CHICAGO BLOG » trasporti http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 11:09:36 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Cournot e Bertrand in aeroporto /2010/12/16/cournot-e-bertrand-in-aeroporto/ /2010/12/16/cournot-e-bertrand-in-aeroporto/#comments Thu, 16 Dec 2010 19:55:31 +0000 Camilla Conti /?p=7863 Come incidono il potere contrattuale delle compagnie e le discriminazioni tarrifarie praticate dai gestori sul mercato aeroportuale e sul consumatore finale? A questa domanda hanno cercato di rispondere empiricamente Jonathan Haskel, Alberto Iozzi and Tommaso Valletti del Ceis di Tor Vergata ricorrendo a due modelli standard di oligopolio applicate al settore: quello di Cournot e quello di Bertrand.

Nel primo caso le imprese concorrono sulla quantità da produrre, il prezzo di mercato risulta maggiore del prezzo in concorrenza perfetta ma minore del prezzo in caso di monopolio, il guadagno di ogni impresa risulta positivo. Il modello di Bertrand, invece,  prevede due sole imprese in cui si ipotizza che ciascuna di esse fissi il prezzo a cui vendere il proprio prodotto, assumendo che l’altra non modifichi il suo prezzo.

Ciascuno dei produttori non può migliorare, quindi, la sua posizione praticando una politica di prezzi più bassi senza provocare un egual ribasso da parte del concorrente. Ebbene, il potere contrattuale delle compagnie con  i gestori aeroportuali  sul fronte dei diritti di atterraggio (landing fees) ha un effetto sui prezzi praticati ai consumatori finali solo nel caso di duopolio alla Bertand mentre nel modello alla Cournot ciascuna compagnia può tenere per sé il surplus.

Lo studio dimostra ad esempio che un aumento della concentrazione a monte o della sostituibilità tra gli aeroporti aumenta sempre la tassa di atterraggio. Non solo. La capacità di mettere in campo un contropotere attraverso un aumento della concentrazione a valle, dipende dal regime di concorrenza tra compagnie aeree e dalla possibilità per gli aeroporti di attuare discriminazioni di prezzo: la concentrazione delle linee aeree consente di ridurre la tassa di atterraggio quando la concorrenza a valle è in quantità, ma se la concorrenza a valle è nei prezzi, le tasse si riducono solo quando gli aeroporti non possono praticare listini differenziati.

Nello stesso paper, viene infine analizzata la trasformazione del business aeroportuale negli ultimi anni. Partendo dai cambiamenti avvenuti nella struttura del mercato: il successo delle compagnie low cost ha fatto scendere in campo nuovi giocatori come gli scali più decentrati. Scali gestiti da privati hanno avviato una dura battaglia a colpi di tariffe per attirare compagnie aeree anche in grandi città come Mosca, Melbourne, Miami e Londra.

Non solo. Secondo: 55 Paesi hanno privatizzato parzialmente o completamente il loro aeroporti.  Non vanno infine sottovalutati i cambiamenti normativi attuati anche a livello europeo e la sempre maggiore congestione degli scali.

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La rivoluzione delle ferrovie /2010/11/11/la-rivoluzione-delle-ferrovie/ /2010/11/11/la-rivoluzione-delle-ferrovie/#comments Wed, 10 Nov 2010 23:43:25 +0000 Ugo Arrigo /?p=7550

Tra governo, ferrovieri e azienda è guerra aperta. Con una direttiva bomba al management delle Ferrovie firmata dal presidente del consiglio … e destinata a rivoluzionare gestione, agevolazioni, organizzazione del lavoro e contrattualistica della Spa, ieri Palazzo Chigi ha aperto un drammatico braccio di ferro con i sindacati che hanno già proclamato due giornate di sciopero generale del personale viaggiante … Ma cosa prevede di tanto drammatico questo documento che il segretario della Fit Cisl … ha bollato come “una bomba atomica, un inaccettabile attacco alla contrattazione collettiva e alla autonomia delle parti”? … le Ferrovie dello Stato si suddivideranno in due società: una per la gestione della rete e l’ altra per la gestione del servizio; all’ interno di queste due società ne saranno create altre che si occuperanno dei diversi servizi di trasporto (viaggiatori, merci, locale) e della manutenzione dei treni. Tutte le attività estranee al “core business” del trasporto infine andranno cedute il più rapidamente possibile. “Il Governo …, con un atto di occupazione e di imperio, ha deciso lo smembramento societario delle Ferrovie, lo smembramento contrattuale dei ferrovieri, l’ azzeramento di ogni possibilità di rinnovo contrattuale, l’ abolizione delle concessioni di viaggio”. (Repubblica)

 Alle Ferrovie dello Stato mai sciopero fu tanto repentino, rabbioso e unanime. Venuti a conoscenza del fatto che il governo aveva deciso di creare con una apposita direttiva una cornice giuridico-amministrativa e di indirizzo gestionale …, le organizzazioni sindacali dei ferrovieri in attività e quelli già in pensione, con una tempestività incredibile ed una mobilitazione senza precedenti riunivano gli stati maggiori, allertavano le maestranze e, nel giro di poche ore, al governo veniva dato il ben servito: una valanga di agitazioni. E sulla parola d’ ordine della mobilitazione senza riserve si sono trovati subito tutti d’ accordo, Confederali e Ugl, autonomi e comitati di base, sindacatini di categoria e cani sciolti. Ma tanta compattezza da cosa nasce? Una direttiva governativa che pure mette in discussione la natura giuridica di molti dei contratti della galassia rotaia può generare uno strappo cosi lacerante? Oppure ha senso pensare che tanta voglia di scontro possa nascere solo dalla difesa di interessi corporativi? Le nove cartelle di Palazzo Chigi rapppresentano una svolta in un certo senso storica i cui effetti potranno essere valutati, nella loro reale portata, solo tra qualche tempo. Con quel documento il presidente del consiglio e il ministro dei trasporti … pongono precisi paletti operativi ed organizzativi che non possono essere sottovalutati. … Il governo con la sua direttiva si attribuisce il diritto, proprio dell’ azionista, di effettuare controlli e verifiche: ogni quattro mesi esami per tutti. Tempi e modalità di confronto che il sindacato nella gestione del vecchio ente prima e della Spa … non ha mai accettato. Il sindacato con le decisioni di ieri torna ad essere controparte sindacale e basta. …. E’ la fine di un’ epoca, il tramonto di quella gestione peronista tra partiti e sindacati che con Lodovico Ligato aveva toccato il culmine e che ora il governo sembra intenzionato ad annullare del tutto. (Repubblica)

No, non si tratta di cronache marziane, alla Orson Welles che spaventa i radioascoltatori americani recitando ‘La guerra di mondi’ di H.G. Wells, per intenderci, e  neppure di un testo inventato per mettere in (cattiva) luce l’immobilismo ferroviario, evidenziato nel precedente post di Filippo Cavazzoni. Sono invece frammenti di veri articoli giornalistici, pubblicati da Repubblica il 1° febbraio 1997 per illustrare i contenuti e le reazioni alla direttiva ”Linee guida per il risanamento delle Ferrovie dello Stato”, emanata dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi il giorno precedente, 31 gennaio. Cosa prevedeva di così tanto rivoluzionario quella direttiva, elaborata dal Dipartimento Economico di Palazzo Chigi, ora abolito ma  allora guidato da Stefano Parisi, e frutto della ‘pazzia’ riformatrice dello scrivente, che all’epoca svolgeva da quelle parti il ruolo di esperto economico, e di tutti coloro che ci diedero retta? (Giova ricordare  il famoso detto del sen. Andreotti: “Nei manicomi circolano due tipi di pazzi, quelli che si credono Napoleone e quelli che pensano di poter risanare poste e ferrovie”).

Prevedeva una  cosa fondamentale molto semplice (più molte altre importanti ma complementari), quella di dividere il monopolista FS in quattro aziende separate: il gestore dell’infrastruttura; il servizio passeggeri a lunga distanza; il servizio di trasporto regionale; il trasporto delle merci. La scissione in quattro realtà distinte era condizione necessaria per due passaggi successivi che allora non venivano esplicitati: (i) la liberalizzazione del mercato con l’apertura della rete alla concorrenza; (ii) la privatizzazione dei segmenti che avrebbero dovuto reggersi sul mercato senza oneri per il contribuente, cioè il trasporto passeggeri sulle lunghe distanze e le merci. Ovviamente non si fece nulla di tutto questo e siamo infatti all’identico punto al quale ci fermammo allora, salvo il non secondario aspetto che la concorrenza è ora legalmente possibile ma per nulla benvenuta.

Si conferma in tal modo una mia vecchia definizione di  ‘liberalizzazione’ (all’italiana):  “Sostituzione dei divieti normativi che impediscono il libero accesso ad un mercato con ostacoli di altra natura ed equivalente efficacia”. La rivoluzione delle ferrovie durò infatti solo dodici giorni dato che, dopo un assedio fisico dei ferrovieri all’ufficio del Ministro dei trasporti (indubbiamente favorito dal condividire, Ministero e Azienda FS, lo stesso palazzo) e uno sciopero generale delle ferrovie che fermò l’Italia, il Ministro sottoscrisse con le OO.SS un accordo il 12 febbraio nel quale si impegnava (verso il vero azionista di riferimento dell’azienda) a non dar seguito agli aspetti più innovativi e rilevanti della Direttiva. E qui finisce la storia dato che da allora le ferrovie sono rimaste, economicamente parlando, praticamente immobili.

Inutile precisare che se la Direttiva fosse stata applicata non si parlerebbe più di nessuno dei problemi che sono ora al centro del dibattito sulle ferrovie. I problemi di oggi erano già stati risolti 14 anni fa, purtroppi per soli 12 giorni. Lo stesso 1° febbraio 1997 il compianto Prof. Claudio Demattè, che in  seguito sarebbe anche stato presidente dell’azienda, così commentava la Direttiva sulle colonne del Corriere della Sera in un commento intitolato “Passi indispensabili per la liberalizzazione”:

Finalmente sembra che qualcosa si metta in moto sul fronte delle aziende pubbliche: l’azionista si e’ fatto sentire e ha mandato segnali forti e chiari. Tanto forti e chiari che ha subito innescato le dure reazioni del groviglio di interessi corporativi, interni ed esterni, incistati come il vischio sulle imprese pubbliche, in particolare su quelle che sono vissute a lungo in stato di monopolio. Da questo punto di vista, Stet, Enel e Ferrovie sono tre casi emblematici, cui si possono aggiungere le Autostrade. … Tutti e quattro gli enti sono caratterizzati da una gestione in condizioni di monopolio. Tutti e quattro hanno difeso questo loro stato reclamando lo stato di “monopolio naturale”, come se non vi fosse alternativa alcuna alla struttura che si sono dati. Tutti e quattro per espletare le loro funzioni svolgono un vasto insieme di attività. Una di queste non e’ duplicabile senza danni ambientali e senza incremento di costi: è l’impianto e la gestione della rete. Le altre attività possono senza troppi problemi e con molti benefici per i cittadini essere espletate da altre imprese e comunque in regime di concorrenza. Invece questi enti si sono sviluppati come dei mostri integrati verticalmente e diversificati orizzontalmente in attività che potrebbero benissimo essere gestite in outsourcing a costi inferiori. In breve, sono tuttora, nel Duemila o quasi, dei coacervi aggrovigliati ed inefficienti con servizi di bassa qualità e con costi non in linea con quelli che si potrebbero avere con una gestione più snella e articolata.

E così proseguiva:

Le direttive del governo sono di una semplicità disarmante. Ricalcano ciò che le grandi imprese private integrate e diversificate hanno fatto da anni per essere efficienti e ciò che negli altri Paesi sviluppati e’ già stato applicato anche alle imprese pubbliche: separare l’attività che e’ la ragione del monopolio naturale per gestirla con regime speciale; scindere le altre attività in nuclei omogenei per competenze richieste e per funzionalità, facendone imprese distinte; aprirle alla concorrenza, dismettere, ancora prima della privatizzazione del resto, ciò che e’ estraneo all’attività fondamentale; concentrare su questa le risorse e gli investimenti; fissare standard di qualità dei servizi; disboscare le agevolazioni di favore; privatizzare i vari pezzi per creare concorrenza ed aprire prospettive dinamiche di sviluppo. Direttive semplici che in qualsiasi scuola di management verrebbero classificate come l’ABC della buona gestione. Le reazioni? Dure, ma prevedibili per chi conosce la forza dei poteri costituiti, con alleanze trasversali che uniscono destra, sinistra, sindacati corporativi e manager da anni allenati a vivere e sopravvivere in questi strani grovigli. Il fatto che in questi giorni si sia fatto qualche passo avanti di buon auspicio. Ma tutti i cittadini e tutte le imprese dovrebbero vigilare affinché i piani proseguano speditamente, perché non c’e’ speranza ne’ di un miglioramento della qualità dei servizi ne’ di uno sviluppo trascinato dalla liberalizzazione ne’ di costi minori per gli utenti se non si sbrogliano queste intricate matasse.

Nei giorni della direttiva  i sindacati difendevano la loro posizione adducendo principalmente ragioni di difesa dell’occupazione. Ad esempio il responsabile Cisl del comparto ferrovieri così rispondeva ad una domanda del Corriere della Sera il 2 febbraio:

Quanti sono i posti di lavoro in pericolo? “Trenta – trentacinquemila …”

Al 31 dicembre 1996 i dipendenti FS erano 126 mila e secondo le previsioni del sindacalista Cisl con l’applicazione della direttiva si sarebbe corso il rischio di una loro riduzione a 91-96 mila. Peccato, invece, che con la disapplicazione della direttiva si siano ridotti, al 31.12.2009, a 85 mila.

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Fs e la concorrenza scorretta /2010/09/10/fs-e-la-concorrenza-scorretta/ /2010/09/10/fs-e-la-concorrenza-scorretta/#comments Fri, 10 Sep 2010 10:46:12 +0000 Oscar Giannino /?p=6994 Ha ragione o torto Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, quando ha affermato “Tu puoi fare la migliore gara possibile e la più trasparente, ma in Italia chi perde si tutela col giudice amministrativo e tu non puoi fare nulla”? Ha ragione o torto, quando annuncia che Fs in futuro, nei settori del mercato aperti alla concorrenza, potrebbe decidere attraverso affidamenti diretti e non più gare, seguendo la possibilità prevista dall’articolo 30 della direttiva 17 del 2004? E’ una duplice questione di peso, per noi che siamo a favore della concorrenza e del mercato. Ma secondo me Moretti ha ragione. E’ l’Europa a dargliela, non noi. Vediamo perché.

A scaldare gli animi è ovviamente l’avvicinarsi della concorrenza che Ntv porterà a Trenitalia sull’Alta Velocità. O meglio, il fatto che Ntv in quanto società privata decida secondo procedure che di fatto configurano un vantaggio asimmetrico, rispetto all’incumbent. Fs si trova sin qui a dover decidere secondo procedure le cui impugnative del concorrente consentono che «tutto venga bloccato per anni, mentre i tuoi competitori possono fare affidamenti anche in un giorno», dice Moretti. E il riferimento diretto è alla gara per l’assegnazione di cinquanta nuovi treni ad altissima velocità vinta dalla joint Bombardier-Ansaldo e subito sospesa per il ricorso presentato da Alstom – fornitore del concorrente Ntv – al Tar del Lazio, che dovrebbe iniziare a pronunciarsi nel merito in merito nella camera di consiglio del prossimo 29 settembre.

Diciamo “dovrebbe”, perché con ogni probabilità il giudice amministrativo non deciderà un bel niente: si limiterà a disporre nei dettagli le modalità interpretative dei dati della gara ai quali ha disposto l’accesso pubblico per Alstom oltre che naturalmente per i propri periti. La maggior probabilità va a favore dell’ennesimo rinvio, al termine del quale dopo mesi e mesi la decisione salomonica potrebbe essere quella di indicare a Fs la necessità di una nuova gara, nel caso in cui si dovesse ritenere che l’interpretazione delle specifiche tecniche e di costo del bando di gara fosse “sdrucciolevole” sin dall’inizio per inadeguata mancanza di chiarezza, o per l’esercizio discrezionale o comunque opinabile delle modalità di attribuzione dei punteggi.

In altre parole, secondo questo probabile calendario della giustizia amministrativa: a Ntv arrivano i primi treni Italo Agv dell’Alstom che percorrono la rete per sperimentare che tecnicamente sia tutto a posto in vista del lancio ufficiale del servizio l’anno prossimo, mentre nel frattempo Trenitalia vede ritardata alle calende greche aggiudicazione e ovviamente consegna dei 50 V300 Zefiro ad altissima velocità, e nel frattempo resta ad affrontare la concorrenza di Ntv, che si preannuncia – vedere per credere – “nell’alto di gamma” del servizio, coi suoi attuali e vecchi ETR500 del consorzio Trevi, convogli tecnologicamente e per allestimento fermi allo stato dell’arte di 22-23 anni fa.

E’ la gara di evidenza pubblica europea, visto che l’importo della commessa era sino al miliardo e mezzo di euro, ciò che per Fs rappresenta un obbligo di trasparenza in quanto società pubblica, per evitare anche la più remota ipotesi che nella spesa del denaro del viaggiatore e del contribuente possano aver peso influenze, prassi e procedure meno che corrette. Un principio sacrosanto, visto il track record non proprio smagliante non solo del settore pubblico italiano in generale, ma della stessa Fs ai tempi di Ligato, tanto per fare un nome, o degli appalti per le pulizie, che l’attuale management ha dovuto azzerare per riaggiudicarli secondo criteri di efficienza, esponendosi a pressioni di ogni tipo e dovendo anche ricorrere a segnalazioni a forze dell’ordine e magistratura.

Diritto comunitario alla mano, tuttavia, la facoltà dell’aggiudicazione diretta invece della gara pubblica, nei settori di mercato nei quali l’azienda pubblica e quelle private concorrente possano e debbano competere su base paritaria di accesso all’infrastruttura per offrire servizi passeggeri e merci, diventa per l’azienda pubblica non una modalità per abbattere la trasparenza, ma per inverare il principio di neutralità tra controllo pubblico e privato delle aziende, neutralità che è sancita dal Trattato europeo sin dalla sua prima versione. Il Trattato afferma e promuove la concorrenza, non discrimina nel mercato la forma proprietaria a favore del privato. Potrà non piacere a mercatisti come noi, da sempre sospettosi e pronti a battagliare ed evidenziare il vantaggio da sussidi e trasferimenti diretti e indiretti che alle aziende pubbliche viene da parte dello Stato e che mancano ai privati concorrenti, ma è uno dei fondamenti da sempre dell’edificio europeo in materia di mercato e concorrenza. E’ così, e di conseguenza, a mio giudizio, Moretti fa bene a ricorrere a tutto ciò che, nell’ordinamento europeo, discende dunque dalla neutralità proprietaria. Se non lo facesse, l’azionista pubblico potrebbe arrivare a chiedergliene conto un domani fino a configurare una vera e propria azione di responsabilità, nel caso in cui a giudizio del Tesoro il mancato ricorso a gare dirette nell’AV o nel trasporto merci avesse l’effetto di determinare un improprio svantaggio di Trenitalia.

Del resto, secondo me Moretti ha fatto anche bene a non procedere subito ad affidamenti, ma a bandire una gara: se non avesse proceduto in questo modo, sarebbe inevitabilmente subito partito il coro di chi avrebbe potuto accusare Fs di opacità. Meglio, molto meglio aver scelto la gara, e di fronte al ricorso accolto del fornitore del concorrente mostrare all’azionista e a tutti i passeggeri che a questo punto si è costretti a reagire per non essere penalizzati. Non che la via dell’affidamento diretto sia poi a propria volta priva di tempi più lunghi di quelli consentiti a Ntv, visto che a quel punto, a doversi pronunciare preventivamente dovrebbe essere la Commissione europea. La normativa europea prevede infatti che, »per determinare se l’attività è direttamente esposta alla concorrenza«, si guardi ai criteri del relativo trattato che riguardano i beni o i servizi interessati, l’esistenza di beni o servizi alternativi, i prezzi e la presenza, effettiva o potenziale, di più fornitori dei beni o servizi in questione. Una richiesta specifica, in questo senso, deve essere fatta dal singolo Stato alla Commissione Europea che ha tre mesi per rispondere o, eventualmente, chiedere una proroga di ulteriori tre mesi.

La via alla concorrenza ferroviaria non si presenta meno ostica di quella aerea. Il particolare è che in entrambi i casi é Banca Intesa a giocare un ruolo di primo piano, visto che il capitale di tutti i soci privati di Ntv a cominciare da quello di Montezemolo è sin dall’atto costitutivo retrocesso in garanzia a Intesa. L’unico vero socio industriale del concorrente di Fs è l’incumbent pubblico francese Sncf. A testimonianza che la gara per l’apertura dei mercati nazionali è innanzitutto una gara tra giganti pubblici, con tedeschi e francesi pronti a far piazza pulita degli avversari.

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TPL: I danni dello statalismo /2010/03/17/tpl-i-danni-dello-statalismo/ /2010/03/17/tpl-i-danni-dello-statalismo/#comments Wed, 17 Mar 2010 09:57:46 +0000 Marco Mura /?p=5409 La gara d’appalto può selezionare le società più competitive? La proprietà pubblica incide negativamente sulla produttività? E quanto incide su quest’ultima il fatto che l’azienda sia a proprietà mista, totalmente pubblica o totalmente privata?
È a queste tre domande che cerca di dare una risposta questo paper focalizzato sul trasporto pubblico locale, scritto per la Fondazione Eni Enrico Mattei da Andrea Boitani, Marcella Nicolini e Carlo Scarpa. Lo studio raffronta gli schemi su titolarità della proprietà e i criteri di scelta delle società su un campione di 72 imprese europee, per il periodo che va dal 1997 al 2006.
La risposta, naturalmente, è che, sì, le aziende aggiudicatarie del servizio attraverso gara d’appalto hanno un tasso di produttività più elevato, mentre la proprietà pubblica ha un impatto fortemente negativo. Inoltre, per quanto riguarda le società miste, la partecipazione statale incide in maniera inversamente proporzionale sulle performance aziendali. Le società a prevalenza pubblica (la cui quota pubblica è definita dallo studio superiore all’85%) risentono della tendenza ad essere gestiti con criteri manageriali burocratici. Sopra l’85% del capitale sono quelle meno produttive in assoluto.
Lo studio mette in luce la debolezza dei sistemi a rete fissa (tram e metropolitane) diminuisce le aspettative di produttività. Generalmente le linee tramviarie non riescono a intercettare un numero di passeggeri sufficiente a coprire i rilevanti costi fissi necessari a operare il servizio: le aziende che più traggono profitto sono quelle che gestiscono il servizio sotterraneo senza però possedere l’infrastruttura. A incidere negativamente sulla produttività aziendale, il trasporto di superficie e l’offerta di collegamenti per le aree extraurbane.
Il divario di produttività tra le aziende interamente pubbliche e quelle miste, aumenta sensibilmente nel segmento del solo servizio di trasporti di superficie. Il che ha a che fare con l’alta densità delle città e dunque con la densità del traffico che interessa le strade su cui operano i mezzi delle società di trasporto pubblico. Un paradosso, è evidente, dalle stesse scelte statali. Dalla pianificazione urbanistica – fondata su quel concetto di “smart growth” che tanto furba non sembra – che impila centinaia di miglia di persone, sottovalutando, quando non ignorando del tutto, il problema della scarsità di parcheggi e quello del congestionamento delle strade, le cui proporzioni sono talmente evidenti che la “concorrenza sleale” praticata dai mezzi che godono di quelle regalie chiamate corsie preferenziali stenta a strappare consumatori a quell’ultimo baluardo della libertà individuale che è l’automobile.
Che poi, per ritornare al nostro paper, un’azienda affiliata a un grande gruppo – meglio se multinazionale – abbia una produttività maggiore di una singola è evidente. Come nel caso di Arriva, una società totalmente privata che con i suoi oltre 15mila autobus e 580 treni, offre oltre un miliardo di corse ogni anno ai passeggeri di ben dodici Paesi europei, dalla Svezia all’Italia, dal Portogallo alla Polonia. E che miete profitti su ogni fronte senza operare in mercati protetti o tramite aggiudicazioni dirette.
La riflessione conclusiva del paper riguarda la lentezza del processo di riforma del trasporto pubblico locale, attribuita a una percezione eccessiva dei costi della privatizzazione e dei costi politici di quella che nel nostro Paese sembra davvero una riforma impossibile, come evidenziava anche Andrea Giuricin nell’Indice delle liberalizzazioni 2009 in un capitolo che mette a nudo le vistose inefficienze del settore trasporti pubblici. Il mantenimento del potere economico e politico rende i costi del servizio doppi rispetto all’Inghilterra, benchmark nel settore.
Se i bandi di gara fanno bene alla concorrenza in Europa, nel Belpaese il problema delle gare a evidenza pubblica è che quasi sempre si concludono con la vittoria dell’incumbent. Fatto per nulla sorprendente, considerato che chi gestisce il servizio ed effettua la scelta è lo stesso soggetto che detta le condizioni. Spesso concepite ad arte, specialmente grazie alle rigide prescrizioni sul mantenimento dell’occupazione, fatto da cui – evidentemente – scaturiscono precise conseguenze.
Secondo quanto riportato dal volume Comuni S.p.A., Il capitalismo municipale in Italia – una ricerca sulle municipalizzate realizzato sempre dalla FEEM, dove troviamo ancora Scarpa tra gli autori – con i suoi quasi 80mila dipendenti, quello del trasporto pubblico locale è il settore a più alta intensità di lavoro, contro quote d’attivo e ricavi poco oltre il 10%. I dati del 2005 parlano di 5.810 milioni di euro, suddivisi per 100 imprese. Quasi la metà dei 10.570 milioni delle 67 imprese fornitrici di elettricità e gas.
Il rapporto tra margine operativo lordo e ricavi è del 6,66%, peggiorato solamente da quello nel settore ferrovie (le aziende municipali sono in tutto sette, di cui una – le Ferrovie Nord di Milano – quotata in borsa) e farmacie. Sì farmacie, municipalizzate: la sorprendente conferma dell’alta socializzazione sanitaria del nostro paese.
Il costo del lavoro incide significativamente sui bilanci delle municipalizzate di questo settore: il rapporto costo del lavoro/ricavi  è un esorbitante 53,97%, davanti – pur con una certa distanza – al 46,51 del settore ferrovie.
Che la colpa sia da imputarsi alla scarsità di autisti? O sarà colpa della politicizzazione (il lavoro di uno, il voto di una famiglia) e dell’ottusità di un certo sindacalismo oltranzista che si ostina a rivendicare aumenti salariali e garanzie del tutto slegate dall’andamento e dalle ipotesi di andamento delle imprese datrici di lavoro? Peraltro, senza mai – si aggiunga per inciso – riuscire a intercettare la solidarietà di un pubblico, al contrario sempre più indispettito a ogni ennesima paralisi delle città.
Sia chiaro, «nessuno contesta l’interesse collettivo a che questo servizio [TPL] sia erogato, e che questo avvenga a condizioni che ne favoriscano una fruizione ampia, ma – ci associamo toto corde al punto di vista degli autori del volume Comuni S.p.A. –  il fatto che questo fine venga conseguito in modo così sistematico tramite imprese pubbliche protette da una qualunque pressione competitiva, piuttosto che tramite imprese private soggette a regole pubbliche, alimenta legittimi dubbi».
Su una sola cosa non ci sono dubbi: lo statalismo non può essere la panacea ai mali da esso stesso creati.

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Trenitalia va in Francia /2009/12/24/trenitalia-va-in-francia/ /2009/12/24/trenitalia-va-in-francia/#comments Thu, 24 Dec 2009 10:31:40 +0000 Andrea Giuricin /?p=4449 Le anticipazioni di alcuni quotidiani francesi circa l’entrata di Trenitalia nel mercato ferroviario francese sono certamente una notizia positiva. Probabilmente un poco di concorrenza, nel mercato più chiuso d’Europa, potrà portare dei cambiamenti a livello europeo. I consumatori d’oltralpe potranno vedere i benefici della concorrenza.
La Francia rimane il mercato meno liberalizzato d’Europa nel settore ferroviario a causa dell’importanza di SNCF, l’operatore ferroviario nazionale. Quest’azienda costa ai cittadini francesi circa 11 miliardi di Euro l’anno e ha alle sue dipendenze oltre 200 mila lavoratori. Nessun governo di centro-destra o centro-sinistra è mai riuscito a fare una riforma nel settore e i sindacati hanno ancora una posizione molto forte.
Il governo francese è il più contrario ad introdurre la concorrenza nel settore ferroviario; tuttavia dal primo gennaio del 2010 entrerà in vigore la liberalizzazione dei servizi ferroviari internazionali voluta dall’Unione Europea. Questa prevede che un qualunque operatore possa effettuare un servizio passeggeri su tratte internazionali. Una delle tratte in questioni è la Milano – Lione – Parigi, attualmente effettuata da Artesia, una società al 50 per cento di Trenitalia e al 50 per cento di SNCF.
In questo nuovo quadro competitivo, Veolia, un importante gruppo nel settore delle utilities francesi, ha deciso di entrare nel mercato passeggeri internazionali con la partnership di Trenitalia. In un primo tempo, il gruppo francese aveva portato avanti il progetto con la compagnia aerea AirFrance. Dopo il ritiro del gruppo aereo, alle prese con una difficilissima situazione nel trasporto aereo, ha deciso di guardare oltrefrontiera per trovare un nuovo partner.
L’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, aveva già fatto richiesta l’estate scorsa di effettuare un servizio internazionale tra Milano e Parigi con una sosta a Lione. In questo modo l’azienda italiana avrebbe rotto il monopolio sulla tratta interna Lione – Parigi, una delle più redditizie in Europa.
Il nuovo progetto della probabile alleanza franco-italiana avrà come obiettivo l’entrata sulle principali tratte internazionali da Parigi, in particolari quelle verso Londra, Bruxelles e Milano. Il nuovo gruppo dovrebbe entrare sul mercato non prima del 2012/2013, poiché i tempi di consegna dei nuovi convogli non sono molto rapidi.
L’alleanza tra Trenitalia e Veolia spiega anche la rottura e la conseguente diminuzione dell’offerta di treni di Artesia. I rapporti tra SNCF e Trenitalia sono sempre più tesi, dato che l’operatore pubblico francese è entrato anche nel capitale di NTV, primo competitor nell’alta velocità del FrecciaRossa, con una quota del 20 per cento.
La tendenza nel trasporto ferroviario è quella di gruppi sempre meno nazionali. Se si dovesse ripetere quanto successo nel trasporto aereo, vi potrebbe essere tra diversi anni un’entrata di operatori low cost e e una conseguente  privatizzazione degli operatori ferroviari.
Certo questo cambiamento non avverrà prima del 2015/2020, quando anche i mercati nazionali verranno aperti alla concorrenza.
Nei prossimi anni dunque cambierà totalmente il trasporto ferroviario europeo, con l’entrata di nuovi operatori sulle tratte internazionali. I diversi mercati nazionali invece dovranno aspettare, dato che le resistenze di Francia e Germania, hanno posticipato l’apertura dei mercati domestici al 2016.
In Italia, bisognerà aspettare il 2011, quando NTV entrerà in concorrenza con Trenitalia su tutte le tratte nazionali.
La concorrenza probabilmente porterà benefici a tutti i passeggeri, sia in termini di qualità che di prezzo, come è successo nel mercato del trasporto aereo.

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Sarko l’Americain e Obama le Français? /2009/04/22/sarko-l%e2%80%99americain-e-obama-le-francais/ /2009/04/22/sarko-l%e2%80%99americain-e-obama-le-francais/#comments Wed, 22 Apr 2009 18:47:22 +0000 Andrea Giuricin /?p=228 Le due sponde dell’Atlantico si stanno avvicinando sempre di più in campo economico; al vertice Nato tenutosi all’inizio di Aprile a Strasburgo, il presidente americano Barack Obama ha elogiato pubblicamente il servizio ferroviario ad alta velocità francese affermando che gli Stati Uniti hanno un notevole ritardo in questo settore.
Presto fatto, pochi giorni dopo, ha annunciato un finanziamento pubblico di 12 miliardi di dollari, per costruire 10 corridoi ad alta velocità tra alcune delle principali città americane; sette miliardi sarebbero assicurati dal Governo Federale, mentre altri 5 miliardi verrebbero dagli Stati interessati ad essere coinvolti in questo programma.
In California, da diversi anni, si sta discutendo del progetto di collegare con il treno ad alta velocità Los Angeles e San Francisco, con un notevole sovvenzionamento di risorse pubbliche, ma ancora tutto è fermo.
Le ferrovie sono state nell’800 un notevole volano dell’economia statunitense; c’è da chiedersi tuttavia se attualmente sono competitive nel trasporto passeggeri ad alta velocità dopo che nel ‘900 sono stati inventati nuovi mezzi di trasporto.
La domanda non è di poco conto, se la stessa Direzione Generale dei Trasporti e dell’Energia della Commissione Europea ha sentenziato in un proprio studio che il mezzo ferroviario ad alta velocità non è competitivo nei costi rispetto al trasporto aereo per tratte superiori a 300 chilometri.
Gli Stati Uniti sono stati un esempio proprio nel settore aereo, essendo stato il primo paese ad avere deregolamentato sotto l’amministrazione democratica il settore, con indubbi vantaggi per il consumatore. L’Unione Europea visto il successo americano con un ritardo di 10 anni ha liberalizzato anch’essa il trasporto aereo.
Il paese leader in termini di chilometri di binari nel trasporto ferroviario ad alta velocità è la Francia, ma c’è da chiedersi quale sia il costo di tale infrastruttura.
Il paese transalpino ogni anno finanzia con 11 miliardi di euro il proprio trasporto ferroviario con un enorme spreco di risorse pubbliche. La SNCF, l’impresa di Stato di trasporto ferroviario, è vista sempre più come un carrozzone pubblico con quasi 200 mila dipendenti iper-sindacalizzati. Spesso sono effettuati scioperi selvaggi e i dipendenti godono di vantaggi enormi nel campo previdenziale, potendo andare in pensione diversi anni prima rispetto ai dipendenti privati.
La situazione del trasporto ferroviario francese non è cosi rosea come viene descritta e soprattutto i commentatori difficilmente hanno analizzato il costo di tale servizio che viene sovvenzionato con una elevata tassazione generale.
La domanda da porsi è se Obama, nel momento in cui ha affermato di volere sostanzialmente copiare il trasporto ferroviario francese, abbia realmente analizzato i costi ingenti di tale servizio per le finanze pubbliche.
Molto probabilmente no, ma le Ferrovie hanno un certo appeal a livello di consenso pubblico perché ricordano l’era in cui gli Stati Uniti si stavano creando. Nel corso dell’800 il treno ha infatti unito l’America e il mito delle ferrovie americane non è del tutto scomparso. Tuttavia nel corso del ‘900 sono stati inventati mezzi più efficienti ed economici, quali l’aereo. E grazie all’aereo è oggi possibile per un cittadino americano andare velocemente da una città ad un’altra ad un prezzo molto contenuto.
In Francia, l’esistenza del campione nazionale del trasporto aereo Air France e la concorrenza con soldi pubblici del treno, ha fatto si che il trasporto aereo nazionale sia poco sviluppato, ma soprattutto che le possibilità di scelta per il consumatore siano limitate.
Obama vuole seguire l’esempio francese?
Il presidente francese Sarkozy è stato soprannominato “l’americain” a causa della sua visione differente rispetto ai presidenti francesi precedenti nei confronti degli Stati Uniti d’America. In campo militare questo è certamente vero e il vertice di Strasburgo, con il riavvicinamento tra la NATO e la Repubblica Francese, dopo lo strappo di De Gaulle di molti anni fa, ne è la riprova.
Obama vuole diventare il primo presidente soprannominato “le français”?
Il caso del treno purtroppo non è isolato, perché in realtà Sarkozy ed Obama hanno molti punti in comune in campo economico.
Il settore auto è forse quello che più avvicinano i due presidenti. La misura di supporto alle aziende produttrici di veicoli americane in crisi con decine di miliardi di dollari ha di fatto sfavorito i produttori esteri che producono negli Stati del Sud degli USA e di fatto si rivela come una misura protezionistica nel settore auto. Il presidente francese non è stato da meno, avendo subordinato, a parole, gli aiuti ai produttori francesi di automobili alla non delocalizzazione degli impianti.
Sarkozy è convinto forse che la delocalizzazione di un impianto a medio termine sia dovuto alla crisi; ma non è cosi, perché le aziende producono laddove c’è mercato e laddove le condizioni produttive sono le migliori. È necessario dunque favorire la creazione di imprese con una legislazione più snella, con tasse meno elevate e non con singoli sussidi a breve termine per le imprese locali.
Le politiche protezioniste francesi hanno esacerbato gli animi dei lavoratori preoccupati dalla perdita del posto del lavoro e i “rapimenti” dei manager sono stati forse l’esito naturale a questa esasperazione.
Barack Obama vuole davvero diventare le français?

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