CHICAGO BLOG » spesa pubblica http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 19:45:09 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Tremonti rilancia gli eurobond. Sarà dura, perché.. /2010/12/06/tremonti-rilancia-gli-eurobond-sara-dura-perche/ /2010/12/06/tremonti-rilancia-gli-eurobond-sara-dura-perche/#comments Mon, 06 Dec 2010 11:08:38 +0000 Oscar Giannino /?p=7787 All’Eurogruppo di stasera e all’Ecofin di domani Tremonti e il presidente dell’Eurogruppo Juncker riproporrano gli eurobond europei, questa volta non per rilanciare gli investimenti pubblici ma anche e sprattutto per swappare titoli dei Paesi a rischio nell’eurozona. Ho dei fortissimi dubbi che per i tedeschi la proposta sia accettabile.  E una controproposta, dovessi essere io al tavolo.

Che cosa continua a non funzionare, nelle regole europee sin qui stabilite dopo il caso greco e quello irlandese? Che cosa non convince ancora, dopo che la Germania di Angela Merkel e la Francia di Sarkozy hanno formalmente confermato che il loro patto di Deauville diverrà proposta formale e ufficiale al Consiglio europeo, e cioè che dopo il 2013 l’attuale fondo di stabilità finanziaria EFSF varato dopo il salvagente alla Grecia diventi un meccanismo stabile – per questo serve una modifica al trattato europeo – al quale comparteciperanno anche le banche private? Non si era detto nel corso degli ultimi mesi che i salvataggi avvenivano in realtà solo per tuteklare non gli euromembri a rischio ma le banche stesse di Germania e Francia, visto che sono imbottite di titoli sovrani europei che fino a qualche mese fa avevano premi di rischio diversificati solo nell’ordine delle decine e non di centinaia punti base? Perchè non considerare allora favorevolmente, l’idea tedesca degli haircuts, cioè che le banche stesse si espongano in caso di rischio default dei Paesi di cui hanno comprato i titoli, a tagli degli interessi attesi se non a una rinuncia di parti stesse del capitale stesso impegnato?

La prima cosa che i mercati hanno capito, sapendo far di conto, è che tali haircuts più che tagli di capelli finirebbero per essere tagli di teste. Un analista di JPMorgan la settimana scorsa ha calcolato che una decurtazione pari a non più del 20% del valore di rimborso dei titoli pubblici dei Paesi a rischio – cioè Grecia e Irlanda, Portogallo e Spagna – basterebbe oggi come oggi a determinare l’azzeramento del capitale proprio delle maggiori banche francesi.

La seconda cosa che i mercati hanno capito, sapendo sempre far di conto sin qui ancora una volta meglio di regolatori e governi, è che i tassi d’interesse ai quali si dovranno sottoporre gli euromembri “deboli”, per effetto delle nuove regole tedesche, spingono in realtà questi paesi non a salvarsi, ma semplicemente al baratro. Per fare un solo esempio: poiché l’Irlanda è tenuta a pagare un rendimento del 5,8% sul prestito fattole dal Fondo Monetario internazionale e dall’EFSF.  Nelle condizioni attuali e proiettate nel triennio delle finanze pubbliche irlandesi, questo significherà che al 2014 i soli oneri sul prestito rappresenterebbero il 25% del totale delle entrate di Dublino. Una condizione di default peggiore di quella rischiata per i soli salvataggi bancari.

L’Irlanda si troverebbe a trasferire ogni anno il 10% del suo reddito nazionale tra interessi sui prestiti vecchi e nuove emissioni: siamo a proporzioni analoghe a quelle dei debiti di guerra imposti alla Germania a Versailles dopo la prima guerra mondiale, tra le grida di Keynes che per una volta vide giusto, ammonendo che così facendo si mettevano solo le basi per un nuovo conflitto europeo che sarebbe invece poi diventato mondiale. Persino uno dei pochi sinceri europeisti americani, come il liberal Barry Eichengreen che insegna economia e scienze politiche a Berkeley, ha scritto sdegnato sull’Handesblatt che questo bel pasticcio gli ha fatto cambiare idea sull’euro, perché se le classi dirigente europee sono così “corte di leadership” allora la moneta unica è destinata a saltare.

Di fronte alla malaparata degli spread impazziti di Spagna e Portogallo – e per la prima volta anche dei BTP italiano sopra i 200 bps sul BUND -  i governi europei riservatamente si sono inginocchiati di fronte al board della BCE, implorandola di informare i mercati che la banca centrale è pronta a comprare quantità industriali di titoli dei Paesi a rischio, fino a piegare il mercato nella sua speculazione se necessario. Cosa che la BCE ha sia pur riottosamente accettato di dire, contraria com’è alla monetizzazione del debito massicciamente praticata invece dalla FED.

Senonché anche questa terza cosa i mercati rischiano di capirla come una nuova circostanza aggravante. Se la BCE copre con acquisti, tanto vale per fondi monetari, banche che devono disintermediare titoli pubblici ed hedge funds scatenarsi a briglia sciolta sull’aumento degli spreads e scommesse sui relativi futures, è come dire al mercato che ci sono di aggio possibile 1000 basis points per la Grecia, 800 per l’Irlanda, 5 o 600 per Portogallo e Spagna, e magari fino a 380 o 400 per gli stessi titoli italiani, forbici amplissime in cui far razzia con la stessa facilità con cui si possono rubare le offerte dalle cassette in Chiesa. Per di più senza rischiare di rimetterci nulla della carta che ti resta in mano, dopo gli acquisti calmieratori della BCE.

Quali ricette, allora? Gli europeisti inguaribili, quelli che fanno finta che la Germania non abbia solidi limiti costituzionali e politici al salvataggio altrui, predicano e ripetono che bisogna far nascere la fiscalità congiunta europea. S’illudono, a mio giudizio.  Dui tutto abbiamo bisogno, tranne che di un fisco armonizzato. In Italia, le tasse devono scenddere se vogliamo sopravvivere e crescere.

C’è poi il, fronte degli eurorealisti comunque ottimisti, in cui militano Tremonti e  Juncker con la loro idierian proposta “eurobond salvacicale”.  Non si è riusciti a far decollare gli eurobond per finanziare la crescita e gli investimenti fuori dai limiti al deficit posti dal Patto di stabilità, non credo che nasceranno più facilmente a copertura di chi ha bolle scoppiate da curare. Il ministro Schauble, appena promosso dal Financial Times primo nella graduatoria europea di credibilità, ha già detto che ècpntrario.

I mercatisti come me, contrari a ogni armonizzazione fiscale che significherebbe solo eternare tasse altissime per tutti invece di farle scendere, pensano invece che è molto meglio occuparsi del problema vero: cioè le banche che hanno in pancia i titoli. I mercati scommettono che le banche tedesche e francesi non si toccano, a costo di far saltare l’euro. Meglio ripatrimonializzare direttamemente quelle banche allora, come i tedeschi con la loro opacità sugli attivi e gli stress test farsa non hanno voluto fare, che obbligare paesi interi a trasferire fette inaudite di ricchezza dei contribuenti a quelle stesse banche per anni a venire.

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Poche tasse, molte entrate. Perché l’Irlanda non vuole alzare le imposte sulle imprese /2010/11/25/poche-tasse-molte-entrate-perche-l%e2%80%99irlanda-non-vuole-alzare-le-imposte-sulle-imprese/ /2010/11/25/poche-tasse-molte-entrate-perche-l%e2%80%99irlanda-non-vuole-alzare-le-imposte-sulle-imprese/#comments Thu, 25 Nov 2010 20:03:13 +0000 Carlo Lottieri /?p=7689 Alle prese con gravi problemi di bilancio conseguenti alla decisione davvero improvvida di salvare le proprie banche e quindi costretta ad affrontare un deficit fuori controllo (superiore al 30% del pil), l’Irlanda sta studiando in vari modi come ridisegnare la propria economia. Ci saranno tagli alle spese e, soprattutto, vi sarà un massiccio aiuto dal resto d’Europa. Non è sorprendente che in questa situazione si inviti l’Irlanda a modificare le proprie regole in materia fiscale, in particolare accrescendo il prelievo sulle imprese, che oggi è tra i più modesti d’Europa, dato che è solo al 12,5%.

Da questo orecchio, però, gli irlandesi sembrano non sentirci, per ragioni che un recente intervento di Nicolas Lecaussin dell’Iref (Institut de Recherches économiques et fiscales) ha illustrato molto bene.

L’Irlanda è infatti il Paese europeo che ottiene le entrate fiscali maggiori. Può sembrar strano che aliquote limitate producano grandi attivi, ma è così. In questo caso non si tratta in primo luogo di portare la mente alla “curva di Laffer” (che evidenzia come la tassazione, oltre un certo livello, deprima la produzione e quindi finisca per comprimere anche le entrate tributarie), quanto invece di aver ben presente che siamo ormai in un’economia largamente basata sulla concorrenza tra sistemi fiscali, legali e regolamentari. E poiché molte attività hanno una forte propensione a spostarsi, è normale che si trasferiscano dove il prelievo è più modesto.

In questo senso, i dati sono eloquenti. Con un’aliquota del 12,5% l’Irlanda riesce a introitare il 3,9% del pil, mentre la Francia ottiene solo il 3% (nonostante una tassazione al 34,4%), la Germania il 2,1% (con una tassazione al 29,8%) e la vecchia Europa “a 15” il 3,4% (con una tassazione media del 23,2%). Senza questa limitata tassazione, l’Irlanda non avrebbe mai conosciuto lo straordinario sviluppo che ha avuto negli ultimi trent’anni.

Il boom della Tigre celtica è stato figlio in larga misura, infatti, proprio della lungimirante decisione di abbassare le imposte, i contributi sociali, la regolamentazione. E se ora a Dublino la situazione è divenuta drammatica, questo si deve al fatto che le banche irlandesi – come quelle americane – si sono lanciate in operazioni irragionevoli (dando soldi a chi non era in grado di restituirli) e poi alla “generosità” con il ceto politico è corso in loro aiuto.

Ora anche i Paesi europei hanno messo mano al portafoglio, per togliere l’Irlanda dai guai, ma l’hanno fatto anche al fine di premere sul governo dell’isola affinché cambia la sua fiscalità. Gli “inferni fiscali” del continente – Germania, Francia, Italia ecc. – non sono disposti a sopportare la concorrenza delle economia a limitata pressione fiscale, ma i dati sulle entrate e l’esigenza di guardare al futuro sembrano indurre gli irlandesi a non modificare il loro sistema tributario. Speriamo sappiano resistere a lusinghe e minacce.

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È necessaria una tragedia greca per ottenere le liberalizzazioni anche in Italia? /2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/ /2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/#comments Wed, 24 Nov 2010 13:44:15 +0000 Guest /?p=7686 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Luigi Ferrata:

Vittorio da Rold su il Sole 24 Ore del 23 novembre analizza le ricette adottate dal Governo greco per fronteggiare la crisi.  Si tratta di una serie di liberalizzazioni e riforme strutturali che incidono in profondità nel tessuto sociale e burocratico del Paese. Da Rold sottolinea anche come Papandreu sia consapevole dell’impopolarità delle proprie scelte, ma che sia determinato a proseguire anche a costo di essere sconfitto alle elezioni.

Fa un certo effetto scorrere la lista e vedere come il Primo Ministro stia procedendo verso una maggiore liberalizzazione delle professioni di avvocato, ingegnere, farmacista e medico per ottener l’aumento di un punto di PIL. E ancora per risparmiare e snellire i costi burocratici il Governo greco è anche riuscito a far passare una riforma dell’organizzazione statale grazie alla quale sono state eliminate le 57 province per sostituirle con 13 macroregioni ed addirittura il Governo ha ottenuto che molti comuni venissero accorpati garantendo risparmi nell’ordine di un miliardo e mezzo all’anno.
Tra le altre misure adottate una seria lotta all’evasione fiscale, basata anche sull’utilizzo della tecnologia fornita da Google Maps per individuare gli evasori.

In sostanza le misure adottate in Grecia sono considerate le ricette necessarie per uscire dalla crisi: in altre parole per salvarsi la Grecia ha compreso l’importanza e l’urgenza di liberalizzare il mercato ed il Governo è disposto a sopportarne il costo politico nell’interesse del paese, confortato dal fatto di poter guadagnare in termini di crescita del Pil.

Rileggendo il paragrafo e sostituendo le parole Grecia e a Papandreu con Italia e Berlusconi si ottiene una fattispecie che dovrebbe essere perfettamente adattabile anche al nostro Paese ma che purtroppo non viene implementata.

A mio avviso è paradossale che nella situazione di crisi, anche l’Italia, che sicuramente in termini di crescita non gode di ottima salute, non si arrenda all’evidenza e non decida di imboccare la strada delle liberalizzazioni, tanto più che le scelte effettuate dalla Grecia sono di buon senso, condivisibili e addirittura oggetto dei programmi elettorali dei partiti di maggioranza.

La Grecia per crescere ha scelto, l’Italia vuole crescere, sa cosa deve fare, ma non lo fa.

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Il sadismo del debito pubblico — di Ernesto Felli /2010/11/17/il-sadismo-del-debito-pubblico-%e2%80%94-di-ernesto-felli/ /2010/11/17/il-sadismo-del-debito-pubblico-%e2%80%94-di-ernesto-felli/#comments Wed, 17 Nov 2010 09:25:16 +0000 Guest /?p=7627 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Ernesto Felli:

Ci mancava solo il conta-debito-pubblico di IBL e Chicagoboys. Quelli di IBL e Chicago-blog non solo sono mercatisti, antistatalisti e teapartisti. Sono pure sadici, perfidi e un pochettino diabolici. Spiattellarci in tempo reale le tredici cifre, in continua espansione, del debito pubblico italiano è appunto una manifestazione di cattiveria e mancanza di pietas.

Gli economisti di professione come me, e tutti gli addetti ai lavori, conoscono la dimensione del debito pubblico italiano, ma preferiscono esprimerla in percentuale del pil, o, se proprio sono costretti ai valori assoluti, si aiutano con le aggregazioni. In questo caso con i trilioni, che è un termine che esiste nella lingua italiana ma che nessuno è abituato ad usare. Il debito pubblico italiano è pari a (circa) 1,8 trilioni di euro. Detto così fa meno impressione, sono solo due cifre. E, senza il contatore di IBL, si fa persino fatica a concettualizzare un trilione – di certo appare meno minaccioso di mille miliardi. 1,8 trilioni.

Vuoi mettere con le tredici cifre spiattellate sul blog, che uno non riesce nemmeno a compitare. Ti metti paura, cominci a sudare freddo, ti prende il panico. Ce n’era proprio bisogno? Non viviamo già a sufficienza nell’incertezza? Però, ogni buona pedagogia è intrisa di un po’ di sadismo. E perciò, dopo la paura, il sudore e il panico, comincia inevitabilmente la riflessione. E riflettere su questo spaventoso fardello è necessario. Forse anche utile. A patto che non ci si faccia prendere dallo scoraggiamento. Perché una possibile risposta all’oppressione che si impadronisce di noi di fronte ad un fardello simile, è il rigetto. Nel caso specifico, il ripudio. Il ripudio del debito pubblico. Che, come si sa, è uno dei possibili modi per risolvere la faccenda.

Che c’entriamo noi con questo debito? Non potremmo semplicemente sbarazzarcene e ricominciare da capo, stando più attenti questa volta? Eh già, ma come la mettiamo con i creditori? Alcuni dei quali (molti) stanno tra di noi, sono i risparmiatori italiani. Né loro, né tutti gli altri stranieri che hanno sottoscritto fiduciosi i titoli del debito pubblico italiano, la prenderebbero bene, ovviamente. Non la prenderebbero bene nemmeno i famosi mercati. E l’Italia, che già non se la passa bene a causa di questo fardello, sarebbe duramente punita.

Dunque, ripudiare il debito non si può.

E allora? Cosa facciamo?

Tutte le possibili soluzioni hanno in comune un elemento. La riduzione della dimensione dello stato. Questa è la medicina. E non è indolore. Ma è l’unica, e si dà il caso che sia anche giusta. Perché è anche il modo attraverso il quale l’economia italiana potrebbe tornare a crescere.

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Peggio di quel che credete /2010/11/13/peggio-di-quel-che-credete/ /2010/11/13/peggio-di-quel-che-credete/#comments Sat, 13 Nov 2010 14:35:20 +0000 admin /?p=7580 I lettori più attenti noteranno che oggi il valore del debito pubblico stimato dal nostro orologio ha fatto un “salto” di circa 4 miliardi di euro: da circa 1853 miliardi di euro a circa 1857 miliardi.

Come ogni mese, abbiamo manualmente aggiornato il valore del debito tenendo conto del più recente rapporto Bankitalia. La significativa revisione verso l’alto è dovuta a una correzione che la nostra banca centrale ha apportato al suo stesso database, frutto della rivalutazione di alcune voci. La buona notizia, dunque, è che il tasso di crescita da noi stimato si avvicina molto a quello realmente registrato. La cattiva notizia è che il nostro contadebito, che alcuni amici e anche qualcuno meno amico ha definito “un’iniziativa ansiogena”, si è rivelato in realtà tranquillizzante. Abbiamo dipinto un’Italia migliore di quella che è. O, se preferite, l’ansia che possiamo aver generato è inferiore a quella necessaria: ci impegnamo a restare serenamente indifferenti a chi vorrebbe nascondere la polvere sotto il tappeto. Anche perché il tappeto è piccolo e la polvere è una montagna. Comunque, nel tempo in cui avete letto questo breve post (circa 45 secondi) il debito pubblico è cresciuto di quasi 53.000 euro. (ll&cs)

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In piccolo, si può smuovere anche il Quirinale /2010/11/12/in-piccolo-si-puo-smuovere-anche-il-quirinale/ /2010/11/12/in-piccolo-si-puo-smuovere-anche-il-quirinale/#comments Fri, 12 Nov 2010 20:55:39 +0000 Oscar Giannino /?p=7575 Segnalo giusto tre particolari non troppo secondari, a conclusione della giornata: abbiamo lasciato sul sito di questo blog lo stesso intervento video del sottoscritto da mesi, e purtroppo c’era un perché; la scelta del contatore del terrore, cioè del debito pubblico, oggi si comprova di bruciante attualità; in piccolo, sono riuscito senza sforzo e con un minimo di fatica a ottenere che il Quirinale uscisse dall’ambiguità sulla spesa pubblica. Soddisfazioni intellettuali, certo. Solo queste, del resto, possiamo qui permetterci.  Le illusioni dell’eurosalvataggio, recita il titolo del contributo video che ho deciso di lasciare sulla prima pagina di Chicago Blog ormai dai tempi del compromesso in extremis colto al salvataggio greco con la nascita dell’EFSF, in realtà cuscino di ultima istanza rispetto all’intervento che in sede europea resta prioritario per tempi, disponibilità di risorse e competenze, cioè quello del Fondo Monetario Internazionale.  Non l’ho lasciato lì per prigrizia. Era evidente sin dal primo giorno della soluzione maturata sei mesi fa che essa non avrebbe retto al tempo. La Germania restava e resta semopr epiù il vero Paese leader per bilancia commerciale, dei pagamenti, produttività e dunque crescita, nonché per il vincolo ostativo a strumenti strutturali di salvataggio visti i suoi vincoli costituzionali a duifesa della sovranità nazionale. Dall’altra parte, altri paesi oltre la Grecia restavano ineressati da squilibri di bilancia di pagamenti, come il Protogallo che nelle partite correnti sta a meno 11% di PIL, o di bolle ancora non completamente emerse e rettificate con perdite, come l’Irlanda in campo bancario. Quel che non potevamo sapere con certezza ma solo prevedere, e lo abbiamo previsto, è che i due fattori di debolezza intrinseca del compromesso sarebbero stati ulteriormente minati  dalla guerra delle valute rialimentata dalle contraddizioni della politica “lasca” americana sia in campo fiscale e di bilancio sia monetario  da parte della FED, con il conseguente piantarsi della crescita USA, l’indebolimento che l’euro forte apporta ai Paesi più deboli dell’eurozona rispetto alla Germania, e la frenata generale anche europea tranne che a Berlino e a Londra per effetto delle recenti durissime misure di finanza pubblica. I nuovi record storici di questi giorni degli spread irlandesi e portoghesi sul BUND ci danno purtroppo ragione. La conferenza stampa congiunta al G20 dei ministri delle Finanze dei grandi Paesi europei è stata oggi la conferma che siamo di nuovo sull’orlo di un cratere vulcanico. delò resto, la germania ha fatto la sua scelta. sta con la Cina e contro l’America. Io la capisco, ma per noi son dolori.

Secondo: la necessità di fernare il corso del nostro contatore del terrore cioè del debito publico è confermata dal fatto che oggi anche lo spread dei BTP italiani sul BUND ha superato con 192 punti il rec0rd dello scorso inizio giugno. La consolante tesi per la quale l’Italia era fuori dalla crisi non è destinata a restare vera, con questi chiari di luna politici. E non perché io difenda il governo berlusocni o Giulio Tremonti. Al contrario, servirebbero credibili impegni politici adeguati alla bnuova cornice di instabilità. Cioè un governo stabile e un ministro dell’Economia capace e in condizioni di assicurare  un serio èpiano pluriennale di ridimensionamento della spesa pubblica in termini reali, a fronte di credibili , paralleli e immediati sgravi fiscali a imprese e lavoratori. Il governo che sta tirando le cuoia in questi giorni ha creduto e scelto di non poterlo fare per non alzare la temperatura delle polemiche sociali, stanta la difesa a testuggine da parte delle mille lobbies italiane del milione di rivoli della spesa pubblica, che ha continuato a salire in questi anni nella sua parte corrente mentre scendeva in quella per investimenti. Prima che sia troppo tardi, bisogna invertire il segno di questa scelta. Invertitrla con forza e durezza. Indicando in cinque -sei punti di spesa pubbluica e pressione fisdale in meno l’orizzonte triennale di provvedimenti che ridisegnino alcuni punti essenziali del welfare  e della macchina pubblica italiana, con cessioni al mercato di interi comparti di servizi pubblicui che pre restare tali devono essere offerti secondo standard di qualità e di efficienza, ma non gestiti più da dipendenti pubblici pagati dal contribuente. Altrimenti, bisogna sapere che inevitabilmente o quasi  -dietro l’angolo i nuovi governi e le nuove alchimie che ci sta preparando una politica priva di visione in ogni area politica, al centro come a sinistra come a maggior ragione nella destra resa afasica dal dramma berlusconico – magari dopo un’elezione confusa e senza vincitori dotati di maggioranza coesa, la soluzione sarà quella di una patrimoniale con la scusa che chi c’era prima ha raccontato balle.  ma non una patrimoniale come ponte di breve termine per l’adozione immediata di una flat tax di convergenza tra reddito delle persone fisiche e giuridiche sul 20%. Una patrimoniale e basta, per reperire le nuove risorse che tutti vogliono spendere per far ancora lievitare la spesa pubblica.

Per questo, ieri sera a Porta a porta, ho deciso con un minimo di doppiezza di sollevare il caso della nota del Quirinale che affermava, a due giorni soli dall’inderogabilità richiamata dal Colle dell’approvazione della legge di stabilità, che non si poteva andare avanti con tagli continui. Una nota ambigua, ho detto. Che correva il rischio di essere imbracciata dal partito della spesa pubblica – quello che da Pompei ai teatri, dai film ai ricercatori universitari  confonde lo sviluppo con i denari del contribuente – come un’insperatata e autorevolissima legittimazione.  Stamattina ho rilanciato la palla, intervistando gasparri a La versione di Oscar su radio 24 glie l’ho fatto ridire. Il Quirinale a quel punto ha deciso di emettere una nota di precisazione, il cui senso è non bisogna accrescere il deficit  ma bisogna fare scelte precise invece che tagli lineari.

E’ già qualcosa, ed è comunque un successo. Non possiamio soperare che il Quirinale si metta a dire insieme a noi che la via giusta è quella in realtà di comprimere energicamente spesa pubblica e tasse . Ma, in piccolo, siamo almeno riusiti a fargli dire che non bisogna fare più deficit, ed è già qualcosa in questa povera disastrata Italia.

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Il succo del voto midterm USA: Hayek contro Keynes /2010/11/02/il-succo-del-voto-midterm-usa-hayek-contro-keynes/ /2010/11/02/il-succo-del-voto-midterm-usa-hayek-contro-keynes/#comments Tue, 02 Nov 2010 15:23:10 +0000 Oscar Giannino /?p=7450 Il voto in corso negli USA avrà effetti notevolissimi in tutti i Paesi avanzati. Riequilibrerà l’eccesso di debito pubblico e di politiche delle banche centrali volte a monetizzarlo. O almeno questa è la nostra esplicita speranza, dopo due anni di illusione keynesiana che ha portato nei fatti il tasso di crescita USA a rallentare fortemente dopo l’apparente forte ripresa, e l’Europa a incagliarsi nella crisi dell’eurodebito e relativo dibattito tra rigoristi e deficisti. Qui una suggestiva maniera rappata di rappresentare l’eterno confronto tra Hayek e Keynes, dopo il fortunatissimo video che in qualche mese è stato scaricato da oltre due milioni di internauti. “Quando dopo le recessioni e l’esplosione dei debiti pubblici bisogn rimettere le copse a posto, allora Hayek ha molto da dirci”, ecco la prima lezione ricordata nel brevissimo panel che segue il rap. La seconda: nelle crisi si riallinea l’eccesso di capacità, determinato dai molti investimenti facilitati dalle oplitiche monetarie lasche che gonfiavano in bolla consumi e andamento degli asset quotati, riportandolo verso una domanda naturale non più artifciosamente sostenuta da politiche fiscali in deficit e politiche monetarie eterodosse, come il QE 2.0 che molti si aspettanop domani il FOMC della FED riprenda in grande stile per 500 miliardi di dollari, seguito dalla Bank of Japan che potrebbbero estenderlo dagli acquisti di bond anche a quello di tuitoli azionari. Un errore, a nostro modestissimo avviso. Un errore perché ancora inadeguato e insufficiente, dicono gli iperkeyenesiani alla Krugman. Tra poche ore capiremo che cosa ne pensano gli elettori americani. Buona visione.

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La vera bussola: l’orologio del terrore debito pubblico /2010/11/01/la-vera-bussola-lorologio-del-terrore-debito-pubblico/ /2010/11/01/la-vera-bussola-lorologio-del-terrore-debito-pubblico/#comments Mon, 01 Nov 2010 18:18:27 +0000 Oscar Giannino /?p=7429 Da qualche giorno sul sito dell’Istituto Bruno Leoni e su questo blog – in alto a destra – trovate una novità. Abbiamo deciso di introdurla proprio perché la situazione politica sta visibilmente e tangibilmente precipitando. Questa volta, fa molta fatica a funzionare il consueto meccanismo reattivo di addossare il tentativo di delegittimare il premier all’opposizione strenua di procure e media ostili – ci sono entrambi, a mio giudizio è un fatto costitutivo della Costituzione materiale italiana dacché Berlusocni è in campo, e lui le ha del resto anche deliberatamente alimentate con continuie sfide per polarizzare il Paese. Vedremo che avverrà della telefonata del premier al gabinetto della Questura di Milano, per rilasciare la minorenne Ruby dopo l’avviso personale dato al premier da una prostituta brasiliana. Da ormai vecchio osservatore della politica, mi limito a notare che questa volta l’accorruomo di tutto il centrodestra a difesa del premier fatica anch’esso visibilmente a scattare. La Lega è nervosa. Al Senato, dopo il documento dei 25, il Pdl da solo non sembra più di fatto avere una maggioranza autonoma dai finiani, come aveva pensato tre settimane fa. L’assenza di dibattito esplicito nel Pdl per la sua natura carismatica rende il partito soggetto, nelle malaparate, a improvvise cadute, fughe in avanti e fughe laterali di parlamentari e amministratori.  Quel che si diffonde d’ora in ora è una sensazione peggiore dell’incertezza: siamo tra il panico del che fare, e la rassegnazione sussurrata de ‘”l’avevo detto io”, tranne il fatto che a dirlo in pubblico al Capo non era stato naturalmente nessuno. Poiché in tali condizioni può avvenire in effetti pressoché di tutto, abbiamo deciso come liberisti antistatalisti di dare un piccolo contributo perché tutti – classi dirigenti come ogni singolo cittadino – abbiano una bussola sicura alla quale guardare. La bussola è il nostro spaventoso debito pubblico. Per questo abbiamo elaborato il contatore del debito pubblico italiano, che come vedete cresce di più di 2 mila e 700 euro ogni secondo che Dio manda in terra (vedte l’aggiornamento moltiplicato per tre perchè avviene appunto ogni 3 secondi). Ci stiamo dando da fare per installarlo in qualche piazza di grande città del Paese, a costo di cercare denari tra sostenitori volontari per ammortizzarne il costo. La rivoluzione della serietà italiana non può che partire dal basso. E per questo bisogna che ciascuno abbia ben chiara l’idea del debito pubblico che pende in continua crescita sulle nostre teste, e conosca minuto per minuto il pessimo regalo che ci fa la politica del famelico statalismo sciupone. Vi aggiungeremo un contatore individuale, ancor più esplicito dei troppi zeri dell’ammontare complessivo. Fin da ora vi diciamo: dateci una mano.

Naturalmente, non ci siamo inventati niente. Era il 1989, quando l’immobiliarista newyorkese conservatore Seymour Durst ebbe l’idea di installare un public debt clock all’angolo tra Times Square e la 42a Strada. Dopo l’interruzione per qualche anno, quando il debito inizio a ridursi, oggi è sulla Sixth Avenue. Seymour è morto da 15 anni, ci pensa suo figlio a continuarne la mabnuitenzione: dal’89 a oggi il debito pubblico USA è quadruplicato.  Sia per Bush figlio, sia per l’immensa botta di deficit pubblico di Obama. Quella che Paul Krugman giudica tutti i giorni insufficiente e inadeguata. E che mi auguro costi invece il controllo del Congresso ai democratici, nel midterm di domani.

Noi siamo tra quelli che pensano che debito pubblico e banche centrali che lo monetizzano siano la via alla stagnazione e all’instabilità. Una strada maestra è quella di tagliare la tanta pessima e inutile spesa pubblica, abbattere le tasse con energia e in maniera credibile – cioè in modo che famiglie e imprese non debbano temere che si gtratti di un esperimento a tempo dopo il quale le tasse risaliranno più di prima, per fronteggiare magari il deficit ulteriormente accresciuto. Per questo – assumendo come certo l’imperfettismo dell’uomo e l’inaffidabilità dei suoi impegni, e massime se è uomo politico – i tedeschi si sono messi un bel vincolo in Costituzione, al deficit e alle tasse. Io vorrei la stessa cosa.

Penso che la stragrande maggioranza degli italiani paghi altissime tasse senza rendersi conto davvero, di quanto immenso sia il debito pubblico e di quanto nulla si faccia per diminuirlo, e molto invece per continuare ad accrescerlo.  Per questo, a Berlino per esempio un analogo contatore sovrasta il portone di un’associazione di contribuenti, il Bund der Steuerzahler. Penso che da noi l’idea dovrebbe essere venuta ad associazioni d’impresa di tutti i tipi, industriali commercianti e artigiani, alle rappresentanze dei professionisti e dei lavoratori autonomi, delle partite IVA come agli stessi sindacati. Ma se non ce l’ha avuta nessuno, anche perché purtroppo la vita pubblica italiana è un continuo tentativo di assicurarsi per sé fette crescenti di risorse del contribuente con la scusa di questo o quell’incentivo, allora ci pensiamo noi.

Diffido e anzi dispero, che la politica italiana imbocchi la strada di una energica riduzione del debito pubblico e delle tasse. Le modalità concrete ci sono, ne abbiamo parlato e le abbiamo illustrate mille volte, dalla vendita del patrimonio all’uscita dal perimetro pubblico di grandi comparti di servizi che possono essere meglio roganizzati e offerti al pubblico se gestiti da privati e con personale privato, nel rispetto di rigorosi e semplici standard invigilati da autorità di settore.

Ma proprio perché la politica italiana non lo ha fatto finora e assai difficilmente lo vorrà fare ora, che a Berlusconi anzi si appioppa tra gli altri difetti anche quello di aver accresciuto di troppo poco il deficit pubblico, allora ecco a che cosa serve il nostro orologio. E’ un orologio del terrore che ci riguarda assai più da vicino di quello che misurava durante la Guerra Fredda il tempo che ci separava da una guerra nucleare. Di fronte al contatore del terrore fiscale italiano, una volta che le mettessimo in qualche piazza, ogni anno saremmo pronti a contarci il giorno in cui si finisce di lavorare per lo Stato ladro e corruttore, che spende e anzi in larga misura dilapida il 52,5% del PIl italiano. E a giurare ogni volta il nostro impegno a opporci, con parole e opere perché l’opinione pubblica capisca e reagisca, protesti e si ribelli. Saremmo in pochi all’inizio, inutile iludersi: ma è così che iniziano le rotture nella storia. Pochi apparenti pazzi, che svegliano con la loro testa dura il senno addormentato e rassegnato dei più. Perché non è lo Stato che fa l’uomo, come dannatamente si pensa ormai nel nostro Paese e i tutti quelli colpiti dall’ondata di statalismo keynesista, ma l’uomo lo Stato.

Ps: Una nota metodologica, per rassicurarvi su come sono elaborate le cifre dell’orologio del terrore fiscale. Abbiamo stimato il tasso medio di incremento stagionale, che correggiamo ogni mese sulla base dei dati Bankitalia del mese precedente. In sostanza partiamo dall’assunzione – rozza, per questo la dichiariamo – che se in passato il debito cresceva più nel mese x che nel mese y secondo gli andamenti del ciclo della spesa pubblica, anche in futuro probabilmente lo farà. L’errore però è contenuto perché, non appena esce il dato “vero” sul mese x, noi ne teniamo conto in 2 modi: a- correggendo manualmente il contatore (cioè se il dato vero è 100 e noi abbiamo stimato 99 o 101, inseriamo manualmente 100): in questo modo sappiamo che, qualunque errore dovesse essere riportato sul valore assoluto, non può durare più di un mese; b- usiamo il dato reale sullo stock del mese x naturalmente anche per correggere la stima sul tasso di incremento a venire.

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Ritardati pagamenti PA: punire i politici /2010/10/27/ritardati-pagamenti-pa-punire-i-politici/ /2010/10/27/ritardati-pagamenti-pa-punire-i-politici/#comments Wed, 27 Oct 2010 12:57:51 +0000 Oscar Giannino /?p=7404 Evviva, la pubblica amministrazione è finalmente obbligata a saldare i suoi debiti in 30 giorni come termine ordinatorio, ed entro 60 al massimo perentoriamente. Dopodiché scattano interessi dell’8%. E’ la direttiva approvata tre giorni fa dal Parlamento Europeo, e subito si è stappato champagne. Nell’Italia odierna la media dei pagamenti della PA è salita dai 128 giorni del 2009 ai 140 quest’anno, attestano Confindustria e Rete Italia. Con settori in cui si superano i 180, afferma l’Associazione Nazionale dei Costruttori. E sacche di debito insoluto – per esempio nel settore sanitario, in alcune Regioni del Centrosud – in cui il ritardo arriva a 800, 900 e anche più di 1000 giorni. E’ uno scandalo italiano che si misura in anni, non in settimane. La classica misura dell’inefficienza, approssimazione e illegalità corruttrice dello Stato italiano. Ho un’ideuzza a sorpresa, per attuare la norma…

Il rispetto alla lettera della nuova regola porterebbe in poche settimane dai 50 ai 70 miliardi di euro nelle casse delle imprese. Per molte di loro, una boccata d’ossigeno decisiva. Per non poche, la differenza tra sopravvivere e continuare a dipendere dalla sola moratoria bancaria. Ma è inutile illudersi. E non solo perché Strasburgo lascia a ogni governo sino al 2013 per la messa in regola.

Il realista pensa che resterà una grida manzoniana. L’ottimista testone – eccomi – aggiunge: a meno che… Vediamo. Per realismo, va ricordato che le norme di contabilità pubblica prevedono che il debito pubblico sia tale solo alla scrittura di un mandato di pagamento, o della concessione di una garanzia reale che riconosca il debito come escutibile o scontabile in banca o su un mercato secondario (come capita ai Bot). La contabilità pubblica è per cassa, non per competenza. A molti sembrerà strano, ma se avete vinto una gara bandita dalla PA per la prestazione di un servizio o l’acquisito di un bene, ai sensi del diritto privato siete tutelati a ricevere il compenso dovuto. Ma per la contabilità pubblica quel debito della PA non esiste sinché non viene certificato o pagato almeno in parte. Poiché moltissime Autonomie locali non riescono fronteggiare i debiti per i vincoli del Patto di stabilità interno, il rispetto testuale dei 30 giorni porterebbe automaticamente all’emersione di debito pubblico per 3 o 4 punti aggiuntivi di Pil. Si può immaginare la giusta contrarietà di Tremonti.

A meno … a meno di immaginare un meccanismo che unisca tre diversi pilastri – rigore, trasparenza e prevenzione – facendo contenti sia imprese sia Tesoro. Qualunque garanzia pubblica sul debito insoluto oltre i 60 giorni può essere reperita nell’ambito della Cassa Depositi e Prestiti, il cui bilancio sta fuori dal recinto del debito pubblico per Bruxelles, esattamente come per gli analoghi istituti tedesco e francese. L’intero debito sarebbe immediatamente bancabile senza aggravi per il Tesoro. Per le Autonomie non in linea col patto di stabilità, si imporrebbe però un controllo di legittimità preventivo da parte della sezione specializzata della Corte dei Conti. E infine una doppia penalizzazione automatica: sui futuri impegni di spesa dell’Ente pubblico fino a regolarizzazione del debito avvenuta, ma anche – sorpresa! – in termini patrimoniali e personali per gli assessori e i politici che deliberano spese senza aver denari in cassa. Solo se rendiamo responsabili coloro che spendono in deficit, limitandoli e colpendoli a tempo nel loro patrimonio, evitiamo che a risponderne siano poi gli incolpevoli successori. E non ditemi per favore che a quel punto è come dire che politica la possono fare solo i ricchi, perché bastano sanzioni commisurate allo stock di patrimonio detenuto e al reddito dichiarato, oltre che alle attività partecipate o controllate. Che ne pensate?  Non è dal basso, che bisogna fare efficienza e rigore?

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Come tagliare il deficit del 9% di Pil: a Londra però /2010/10/21/come-tagliare-il-deficit-del-9-di-pil-a-londra-pero/ /2010/10/21/come-tagliare-il-deficit-del-9-di-pil-a-londra-pero/#comments Thu, 21 Oct 2010 16:15:08 +0000 Oscar Giannino /?p=7347 C’è di che riflettere, per i tanti politici italiani che da due anni a questa parte ripetono che tutto sommato ce la passiamo molto meglio dei Paesi anglosassoni, le cui banche all’aria hanno fatto esplodere il debito pubblico.  E’ verissimo. Ma da Londra è venuta una risposta di segno opposto allo statalismo krugmanista che continua a dominare l’America di Obama, vedremo con quale frenata elettorale nelle ormai vicine elezioni del Midterm. La manovra finanziaria varata ieri dal governo Cameron ha un solo aggettivo per essere compresa: epocale. Come abbattere il defit pubblico dall’11% di Pil quest’anno al 2%, entro soli 4 anni. La più grande correzione di finanza pubblica britannica dal secondo dopoguerra, per intensità e concentrazione temporale superiore addirittura per molti versi alla svolta thatcheriana. ben 94 miliardi di euro di tagli alla spesa, 32 miliardi di nuove entrate. In media, ogni ministero subisce un taglio del 19%, ma la logica non è quella lienare adottata in Italia. Il governo cameron sceglie le sue priorità. le lezioni per l’Italia? Non è vero che le riduzioni in termini reali di spesa pubblica non si possono fare. Non è vero che, facendole, non si debba scegliere che cosa tagliare tantissimo e che cosa tagliare comunque, ma meno o anche per nulla.

Le spese per l’ambiente, ad esempio, e quelle per la cultura incassano i tagli maggiori, del 28%%. La difesa- di cui tanto si parla perché il Regno Unito resta pur sempre al quarta potenza militare mondiale – fanno strepitare i militari ma sono solo dell’8%. I tagli degli apparati ministeriali dell’Interno, della Giustizia e degli Esteri sono del 24%, ma della polizia solo il 16%. I tagli alle Autonomie sono solo del 7%, quelli alla Casa Reale del 14%. L’etùà pensionabile viene innalzata di 2 anni da 64 a 66 a cominciare dal 2020, cioè 6 anni prima di quanto previsto sino a ieri, ma 30 miliardi di pounds sono riservati a un piano straordinario per le infrastrutture , soprattutto ferroviarie.

C’è da imprarare anche quanto al metodo: a tutti i ministeri è stato riservatamente chiesto negli ultimi due mesi di rpeparare due bozze di tagli, uno pari al 25% e uno pari al 40% degli stanziamenti a legislazione invariata. Solo il ministero della Salute e quello allo Sviluppo erano esentati. Il risultato è stato non solo il coinviolgimento preventivo di ciascun ministro e del suo apparato nei tagli selettivi, ma soprattutto ha obbligato ciascuno di essi ad incorporare nelle aspettative un taglio che, alla fine, è stato inferiore a quanto il premier e il cancelliere dello Scacc hiere aveva chiesto a ciascuno. L’esatto opposto di quanto di solito avviene in Italia, dove da decenni non c’è ministro che non tenti di sottrarsi con polemiche pubbliche in nome dell’eccezionalità del proprio portafoglio.

Quanto alle reazioni, Telegraph e Times hanno dato ampia eco alle prime valutazioni dell’Institute for Fiscal Studies, il più autorevole think tank undipendente britannico in materia di conti pubblici, secondo il quale la manovra è ancora insufficiente. Idem ha fatto il Wall Street Journal. Mentre persino il popolarissimo Sun, invece di cavalcare l’eslosione di malcontento e protesta che sarebbe avvenuta in Italia all’indomani, ha presentato ai suoi lettori la decisione con un secco titolo “Son dolori, ma ne vale la pena”. Ben 490 mila dipendenti pubblici usciranno dal perimetro degli occupati pagati dal contribuente britannico. Ci pensate, a qualcosa di simile in Italia?

Nell’Unione europea, il compromesso franco-tedesco appena celebrato sul nuovo patto di stabilità è di segno opposto, e come ho scritto su questo blog penso che le serie storiche mostrino con abbondanza di esempi che posso capire un patto non rigido, ma senza sanzioni automatiche non è credibile. Ci credo che Trichet punti i piedi, e che in Germania tutti i media abbiano sparato a zero contro la cancelliera Merkel, per aver dato il via libera al fronte lassista. Ma il segnale che viene da Londra è di grande speranza, per chi la pensa come noi ed è convinto che crescita e libertà si ottengano meglio con meno spesa pubblica e meno tasse. Finalmente qualcuno nel mondo anglosassone risolleva vigorosamente la bandiera dello Stato leggero, unica condizione perchè sia efficace con chi ha davvero meno del necessario invece di dispensare rendite a lobby di ogni tipo. E lo fa malgrado guidi un governo di coalizione coi Lib-Dems, non proprio una manica di liberisti. Cameron e il suo cancelliere Osborne mostrano che la soluzione Obama – debiti pubblici galoppanti e banche centrali che li monetizzano – è fatalmente destinata alla sconfitta politica, oltre che alla stagnazione economica

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