CHICAGO BLOG » trasporto pubblico http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Con i tunnel stradali vincono tutti /2010/05/04/con-i-tunnel-stradali-vincono-tutti/ /2010/05/04/con-i-tunnel-stradali-vincono-tutti/#comments Tue, 04 May 2010 12:58:55 +0000 Francesco Ramella /?p=5903 Il trasporto collettivo risulta competitivo rispetto a quello individuale solo per gli spostamenti diretti verso le zone centrali delle maggiori aree urbane. Ha senso allora investire ingenti risorse pubbliche per convincere un ristretto numero di automobilisti a salire sui mezzi pubblici? Forse sarebbe preferibile realizzare infrastrutture stradali sotterranee a pedaggio. Una soluzione più sostenibile in termini di finanza pubblica, vantaggiosa anche per l’ambiente.
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Fiumicino: il prezzo di una liberalizzazione inadeguata /2010/04/17/fiumicino-il-prezzo-di-una-liberalizzazione-inadeguata/ /2010/04/17/fiumicino-il-prezzo-di-una-liberalizzazione-inadeguata/#comments Sat, 17 Apr 2010 10:28:25 +0000 Andrea Giuricin /?p=5711 Un esempio di quanto sia grave non liberalizzare il servizio pubblico locale? Non ce n’è uno migliore di quello rappresentato dall’aumento della tariffa per il treno regionale che collega l’aeroporto di Roma Fiumicino con il centro della capitale: il Leonardo Express. Di ingegnosità questo treno non sembra avere solo il nome, ma anche il modo di incrementare le tariffe.
Il costo del biglietto di questo treno che impiega circa 30 minuti per collegare l’aeroporto intercontinentale e la Stazione Termini senza soste è aumentato da 11 euro a 14 euro, 3 euro, quasi il 30 per cento.
In tale tratta, che non si differenzia certo per la velocità, per i servizi di bordo (non è presente nemmeno una presa della corrente ai posti a sedere e l’aria condizionata non sempre funziona) e per treni nuovi, tale aumento della tariffa sembra davvero molto difficile da accettare.
Inoltre, prima vi era la concorrenza del treno regionale che collegava il centro di Roma (non Termini) con numerose soste per 5 euro 50 centesimi, ma anche questa tariffa è cresciuta vertiginosamente. La tariffa infatti è salita di oltre il 40 per cento, arrivando a 8 euro per il tragitto.
Tali tariffe non sarebbero scandalose se dietro ad un tale aumento vi fosse una logica di mercato, ma così non è.
Infatti possono essere individuati due problemi fondamentali relativi alla concorrenza. Il primo è relativo alla concorrenza mancante nel trasporto regionale, mentre il secondo ad una distorsione della concorrenza intermodale.

Affrontando il primo punto, è chiaro che tali aumenti sono stati resi possibili dall’accordo raggiunto dalla Regione Lazio con Trenitalia nell’ambito del trasporto pubblico ferroviario locale.

Gli aumenti sono stati permessi nella logica di un diminuire le spese regionali nell’ambito dei trasporti, in cambio di un incremento importante della tariffa del Leonardo Express.

Tale servizio è totalmente monopolizzato dall’operatore dominante e dall’accordo tra Trenitalia e Regione Lazio. Teoricamente tali servizi dovrebbero essere messi a gara, ma effettivamente non si sono avuti esiti differenti dalla vittoria dell’incumbent.

I servizi pubblici locali dovrebbero essere liberalizzati e le leggi, come quelle emesse lo scorso anno dal Parlamento Italiano, che limitano la concorrenza in questo settore in realtà danneggiano tutti.

Da un punto di vista del turista che arriva all’aeroporto di Fiumicino, 14 euro per raggiungere il centro città sono una cifra ragguardevole, se confrontata ad esempio al costo esistente in altri Paesi Europei. A Barcellona o Madrid raggiungere il centro città costa quanto muoversi per tutta il centro cittadino, mentre anche raggiungere lo scalo (secondario) di Roma Ciampino è molto più conveniente.

Sarebbe necessario da parte della Regione Lazio un’apertura di un bando di gara per la concessione della tratta Fiumicino Aeroporto – Roma Termini o altre stazioni, in modo che si apra alla concorrenza e che possano entrare nuovi operatori ferroviari.

Vi è un secondo problema legato alla concorrenza intermodale. Elevare la tariffa di tre euro, rende meno competitivo l’aeromobile nel confronto con il “FrecciaRossa”. Tale concorrenza tra treno e aereo è dunque distorta, tanto più che il trasporto pubblico regionale è sovvenzionato dagli Enti Pubblici Locali.

Se la regione volesse fare gli interessi dei propri cittadini e della propria economia, dovrebbe pensare di aprire una procedura di gara per questa determinata tratta. Probabilmente, anche delle compagnie aeree, potrebbero essere interessate a fornire un proprio servizio di collegamento, con il noleggio di materiale rotabile da terzi.

La mancata liberalizzazione del trasporto pubblico locale provoca mostri.

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TPL: I danni dello statalismo /2010/03/17/tpl-i-danni-dello-statalismo/ /2010/03/17/tpl-i-danni-dello-statalismo/#comments Wed, 17 Mar 2010 09:57:46 +0000 Marco Mura /?p=5409 La gara d’appalto può selezionare le società più competitive? La proprietà pubblica incide negativamente sulla produttività? E quanto incide su quest’ultima il fatto che l’azienda sia a proprietà mista, totalmente pubblica o totalmente privata?
È a queste tre domande che cerca di dare una risposta questo paper focalizzato sul trasporto pubblico locale, scritto per la Fondazione Eni Enrico Mattei da Andrea Boitani, Marcella Nicolini e Carlo Scarpa. Lo studio raffronta gli schemi su titolarità della proprietà e i criteri di scelta delle società su un campione di 72 imprese europee, per il periodo che va dal 1997 al 2006.
La risposta, naturalmente, è che, sì, le aziende aggiudicatarie del servizio attraverso gara d’appalto hanno un tasso di produttività più elevato, mentre la proprietà pubblica ha un impatto fortemente negativo. Inoltre, per quanto riguarda le società miste, la partecipazione statale incide in maniera inversamente proporzionale sulle performance aziendali. Le società a prevalenza pubblica (la cui quota pubblica è definita dallo studio superiore all’85%) risentono della tendenza ad essere gestiti con criteri manageriali burocratici. Sopra l’85% del capitale sono quelle meno produttive in assoluto.
Lo studio mette in luce la debolezza dei sistemi a rete fissa (tram e metropolitane) diminuisce le aspettative di produttività. Generalmente le linee tramviarie non riescono a intercettare un numero di passeggeri sufficiente a coprire i rilevanti costi fissi necessari a operare il servizio: le aziende che più traggono profitto sono quelle che gestiscono il servizio sotterraneo senza però possedere l’infrastruttura. A incidere negativamente sulla produttività aziendale, il trasporto di superficie e l’offerta di collegamenti per le aree extraurbane.
Il divario di produttività tra le aziende interamente pubbliche e quelle miste, aumenta sensibilmente nel segmento del solo servizio di trasporti di superficie. Il che ha a che fare con l’alta densità delle città e dunque con la densità del traffico che interessa le strade su cui operano i mezzi delle società di trasporto pubblico. Un paradosso, è evidente, dalle stesse scelte statali. Dalla pianificazione urbanistica – fondata su quel concetto di “smart growth” che tanto furba non sembra – che impila centinaia di miglia di persone, sottovalutando, quando non ignorando del tutto, il problema della scarsità di parcheggi e quello del congestionamento delle strade, le cui proporzioni sono talmente evidenti che la “concorrenza sleale” praticata dai mezzi che godono di quelle regalie chiamate corsie preferenziali stenta a strappare consumatori a quell’ultimo baluardo della libertà individuale che è l’automobile.
Che poi, per ritornare al nostro paper, un’azienda affiliata a un grande gruppo – meglio se multinazionale – abbia una produttività maggiore di una singola è evidente. Come nel caso di Arriva, una società totalmente privata che con i suoi oltre 15mila autobus e 580 treni, offre oltre un miliardo di corse ogni anno ai passeggeri di ben dodici Paesi europei, dalla Svezia all’Italia, dal Portogallo alla Polonia. E che miete profitti su ogni fronte senza operare in mercati protetti o tramite aggiudicazioni dirette.
La riflessione conclusiva del paper riguarda la lentezza del processo di riforma del trasporto pubblico locale, attribuita a una percezione eccessiva dei costi della privatizzazione e dei costi politici di quella che nel nostro Paese sembra davvero una riforma impossibile, come evidenziava anche Andrea Giuricin nell’Indice delle liberalizzazioni 2009 in un capitolo che mette a nudo le vistose inefficienze del settore trasporti pubblici. Il mantenimento del potere economico e politico rende i costi del servizio doppi rispetto all’Inghilterra, benchmark nel settore.
Se i bandi di gara fanno bene alla concorrenza in Europa, nel Belpaese il problema delle gare a evidenza pubblica è che quasi sempre si concludono con la vittoria dell’incumbent. Fatto per nulla sorprendente, considerato che chi gestisce il servizio ed effettua la scelta è lo stesso soggetto che detta le condizioni. Spesso concepite ad arte, specialmente grazie alle rigide prescrizioni sul mantenimento dell’occupazione, fatto da cui – evidentemente – scaturiscono precise conseguenze.
Secondo quanto riportato dal volume Comuni S.p.A., Il capitalismo municipale in Italia – una ricerca sulle municipalizzate realizzato sempre dalla FEEM, dove troviamo ancora Scarpa tra gli autori – con i suoi quasi 80mila dipendenti, quello del trasporto pubblico locale è il settore a più alta intensità di lavoro, contro quote d’attivo e ricavi poco oltre il 10%. I dati del 2005 parlano di 5.810 milioni di euro, suddivisi per 100 imprese. Quasi la metà dei 10.570 milioni delle 67 imprese fornitrici di elettricità e gas.
Il rapporto tra margine operativo lordo e ricavi è del 6,66%, peggiorato solamente da quello nel settore ferrovie (le aziende municipali sono in tutto sette, di cui una – le Ferrovie Nord di Milano – quotata in borsa) e farmacie. Sì farmacie, municipalizzate: la sorprendente conferma dell’alta socializzazione sanitaria del nostro paese.
Il costo del lavoro incide significativamente sui bilanci delle municipalizzate di questo settore: il rapporto costo del lavoro/ricavi  è un esorbitante 53,97%, davanti – pur con una certa distanza – al 46,51 del settore ferrovie.
Che la colpa sia da imputarsi alla scarsità di autisti? O sarà colpa della politicizzazione (il lavoro di uno, il voto di una famiglia) e dell’ottusità di un certo sindacalismo oltranzista che si ostina a rivendicare aumenti salariali e garanzie del tutto slegate dall’andamento e dalle ipotesi di andamento delle imprese datrici di lavoro? Peraltro, senza mai – si aggiunga per inciso – riuscire a intercettare la solidarietà di un pubblico, al contrario sempre più indispettito a ogni ennesima paralisi delle città.
Sia chiaro, «nessuno contesta l’interesse collettivo a che questo servizio [TPL] sia erogato, e che questo avvenga a condizioni che ne favoriscano una fruizione ampia, ma – ci associamo toto corde al punto di vista degli autori del volume Comuni S.p.A. –  il fatto che questo fine venga conseguito in modo così sistematico tramite imprese pubbliche protette da una qualunque pressione competitiva, piuttosto che tramite imprese private soggette a regole pubbliche, alimenta legittimi dubbi».
Su una sola cosa non ci sono dubbi: lo statalismo non può essere la panacea ai mali da esso stesso creati.

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FS: più contributi e meno concorrenza /2009/12/11/fs-piu-contributi-e-meno-concorrenza/ /2009/12/11/fs-piu-contributi-e-meno-concorrenza/#comments Fri, 11 Dec 2009 09:24:03 +0000 Andrea Giuricin /?p=4260 Il trasporto pubblico regionale su ferro è in grave difficoltà e continua ad essere un problema più che una soluzione per i pendolari che ogni giorno si spostano verso i grandi centri urbani.

La soluzione proposta dall’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti,  per migliorare il servizio ferroviario regionale è quella di aumentare i contributi pubblici di un centesimo a chilometro: davvero preoccupante.

Una soluzione statalista che va contro ogni logica di concorrenza e di mercato. Infatti attualmente il trasporto pubblico locale su ferro non vede un minimo di competizione. Addirittura il governo, nel 2009, ha deciso di stanziare 480 milioni di euro l’anno di contributi aggiuntivi solo per quelle Regioni che stipulano un contratto con Trenitalia. Una legge anticoncorrenziale che fa meglio comprendere perché Moretti voglia un ulteriore aumento di circa 1 miliardo di euro l’anno. A questo infatti equivale il centesimo al chilometro. Senza concorrenza tutti i maggiori contributi andrebbero direttamente nelle casse di Trenitalia.

Tale cifra imponente non risolverebbe alcun problema alla base del trasporto ferroviario regionale. Attualmente le poche gare per l’assegnazione del servizio effettuate dalle Regioni Italiane hanno visto sempre una vittoria dell’incumbent e mai si sono avuti dei ribassi significativi.

Si potrebbe pensare che Moretti chieda maggiori fondi pubblici, perché durante la sua gestione ha ricevuto meno contributi. In realtà è il contrario. Durante il triennio della nuova gestione di FS, i contributi regionali sono aumentati del 27 per cento, mentre l’offerta di posti chilometri è rimasta sostanzialmente stabile, segnando un +0,1 per cento.

La creazione di un nuovo fondo pubblico di un miliardo di euro, grazie al centesimo al chilometro richiesto da Moretti, andrebbe nella stessa direzione degli ultimi anni, vale a dire maggiore spesa statale con un servizio sostanzialmente stabile.

Oltretutto la qualità del servizio non sembra essere migliorata in quanto i dati sulla puntualità non risultano avere avuto un miglioramento significativo.

La costruzione della linea ad alta velocità, che molti pensavano potesse essere una soluzione dei problemi dei pendolari (più binari, meno congestione, meno ritardi), in realtà si è rivelato essere più un problema che una soluzione. Questo è successo perché si sono costruiti prima i binari tra le città senza terminare i nodi ferroviari. In questo modo, con l’aumento dell’offerta del FrecciaRossa, si è creato un enorme imbuto all’ingresso delle grandi città, dove i treni pendolari accumulano ritardi.

In definitiva piuttosto che aumentare nuovamente i contributi pubblici alle Ferrovie dello Stato, sarebbe meglio aprire alla concorrenza il trasporto pubblico ferroviario regionale. In questo modo vi sarebbe un risparmio per i contribuenti e un miglioramento della qualità del servizio per i pendolari.

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Matteoli e il gioco delle tre carte /2009/05/15/matteoli-e-il-gioco-delle-tre-carte/ /2009/05/15/matteoli-e-il-gioco-delle-tre-carte/#comments Fri, 15 May 2009 07:14:40 +0000 Francesco Ramella /?p=587 E’ stato siglato ieri al ministero delle infrastrutture e dei trasporti il protocollo d’intesa per il contratto unico della mobilità  grazie al quale saranno riuniti nell’ambito dello stesso inquadramento contrattuale i lavoratori del trasporto pubblico locale e quelli delle ferrovie.  I sindacati gioiscono: il riallineamento, va da sé, sarà verso l’alto. Meno contenti dovrebbero essere gli impiegati nel settore privato che vedranno ulteriormente crescere il divario che separa le loro retribuzioni da quelle degli addetti dei trasporti. Non così accade in Gran Bretagna dove il trasporto pubblico è in larga misura un settore come tutti gli altri, soggetto alla disciplina del mercato e con un costo del lavoro in linea con quello delle altre aziende. In Italia già oggi il divario fra i due ambiti è rilevantissimo.  Il costo medio per addetto in un’azienda di una grande area urbana è superiore ai 40mila euro all’anno (con una produttività inferiore del 40% rispetto a quella britannica). Assai curioso il commento del Ministro Matteoli, secondo il quale: “il protocollo rappresenta un passo fondamentale soprattutto per il trasporto pubblico locale. Basti pensare alla situazione del pendolarismo, dove c’e’ molto scontento. L’accordo puo’ migliorare i servizi e abbassare i costi”. E’ vero il contrario. Utenti e addetti hanno, come evidente, interessi contrapposti. Non è possibile difenderli entrambi. O, meglio, si può. Facendo pagare, come al solito, il soggetto più debole: il contribuente.

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Le vere liberalizzazioni spiegate agli inglesi /2009/04/26/le-vere-liberalizzazioni-spiegate-agli-inglesi/ /2009/04/26/le-vere-liberalizzazioni-spiegate-agli-inglesi/#comments Sun, 26 Apr 2009 20:50:47 +0000 Francesco Ramella /?p=270 Nonostante che, sul fronte energetico, il matrimonio con Genova non sembri andare per il meglio, a Torino da qualche tempo si sta discutendo di un’altra alleanza nel settore dei servizi locali: quella con Milano che dovrebbe portare alla fusione dei gestori dei servizi di trasporto collettivo nei due capoluoghi del nord-ovest. Anche qui, però, non tutto sembra filare per il verso giusto. Il motivo del contendere è banale: Torino, pur portando in dote un patrimonio meno ragguardevole, vorrebbe non cedere il comando ai milanesi. La corsa all’aggregazione sembra d’altra parte aver contagiato l’intero settore del trasporto locale. Da pochi giorni è stata completata la fusione fra le aziende di Bologna e Ferrara. Analoga iniziativa è allo studio da parte delle società di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini e di quelle che operano in Provincia di Treviso. In Abruzzo ed in Umbria si ipotizza di costituire una holding regionale del trasporto pubblico. La motivazione “ufficiale” alla base di tali operazioni è la possibilità di conseguire economie di scala e, dunque, poter giocare alla pari con le grandi aziende europee del settore nelle future gare per l’affidamento dei servizi. Ora, non vi è dubbio che al confronto dei maggiori players europei, le aziende del nostro Paese siano dei nani. Il fatturato complessivo dei cinque maggiori operatori italiani è pari a circa la metà di quello dei singoli big europei. Non sembra però che la strada migliore per accrescere il livello di efficienza del comparto sia quella dell’accorpamento delle attuali imprese pubbliche. I più eclatanti risultati in termini di riduzione dei costi di produzione dei servizi di trasporto pubblico sono stati conseguiti nel Regno Unito non come conseguenza dell’aggregazione aziendale ma grazie all’apertura del mercato con l’eliminazione delle barriere all’entrata ed alla privatizzazione delle società controllate dagli enti locali. Nel decennio successivo alla riforma, il costo unitario dei servizi è stato pressoché dimezzato. Nel 2006 il costo di produzione di un bus-km nelle aree metropolitane inglesi (esclusa Londra), assommava in media a 152 pence, pari a circa 2,3 Euro, meno della metà di quello che si registra nelle maggiori aree urbane del nostro Paese. A Londra, dove è stata mantenuta una pianificazione unitaria del servizio, la strategia adottata è stata quella dello spezzatino, ossia l’affidamento tramite gara di quote parte del servizio, escludendo dalla partecipazione l’ex monopolista London Transport che è stata suddivisa in tredici unità operative tutte privatizzate nell’arco di un decennio. L’esatto contrario di quanto sta accadendo a Roma dove la nuova amministrazione ha voluto ricostituire un’unica società per la gestione del servizio di tpl. Tale mossa consentirebbe, secondo quanto sostenuto dal sindaco Alemanno, “di avviare un processo di vera liberalizzazione”; infatti: “i processi di liberalizzazione e di regole imposte dall’Ue non possono prescindere da un fortissimo player pubblico, che deve operare nel settore”. La liberalizzazione inglese, evidentemente, è stata finta. Non ne siamo così certi ma cambieremo parere quando vedremo anche uno solo dei nostri campioncini municipali o regionali perdere una gara. Ci riesce difficile pensare che siano loro, sempre e comunque, i più efficienti tra i partecipanti.

PS
I comuni e le Province, oltre ai servizi di trasporto pubblico, acquistano molti altri beni e servizi. Perché non costituiscono per ciascun settore una società pubblica che concorra “alla pari” insieme a quelle private alle gare di appalto?

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