UPDATE Come ha svelato nei commenti il bravissimo Diego Perin, si trattava di un pesce d’aprile. Mi scuso con i commentatori che l’avevano capito prontamente e che ho dovuto zittire per non rovinare il gioco. I loro commenti sono ora stati autorizzati. Agli altri segnalo, con un sorriso, che il tag “boccaloni” avrebbe dovuto metterli in guardia. La morale è la solita: guardatevi dai regolatori fantasiosi, perché legittimano le risposte più grottesche del mercato.
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Ogni commento è superfluo.
Tim, Vodafone, Wind e 3: squilli a pagamento da luglio. Le compagnie telefoniche replicano all’Eurotariffa
31 marzo, 17:13
(ANSA) – MILANO, 31 MAR -Le quattro compagnie di telefonia mobile operanti nel territorio italiano, Tim, Vodafone, Wind e H3G hanno diramato un comunicato congiunto in cui annunciano le nuove modalità di tariffazione in vigore dal 1 luglio 2010. Il traffico voce verrà conteggiato a partire dal primo squillo e non più dal momento in cui il ricevente risponde. Il comunicato recita: “il collegamento, anche senza conversazione, ha un costo per le compagnie non più trascurabile oggi che lo ‘squillo’ è divenuto un metodo di comunicazione diffuso. Nel momento in cui l’Unione Europea emana una direttiva che pone tetti massimi di prezzi per i servizi di sms, adducendo a motivazione una sproporzione tra costi effettivi e tariffe, le compagnie si vedono loro malgrado costrette ad addebitare al cliente il costo reale effettivo dello squillo che finora era offerto gratuitamente”.
[HT: Atroce]
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Even in his speech announcing that he would propose net neutrality rules, FCC Chairman Genachowski could cite only the same three old anecdotes that have been tirelessly trotted out by others as proof that new regulation is required. Sure, by Washington standards, that’s two more anecdotes than are usually required to justify issuing a regulation.
Jerry Ellig su Surprisingly Free, il blog del Technology Policy Program del Mercatus Center
Massimiliano Trovato liberismo, telecomunicazioni broadband, internet, jerry ellig, mercatus center, net neutrality, regolamentazione, tlc
Settimana impegnativa, quella alle porte, per i cultori delle telecomunicazioni e delle nuove tecnologie, con almeno quattro impegni di grande rilievo. Dal 5 al 7 ottobre si terrà a Pisa l’Internet Governance Forum Italia, scenario privilegiato per dibattere il futuro assetto della rete. A Milano, il 5 ottobre, Meet The Media Guru ospita Steven Berlin Johnson per una riflessione sul destino dei mezzi di comunicazione. Il 6 ottobre, a Roma, “Liquidi, veloci, mobili: contenuti digitali e risorse per la conoscenza“, l’annuale workshop organizzato dalla Fondazione Barbareschi e da Key4Biz. L’8 ottobre, infine, ancora a Roma, il Cesda organizza l’ottavo Convegno nazionale sul Diritto Amministrativo Elettronico. Craving for ubiquity.
UPDATE. Quasi dimenticavo che la settimana si chiuderà con il tradizionale appuntamento di Between a Capri.
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Un fantasma si aggira per Via Veneto: è l’ombra delle velleità di controllo dei prezzi. Ultima vittima, in ordine di tempo, sono gli sms: a inizio settembre, Mister Prezzi ha convocato gli operatori telefonici per discutere dei prezzi dei messaggini, secondo lui troppo alti. Nel commentare la notizia, molti organi di stampa hanno accreditato l’idea che fosse nell’aria un provvedimento volto a mettere un tetto di 11 centesimi. In questo Focus per l’Istituto Bruno Leoni, Luca Mazzone spiega perché il controllo dei prezzi, che è un’idea sbagliata in generale, non sorprendentemente è un’idea sbagliata anche se applicata agli sms.
Carlo Stagnaro liberismo, mercato prezzi, sms, socialismo, tlc
Alfonso Fuggetta s’interroga sulla killer application per le NGN, quell’applicazione che – come l’SMS ha fatto per la telefonia mobile – dovrebbe determinarne il successo (da leggere anche i commenti).
In diversi hanno sollevato il tema della killer application per le reti di nuova generazione. [...] Sono anni che cerchiamo killer application e sono anni che tutte quelle che vengono proposte più o meno falliscono. O meglio, il mio punto è che su Internet ci sono tantissime applicazioni e ciascuno si noi si crea il suo basket di applicazioni e servizi. [...] Alla fine la vera killer application è l’accesso in quanto tale, la possibilità che ha l’utente di poter accedere ad un insieme vastissimo di servizi che ciascuno seleziona e sceglie in base ai propri gusti. [...] E questo secondo me dice che gli utenti pagheranno per l’accesso. Nessuno pagherà un abbonamento a Internet in quanto e perché viene offerto nel pacchetto uno specifico servizio. O per lo meno, nessuno di questi servizi sarà il main driver che guiderà la crescita degli abbonati/fatturati dei telco operator. Ed è per questo che gli operatori devono ripensare i propri modelli di business: continuare a pensare che conquisteranno e manterranno clienti per qualche specifico servizio non li porta da nessuna parte. Il loro business sarà vendere accesso. E soprattutto, proprio perché gli utenti vorranno decidere da soli che “fare” una volta che “sono su Internet”, l’accesso dovrà essere neutrale e non condizionato dall’operatore.
Mi sembra un punto di vista estremamente persuasivo, ed anch’io ho la sensazione che il mercato – o almeno una larga fetta di esso – non sia disposto a rinunciare ad un accesso neutrale. Questo mi pare, però, un argomento formidabile contro la regolamentazione della net neutrality.
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Ho assistito oggi al ricco evento con cui Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici ed Economia Reale hanno presentato il Primo rapporto sul sistema della fiscalità del settore servizi innovativi e tecnologici. Il rapporto è il frutto di un lavoro meritorio, che punta certamente a rappresentare le esigenze di un settore significativo della nostra economia, ma suggerisce allo stesso tempo dei ragionamenti di più largo respiro sul rapporto tra prelievo tributario, da un lato, ed innovazione e crescita economica, dall’altro.
A questo proposito, mi piace appuntare per i lettori di Chicago Blog la riflessione introduttiva di Pietro Guindani – supervisore del rapporto -, dedicata agli «otto principi del fisco che vorremmo»:
- il fisco non può essere socio di maggioranza;
- il fisco non può penalizzare l’innovazione;
- il fisco deve incoraggiare l’accumulazione di capitale, a cominciare da quello immateriale;
- il fisco deve sostenere il superamento della crisi economica;
- il fisco non deve distorcere la concorrenza;
- il fisco deve incentivare la digitalizzazione;
- il fisco dev’essere semplice ed equo;
- il fisco dev’essere prevedibile.
Mi pare si possa convenire sul fatto che l’accoglimento di tali prescrizioni – peraltro felicemente assonanti con gli otto principi della moralità interna del diritto di Lon Fuller – rappresenterebbe una felice opzione di civiltà tributaria e, di per sé, un’innovazione considerevole.
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Mentre in Italia il viceministro Romani, in occasione della presentazione postuma del rapporto Caio, delineava gli orientamenti del governo sullo sviluppo della banda larga – mi riprometto di tornarci in un prossimo post -, negli Stati Uniti si chiudeva la consultazione pubblica lanciata dalla FCC, a cui il Recovery Act delega la predisposizione di un piano nazionale per il broadband. Hanno fornito i propri contributi sul tema – tra gli altri – il Phoenix Center, il Mercatus Center, l’Institute for Policy Innovation, il Competitive Enterprise Institute e FreedomWorks. Le parole d’ordine sono quelle che conosciamo: regolamentazione leggera, diritti di proprietà , concorrenza – in primo luogo sulle infrastrutture. Parole d’ordine che ameremmo sentir pronunciare nel dibattito italiano, ma che – invero – sembrano avere scarso appeal anche in quello d’oltreoceano.
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Cosa succede quando il problema non è più la neutralità della rete, ma l’accessibilità dei contenuti?
The American Cable Association has asked the Federal Communications Commission to stop Internet video content providers from charging ISPs wholesale access fees to their sites “at discriminatory rates, terms and conditions.” The ACA filed their request as feedback in the agency’s proceeding on its National Broadband Plan. The trade group represents about 900 small and medium sized cable/ISP operators, many serving rural areas.
“Media giants are in the early stages of becoming Internet gatekeepers by requiring broadband providers to pay for their Web-based content and services and include them as part of basic Internet access for all subscribers,” an ACA press release on the issue warns.
via Cable group turns net neutrality around over ISP access fees – Ars Technica [HT: Alfonso Fuggetta]
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Qualche settimana fa ho avuto il piacere di partecipare ad un bel workshop organizzato dalla Fondazione Ugo Bordoni in collaborazione con NNSquad Italia sul tema della net neutrality (qui tutti gli interventi; qui un resoconto dell’evento). Piatto forte della giornata, il keynote di Kenneth Carter, ricercatore di WIK Consult. Si è trattato di un’occasione preziosa per aprire alla discussione un elemento, quello della neutralità della rete, finora sottovalutato, eppure destinato a giocare un ruolo primario nello sviluppo dell’infrastruttura di internet. Che al momento sia impossibile per gli ISP internalizzare l’intero frutto dei propri investimenti, è pacifico. Come reperire, dunque, le risorse per gli investimenti, se non attraverso una più equa ripartizione dei ricavi? Il conflitto tra operatori e produttori di contenuti sembra sul punto di scoppiare, ed il rischio è che la partita si giochi a palazzo piuttosto che sul mercato. Tra le molte osservazioni ragionevoli di Carter, voglio – senza, credo, forzare il suo punto di vista – citarne una: per un bilanciamento degli interessi in gioco, è essenziale che il mercato sottostante si mantenga concorrenziale. Solo così possiamo garantire che la libertà della rete non venga sacrificata sull’altare della sua neutralità .
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