CHICAGO BLOG » sussidi http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Zapatero: Eppur si muove… /2010/12/02/zapatero-eppur-si-muove%e2%80%a6/ /2010/12/02/zapatero-eppur-si-muove%e2%80%a6/#comments Thu, 02 Dec 2010 09:37:14 +0000 Andrea Giuricin /?p=7743 La crisi del debito ha avuto un effetto immediato in Spagna. Il Governo Zapatero ha annunciato ieri una serie di azioni che vanno in direzione della liberalizzazione e della privatizzazione in diversi settori. La Spagna aveva raggiunto due giorni fa, un differenziale record rispetto ai Bund tedeschi di quasi di 300 punti, il più alto di sempre dal momento dell’entrata dell’euro. Dopo Grecia ed Irlanda, la sfiducia dei mercati sembrava andare dritta verso la Penisola Iberica. Il Governo Zapatero ha deciso di non aspettare ed ha deciso di operare misure nella giusta direzione. L’Italia, invece, chiude il parlamento per evitare Vietnam politici, titolano oggi i giornali: c’è di che riflettere, sulle risposte diverse agli spread in salita.

Non che non permangono dei gravi errori nella politica economica del governo guidato dal leader del Partito Socialista, dato che le riforme delle Casse di Risparmio e del mercato del lavoro sono state troppo timide, ma il passo effettuato ieri non è da sottovalutare.

Possiamo distinguere tre categorie di decisioni:

-         Semplificazione e abbassamento delle imposte

-         Liberalizzazioni

-         Privatizzazioni.

Il primo punto è coraggioso, perché si decide di abbassare in parte l’imposta sulle società al 25 per cento per quelle piccole-medie imprese che fatturano meno di 10 milioni di euro annuali (precedentemente era pari a 8 milioni di euro) e la base imponibile per l’applicazione di questo livello di tassazione sale da 120 a 300 mila euro.

Tutte le aziende avranno la libertà di scegliere l’ammortamento dell’imposta sulle società nel periodo compreso fino al 2015, in modo da diminuire in tempo di crisi la pressione fiscale.

Abbassare la tassazione d’impresa è importante per aumentare la competitività. Inoltre, come segnalato anche dalla World Bank nel rapporto Paying Taxes, la riduzione di questa imposta non diminuisce le entrate.

Si elimina inoltre l’iscrizione obbligatoria alla Camera di Commercio, che diventa solamente volontaria. Questo permetterà un risparmio di 250 milioni di euro annuali per le imprese. Si favorirà inoltre la creazione dell’impresa in 24 ore.

Il secondo punto è relativo ad un aumento della liberalizzazione del mercato del lavoro. Si permette un’entrata più libera delle agenzie di lavoro private, in un mercato del lavoro profondamente rigido che vede una disoccupazione al 20,7 per cento e una disoccupazione giovanile superiore al 43 per cento.

Sul mercato del lavoro non viene tuttavia meno una certa “vena socialista”; infatti si rafforza il piano “PRODI” di protezione e inserimento sul mercato del lavoro con circa 1500 impiegati pubblici in più per favorire l’inserimento professionale.

Il terzo punto è forse il più controverso. Il Governo Zapatero vuole compiere privatizzazioni per circa 14 miliardi di euro, che arriverebbero dalla vendita del 30 per cento delle “Lotterie di Stato” e il 49 per cento degli aeroporti (AENA).

Controverso perché il Governo vende senza perdere il controllo, volendo mantenere una politica aeroportuale nazionale e pubblica. E la gestione aeroportuale pubblica non è stata certo delle più brillanti, dato che nel 2009 AENA ha perso circa 340 milioni di euro.

Un punto aggiuntivo, ma non meno importante è il taglio della spesa che arriva dall’eliminazione del sussidio di disoccupazione di lungo periodo (dopo 2 anni di sussidi a circa l’80 per cento dell’ultimo stipendio) di 426 euro mensili.

Il passo di Zapatero è stato certamente coraggioso, ma quasi obbligatorio, viste le condizioni tempestose nelle quali la nave Spagna stava navigando nel mercato delle aste pubbliche. Bisogna ricordare che lo stesso primo ministro aveva portato il deficit all’11,1 per cento sul PIL nel 2009.

Queste decisioni sono importanti, ma le prossime settimane non saranno facili per la Spagna che si ritrova un sistema di “cajas” davvero deboli e che potrebbero “saltare” da un momento all’altro.

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Nuova PAC: a capofitto verso il 2013 /2010/11/21/nuova-pac-a-capofitto-verso-il-2013/ /2010/11/21/nuova-pac-a-capofitto-verso-il-2013/#comments Sun, 21 Nov 2010 11:46:52 +0000 Giordano Masini /?p=7647 Prendo spunto da un post pubblicato su Agricoltura24 che riprende a sua volta un articolo di Terra e Vita e che mi sembra dare, fino a questo momento, il quadro più completo degli indirizzi proposti per la nuova Politica Agricola Comune post 2013. Ho sempre pensato che la PAC sia uno strumento perverso e tendenzialmente criminogeno, per le gravi distorsioni che induce nel mercato agroalimentare. Ma dalle proposte che circolano oggi, a mio avviso la PAC sta prendendo una strada del tutto insensata, iniqua e controproducente anche rispetto alle stesse intenzioni dichiarate dai suoi sostenitori, e rischia di essere la pietra tombale per l’agricoltura europea. In questo post (forse un po’ lungo) proverò a spiegare perché.

Dai primi orientamenti si comprende che alcune scelte della nuova Pac sono inevitabili, come la soppressione dei pagamenti storici. In tutti i documenti emergono due nuovi temi: la remunerazione dei beni pubblici e gli strumenti per contrastare l’instabilità dei mercati.

Non tutti possono aver chiaro, ovviamente, cosa significhi “remunerazione dei beni pubblici”. Con questa denominazione, inserita nella PAC all’inizio del nuovo millennio, si pretende che gli agricoltori, oltre a mettere sul mercato prodotti agroalimentari e trarre profitto da questa attività, producano anche beni che avrebbero valore per la collettività, ma che non sarebbero remunerati adeguatamente sul mercato: paesaggio agrario, presidio territoriale, biodiversità, lotta al cambiamento climatico, conservazione dell’ambiente, sviluppo rurale, salubrità degli alimenti, benessere degli animali.

Sulla base di questo principio (la cui arbitrarietà e scarsa fondatezza è evidente anche a un bambino) la PAC è stata, ormai quasi un decennio fa, suddivisa in due pilastri: da una parte gli aiuti diretti, destinati a sostenere il reddito dell’agricoltore, dall’altra i cosiddetti aiuti allo sviluppo, focalizzati da una parte a sostenere lo sviluppo delle aziende e dall’altra a premiare quei comportamenti e quelle pratiche agricole in grado di produrre “beni pubblici”. Per esempio, se in Europa le autorità pubbliche possono finanziare le aziende agricole biologiche ma non le compagnie aeree lo si deve proprio al fatto che, secondo i tecnocrati di Bruxelles, Almaverde Bio produce beni pubblici ed Alitalia no.

Ora, il primo pilastro della PAC sembra avere un problema: il sistema in base al quale è stato calcolato il premio che ogni azienda riceve, e sul quale non mi dilungo, ha prodotto delle differenze inaccettabili tra paese e paese e deve essere superato: attualmente l’Italia percepisce mediamente 300 euro/ha, mentre la Grecia percepisce 600 euro/ha e la Romania soltanto 40 euro/ha.

Il dibattito su questo tema è molto acceso e, per trovare un equilibrio tra le varie posizioni, è probabile che i pagamenti diretti potrebbero essere rimodulati in più componenti:

  • una parte (ridotta rispetto ai livelli attuali, ad esempio 100-200 euro/ettaro) erogata a tutti gli agricoltori;
  • una parte riservata alle zone con svantaggi naturali, ad esempio la montagna e le zone svantaggiate; a tal proposito, c’è la proposta di portare le indennità compensative dal 2° al 1° pilastro;
  • una parte, selettiva, in funzione del fabbisogno di lavoro o del valore aggiunto o di specifici comportamenti orientati alla fornitura di beni pubblici ambientali.

Sembra, quindi, che la produzione di questi fantomatici beni pubblici debba diventare un criterio per indirizzare, oltre agli aiuti allo sviluppo, anche i fondi che dovrebbero servire al sostegno del reddito, quello uguale per tutti. Ma se una quantità così rilevante di soldi dei contribuenti europei dovrà essere spesa in questa direzione, sarebbe giusto chiedersi se e come, al di là dei luoghi comuni, questi beni pubblici portino qualche vantaggio alla salute e all’ambiente (anche se basterebbe il fatto che nessuno sembra disposto a pagare di tasca sua per essi, ma si sa, c’è sempre chi è in grado di scegliere per noi meglio di noi)

Se parliamo di agricoltura biologica, non esiste un solo studio scientifico serio (e si sono dati da fare per cercarlo) in grado di dimostrare che nutrirsi di alimenti biologici rechi qualche beneficio per la salute, mentre per quanto riguarda l’ambiente, è di un’evidenza lapalissiana che fornire all’umanità il fabbisogno di cibo con tecniche scarsamente produttive come quella biologica comporterebbe l’impiego di una quantità enorme di superficie agricola, oggi occupata da praterie e foreste.

Anche dal punto di vista del contenimento delle emissioni, è l’agricoltura intensiva che produce i migliori risultati, come ho avuto già modo di argomentare citando un autorevole studio di PNAS, e per quanto riguarda il presidio territoriale e la tutela del paesaggio agrario (anche questi sono concetti strani da capire: per quale ragione il paesaggio rurale attuale dovrebbe essere migliore di quello passato e di quello futuro?) è solo un’azienda agricola competitiva e orientata al profitto ad avere interesse a continuare a lavorare la terra, invece che abbandonarla e sostenersi solo con i sussidi (non è un’ipotesi, è quanto sta accadendo).

Quindi, una PAC seria dovrebbe, avendo a cuore l’ambiente, premiare l’agricoltura intensiva, l’uso delle biotecnologie, la ricerca del profitto. E’ ovvio che per premiare questi comportamenti la maniera migliore sarebbe quella di eliminare completamente i sussidi, incentivando i produttori a perseguire l’efficienza. Premiare e sostenere comportamenti opposti è completamente demenziale, oltre ad essere uno spreco intollerabile di denaro pubblico.

Per quanto riguarda invece la “stabilizzazione dei mercati”, questi sono gli orientamenti che emergono dal summenzionato articolo:

In molte proposte emerge una nuova richiesta per la Pac: il contrasto all’instabilità dei mercati e il miglioramento della posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare. Gli strumenti della vecchia politica di garanzia (prezzi garantiti, dazi, sussidi all’esportazione, ammasso pubblico, quote, set aside, ecc.) hanno mostrato tutti i loro limiti e non sono più applicabili nella prospettiva futura. Tuttavia l’obiettivo della stabilizzazione dei prezzi e dei mercati rimane ancora attuale. Anziché la vecchia politica di garanzia, si richiede di favorire gli strumenti di regolazione dei mercati gestiti direttamente dai produttori agricoli, attraverso la concentrazione dell’offerta, il miglioramento del rapporto tra produttori e primi acquirenti tramite la cooperazione, l’associazionismo, l’interprofessione.

Il fatto che si ribadisca l’inutilità di quegli strumenti perversi utilizzati fin ora per stabilizzare (forse sarebbe più corretto dire “distorcere”) i mercati è senz’altro positivo. Preoccupa però il fatto che si continui a ritenere l’apertura dei mercati come un pericolo da cui proteggersi, e sono inquietanti gli strumenti di cui l’UE vorrebbe dotarsi per perseguire tale risultato.

Ci sono fin troppe evidenze che dimostrano come i prezzi di quei prodotti che vengono scambiati sui grandi mercati internazionali siano molto più stabili di quelli che da questi mercati vengono esclusi, quindi l’idea che l’agricoltura di prossimità e “il miglioramento del rapporto tra produttori e primi acquirenti” possa portare qualche beneficio è completamente sballata. Sarebbe meglio che ci si concentrasse sulle opportunità per le aziende agricole di affacciarsi con i loro prodotti sui mercati emergenti e lontani, piuttosto che forzarle a rimanere ancorate ad un desolante status quo.

Se è vero come è vero che il prezzo di un prodotto tiene conto di tutti i costi di produzione, la tendenza a localizzare tutte le produzioni rinunciando all’efficienza di produrre su terreni e a climi vocati e vendere ovunque ci sia domanda rappresenta un violento colpo di zappa sui piedi della nostra agricoltura, soprattutto nel momento in cui le produzioni agricole di altri grandi paesi, come Cina, India e Brasile, cominciano a volare, e non, come recita la vulgata, a causa del basso costo del lavoro (altrimenti dovevano volare anche negli scorsi decenni) ma proprio grazie alle biotecnologie, all’intensificazione e all’apertura al mercato globale. Un esempio per tutti: negli ultimi 10 anni il Brasile ha triplicato il proprio export agroalimentare, la sua produzione agricola è cresciuta del 79% con un incremento della superficie utilizzata limitato al 28%.

Per quanto riguarda poi gli strumenti di regolazione dei mercati gestiti direttamente dai produttori (leggi: i consorzi potranno intervenire sui mercati regolando l’offerta, al fine di indurre un aumento dei prezzi) basterebbe la triste esperienza del vino italiano (e francese), che con metodi del genere si sta progressivamente autoescludendo dal mercato mondiale a far desistere da simili proponimenti. Perché si tende a dimenticare che qualsiasi consumatore, sia esso un consumatore finale o un trasformatore, reagisce a questi meccanismi orientando altrove le sue scelte, e in tempi di mercati globalizzati le alternative non mancano. Se il protezionismo è un errore lo è sempre, ed è inutile e controproducente farlo uscire in pompa magna dalla porta per farlo rientrare, in silenzio e sotto mentite spoglie, dalla finestra.

Per finire, ed è il dato forse che preoccupa di più, nella nuova PAC post 2013 aumenteranno a dismisura quelle voci di spesa in cui è indispensabile il ruolo attivo degli intermediatori pubblici e parapubblici (checché se ne dica sono loro i veri beneficiari della PAC, e che siano loro stessi a disegnarne gli indirizzi forse aiuta a capire ciò che sta succedendo), come le associazioni professionali. Quando si parla di cooperazione, associazionismo, e interprofessione non si intende altro. E il fatto che anche i fondi del primo pilastro della PAC, quello degli aiuti diretti, verranno distribuiti secondo criteri sempre più discrezionali e meno automatici non fa che confermare questa tendenza costosa e perversa.

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O’ Sole tedesco, ma quanto ci costi! /2010/10/16/o-sole-tedesco-ma-quanto-ci-costi/ /2010/10/16/o-sole-tedesco-ma-quanto-ci-costi/#comments Fri, 15 Oct 2010 23:05:53 +0000 Giovanni Boggero /?p=7299 Brutte notizie per i consumatori tedeschi. L’anno prossimo avranno bollette più care. Tutto sta in una parolina magica che in tedesco si chiama EEG-Umlage e che rappresenta quel contributo aggiuntivo, che chiunque paghi la bolletta in Germania è tenuto a sobbarcarsi per garantire l’elargizione dei sussidi ai fruitori di energie rinnovabili. In altre parole, se è vero che “nessun pasto è gratis”, è altrettanto vero che neanche le sovvenzioni piovono dal cielo, ma i costi se li debbono ripartire tutti i consumatori. E’ il bello della redistribuzione. Ciò che si vede è il sussidio per chi approfitta delle energie rinnovabili. Ciò che non si vede è la tassa occulta addossata a tutti i membri della comunità, anche a quelli che per una libera scelta hanno deciso di non scaldarsi con il sole o con il vento. Che le norme non siano mai neutrali dovremmo averlo capito. Questa ne è l’ulteriore conferma.

Ebbene, l’anno venturo, complice l’aumento della produzione di energia ecologica sul totale, l’Umlage schizzerà verso l’alto (da 2,047 cent a 3,530 per kWh; qui il grafico) e con ogni probabilità l’aumento della bolletta si aggirerà intorno ai 70 euro all’anno per famiglia.

Tra i tanti motivi del repentino aumento della produzione di energie rinnovabili (ma ricordiamo sempre che il solare contribuisce per l’1% alla produzione nazionale di energia teutonica!), il quotidiano economico Handelsblatt cita anche la corsa all’acquisto di un pannello fotovoltaico da parte di moltissimi tedeschi, desiderosi di sfruttare le cd. feed-in-tariffs prima dei tagli destinati ad entrare in vigore nel mese di ottobre 2010 (-3%), a gennaio 2011 (fino a -13%) e a gennaio 2012 (fino a -21%).

Una piccola eterogenesi dei fini, insomma, destinata  forse a rientrare quando i tagli saranno stati implementati una volta per tutte. Solo allora vi sarà forse una discesa della curva totale delle sovvenzioni al solare, che nel 2011, nonostante le tariffe meno generose, toccherà verosimilmente livelli superiori al 2010, a fronte però di una potenza installata maggiore.

L’approvazione del taglio alle sovvenzioni per il fotovoltaico deciso dal Parlamento tedesco lo scorso agosto è infatti solo il primo passo verso la definitiva cancellazione dei sussidi, prevista entro il 2030. Al proposito, gli strepiti degli ambientalisti (e di alcuni curiosi banchieri delle Landesbanken, che paventano una possibile depressione del settore a causa della concorrenza cinese) sono del tutto ingiustificati, tanto più alla luce dei grafici e delle tabelle che gli stessi ecologisti amano esibire per dimostrare che ormai il solare è sempre più concorrenziale. Delle due l’una. O il solare è competitivo e allora i sussidi non servono più e vanno pian piano ridotti. Oppure il solare non è competitivo e perciò deve continuare a rimanere a carico di tutti i contribuenti. Tertium non datur.

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Lo spin-off di Fiat – Parte seconda /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/ /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/#comments Sat, 18 Sep 2010 10:11:25 +0000 Andrea Giuricin /?p=7079 Il Piano industriale di Sergio Marchionne, presentato lo scorso aprile, si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.

I danni dei sussidi europei

Gli aiuti statali dati in tutti i Paesi dell’Unione Europea sono stati molto importanti, in particolare in Germania, che affrontava un periodo pre-elettorale.

Tutte le case automobilistiche subiranno le conseguenze della fine degli incentivi, ma molto probabilmente Fiat ne risentirà di più, poiché molto spesso gli aiuti statali andavano principalmente ai produttori delle auto “piccole”, per motivi ecologici. Proprio in questo segmento di mercato, Fiat è ai vertici delle vendite. Il mercato europeo dovrebbe ridursi di circa il 15 per cento nella seconda parte dell’anno, mentre in Germania la contrazione si è già avvicinata al 30 per cento nei primi otto mesi del 2010.

La seguente tabella mostra la crisi nei principali mercati europei nel mese di agosto, mentre la situazione annuale non è univoca.

Mercato Europeo: la fine dei sussidi
Dati: Variazioni percentuali
Paese Agosto 2010/  Agosto 2009 Gen-Ago 2010/2009
Germania -27,0% -28,7%
Francia -7,9% 2,0%
Italia -19,3% -2,5%
Regno Unito -17,9% 13,2%
Spagna -23,8% 21,9%
UE27 -12,9% -3,5%
Fonte: Elaborazione dati ACEA

Il dato tedesco è il piú preoccupante poiché mostra una caduta continua vicino al 30 per cento, sia in agosto che nei mesi precenti. La Francia, secondo mercato europeo, mostra una diminuzione meno importante delle vendite, mentre l’Italia si avvicina al -20 per cento.

In Spagna e Gran Bretagna  la situazione è differente, poiché gli incentivi governativi sono cominciati nella seconda parte del 2009 e sono finiti più tardi che nel resto d’Europa. È la ragione per la quale nei primi 8 mesi del 2010 si è registrata una crescita nelle vendite. Tuttavia, per tutto il resto del 2010 vi sarà una diminuzione dell’ordine del 20/30 per cento.

In Germania Fiat sta subendo maggiormente la contrazione, tanto che la quota di mercato si è quasi dimezzata. Se questo andamento dovesse confermarsi, la casa automobilistica italiana dovrebbe perdere ulteriori 80 mila veicoli nel solo mercato europeo, che sommati ai 120 mila veicoli in meno del mercato italiano, farebbe oltre 200 mila veicoli.

La quota di mercato di Fiat in Europa è in caduta libera, avendo perso oltre un punto percentuale nei primi 8 mesi dell’anno. Nel mese di agosto il dato è ancora più preoccupante, dato che la market share è scesa al 6,5 per cento.

Il mercato europeo non aiuterà Fiat a raggiungere gli obiettivi del Piano industriale presentato ad aprile.

La situazione americana è un po’ migliore, ma certamente non è brillante, nonostante il lancio di 13 nuovi veicoli nel corso dei prossimi mesi.

La Fiat Americana

Il mercato dell’auto americano sta rimbalzando e Chrysler sembra essere riuscita in parte a beneficiare di questo recupero. I dati a disposizione non sembrano tuttavia suggerire euforia, in quanto la terza delle “Big Three” non si sta comportando molto meglio del mercato. La seguente tabella mostra l’andamento delle principali case automobilistiche.

Mercato USA
Dati: numero di veicoli venduti e quota di mercato
Casa Automobilistica Numero Veicoli Venduti Quota di mercato
Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010 Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010
General Motors 1374780 1461700 19,4% 19,1%
Ford 1077850 1276362 15,2% 16,7%
Chrysler 653319 720143 9,2% 9,4%
Toyota 1170409 1164154 16,6% 15,2%
Honda 806807 815075 11,4% 10,6%
Nissan 524903 599496 7,4% 7,8%
Totale Auto 3765089 3917734 53,3% 51,1%
Totale Truck 3304287 3743858 46,7% 48,9%
Totale Veicoli 7069376 7661592 100,0% 100,0%
Fonte: Elaborazione IBL dati WSJ

La quota di mercato di Chrysler è cresciuta nei primi 8 mesi dell’anno dal 9,2 al 9,4 per cento, grazie soprattutto alla debolezza e ai problemi di affidabilità di Toyoya. La casa automobilistica giapponese ha visto un tracollo della quota di mercato di un punto e mezzo percentuale a causa della campagna di richiamo e alle multe inflitte per mancanza di sicurezza dei suoi veicoli.

Nei prossimi mesi Sergio Marchionne ha annunciato il lancio di vetture Alfa Romeo e Fiat nei concessionari Chrysler. Il momento per il mercato delle auto non è facile negli USA, dato che i “light trucks” stanno conquistando sempre maggiori quote di mercato. Il tracollo della Smart lascia pochi spazi alla 500, in un mercato profondamente differente da quello europeo. Molto dipenderà dall’andamento del prezzo del petrolio; infatti nel 2008/2009 vi è stata la crescita della vendita delle vetture proprio quando il prezzo del gallone cresceva. Nel momento in cui il prezzo del “barile” è cominciato a contrarsi, i light trucks hanno ricominciato a diventare attrattivi, tanto che nel mese di agosto vi è stato quasi il sorpasso ai danni del mercato auto.

Il mercato americano comunque ha visto nel mese di agosto una contrazione del 21 per cento, fronte a una crescita nei primi 8 mesi dell’anno del 8,4 per cento. Anche negli USA i prossimi mesi potrebbero essere molto difficili per il settore auto.

Questa globalizzazione di Fiat non è stata ancora compresa da una parte del sindacato, la Fiom, la quale si è ritrovata a contrapporsi all’investimento di Pomigliano in piena campagna di successione della CGIL.

(continua domani: Pomigliano, la “Caporetto” della Fiom)

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Verso la nuova Pac. Qualcosa da tenere a mente /2010/08/03/verso-la-nuova-pac-qualcosa-da-tenere-a-mente/ /2010/08/03/verso-la-nuova-pac-qualcosa-da-tenere-a-mente/#comments Tue, 03 Aug 2010 15:42:21 +0000 Giordano Masini /?p=6690 Se le parole hanno un significato, la nuova Politica Agricola Comune che dovrebbe vedere la luce nel 2013 potrebbe essere un furto. Un furto ai danni dei contribuenti, e questa non sarebbe una novità, e un furto ai danni degli agricoltori, ai quali verranno sottratte risorse nominalmente destinate a loro ma che verranno in realtà usate per tutt’altri scopi. Un furto con destrezza, a giudicare dai dibattiti che si sono tenuti in questi mesi e che vertono tutti su un unico scopo: come riuscire a dirottare ulteriori risorse dal capitolo degli “aiuti diretti” a quello degli “aiuti allo sviluppo”.

Per capirsi, gli aiuti diretti sono quelli che ogni agricoltore riceve, a prescindere da cosa coltiva. Sono, come ogni sussidio, fortemente distorsivi, specialmente per quel che riguarda i prezzi all’origine, che vengono condizionati al ribasso, e per i valori fondiari, che invece vengono sospinti in alto. Ma quantomeno rappresentano un sostegno al reddito che lascia comunque all’agricoltore la libertà di investire nella direzione che ritiene più opportuna. Gli aiuti allo sviluppo, invece, sono un’invenzione perversa risalente alle precedenti riforme, attraverso la quale la politica è tornata a intervenire pesantemente sulle scelte degli imprenditori agricoli, condizionando l’erogazione di allettanti contributi, specialmente in conto capitale, all’assunzione di precisi impegni. E non solo, perché gli aiuti allo sviluppo non vengono concessi solo alle aziende agricole: alla stessa fonte si abbeverano abbondantemente anche consorzi, trasformatori, confezionatori, e, quel che più conta, enti pubblici, dalle nostre parti soprattutto comuni e comunità montane. Servono a un po’ di tutto, dalla ristrutturazione di casali per attività agrituristiche all’installazione di pannelli fotovoltaici e funghi eolici, dalla manutenzione delle strade rurali e comunali al finanziamento di enti e istituzioni di ricerca e divulgazione scientifica e ambientale, dall’acquisto di impianti e macchinari per la costituzione di consorzi di trasformazione e confezionamento al sostegno ai mercatini rurali, spesa a km 0 e altre amenità del genere.

Tornando all’attualità, il Commissario europeo all’Agricoltura, Dacian Ciolos, ha reso noti i risultati di un sondaggio dell’Eurobarometro, contenente le opinioni di seimila cittadini europei a proposito di agricoltura e Politica Agricola Comune. Bene, secondo questo sondaggio la tutela del paesaggio rurale, la lotta ai cambiamenti climatici e, guarda un po’, mantenere prezzi ragionevolmente bassi per i consumatori, dovrebbero essere le priorità della Pac, alla quale ovviamente tutti si dicono favorevoli. In particolare, la stragrande maggioranza degli intervistati (82%) ritiene che l’Europa debba aiutare gli agricoltori a combattere i cambiamenti climatici, dato che una simile percentuale dei medesimi si dice convinta che entro pochi anni gli agricoltori subiranno effetti devastanti dal riscaldamento globale.

Questo sondaggio sarebbe la base per costruire le fondamenta della nuova Pac, e, nella sostanza, garantire quel trasferimento di risorse dalle tasche degli agricoltori a quelle di chissacchì, o comunque per consentire a chissacchì di mettere il becco nelle scelte imprenditoriali delle aziende. Ora, facciamo attenzione: il fatto che un campione di cittadini europei (cittadini, probabilmente, in ogni senso) si dica convinto che il mondo stia per andare a fuoco, e che siano gli agricoltori a doverlo salvare dalle fiamme per loro, non significa ovviamente che le cose stiano esattamente così. Anzi, ci sono molti studi che dimostrano come l’intensificazione agricola abbia avuto effetti positivi sia, come è facilmente comprensibile, sulla distribuzione delle risorse alimentari, sia, e questo è più arduo da far intendere, anche nella gestione più razionale delle risorse del suolo (l’acqua, in primis), fino ad incidere positivamente anche sulle emissioni di gas serra. Ne abbiamo discusso su queste pagine pochi giorni fa.

Ci sono serie possibilità, quindi, che la montagna di denari pubblici che verranno utilizzati nel futuro per indurre gli agricoltori a produrre meno, a rifiutare le biotecnologie, a indirizzarsi verso sistemi produttivi a “basso impatto” e a divenire sempre meno competitivi rispetto al resto del pianeta saranno serviti solo a incidere la lapide sulla tomba dell’agricoltura del vecchio continente. E allora saremo tutti contenti, nel nome della green economy. Illustrando i risultati della ricerca Ciolos si è detto rassicurato del fatto che i cittadini europei si mostrino convinti della necessità della Pac, e ha mostrato idee chiare per il futuro:

Voglio una Pac forte,  a sostegno della diversità di tutti i suoi agricoltori e dei suoi territori, produttrice di quei beni pubblici che la società europea attende.

Beni pubblici che la società europea attende. Parole queste (molto simili a quelle già usate poco tempo fa dall’ex ministro delle Politiche Agricole e attuale presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro), che a mio avviso dovremmo tenere bene a mente.

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Navi cariche di protezionismo /2010/06/07/navi-cariche-di-protezionismo/ /2010/06/07/navi-cariche-di-protezionismo/#comments Mon, 07 Jun 2010 05:40:51 +0000 Giordano Masini /?p=6209 Nell’azione dimostrativa messa in atto giovedì scorso da Coldiretti al porto di Ancona c’è molto più che la semplice protesta contro i “falsi made in Italy” che contaminerebbero il nostro agroalimentare e farebbero crollare i prezzi dei nostri prodotti agricoli. Al porto del capoluogo marchigiano arrivano infatti ogni anno carichi di cereali e oleaginose, destinate al nostro mercato interno. Nelle dichiarazioni degli organizzatori della protesta si legge che nel porto di Ancona

ogni ora entrano 10.000 chilogrammi di grano straniero pronti a diventare ‘marchigiani’, con l’effetto di far crollare i prezzi dei prodotti delle nostre campagne (da 0,50 euro al chilo a 0,13 in due anni) e ingannare i consumatori.

Non conosco le cifre esatte sulla quantità di merci in entrata nei nostri porti, quindi posso prendere anche per buona una cifra, quella di 10 tonnellate di grano duro ogni ora, che a naso mi sembrerebbe un po’ sparata lì. Comunque in questa dichiarazione ci sono due grossolane ed evidenti stupidaggini. Non si può dire che il grano, entrando sul nostro territorio, “diventa” italiano, equiparando l’uso di una materia prima di origine estera alla pirateria commerciale e alla falsificazione del Made in Italy certificato. I nostri molini e i nostri pastifici si possono rifornire dove meglio credono, e se l’offerta interna non è in grado, per quantità, costi e qualità, di soddisfare la domanda, le ragioni vanno ricercate altrove. Eppure questo è il messaggio che si cerca di far passare: vendere da noi è un crimine che va in qualche modo impedito.

La seconda stupidaggine è quella che riguarda i prezzi: si vorrebbe far credere che il prezzo di 0,50 euro al chilo fosse il prezzo standard del grano duro fino a due anni fa, e che poi c’è stato un crollo. Con affermazioni del genere si possono prendere per il naso i consumatori che hanno una scarsa dimestichezza con la terra, non certo gli agricoltori: l’impennata improvvisa che ha portato a (quasi) 0,50 euro al chilo il prezzo del grano duro nell’estate del 2008 è stata originata dalle stesse circostanze che hanno portato, nello stesso periodo, il prezzo del petrolio a sfiorare i 150 dollari al barile. Dopo quell’estate, che aveva fatto ben sperare molti agricoltori, il prezzo è tornato ai suoi livelli di sempre: tra 0,13 e 0,15 euro al chilo. Mentre scrivo, per esempio, il grano duro è quotato attorno a 0,16 euro al chilo alla Borsa Merci di Bologna, ed è probabile che tra giugno e luglio, nel periodo della raccolta, subirà una flessione.

Dietro a questo atteggiamento, che vediamo sempre più propagandato dai media e da associazioni agricole che sembrano essersi sempre più votate ad una presunta tutela del consumatore piuttosto che del settore agricolo, c’è l’idea che dal mercato possano venire solo guai, e che per uscire dai guai bisogna alzare muri, imporre barriere, costruire recinti, che si chiamino tariffe doganali (come se ce ne fossero poche) o che invece prendano la forma più sofisticata delle certificazioni d’origine.

Ma non sembra essere solo una nostra fissazione, anzi, se ci capita di sentire il ministro dell’agricoltura francese Bruno le Maire lanciarsi in tesi spericolate e anche un po’ grottesche come quelle sostenute a Merida, in Spagna, dove i ministri dell’agricoltura dei paesi dell’Unione Europea si sono riuniti per cominciare a discutere le linee della riforma della Politica Agricola Comune:

Recentemente abbiamo sperimentato gli effetti molto negativi della deregulation totale dei mercati

ha dichiarato, senza scatenare l’ilarità degli astanti, che invece sembrano convergere sull’idea che sia venuta l’ora di “proteggere” e regolamentare ulteriormente il mercato agricolo europeo, come se la prospettiva di difendere lo status quo fosse in qualche misura una prospettiva attraente.

Io credo che l’agricoltura italiana (ed europea) ha bisogno di competitività, non di prezzi garantiti, e che dalle fluttuazioni dei prezzi delle grandi commodities agricole le aziende potrebbero anche trarre profitto, se fosse loro consentito di raggiungere economie di scala adeguate. Bisognerebbe fare a meno dei sussidi, però.

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Raschiando il barile tedesco… /2010/05/25/raschiando-il-barile-tedesco/ /2010/05/25/raschiando-il-barile-tedesco/#comments Tue, 25 May 2010 12:23:47 +0000 Giovanni Boggero /?p=6044 Nel marasma finanziario che, per la seconda volta in pochi anni, sta mandando sottosopra gli ambiziosi piani riformatori dell’esecutivo tedesco, c’è, a dire il vero, ancora spazio per l’approvazione di qualche provvedimento – in versione liofilizzata, ma pur sempre- condivisibile. Mi riferisco al taglio delle sovvenzioni alle lobby del solare (-16%) e all’accorciamento del servizio militare/civile da nove a sei mesi. Entrambe le misure, previste dal patto di coalizione siglato nell’ottobre scorso, sono un compromesso tra liberali e democristiani. Nonostante l’annacquamento rimangono però una buona cosa. Ecco perché.

1)       Come ricordammo già in questo articolo per AGI-Energia dell’ottobre scorso, i sussidi al solare sono ormai unanimemente considerati inefficienti (non dai Verdi, vabbé..) rispetto a quanto erogato per altre fonti di energia rinnovabile. Anche gli investimenti nel settore sono assai stagnanti e quasi tutti di fonte pubblica, mentre questo non è il caso dell’eolico, relativamente più concorrenziale e con una quota di investimenti privati molto più elevata, come ricordano anche dall’IW di Colonia. Manca ancora il voto del Bundesrat, ma siamo in dirittura d’arrivo. Bene.

2)      L’FDP avrebbe voluto un’abolizione totale, sul modello di molti altri stati europei. Come accaduto altrove, ha dovuto piegarsi e accettare soltanto una ulteriore riduzione del periodo di coscrizione obbligatoria. Vena militarista dei democristiani? Niente affatto; o meglio, non solo. Eliminando il servizio militare, si sarebbero tagliate le ali anche ai nove mesi (già ridotti nel 2004 dai tredici precedenti!) di servizio civile, potente mezzo di ammortizzazione sociale. Con 10 euro al giorno- alla faccia del precariato!- decine di migliaia di studenti svolgono servizi di prima necessità in case di riposo, ospedali, enti pubblici e privati. Un esercito di parastipendiati pubblici che non si esaurisce mai. Privarsene non sarebbe affatto popolare. Ed Angie bada alla sostanza.

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Se Cameron riscopre la centralità del lavoro /2010/04/22/se-cameron-riscopre-la-centralita-del-lavoro/ /2010/04/22/se-cameron-riscopre-la-centralita-del-lavoro/#comments Thu, 22 Apr 2010 12:25:07 +0000 Carlo Lottieri /?p=5740 Sarà che ora le elezioni, da “già vinte” che erano, nelle ultime settimane si sono fatte assai incerte e c’è perfino chi scommette su un Regno Unito senza maggioranza. Sarà che magari c’è stato un soprassalto di serietà, dopo un’orgia di retorica a buon mercato e uno spaventoso vuoto di idee. Sarà che alla fine qualcuno si è convinto che taluni principi anche elementari (che il lavoro è importante, che la responsabilità è cruciale, che l’imprenditoria è il motore dell’economia) sono piuttosto radicate in larga parte della società, a Londra come altrove. Sarà per questo o per altro ancora, ma è comunque doveroso registrare che nel “Welfare Contract” proposto da David Cameron agli inglesi con lo scopo di riformulare – in caso di vittoria dei conservatori – le relazioni sociali e soprattutto la rete di protezione, alcune idee buone ci sono.

In primo luogo, è evidente la volontà di condizionare i sostegni per i disoccupati ad un comportamento attivo e in sostanza alla disponibilità reale a trovare un altro impiego. Questo è il punto più cruciale delle politiche riformistiche in tema di lavoro (elaborate soprattutto nelle società scandinave) ed è importante che i conservatori l’abbiano fatto proprio.
Oltre a ciò, si intende favorire l’intraprendenza e stimolare una retorica nuova, che valorizzi la voglia di fare, costruire, immaginare e realizzare imprese. Si vogliono proporre spazi e istituti che favoriscano ua nuova imprenditoriale, nella convinzione che non ci si deve occupare solo di intervenire sui fallimenti, ma si devono anche favorire o comunque non ostacolare nuove storie di successo.
L’idea è che si debba agire non soltanto a favore di quanti sono senza lavoro, ma anche e soprattutto per mutare l’atteggiamento di chi non ha un lavoro e neppure lo cerca. (A pagina 5 del testo, tra l’altro, compare una tabella su questi “non lavoratori”, persone che hanno abbandonato anche la speranza di trovare un impiego, e l’Italia purtroppo si rivela al primo posto in Europa in questa speciale classifica.)
Sia chiaro: quello presentato da Cameron è un programma elettorale, e quindi non mancano elementi demagogici, proposte discutibili o peggio, insieme a una certa pretesa di “governare” questo settore del mercato.
Però è importante che ora i conservatori si concentrino sulla creazione di lavoro: non da intendersi soltanto come una crescita degli impieghi, ma anche e soprattutto come una maggiore mobilitazione della società e come l’opportunità per un crescente dinamismo. Non sarebbe male se anche alle nostre latitudini si prestasse attenzione a questi sviluppi.

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Il bando agli Ogm ci costa miliardi. Le stime dell’USDA /2010/03/23/quanto-ci-costa-il-bando-agli-ogm-le-stime-dellusda/ /2010/03/23/quanto-ci-costa-il-bando-agli-ogm-le-stime-dellusda/#comments Tue, 23 Mar 2010 10:04:01 +0000 Giordano Masini /?p=5470 L’United States Department of Agricolture ha stilato un rapporto sulla nostra agricoltura che già dal titolo è tutto un programma: The financial cost to corn growers of Italy’s ban on biotechnology. Questo è un breve estratto dalla presentazione:

Italian conventional corn growers lose an estimated €175 to €400 per hectare because they are not allowed to grow Bt corn, resulting in total annual losses of €150 million to €350 million. Since 1998 the total loss to Italian farmers due to the prohibition on Bt corn alone is estimated at €2.4 and €5.1 billion. Farmers of conventional crops have lower profits because of higher pesticide costs and lower yields due to pest damage.

The Council of State’s recent ruling in favor of Futuragra, the pro-biotech farmers’ association that brought the Ministry of Agriculture to court over its ban on the cultivation of biotech crops in Italy, threw into relief the financial implications of prohibiting biotechnology. By using conventional seeds, Italian farmers lose millions each year from unnecessary pesticide costs and crop damage.

Ma il nostro Ministero delle Politiche Agricole ha, evidentemente, altre informazioni ed altri consulenti, se il ministro Zaia ha deciso comunque di opporsi in ogni modo alla sentenza del Consiglio di Stato.

Un’ultima annotazione (ad uso di coloro che ritengono di rappresentare gli interessi degli agricoltori): se l’USDA stima che ogni anno le perdite per ogni ettaro di mais convenzionale in Italia si aggirino tra 175 e 400 euro, lo stesso ettaro di terra riceve una cifra oscillante tra zero e 360 euro l’anno circa di sussidio.

(Grazie a BBB per la segnalazione)

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Le aperture agli Ogm evidenziano le contraddizioni della Pac /2010/03/04/le-aperture-agli-ogm-evidenziano-le-contraddizioni-della-pac/ /2010/03/04/le-aperture-agli-ogm-evidenziano-le-contraddizioni-della-pac/#comments Thu, 04 Mar 2010 08:33:16 +0000 Giordano Masini /?p=5306 Prima c’è stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha ammesso la coltivazione delle varietà geneticamente modificate iscritte al catalogo comune europeo, poi la notizia dell’iscrizione allo stesso catalogo di una varietà di patata destinata all’uso non alimentare. A giudicare dalla canea di reazioni suscitate da entrambe le notizie potremmo pensare di essere alla vigilia di una vera e propria rivoluzione del settore agroalimentare. In realtà sono solo timidi passi che non scardinano i presupposti su cui si basa la Politica Agricola Comune, ma che ne evidenziano ulteriormente le contraddizioni.

In realtà l’unica varietà Gm della quale è consentita la coltivazione in Europa è il mais BT Monsanto, a cui oggi si aggiunge la patata della Basf. In paragone a ciò che succede nel resto del mondo, dove un agricoltore è libero di scegliere tra tutte le varietà Gm presenti sul mercato, è ben poca cosa, e chi in Europa (tralasciando per un momento il caso disperato dell’Italia) volesse vedere riconosciuto il suo diritto equivalente a poter coltivare grano o pomodori Gm deve aspettare il via libera di Bruxelles.
L’Unione Europea si arroga il diritto, assai poco naturale, di stabilire ciò che è giusto o meno produrre, attraverso divieti (come nel caso degli Ogm, ma anche per quelle produzioni vincolate a “quote”, come vino e latte), oppure attraverso incentivi e sussidi legati in larga parte a vincoli sulle modalità produttive, come il sostegno all’agricoltura biologica o l’enorme quantità di stanziamenti che attraverso i fondi strutturali e i Piani di Sviluppo Rurale delle regioni finanziano le produzioni “di qualità”.
Sono in molti ad avvantaggiarsi di questa situazione: l’industria agroalimentare, che in un mercato drogato dai sussidi si trova spesso a comprare materie prime a prezzo di costo, e la rappresentanza politica e sindacale, che svolge il ruolo (ormai istituzionalizzato) di intermediazione tra agricoltori ed enti erogatori. C’è un bel vantaggio anche per la rendita fondiaria, dato che terreni che rendono poco sul mercato rendono però sussidi e contributi, e continuano ad avere quindi un valore elevato.
Gli agricoltori invece grazie alla Pac sopravvivono, ma rinunciano, in cambio della sussistenza, a sviluppare le loro aziende in libertà. E il costo dell’agricoltura sussidiata, vincolata e certificata ricade quasi per intero sulle spalle dei contribuenti.

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