CHICAGO BLOG » TBTF http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Spaccare le grandi banche, dice Bank of England /2009/10/21/spaccare-le-grandi-banche-dice-bank-of-england/ /2009/10/21/spaccare-le-grandi-banche-dice-bank-of-england/#comments Wed, 21 Oct 2009 16:30:00 +0000 Oscar Giannino /?p=3394 Il governatore della Bank of England Mervyn King ha pronunciato ieri a Edimburgo un discorso notevole. Qui il testo. Il punto essenziale è relativo al problema numero uno tra i tanti insoluti del dopo Lehman. Come risolvere dal punto di vista regolatorio il problema del moral hazard per le istituzioni finanziarie Too Big To Fail, che hanno sperimentato ormai come i governi non le facciano mai fallire e siano pronti perciò a destinare loro pacchi di miliardi dei contribuenti, per rendere comunque sostenibile l’eccesso di rischio che hanno assunto, a leva troppo elevata rispetto al proprio capitale? Solo nel Regno Unito, tra garanzie e interventi diretti di capitale pubblico nel sistema bancario, la cifra pazzesca di denaro del contribuente mobilitato da governo e BOE assomma a quasi mille miliardi di sterline.

Ci sono solo due strade, dice Mervyn King. La prima è di fissare requisiti di capitale più stringenti per le banche, rispetto alla quantità e qualità di rischi assunti, modificando ulteriormente in tal senso i criteri di Basilea 2, magari attraverso il ricorso a contingent capital, che al di sotto di una certa soglia del core tier 1 si traduca automaticamente in common equity. Ma King definisce comunque tali criteri arbitrari; con ogni probabilità non in grado di valutare ed equilibrare sul serio i rischi largamente imponderabili collegati all’infinita fattispecie di rischio associabile alla panoplia di strumenti e operazioni finanziarie oggi possibili; nonché sicuramente incapaci di reggere all’urto di eventi talebani alla “cigno nero”.

Ha ragione King, secondo me. Di conseguenza, esiste solo un’altra strada. Separare le attività della banca in cui si impiegano e rischiano depositi, che vanno trattate con requisiti di capitale che corrispondano poi alla certezza di salvataggio di fronte all’eventuale insolvenza, dalle attività di propriety trading proprie delle grandi boutique finanziarie, che continuano a dare il più degli utili a banche fittiziamente trasformatesi in “commerciali”, come Goldman Sachs.  King può parlare più liberamente di molti suoi colleghi banchieri centrali, perché nel Regno Unito la supervisione bancaria non spetta a Bank of England, ma alla Financial Services Authority.  Ma  la cosa interessante è che la sua posizione sta facendo breccia nel partito conservatore che dovrebbe vincere le elezioni. Non sarebbe male, se Londra lo chiedesse ufficialmente a Usa ed Ue. Perché una cosa è sicura: chiunque adottasse una riforma simile da solo si candiderebbe al suicidio, vedrebbe l’intera industria banco-finanziaria del proprio Paese emigrare in altri lidi, in cui le cose resterebbero come purtroppo sono ora. Eguali a com’erano prima di Lehman. Tranne i contribuenti bastonati per decenni a venire, s’intende.

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Finalmente è chiaro, perché solo Lehman fu lasciata fallire /2009/09/13/finalmente-e-chiaro-perche-solo-lehman-fu-lasciata-fallire/ /2009/09/13/finalmente-e-chiaro-perche-solo-lehman-fu-lasciata-fallire/#comments Sun, 13 Sep 2009 17:44:43 +0000 Oscar Giannino /?p=2676 A un anno dal fallimento Lehman che fece evolvere la crisi finanziaria al panico, si sprecano gli approfondimenti e le opinioni su “a che punto siamo?”, visto che in buona sostanza il drive del big business finanziario sembra procedere trionfalmente su binari del tutto analoghi a quelli precrisi: meno conduits e SIVs esterni al bilancio, ma non meno leva e sempre col trading che batte di svariati multipli ogni attività tipica della banca commerciale tradizionale. Sul fallimento Lehman in quanto tale, che restò isolato e in quanto tale accende ancora il dibattito sul perché e come Paulson e Bernanke vi si risolsero, a differenza di quanto accadde prima per Bear Stearns e poi per AIG, Citigroup etc. Per approfondire, vedi qui e qui. Personalmente penso che un brandello di verità inizi a essere finalmente chiaro. Il punto non è mai stato quello di considerare in termini comparati i 600 miliardi di asset a rischio di Lehman meno gravi di quelli di tanti altri intermediari finanziari in condizioni sostanzialmente analoghi ma salvati. Su questo, leggete poi quanto scrive John Taylor nel libro “Fuori strada” pubblicato da IBL Libri. In realtà il panico sui mercati finanziari non si scatenò tanto all’indomani del 15 settembre, ma divenne davvero tale solo una settimana dopo, quando Paulson e Bernanke presentarono con toni ultimativi in Congresso la prima versione del TARP da oltre 700 miliardi di dollari per salvare le istituzioni finanziarie. Ma senza dire una sola parola su come  lo strumento avrebbe davvero funzionato, e con la più invasiva richiesta di poteri discrezionali all’esecutivo che fosse mai stata chiesta a un Congresso americano. È ovvio che i poteri di guerra si chiedono per una guerra: e la reazione del mercato a quel punto fu quella tipica davanti a una guerra, cioè il terrore e la perdita verticale di ogni fiducia, a cominciare da quella interbancaria.

La verità inizia però a venir fuori. La penso come Joe Nocera, che ha scritto sul New York Times.  Il fallimento della sola Lehman fu fortememente voluto da Paulson e Bernanke, esattamente per farsi dare quei poteri di guerra discrezionali dal Congresso. Una mossa che continuo a considerare sbagliata per tre ordini di ragioni. Perché di quel potere discrezionale Bernanke e Paulson fecero un pessimo uso: il TARP cambiò sostanzialmente fine e meccanismo attuativo, quando dopo qualche settimana l’Europa ribattè sulla linea “nessuna banca ha da fallire” e attuò i primi ingressi nel capitale delle banche, che all’inizio Washington sembrava escludere per meccanismi “misti” di assunzione dei soli bad assets. Secondo: poiché a muovere i regolatori era una ragione politica, e non di macro o micro stabilità finanziaria, nel corso di tempo a seguire i mercati – al di là della paura – hanno ancora più facilmente assunto il punto di vista “che nessuno fallisca”, assolutamente sbagliato visto che un conto è la garanzia ai depositi, altro evitare il giusto azzeramento del valore ai soci bancari. Aver evitato la pulizia, spinge naturalmente i soci e i manager bancari ancor oggi a fare esattamente come prima e più di prima, e proprio il fallimento solitario di Lehman – tra i grandi dico, di banche fallite negli USA siamo a quota 92 dall’inizio dell’anno – è stato decisivo nel radicare e incoraggiare l’attuale andazzo. Terzo. Di conseguenza, la decisione ha aggravato la crisi non tanto perché bisognava invcece salvare tutti compresa Lehman senza esitazioni – come vuole la vulgata –  ma proprio perché in quanto unica eccezione non faceva che confermare quella regola – “tutti salvi” – che continua a sembrarmi profondamente sbagliata.

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Vince Basilea, viva la BRI /2009/09/07/vince-basilea-viva-la-bri/ /2009/09/07/vince-basilea-viva-la-bri/#comments Mon, 07 Sep 2009 16:59:50 +0000 Oscar Giannino /?p=2556 La notiziona del fine settimana è senza dubbio quanto concordato nella riunione del G10 a livello di banchieri centrali, dopo la benedizione il giorno prima dei politici al G20 di Londra. Il punto non è affatto quello che demagogicamente ha occupato per due giorni le pagine dei giornali, cioè nuove regole per i bonus ai manager del credito. Bensì le cinque key measures e i tre principles to guide supervisors in the transition che trovate nell’odierno comunicato emesso da Basilea. Il punto è: come iniziare a rendere le banche patrimonialmente più “munite”, in relazione al rischio assunto e intermediato. I franco-tedeschi sono stati sconfitti, in apparenza. Volevano rinviare il tema, poiché soprattutto i tedeschi sinora si sono ben guardati dal fare pulizia nel proprio settore bancario. Io sono tra chi considera un bene, che non sia passata la loro linea.  Anche se ora bisogna passare dagli impegni condivisi ai fatti, naturalmente. Ma rinviare il rafforzamento patrimoniale bancario attraverso criteri il più possibile condivisi significa solo rinviare contestualmente il pieno ristabilimento della fiducia interbancaria. Cioè continuare a tenerci un basso moltiplicatore monetario: il che rende inutile l’oceanica liquidità garantita dai regolatori ai mercati a fini anticlici, che finisce per imboccare la via del trading sui mercati finanziari invece di passare all’economia produttiva. Vediamo in concreto di che cosa si tratta.La prima misura chiave consiste nel rafforzamento e nel depuramento del Tier 1 – la parte più  importante del patrimonio di vigilanza di una banca, vedi qui per chi ne avesse bisogno -  e soprattutto nel superamento dei diversi regimi per macroarea mondiale e nazionali che ancora oggi consentono alle diverse banche, a seconda di dove siano incardinate, di avere criteri diversi per i filtri del coefficiente e per la valutazione degli strumenti quasi-equity, grazie alla cui emissione si possono espandere gli impieghi e accrescere i rischi. Quest’ultimo punto è molto importante, perché intende diminuire lo spazio grigio in cui i maggiori regolatori tendono a tutelare le banche più esposte del proprio sistema, dimenticando che l’abbassamento della congruità patrimoniale comporta effetti a catena che vengono traslati anche sulle banche più sane e, soprattutto, sui loro incolpevoli clienti.

La seconda misura chiave allude a un criterio per impedire l’insorgere del problema Too Big To Fail del quale tanto abbiamo scritto nei mesi scorsi. Per il momento si dice in una due scarne righette che si procederà a identificare dei livelli di leva finanziaria – rapporto tra patrimonio e impieghi-rischi – all’oltrepassare i quali la congruità patrimoniale va rafforzata. Si annuncia che la definizione avverrà secondo metodologie condivise e internazionalmente tarare secondo i principi contabili che continuano a essere diversi, tra Europa e Usa. Detta così, è una mezza rivoluzione culturale. Immagino che le grandi banche anglosassoni si batteranno con tutte le proprie armi, perché i criteri e i rafforzamenti patrimoniali siano i meno vincolanti possibili. Ma tutto ciò in Basilea 2 non c’era, né nell’ordinamento statunitense. E serve invece a tentare di evitare che i denari del cotriubuente debbano servire a salvare intermediari finanziari a catena, per i solo principio che sono troppo grandi perché il loro fallimento eventuale non abbia effetti sistemici a catena.

La terza misura è volta a creare procedure e criteri di vigilanza sull’adeguatezza per ciascuna banca – a prescindere dall’area in cui opera – del proprio sistema di funding, con tanto di stress test condivisi per i ratios di liquidità di breve  e medio periodo. La quarta va letta congiuntamente alla seconda: si abbraccia il principio che oltre ai livelli del capitale di vigilanza rafforzati e standard, occorre predisporre un cuscinetto di capitale aggiuntivo dinamico, cioè destinato ad accrescersi nel bel tempo di mercato, e ad attenuarsi entro certi limiti nei tempi di crisi. In questo modo, si impedisce l’effetto anticiclico che requisiti patrimoniali “stretti” inevitabilmente finiscono per esercitare, quando la qualità degli impieghi e dei collaterali inevitabilmente si deteriora in una crisi. La quinta misura, rivoluzionaria anch’essa, promette l’adozione di metodologie condivise per impedire il rischio macrostemico rappresentato da banche che operano a cavallo di ambiti regolatori sin qui differenziati. È la disciplina relativa a come impedire che i grandi gruppi cross border tendano, in tempi di crisi, a scaricare il più degli effetti distorsivi e restrittivi in aree del mondo diverse da quelle al cui regolatore sono sottoposte.

I tre principi guida nella transizione riguardano appunto la definizione delle precondizioni e dei particolari tecnici delle cinque misure di fondo intanto definite. L’impegno condiviso dai governatori delle maggiori banche centrali è a promuovere il rafforzamento patrimoniale delle banche expeditiously cioè in fretta – qui è la sconfitta tedesca – ma con l’accortezza che il processo avvenga senza effetti deleteri sulla ripresa in corso, ed è su questo che i franco-tedeschi punteranno, rinviandone l’attuazione il più possibile.

È una vera vittoria dei principi conservativi e prudenziale che vanamente la Banca dei Regolamnenti Internazional ammoniva trascurati e violati, negli anni di Greenspan: a proposito della sciocca e infondata storia per la quale nessuno avrebbe avvisato della crisi in arrivo. Ed è una vittoria del FSB guidato da Draghi, come sa chi ne ha seguito i lavori riservati. Temo proprio che il bene da augurarsi stia tutto in questa agenda, non nei legal standards che tanto piacciono ai media italiani compiacenti.

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Friedman, i fallimenti bancari e la reincarnazione /2009/08/31/friedman-i-fallimenti-bancari-e-la-reincarnazione/ /2009/08/31/friedman-i-fallimenti-bancari-e-la-reincarnazione/#comments Mon, 31 Aug 2009 17:13:23 +0000 Oscar Giannino /?p=2403 Segnalo a chi legge che da qualche sessione di Borsa a questa parte il mercato cinese sta reagendo alla maggior cautela di liquidità che il regolatore monetario locale ha deciso di adottare. Come vi avevamo detto, la bolla si sta riducendo: e a colpi di centinaia di punti base a sessione. Non è per dire a chi ci legge che deve “usarci” per regolare i propri ingressi e uscite sul mercato. È solo per richiamare l’importanza assoluta che in questi chiari di luna i regolatori monetari rappresentano rispetto ad andamenti di mercato largamente “determinati” dall’eccesso di liquidità che qualche strada dovrà pure prendere, in perdurante assenza di efficiente trasmissione del moltiplicatore monetario all’economia reale. Ai corsi di Borsa attuale in Italia, per moltissime quotate il P/E  è assolutamente spaziale. Detto questo, che cosa penserebbe Milton Friedman se fosse ancora tra noi?Più che dirvelo io – c’è un limite al proprio ego, ah ah – preferisco rinviarvi a un succosissimo scambio di opinioni tra due blogger che qui piacciono molto, Tyler Cowen  di Marginal Revolution e David Henderson di EconLog. Qui oggi 31 agosto  trovate tutte e quattro le puntate del botta e risposta. Per non ripetere, mi limito a dirvi che la penso come Henderson. Sono dell’idea che come Friedman e Schwarz hanno abbondantemente spiegato nella loro insuperata interpretazione della Grande Depressione, Milton sarebbe stato assolutamente favorevole ai bassi tassi odierni e anche a misure di quantitative easing forse più aggressive di quelle messe in atto dalla FED di Bernanke – il che non significa che sarebbe stato automaticamente favorevole a come vengono condotte le operazioni dalla FED sui mercati aperti, al fine di sostenere non l’economia reale ma i prezzi di Borsa. Penso invece che la soluzione di Milton al problema TBTF non sarebbe stata ”evitiamo a tutti i costi” i fallimenti dei grandi intermediari. Anzi, avrebbe pensato che una volta imboccata quella strada sarebbe stato meglio percorrerla rapidamente, per riallineare in fretta con perdite sugli azionisti gli attivi patrimoniali delle banche a livelli credibili e consentire così celermente il ritorno alla fiducia innanzitutto interbancaria. Una linea forse più produttiva, del solo sì al fallimento Lehman che ha confermato poi a tutti i grandi istituti mondiali che tanto non rischiano nulla di definitivo: tanto che le loro rettifiche patrimoniali sono risultate a distanza di un anno ben inferiori a quelle stimate dai fori internazionali. È perché lo sanno benissimo esse per prime, che le banche sono agenti di politica monetaria ancora tanto inefficienti, oggi.

Ai friedmaniani incalliti segnalo questo post di Dan Klein, su un altro blog “obbligato”. Purtroppo la penso come lui, oggi è quasi impossibile pensare a un clone friedmaniano. Oggi in accademia c’è troppa matematica, niente storia dell’economia. anche se ci fosse, non gli darebbero mai il Nobel.

il Nobel

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Jackson Hole, Feldstein ha ragione /2009/08/21/jackson-hole-feldstein-ha-ragione/ /2009/08/21/jackson-hole-feldstein-ha-ragione/#comments Fri, 21 Aug 2009 17:45:48 +0000 Oscar Giannino /?p=2264 La prima giornata del meeting di Jackson Hole vede i mercati europei in rally con crescite tra il 2 e il 3% degli indici. Vi invito a leggere il testo di Ben Bernanke, in apertura dei lavori, che ha provocato tutto questo entusiasmo. Da giornalista, ai lettori – e agli operatori di Borsa in azione – lo avrei presentato col titolo del WSJ – Bernanke: Recovery to Start Off Slowly – non con quello del Financial Times – Bernanke Optimistic on Economic Growth. Eppure è la seconda tesi che ha prevalso: il titolo stu-pe-fa-cen- te di apertura, del sito della Stampa diretta da Mario Calabresi, in queste ore è “La FED: preso la crisi sarà finita”.  Parole che Bernanke non si è neppure sognato di dire. Il “nostro” Martin Feldstein porta a casa la palma di giornata, per chiarezza e secchezza di giudizio. Qui la sua intervista di commento a Bloomberg : Us Economy Weak, May Dip Again.  La penso come Feldstein. La disoccupazione USA peggiorerà e la crisi USA potrebbe persino peggiorare. Ma vale la pena di esaminare il testo di Bernanke con cura.Intanto non è l’inaccuratezza dei colleghi della Stampa, a scambiare per un “presto fuori dalla crisi”  la conclusione di Bernanke che suona assai diversamente così:

Since we last met here, the world has been through the most severe financial crisis since the Great Depression. The crisis in turn sparked a deep global recession, from which we are only now beginning to emerge.

As severe as the economic impact has been, however, the outcome could have been decidedly worse. Unlike in the 1930s, when policy was largely passive and political divisions made international economic and financial cooperation difficult, during the past year monetary, fiscal, and financial policies around the world have been aggressive and complementary. Without these speedy and forceful actions, last October’s panic would likely have continued to intensify, more major financial firms would have failed, and the entire global financial system would have been at serious risk. We cannot know for sure what the economic effects of these events would have been, but what we know about the effects of financial crises suggests that the resulting global downturn could have been extraordinarily deep and protracted.

Although we have avoided the worst, difficult challenges still lie ahead. We must work together to build on the gains already made to secure a sustained economic recovery, as well as to build a new financial regulatory framework that will reflect the lessons of this crisis and prevent a recurrence of the events of the past two years. I hope and expect that, when we meet here a year from now, we will be able to claim substantial progress toward both those objectives.

È evidente che gli spiriti animali dei mercati sono stati spinti dalla FEd e dalle banche centrali per troppi mesi a scommettere sulla crescita, per non continuare ora ad appigliarsi a ogni possibile riflesso condizionato, pur di continuare. In realtà, quello di Bernanke è stato un affilato intervento volto alla conferma del proprio incarico. Il mandato del presidente FED  scade il 31 gennaio prossimo, e New York Times e Washington Post ieri e oggi si sono dichiarati stupiti che Obama non abbia ancora annunciato la scontata conferma, anzi hanno cominciato a fare nomi di possibili successori tra i quali il mio preferito sarebbe Roger Ferguson, e la più sgradita Cristina Romer, che da ottima studiosa “critica” insieme al marito del moltiplicatore keynesiano ne è diventata  osservante difensora, come neopresidente da sette mesi del Council of Economic Advisors di Obama.

Ma, detto questo, quella di Bernanke è stata una bella autodifesa. Svolta tutta sul filo di un tema appassionante, per gli studiosi di economia e finanza. In che cosa il “panico” del post 15 settembre 2008 ha rappresentato una novità, rispetto a tutti quelli avvenuti e studiati in passato? La risposta di Bernanke parte da un classico non tanto della teoria quanto della prassi della moderna banca centrale – l’unico citato nel discorso – Walter Bagehot.

Bagehot instructed central banks–the only institutions that have the power to increase the aggregate liquidity in the system–to respond to panics by lending freely against sound collateral.

Ma la liquidità da sola – oceanicamente pompata sui mercati questa volta, per evitare la Grande Depressione 2.0 - non basta affatto, dice a ragione Bernanke.

To be sure, the provision of liquidity alone can by no means solve the problems of credit risk and credit losses…

Perché questa volta, grazie alle profonde modificazioni alle quali era andata incontro l’intermediazione finanziaria, entravano in gioco categorie ben diverse da quelle elementari che spinsero al bank run per ritirare i depositi bancari nel 1929.  Teorie e modelli bislacchi in materia di risk management, per cui

For example, many financial institutions, notably including the independent investment banks, financed a portion of their assets through short-term repo agreements. In repo agreements, the asset being financed serves as collateral for the loan, and the maximum amount of the loan is the current assessed value of the collateral less a haircut. In a crisis, haircuts typically rise as short-term lenders attempt to protect themselves from possible declines in asset prices. But this individually rational behavior can set off a run-like dynamic: As high haircuts make financing portfolios more difficult, some borrowers may have no option but to sell assets into illiquid markets. These forced sales drive down asset prices, increase volatility, and weaken the financial positions of all holders of similar assets, which in turn increases the risks borne by repo lenders and thus the haircuts they demand

Poi la struttura dei mercati del funding interbancario, che nel panico ha preso a seguire meriti di credito totalmente diversi da quelli dei rating fino a quel momento espressi, per allinearsi ai CDS che improvvisamente sui mercati salivano all’impazzata malgrado le assicurazioni delle stesse banche e delle autorità di regolazione. Infine ancora, una nozione del rischio di controparte estremamente più estesa e mondialmente correlata di quella sino a quel momento sperimentata in ogni diverso episodio di crisi finanziaria. Su tale intreccio di aspetti micro e macro la conclusione di Bernanke è stata ben diversa dall’enucleazione di nuovi princìpi certi e condivisi. Infatti, né in materia di requisiti di capitale né in materia di VAR, né sul terreno del Too Big To Fail né su quello macroprudenziale per grandi aree del Pianeta, a distanza di un anno dal 15 settembre e di più di due dall’inizio della crisi, siamo ancora giunti alla definizione della “svolta”  milioni di volte invocata. Come Bernanke ammette onestamente

We have seen during the past two years that the complex interrelationships among credit, market, and funding risks of key players in financial markets can have far-reaching implications, particularly during a general crisis of confidence. In particular, the experience has underscored that liquidity risk management is as essential as capital adequacy and credit and market risk management, particularly during times of intense financial stress. Both the Basel Committee on Banking Supervision and the U.S. bank regulatory agencies have recently issued guidelines for strengthening liquidity risk management at financial institutions. Among other objectives, liquidity guidelines must take into account the risks that inadequate liquidity planning by major financial firms pose for the broader financial system, and they must ensure that these firms do not become excessively reliant on liquidity support from the central bank.

But liquidity risk management at the level of the firm, no matter how carefully done, can never fully protect against systemic events. In a sufficiently severe panic, funding problems will almost certainly arise and are likely to spread in unexpected ways. Only central banks are well positioned to offset the ensuing sharp decline in liquidity and credit provision by the private sector. They must be prepared to do so.

Nel frattempo che ci si mette d’accordo e che la politica fisserà nuovi standard, le banche centrali devono essere comunque pronte ad agire imparando dai propri errori. Per questo è meglio – è l’implicita conclusione – che alla FED continui ad occuparsene chi ha già dovuto affrontare una tempesta tanto terribile, sin qui.

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