CHICAGO BLOG » supervisione finanziaria http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Perché parlare solo del banker’s bonus? E quelli dei regolatori? /2009/10/03/perche-parlare-solo-del-bankers-bonus-e-quelli-dei-regolatori/ /2009/10/03/perche-parlare-solo-del-bankers-bonus-e-quelli-dei-regolatori/#comments Sat, 03 Oct 2009 19:42:52 +0000 Oscar Giannino /?p=3107 Beatrice Weder De Mauro, del Consiglio Economico degli Esperti tedesco, ha sollevato un problema essenziale. Perché tutti i politici si occupano con dovizioso compiacimento degli eccessivi bonus dei banchieri, e dimenticano che la crisi è figlia della cattura dei regolatori? Evidentemente, o nessuno di loro ha mai letto quel che George Stigler scrisse sull’argomento, ormai decenni fa, oppure semplicemente preferiscono ignorarlo, perché i regolatori li hanno nominati loro, e sono stati loro a tenere gli occhi ben chiusi di fronte al fatto che diventavano prigionieri delle megainvestment banks. Di conseguenza, più che delle fees dei banchieri bisognerebbe parlare degli incentivi dei regolatori, e di come congegnarli per ottenere che essi siano commisurati al raggiungimento  dei risultati di crescita nella stabilità e solvibilità che essi devono tutelare. La tesi ha suscitato un vasto dibattito, molti dei cui interventi di prestigiosi economisti di tutto il mondo trovate qui.   Personalmente sono più d’accordo con la necessità di discuterne espressa da Alberto Alesina, a cominciare dalla FED e dai regolatori americani ma senza dimenticare la BCE e lo schema De la Rosiere superficialmente modificato di cui si parla in Europa, che con la contrarietà alla soluzioni dichiarata da Luigi Zingales.

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Pittsburgh: vedere per credere, e Draghi sale /2009/09/26/pittsburgh-vedere-per-credere-e-draghi-sale/ /2009/09/26/pittsburgh-vedere-per-credere-e-draghi-sale/#comments Sat, 26 Sep 2009 19:10:37 +0000 Oscar Giannino /?p=2992 Ho passato parte della giornata a farmi un’idea dei documenti conclusivi del G20, di quel che c’è scritto, e di quel che resta tra le righe. Innanzitutto è meglio leggere i documenti originali. Qui il testo conclusivo del vertice, con i suoi 31 impegni e 50 aree tematiche – 50! – di implementazione delle misure da definire in maniera concordata, e variamente adottare visto che poi sono i livelli di sovranità nazionale a suonare la musica in concreto. Qui le proposte al G20 avanzate dal Financial Stability Board, 12 paginette con 55 paragrafi che hanno il pregio di essere molto chiari, e qui la relazione sempre del FSB al G20 sui progressi effettuati dal G20 di Londra di aprile a oggi. Qui infine il comunicato finale sempre del FSB, in cui si traduce in obiettivi concreto, in materia di rafforzamento della supervisione bancaria e finanziaria, quanto nel documento del G20 è assai più fumoso. Il bilancio? Non entusiasmante, a mio giudizio. Draghi va avanti bene sulla sua strada e il mondo intero gli è grato, però. Questo almeno è sicuro. E la politica italiana farebbe bene a rifletterci, invece di lasciar che sia il Wall Street Journal a candidarlo alla guida della BCE. 

Sulla morte del G8, l’unico foro in cui l’Italia aveva un ruolo da comprimario primattore, ho già scritto ieri sera per il Messaggero di oggi. Che davvero si debba prendere alla lettera l’impegno che il “Framework for Strong, Sustainable, and Balanced Growth” esponga nel G20 a una peer review incrociata che faccia rientrare gli eccessi di deficit commerciale americano e del saldo di parte corrente che lo pareggia, obbligando gli USA a importare di meno e la Cina a consumare di più, mi sembra un classico sogno alla Obama anche se mi rendo conto sia molto conveniente credere che siamo davvero alla svolta del XXI secolo. Mi accontenterei di vedere, di qui a fine anno come promesso, prender corpo in dettagli concreti le proposte del FSB sugli otto punti che sono poi la ciccia essenziale: i requisiti di capitale bancario da rafforzare in amount and quality, con cuscinetti anticlici per evitare effetti contrari (qui c’è il problema tedesco, che per l’Europa a leva tuttora maggiore degli USA è pesante, e voglio vedere come si risolve); un nuovo standard di liquidità cross border da introdurre, per evitare asfissie future del’interbancario; i criteri di macrostabilità per gli intermediari che pongano rischi sistemici a prescindere dal Paese in cui siano incardinati; un set comune tra IASB e FASB, Usa e Ue  sui criteri contabili-patrimoniali; l’adesione da parte FASB a standard comunque condivisi; la stretta annunciata a hedge funds e agenzie di rating; le camere di clearing per i derivati OTC, con innalzamento dei margini per partecipare al loro mercato; il rilancio della securitization su basi più solide. Lascio da parte la proposta sui compensi bancari, perché quella è fuffa per politici alla ricerca di applausi.

La parte più concreta, dunque, è affidata ai lavori coordinati da Draghi, ed entro fine anno si vedranno le prime proposte, da attuare tra fine 2010 per i requisiti di capitale bancari e 2012 per i derivati. Vedere per credere. Ma Draghi sale, eccome se sale.

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Pittsburgh, teniamoci bassi /2009/09/24/pittsburgh-teniamoci-bassi/ /2009/09/24/pittsburgh-teniamoci-bassi/#comments Thu, 24 Sep 2009 18:36:46 +0000 Oscar Giannino /?p=2956 È un consiglio programmatico: dopo un anno di chiacchiere e distintivo, preferisco non continuare a inseguire il proliferare astronomico di ricette e proposte che in teoria a Puittsburgh domani e dopodomani dovrebbero essere varate, delibate, indicate e sussunte. Quando capiremo qualcosa di concreto, se ci sarà qualcosa di concreto e non solo la recita di un quadro coordinato di princìpi generali che ognuno attua o meno come però vuole a casa sua, allora varrà la pena di commentare e analizzare. Per oggi, come viatico programmatico al tenersi bassi, mi limito a due indicazioni. La prima: ha ragione Taylor, l’exit strategy può cominciare subito dal NON PIU’ attribuire al FMI tutte le risorse che erano state deliberate, perché NON servono.  La seconda: come al solito è la Banca dei Regolamenti Internazionali, a vincere la gara dei papers preparatori più seri e concreti e meno pindarici.

Sul primo punto, mi limito a segnalare il post di John Taylor sul suo blog. Il FMI ha finora impegnato in prestiti solo il 7 % dei 750 milardi di diritti speciali di prelievo che gli erano stati straordinariamente assegnati all’inizio dell’aprile scorso, molto meno ancora di quanto non avvenne nella raffica di crisi finanziarie dei Paesi emergenti, nella seconda metà degli anni Novanta. In più, oggi l’economia mondiale è trainata proprio da quei Paesi, e non sono le crisi potenziali dell’Est Europa o Russia a giustificare una simile panoplia di risorse a disposizione. Si inizi a tagliare, perché troppi denari  a disposizione di enti pubblici alla ricerca di ruolo sono sempre una ghiotta occasione per sprechi inutili.

Quanto al ruolo della BRI o BIS se seguite l’acronimo inglese, segnalo dalla bellissima Quarterly Review appena uscita:

-   questa proposta in materia di derivati Over The Counter, volta a creare camere di compensazione assai meno ideologicamente vincolanti dei tanti deliri proibizionisti fioriti ultimamente sulle bocche di tanti insospettabili economisti ammazza-finanza;

-   questa analisi su una possibile eventuale metodologia per classificare i diversi tipi di intermediari finanziari in classi di rischio macrosistemico, con esempi concreti rispetto al situazione attuale mondiale;

- infine questa ricerca su come  e perché il costo dell’equity bancario divenisse sempre meno sensibile, nel quindicennio 1990-2005, al crescere del rischio sul mercato e di mercato.

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Bonus bancari e crisi /2009/09/22/bonus-bancari-e-crisi/ /2009/09/22/bonus-bancari-e-crisi/#comments Tue, 22 Sep 2009 13:15:03 +0000 Oscar Giannino /?p=2916 Da fonti molto autorevoli, la dritta secondo la quale stamane il vertice del Financial Stability Board era molto soddisfatto del pacchetto di misure che porterà a Pittsburgh.  Gli americani avrebbero superato le divergenze tra diverse autorità di regolazione, e i dissensi tra americani e franco-tedeschi sarebbero superati in materia di maggiori requisiti di capitale degli intermediari. Vedremo tra poco, ormai. Il caveat è che in Congresso USA la proposta di Chris Dodd, il potente capo del banking commitee “molto ma molto” vicino alle grandi banche, mi sembra tuttavia un potente squillo di tromba per richiamare l’Amministrazione al realismo: proposte calate “dall’alto” non passano, dice il potente lobbysta. Che non a caso propone di unificare FED, FDIC, Comptroller of the Currency oe Office for Thrift Supervision: una proposta che haun mero ed esplicito sapore interdittivo, perché non passerebbe mai. Anche sulla disciplina delle remunerazioni, parrebbe che al FSB il compromesso raggiunto tra mnondo anglosassone e continentaleuropei – i francesi restano al momento insoddisfatti – venga considerato positivo. Sarebbe interessante giudicare sulla base di quali seri studi e ricerche venga avanzata la proposta. Perché, anche se è largamente popolare e addirittura intuitivo che bonus a corto termine abbiano accompagnato e spinto la finanza ad alta leva, tuttavia per serietà va detto quel che continua a mancare è la prova logico-deduttiva. Quella analitica, insomma.

Oggi sul Sole Guido Tabellini spende considerazioni di buon senso, contro l’accanimento demagogico. Ma anche lui resta “corto” di evidenze probatorie. Vi propongo allora di consultare quello che a mio giudizio è attualmente la più seria, documentata e recente ricerca sul tema della supposta inferenza bonus-crisi.  I due autori, Fahlenbrach e Stultz della Ohio University, scrivono nell’abstract conciso le conclusioni alle quali sono giunti.

We investigate whether bank performance during the credit crisis of 2008 is related to CEO incentives and share ownership before the crisis and whether CEOs reduced their equity stakes in their banks in anticipation of the crisis. There is no evidence that banks with CEOs whose incentives were better aligned with the interests of their shareholders performed better during the crisis and some evidence that these banks actually performed worse both in terms of stock returns and in terms of accounting return on equity. Further, option compensation did not have an adverse impact on bank performance during the crisis. Bank CEOs did not reduce their holdings of shares in anticipation of the crisis or during the crisis; further, there is no evidence that they hedged their equity exposure. Consequently, they suffered extremely large wealth losses as a result of the crisis.

Su queste basi, credere che le remunerazioni siano state cause, invece che effetti, mi pare un po’ azzardato.

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Vigilanza europea, che pastrocchio /2009/09/22/vigilanza-europea-che-pastrocchio/ /2009/09/22/vigilanza-europea-che-pastrocchio/#comments Mon, 21 Sep 2009 23:56:05 +0000 Oscar Giannino /?p=2910 Nella tarda serata il Financial Times ha rivelato che la Commissione Europea è omai a un punto decisivo nel wording delle nuove norme in materia di vigilanza bancaria e finanziaria, sulla scorta delle modifiche concordate al rapporto De Laroisiere. Barocche erano le proposte del rapporto, rococò sarebbe la proposta della Commissione. Nascerebbe un European Systemic Risk Board composto dalla somma delle banche centrali e delle Consob di tutti e 27 Paesi membri, nonché tre organi di vigilanza per soggetti, uno per le banche , uno per le assicurazioni, uno per le securities. Questi tre soggetti dovrebbero prima procedere a stilar enuove norme e princ^pi comuni, poi sottoporli nuovamene alla Commissione. I nuovi supoervisori non potrebbero intromettersi nelle decisioni assunte per competenza di finanza pubblica dagli Stati membri, ma potrebbero intervenire in controversie tra soggetti nei diversi ambiti nazionali, o in decisioni riguardanti soggetti appartenenti a Paesi membri diversi. Ma in quest’ultimo caso il potere di appello e di decisione finale spetterebbe al Consiglio europeo, a maggioranza qualificata. E’ un pastrocchio pletorico e inefficiente. Poiché l’Europa politica non esiste in quanto i debiti pubblici nazionali restano diversi, e così restano nazionali le politiche in materia di quali intermediari finanziari salvare a spese del contribuente, si tratta al più di comitati di scambio infomativo e di coordinamento d’azione, nel caso in cui i governi ritengano di avere interessi convergenti. Finora, non è accaduto: basti considerare la decisione di rinviare al dopo elezioni germaniche ogni misura concreta di pulizia delle scassatissime banche tedesche.

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Banche e crisi, quale va meglio e perché. Regolatori, che fare? /2009/08/13/banche-e-crisi-quale-va-meglio-e-perche-regolatori-che-fare/ /2009/08/13/banche-e-crisi-quale-va-meglio-e-perche-regolatori-che-fare/#comments Thu, 13 Aug 2009 19:30:33 +0000 Oscar Giannino /?p=2060 A due anni dai primi segni sui mercati della crisi poi “esplosa” dopo il fallimento di Lehman, inizia a essere tempo di studi comparati sulle performances di coloro dai quali la crisi è nata, banche e intermediari finanziari. Tra i tanti, questo mi sembra particolarmente utile, a opera di Andrea Beltratti della Bocconi e Rene Stulz dell’Ohio State University.  Adoperando un vasto data set riferito alle maggiori banche dei Paesi Ocse e utilizzando il criterio del ritorno azionario, i ricercatori si pongono quattro domande. In che modo per le grandi banche i diversi andamenti all’esplodere della crisi e successivamente sono correlati ai modelli di governace degli istituti e a quelli dei Paesi d’origine in cui sono incardinati, poi se e come crisi più accentuate siano legate al modello di regolazione e supervisione nazionale, e infine quali relazioni vi siano con il conto patrimoniale e lo specifico modello di attività dei diversi istituti. Le conclusioni  di Beltratti e Stulz offrono una miniera di buoni argomenti su cui riflettere, per i regolatori alle prese con la modifica delle architetture di vigilanza e dei princìpi contabili.

Grandi banche con modelli di governance di quelli che noi amici del mercato prediligevamo, cioè più shareholder friendly, hanno performato peggio.  Quelle appartenenti a Paesi in cui i regolatori avevano posto requisiti di capitale più rigorosi, hanno performato meglio. In alcuni casi – per questo sottogruppo –  hanno registrato perdite azionarie maggiori nei primi mesi, ma solo perché regolatori forti e indipendenti hanno imposto ricapitalizzazioni energiche, invece di pensare a salvataggi dei peggiori e ad abbassare la disciplina patrimoniale per tutti gli altri, come avvenuto in Paesi dove il regolatore è meno indipendente rispetto alla politica (e il meno tra tutto, oggi, è quello americano!).  I regolatori “forti” hanno preferito perdite maggiormente addossate agli azionisti, e aumenti di capitale onerosi per loro, piuttosto che addossare i costi della minor disciplina patrimoniale bancaria al contribuente. Le banche più forti sul Tier1 e con più depositi sono candidate nel medio periodo a risultare premiate:  ma se nel dopo Lehman il vantaggio doveva andare a quelle con asset più liquidi e maggiori impieghi ordinari, il compromesso a sostenere le peggiori realizzato da grandi regolatori come quelli americani  rischia invece di rimettere in posizione di vantaggio chi incentra il proprio modello soprattutto sul propriety trading  e che ancor oggi può contare su una disciplina patrimoniale e su una supervisione più lasca di quella di modello italiano. Ecco da dove nasce il perdurante successo di Goldman Sachs.

Questo altro paper, più per addetti ai lavori,offre un suggerimento sul quale sono particolarmente d’accordo. I due economisti svedesi che ne sono autori mettono sotto il microscopio la disciplina dei requisiti di capitale prevista da Basilea II, alla luce di un’analisi approfondita  delle diverse componenti del rischio. Mentre la componente “continua” del rischio  corrisponde a quella generalmente stimata e scontata dal mercato, quella erratica collegata al “rischio d’evento” è pressoché totalmente ignorata da Basilea II, nonché volutamente estranea ai molteplici modelli di VaR autoelaborati dalle grandi banche USA (e non solo,vedi D e CH). Il risultato paradossale è che il rischio “d’evento” pesa fino al 30% del rischio di portafoglio complessivo  delle aziende small caps – classicamente in settori diversi da quello finanziario, i cui libri sono passati sotto severo esame dalle banche per decidere se concedere o meno credito – mentre pesa meno dell’1% per le grandi banche, da cui la crisi si è originata proprio per questo.  I regolatori e il Financial Stability Board guidato da Mario Draghi potrebbero utilmente dedurne che occorrono requisiti di capitale variabili  per tipo di asset finanziario intermediato con diverso rischio di solvibilità e di prenditore, imponendo alle banche commerciali – che lavorano con denaro dei depositanti – una total disclosure in materia. Negli Usa, al momento – ma ripeto non solo lì- non si è visto niente di tutto questo, sinora.

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