominen del German Marshall Fund a Washington. La conclusione? Il dollaro ha un solo nemico al momento, checché dicano in tanti. Un nemico interno, però. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino commercio mondiale, monete Barack Obama, BCE, Dollaro, euro, Fed, FMI, Keynes, ue, yuan
Al G8 concluso da qualche ora, e al G20 in corso fino a domani in Canada, le tre macroaree mondiali sono arrivate divise. Il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato venerdì un ultimo appello affinché le divisioni fossero superate, lanciando l’allarme emotivo su ben 30 milioni di posti di lavoro che sarebbero a rischio. Ma le divisioni non dipendono da scarsa buona volontà . Stati Uniti, Europa e Cina alla testa dei Paesi emergenti, a 22 mesi di distanza dal fallimento di Lehman Brothers e a 9 mesi dai primi segni di ripresa, hanno oggettivamente tra loro interessi diversi. Come del resto si comprende ricordando che i Paesi emergenti sono il vero motore della crescita mondiale – quest’anno sarà superiore al 4% – poiché crescono del 7% nel 2010 (la Cina intorno al 10%, e nel 2009 è diventata la potenza leader con il 22% del prodotto industriale mondiale rispetto agli Usa che dal 25% del 2001 sono calati di 10 punti). Senza scendere nel dettaglio, e al prezzo di inevitabili approssimazioni, cerchiamo di capire i punti di maggiore divergenza, per leggeremeglio il comunicato del G20 che sarà diramat doomani pomeriggio. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino Stati Uniti, commercio mondiale, euro, finanza, fisco, macroeconomia, monete, ue banche, Barack Obama, Cina, Crisi, germania, Keynes, Merkel, spesa pubblica, ue, USA
Nella reazione di protesta che si è levata contro l’ipotesi che la Nutella possa subire ben precise limitazioni alla sua etichettatura c’è qualcosa che induce a riflettere. Prosegui la lettura…
Carlo Lottieri Diritti individuali, informazione, liberismo, mercato informazione, libertà d'impresa, Nutella, paternalismo, ue
Nonostante lo stallo raggiunto nelle settimane scorse, nei corridoi di Bruxelles l’ipotesi di alzare dal 20 al 30 per cento il target di riduzione delle emissioni non è ancora tramontata. C’è, all’interno dell’Ue, una forte lobby che spinge per rilanciare, nonostante il basso livello di probabilità di raggiungere un accordo a Cancun alla fine di quest’anno – cioè l’alta probabilità che l’Europa continui a trovarsi isolata sulla strada dei sacrifici unilaterali. Di questo atteggiamento ambiguo, oscillante tra il realismo della ragione e l’utopismo delle anime belle (ma non solo quelle), si trova traccia nella bozza delle conclusioni del Consiglio europeo, che dovrebbe concludersi domani. Le bozze – che Chicago-blog ha potuto vedere in anticipo – sembrano scritte nella migliore tradizione democristiana, lasciano aperte tutte le porte.
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Carlo Stagnaro energia 20-20-20, clima, ue
D’accordo, nella community dei trader e relativi blogger Tyler Durden e il suo Zerohedge ha fama di spararle un po’ grosse. Ma vale la pena di leggere il suo post appena scritto sulle nuove emissioni di debito pubblico italiane a copertura degli oltre 5 miliardi di euro in cui consiste il nostro contributo all’eurosalvagente deciso il 9 maggio scorso.. Quando parla di “idiozia europea” Durden esagera, e oltretutto le emisisoni a copertura del fondo europeo non accrescono il debito per Eurostat. Ma ha ragione nel dire che si tratta naturalmente di un artificio, perché chi cura i debiti con più debiti comunque non convince i mercati, e il suo spread sul Bund è dunue destinato a salire. Infatti quello italiano è salito da quota 90 a quota 173 punti in sole 7 giornate borsistiche…. e nel frattempo il colloquio chiarificatore tra Sarkozy e Merkel che doveva tenersi oggi è stato aggiornato al 14 giugno, tanto per ribadire quanta convergenza reale vi sia tra le due maggiori capitali dell’euroarea, in materia di come comportarsi di fronte alla sfiducia dei mercati.
Oscar Giannino euro, macroeconomia, ue BCE, euro, Grecia, Italia, ue
La politica italiana si balocca in telefonate televisive su chi è più popolare, e polemiche su Maroni a Varese. Al più, si occupa ma solo incidentalmente della prima sveglia venutaci dal FMI, per il quale le stime del governo sulla crescita potrebbero rivelarsi ottimiste – malgrado i due primi trimestri abbiano accumulato già una crescita tendenziale annuale di O,6 punti di PIL – e dunque occorrerebbe una nuova manovra correttiva per scendere davvero al 2,75% di PIl di deficit pubblico al 2012, una manovra di almeno altro mezzo punto rispetto all’1,& proposto dal governo. Ma l’allarme rosso non è rappresentato da questa notizia, bensì dalla caduta libera che i titoli decennali pubblici italiani stano mettendo a segno da 5 sedute a questa parte. Oggi siamo arrivati a 160 punti di spread sul BTP, peggio che nel giorno più rovente precedente l’eurosalvagente di tre settimane fa, e il CDS sull’Italia ha toccato quota 270, a un sofffio dal Portogallo: è evidente che i mercati interpretano gli acquisti della BCE sui mercati, riservati sino a oggi ai titoli greci, portoghesi e irlandesi, come non confacenti al nostro rischio, in via per questo di rapido deterioramento. La politica italiana dovrebbe capire che, se si mette così, nel giro di qualche giorno andrebbe a farsi benedire ogni chiacchiera sull’ottimismo, e sulla nostra salute relativa rispetto ai Paesi che hanno fatto più deficit nell’ultimo biennio. Viene da piangere. Sullo sfondo, una batteria di commenti ai quali ci allineiamo. Tutti improntati al pessimismo. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino Borsa, euro, ue BCE, Italia, ue
All’indomani della manovra varata dal governo, quel che colpisce è la persistenza di un’elevata e diffusa inconsapevolezza. Le classi dirigenti di un Paese non sono solo quelle politiche. Accademia e cultura, sindacato e professioni, banche e imprese, alta amministrazione e magistrati. Tutto ciò compone insieme la spina dorsale di un Paese, il suo sistema nervoso, il suo apparato muscolare. La correzione dei conti pubblici mostra sino ad ora che la grande eccezione all’inconsapevolezza diffusa viene dall ‘impresa – domani ne avremo conferma,. all’assemblea di Confindustria -, dalla banche, e da una parte del mondo sindacale, Cisl e Uil. Quella parte di classe dirigente sembra aver capito che cosa ha veramente indotto Berlusconi e Tremonti a metter mano alla manovra correttiva. Semplicemente, il fatto che da qualche mese siamo entrati in un nuovo capitolo della grande crisi che ci accompagna dall’estate 2007. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino fisco, macroeconomia, ue, welfare Crisi, debito pubblico, Tremonti, ue
Exit strategy, se ne parla da un anno almeno, da quando cioè FED e amministrazione americana nel primo semestre post Lehman avevano oramai messo in atto tutte le strategie considerate possibili e necessarie di salvataggio bancario e di sostegno al mercato, l’Europa aveva disordinatamente compiuto i suoi salvataggi bancari con metodologie distinte da Paese a Paese e rifiutando ogni strumento anticiclico condiviso a livello comunitario, da quando la Cina ad aprile 2009 aveva riorientato la propria crescita sul mercato interno ancorando a sé il più dell’export del Pacific Ring, e infine col G20 e col Financial Stability Board si era avvita una nuova cornice multilaterale di governance finanziaria. Eppure, dopo un anno e mezzo, l’exit strategy resta una formula fai-da-te, non si è affatto calata in grandi riforme condivise né nel campo dell’intermediazione finanziaria, né in quello dei cambi delle monete, né in quello commerciale. L’Europa si è salvata a malapena dal disastro all’ultimo secondo, domenica scorsa, ancora una volta per effetto delle sue divisioni su che cosa davvero sia, l’exit strategy. Su questo, rinvio al video di oggi qui a fianco, e alla versione di Oscar di stamane con Mario Seminerio. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino commercio mondiale, credito, euro, finanza, liberismo, macroeconomia aiuti di Stato, banche, Crisi, Fed, ue
Sono d’accordo con Ugo Arrigo: il venticello che spira potentemente nel mix politico-mediatico sull’Italia “tedesca e virtuosa” si fonda su elementi largamente esagerati, manifestamente politici più che oggettivi. Contemporaneamente, mi sembra utile approfondire il vero stato dell’arte comparata tra paesi dell’euroarea. Con una convinzione. Se salta Grecia e poi Iberia, noi saremmo i prossimi per le ragioni che dice Arrigo. Per inciso, io penso che un default di chi ha fatto moral hazard inibisca più moral hazard futuro di quanto ne incoraggi invece ogni salvataggio, si parli di una banca o di uno Stato. Penso al contempo che ai tedeschi converrebbe, un euro ristretto all’area franco-renana-olandese più paesi a Est in cui Berlino ha delocalizzato. Eppure, penso che alla fine i tedeschi non perseguiranno tale obiettivo: ma il rischio che la situazione sfugga di mano, prima e dopo il 9 maggio quando si vota in Nord-Renania Westfalia, c’è eccome. E’ chiaro per altro che all’Italia l’euro conviene, anche se abbiamo completamente buttato nel water i 7 punti di Pil di minor spesa pubbluica per interessi che l’euro ha rappresentato per il nostro Paese: invece di meno tasse, i politici di ambo i colori hanno alzato la spesa corrente Prosegui la lettura…
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