Il tornado di piombo sulla “torbida relazione†tra il Cav. e Vlad ha impedito a molti di porsi la domanda più scontata: perché l’Eni vuole il gasdotto russofilo South Stream, anziché quello atlantista Nabucco? Come spesso accade, si è trascurata la risposta più semplice: perché lì stanno i soldi.
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Volentieri ripubblichiamo questo articolo di Stefano Agnoli, comparso per la prima volta sul Corriere della sera di oggi.
L’agenzia del turismo del Cantone di Zug raccomanda soprattutto il tramonto sul lago, «un’esperienza da non mancare». Oppure la vista dei giochi di luce sulla facciata della stazione ferroviaria, opera del californiano James Turrell. Difficile però che qualche centinaio di grandi «corporation» di tutto il mondo e di ricchi contribuenti siano confluiti verso la campagna, i laghi e i monti della Svizzera centrale solo per le attrazioni locali. Diciamola subito: a Zug si va perché si pagano poche tasse, e le aliquote fiscali per le aziende sono tra le più basse della Svizzera, e quindi d’Europa. Tra il 9 e il 15%.
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Da quando Wikileaks ha rilanciato i dubbi dei diplomatici americani sul rapporto tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin – dubbi tanto poco riservati che l’ambasciatore Usa, David Thorne, li ha sollevati nella sua prima intervista dopo l’insediamento – tutti i quotidiani italiani fanno la gara a chi, sull’Eni, la spara più grossa. Il comune denominatore della “macchina del fango” è, grosso modo: le strategie dell’Eni in Russia sono dettate dagli interessi personali del Cav., e sono mosse dalla sua amicizia speciale con lo Zar. Credo che questa reazione corale e rabbiosa abbia un che di liberatorio: poiché dell’Eni non si poteva (fino a ieri) dir che bene, e non per nobili ragioni o per le virtù del Cane a sei zampe, adesso non si può dirne che male. Non avendo alcun complesso del genere e non avendo mai avuto atteggiamenti particolarmente teneri, credo di poter dire tranquillamente: avete letto un sacco di sciocchezze. Tutti hanno ricamato sull’inutile, e nessuno ha evidenziato l’ovvio.
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Cosa c’è dietro la proposta di Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, di “fondere” Nabucco e South Stream, i due progetti concorrenti di gasdotti che dovrebbero portare gas dalla Russia e dal Caspio verso il Sud Europa? Apparentemente, l’idea sta in piedi: costruire un tratto comune ai due gasdotti consentirebbe di conseguire rilevanti economie di scala, sia sotto il profilo dei costi di realizzazione sia sotto quello dei costi di negoziazione coi paesi di transito. In più, sebbene i russi non sembrino entusiasti (et pour cause), gli americani per la prima volta mostrano aperta simpatia per un’iniziativa di Piazzale Mattei. L’inviato di Washington per l’energia, Richard Morningstar, ha parlato di “un’idea interessante che merita ulteriori discussioni e approfondimenti“. Dietro il fumo politico, però, non sembra esserci dell’arrosto.
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E voi tifare per Nabucco o South Stream? Non è un derby, ma spesso il confronto, acido e violento, tra politica e interessi nel mondo del gas viene descritto così. Assieme a Francesco Sisci, Massimo Nicolazzi e Stefano Agnoli, speriamo di aver dato un piccolo contributo a capire meglio cosa c’è in ballo, con questo dibattito nato quasi per caso via email e finito sulle pagine web della rivista Limes.
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