CHICAGO BLOG » Sergio Marchionne http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Le difficoltá di Fiat e il populismo della delocalizzazione /2010/11/02/le-difficolta-di-fiat-e-il-populismo-della-delocalizzazione/ /2010/11/02/le-difficolta-di-fiat-e-il-populismo-della-delocalizzazione/#comments Tue, 02 Nov 2010 19:04:36 +0000 Andrea Giuricin /?p=7453

La situazione di Fiat in Italia si fa sempre piú complicata. Non vi sono solo evidenti problemi nella produzione, con una mancanza di competitività cronica del nostro Paese, ma anche da un punto di vista delle vendite i dati sono sempre piú difficili per l’azienda guidata da Sergio Marchionne. L’Unrae ha pubblicato oggi i dati relativi al mese di ottobre. Il mercato è in “profondo rosso”, avendo registrato una caduta del 28,8 per cento lo scorso mese, mentre da gennaio ad ottobre 2010 le automobili vendute sono diminuite del 7 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Fiat si comporta peggio del mercato con una riduzione delle vendite del 39,9 per cento nel mese di ottobre e del 15,1 per cento nei primi 10 mesi dell’anno. Si possono trarre due conclusioni da questi dati alquanto preoccupanti.

Il doping di Stato del febbraio 2009 sta rivelando tutti i suoi difetti. Incentivare e sussidiare artificialmente il mercato è possibile farlo per un periodo limitato. Il consumatore anticiperà il proprio acquisto, creando di fatto una crisi peggiore nel medio periodo.

La seconda considerazione riguarda la casa automobilistica di Torino: Fiat non solo produce solo 600 mila veicoli in Italia, sui circa 4 milioni di veicoli che produrrá all’anno con Chrysler, ma anche le vendite nel nostro Paese sono scese a livelli molto bassi. Se l’Italia incide per circa il 15 per cento dal lato produttivo sull’intera Fiat, anche la quota di mercato dell’Italia sulle vendite globali della casa automobilistica torinese è scesa al 15 per cento.

Un’azienda quando decide di produrre in un determinato paese, non guarda solo ai costi produttivi, ma soprattutto alle possibilità di sviluppo del mercato. È stato questo il caso di Volkswagen, che mentre in Cina in tre trimestri ha venduto quasi 1,5 milioni di automobili in crescita di circa il 39 per cento, in Germania, dove il mercato è depresso dopo un anno pieno di sussidi pubblici dati dal Governo Merkel, il 2009, venderà meno di un milione di autoveicoli. L’intero gruppo di Wolfsburg ha venduto nei primi tre trimestri in tutta Europa circa 2,1 milioni di veicoli, in contrazione di circa il 4 per cento. Se tale andamento dovesse continuare, nel 2012 il primo mercato per il gruppo Volkswagen sará quello cinese. La casa automobilistica tedesca non è andata in Cina a produrre perché i costi di produzione sono evidentemente piú bassi, ma è andata nella Repubblica Popolare per prendere le opportunità che arrivavano da quel mercato.

Volkswagen può insegnare una cosa alla Fiat e una ai sindacati e alla classe dirigente italiana. Alla Fiat indica quale è la direzione da prendere per il futuro. Lo sviluppo del mercato non arriverá piú da Europa e Stati Uniti, dove comunque è importante avere una forte presenza, ma è necessario andare verso l’Asia.

I sindacati e la politica, invece, non devono pensare alla delocalizzazione come una “fuga” dall’Italia. In Germania si producono quasi 10 volte il numero di veicoli prodotti in Italia, nonostante la Cina sia ormai essenziale per la principale casa automobilistica tedesca. Bisogna pensare ad adottare una contrattazione a livello aziendale, come proposto da Sergio Marchionne a Pomigliano d’Arco e Melfi, senza pregiudizi. Non è un caso che il 40 per cento dei contratti in Germania siano di livello aziendale e non legati ad un contratto nazionale.

Quando Marchionne chiede maggiore flessibilità negli impianti produttivi e salario legato alla produttività, non significa voler scappare dall’Italia.

Certo una parte del sindacato, la Fiom, si sta impegnando per abbassare il livello di investimento presente in Italia.

Non è anche colpa del sindacato e di una contrattazione antiquata se nessuna impresa automobilistica estera produce in Italia?

Fare affermazioni populistiche contro la delocalizzazione in Serbia non serve a nulla. Meglio flessibilizzare i contratti come chiede Marchionne.

Parlare meno ed agire di piú dovrebbe essere il motto per l’Italia.

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Fiat: i dieci minuti della rivoluzione /2010/10/24/fiat-i-dieci-minuti-della-rivoluzione/ /2010/10/24/fiat-i-dieci-minuti-della-rivoluzione/#comments Sun, 24 Oct 2010 15:55:36 +0000 Andrea Giuricin /?p=7359

Dieci minuti fanno la rivoluzione? Questo è l’interrogativo che l’Italia si pone in questi ultimi giorni. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, ha un’altra volta spostato il limite del rapporto tra sindacati e mondo imprenditoriale. L’azienda torinese ha infatti deciso di cambiare le pause di lavoro anche nell’azienda di Melfi, dopo averlo proposto a Pomigliano d’Arco. In particolare, i nuovi ritmi di lavoro, prevedono un aumento del numero delle pause di lavoro del 50 per cento, da due a tre, ma un dimezzamento del tempo medio di ogni pausa, da 20 minuti a 10 minuti. Nel complesso il tempo lavorato aumenta di 10 minuti, con un contemporaneo incremento anche delle retribuzioni. Dieci minuti sono quelli che separano la Fiat dai sindacati, viste le reazioni non certo rassicuranti non solo della FIOM, ma anche della UILM e della FIM Queste reazioni non stupiscono; quel che stupisce è la forza con la quale Marchionne ha deciso unilateralmente le nuove condizioni contrattuali che entreranno in vigore dal 31 gennaio del 2011. L’azienda di Melfi è uno dei cinque stabilimenti italiani che producono le poco più 600 mila veicoli l’anno con oltre 20 mila dipendenti. In Polonia, lo stabilimento di Tichy, ormai famoso per la delocalizzazione al contrario a favore di Pomigliano della Nuova Panda, produce lo stesso numero di veicoli dell’Italia intera in un solo stabilimento e con un terzo dei dipendenti.

Questo semplice dato è alla base del ragionamento di Fiat, che al fine di aumentare la produttività in Italia, cambia il metodo di lavoro. Le tre pause accorciate servono ad introdurre una maggiore produttività, ma l’azienda si impegna a retribuire il maggior lavoro agli operai.

La reazione dei sindacati è abbastanza ovvia, dato che in Italia si è abituati a passare per tavoli di concertazione per ogni minimo cambio contrattuale. Marchionne su questo punto è poco italiano e l’ha lasciato capire negli ultimi cinque mesi. Il progetto di investire 20 miliardi di euro nel piano “Fabbrica Italia” per aumentare il numero di veicoli prodotti nel nostro Paese ad oltre 1 milione di unitá, puó essere completato solo se cambiano i rapporti sindacali.

Pomigliano d’Arco è stato l’esempio della volontà di puntare sull’Italia da parte della Fiat, con un investimento di diverse centinaia di milioni di euro per produrre la Nuova Panda nello stabilimento campano.

Non è certo un momento facile per Fiat, alle prese con la crescita negli Stati Uniti e con un mercato europeo in caduta libera.

La stessa trimestrale presentata al mercato la settimana scorsa ha mostrato due facce della medaglia. Da un lato, l’auto che continua a vedere una contrazione delle vendite e una previsione di scendere a meno di 2 milioni di veicoli venduti, contro i 2,15 milioni del 2009; dall’altro lato CNH ed Iveco che mostrano incrementi dei ricavi nel terzo trimestre 2010 di oltre il 22 e 15 per cento rispettivamente.

Lo stesso mercato dell’auto vede il segmento lusso in forte recupero, mentre è proprio Fiat Group Auto che registra i maggior problemi. Lo stesso Brasile, uno dei punti di forza del gruppo, registrerà un 2010 stagnante con una crescita del 2 per cento nelle vendite.

Fiat ha quindi bisogno di aumentare la produttività per restare competitiva a livello globale. E questo può essere fatto soprattutto in Italia e non in Polonia e Brasile, dove gli stabilimenti hanno già un’efficienza molto elevata.

L’aumento della produttività passa attraverso il nuovo orario di lavoro ed in questo caso non vengono ridotti i costi. Infatti lo stipendio aumenterà proporzionalmente all’aumento dei minuti lavorati.

I dieci minuti sono importanti per la Fiat e per aumentare la produttività degli stabilimenti italiani. Non si parla di abbassare lo stipendio a livelli polacchi, ma si parla di aumentare lo stipendio per l’incremento dei minuti lavorati.

Ancora una volta Marchionne, cambiando il modo di proporsi ai sindacati, provoca uno shock all’Italia; uno shock salutare.

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Fiat: Marchionne accetterà lunghe contrattazioni al tavolo del Ministero? /2010/10/06/fiat-marchionne-accettera-lunghe-contrattazioni-al-tavolo-del-ministero/ /2010/10/06/fiat-marchionne-accettera-lunghe-contrattazioni-al-tavolo-del-ministero/#comments Wed, 06 Oct 2010 07:26:27 +0000 Andrea Giuricin /?p=7226 Il paradosso italiano, illustrato ieri, relativo agli sviluppi positivi delle relazioni sociali italiane in mancanza del Ministro dello sviluppo Economico è stato una provocazione. È comunque indubbio che negli ultimi cinque mesi si siano avuti dei progressi quasi inimmaginabili fino a pochi mesi fa ed il merito è certamente dell’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. La stessa casa automobilistica si è ritrovata ieri con le parti sociali per discutere del progetto “Fabbrica Italia”. Come ricordava il manager Fiat, è un piano in divenire e dunque non ha senso di parlare d’investimenti precisi, impianto per impianto.

E su questo punto era nata la polemica con il Partito Democratico, che con il responsabile Economia e Lavoro, Stefano Fassina, aveva affermato che “abbiamo scoperto dalle parole del Dott. Marchionne che la Fiat in realtà è un’associazione di beneficenza, e rimane in Italia per gratitudine”. Il dirigente del partito d’opposizione si era poi lamentato della mancanza della specificazione degli investimenti di 20 miliardi di euro in Italia, per rilanciare la produzione. Questa posizione ha superato a sinistra perfino la Fiom, che invece ha deciso di sedersi al tavolo delle trattative, lasciando inoltre fare le dichiarazioni alla parte più moderata del sindacato.

Questo cambiamento della posizione del sindacato deriva certamente dalla quasi certezza di elezione di Susanna Camusso alla successione di Guglielmo Epifani nella CGIL e dalla fine dello scontro elettorale interno alla Fiom.

Certo passare dalle parole ai fatti sarà ben più difficile per il sindacato che per un semestre si è chiuso in un veicolo cieco, andando al muro contro muro contro Fiat.

E senza dubbio l’amministratore delegato del gruppo Fiat è uscito vincente dallo scontro, tanto che la Federmeccanica ha imposto la sua linea di una contrattazione di secondo livello, eliminando il contratto nazionale.

Il contratto “Pomigliano” flessibile è necessario per portare gli investimenti Fiat in Italia. Senza una maggiore produttività non si capisce perché l’azienda torinese dovrebbe continuare a fare i propri veicoli nel nostro paese.

L’efficienza è essenziale alla sopravvivenza nel mondo automotive che diventa sempre più competitivo e globale.

Le difficoltà di Fiat non si fermano alle trattative sindacali e al Piano “Fabbrica Italia”. Le maggiori insidie arrivano dal mercato, dove la casa automobilistica registra forti difficoltà.

Il Piano industriale che prevedeva un raddoppio delle vendite da qui al 2014 è messo in discussione dalla crisi del settore auto europeo. In Italia le immatricolazioni sono calate del 18,9 per cento nel mese di settembre, una contrazione a doppia cifra come quella spagnola, -27,3 per cento, e tedesca, -27 per cento. Il mercato italiano rimane molto importante per Fiat e dunque la contrazione ormai in atto da alcuni mesi ha alzato il livello di guardia del gruppo torinese. Le vendite sono scese del 4,4 per cento da inizio anno e l’ultimo trimestre sarà certamente uno dei più difficili degli ultimi anni. E Fiat sta performando peggio del mercato con una contrazione del 12,1 per cento nei primi nove mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009.

Negli Usa, invece, Chrysler sta conquistando lentamente quote di mercato, dopo il pessimo 2009, anno nel quale aveva portato i libri in tribunale.

Per rilanciare il marchio di Detroit, che diventerà centrale nei piani di sviluppo Fiat, l’azienda torinese ha bisogno di risorse fresche. Per salire dal 20 per cento attuale al 51 per cento delle azioni di Chrysler sono necessari alcuni miliardi di dollari. Anche per questo motivo, valorizzando al massimo il gruppo, Sergio Marchionne ha proceduto allo spin-off.

Ora sono ben chiari i valori della parte auto e della parte industrial e giá si parla di cessione di alcuni marchi. In particolare gli ultimi rumors indicano Alfa Romeo alla Volkswagen e Iveco a Daimler. Difficilmente entrambi i marchi saranno ceduti ai concorrenti, ma altrettanto difficilmente Fiat manterrà tutti i marchi attuali nel suo portafoglio. Sergio Marchionne continua a dire che Alfa Romeo è al centro del piano di sviluppo americano e sembra avere qualche possibilità in più di essere ceduta Iveco. Certo è che l’amministratore delegato di Fiat è bravo a non svelare le proprie carte e anche le dichiarazione su Alfa Romeo potrebbero essere strategiche.

Alfa Romeo è uno dei marchi più internazionali del gruppo Fiat e, come affermato dal presidente di Volkswagen, Ferdinand Piech, potrebbe essere valorizzato maggiormente. Dietro queste parole del presidente del colosso tedesco molti analisti hanno visto l’interessamento di Volkswagen per il marchio del ”Biscione”. Probabilmente è così e probabilmente sarà una questione di prezzo.

Fiat dovrà dunque vendere qualche marchio per investire in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti.

Le parti sociali e il Governo Italiano devono comprendere che ormai Fiat è un’impresa globale e il Piano Fabbrica Italia è una parte di un piano più ampio.

L’azienda ha bisogno di flessibilità nell’investimento e gli ultimi cinque mesi hanno dimostrato che Sergio Marchionne non perderà tempo in lunghe contrattazioni infruttuose (al Ministero dello Sviluppo economico?)

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Il paradosso italiano /2010/10/05/il-paradosso-italiano/ /2010/10/05/il-paradosso-italiano/#comments Tue, 05 Oct 2010 09:17:55 +0000 Andrea Giuricin /?p=7212 Paradossi. Ieri è stato nominato Paolo Romani come Ministro allo Sviluppo Economico, proprio il giorno anteriore al quale si certifica un grande cambiamento nelle relazioni sociali. L’incontro tra Confindustria e sindacati per parlare di nuovi contratti nella meccanica arriva al termine di un semestre nel quale i rapporti tra le parti sociali hanno registrato un forte passo in avanti e all’Italia è mancato un Ministro.

La posizione “dura” di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, nello scontro di Pomigliano d’Arco ha avuto un impatto molto forte. Lo scambio, maggiore efficienza con maggiore flessibilità per riportare parte della produzione di autoveicoli in Italia ha avuto successo. La Fiom, contraria al nuovo accordo, si è ritrovata isolata, grazie alla disdetta del contratto della meccanica ad inizio settembre da parte di Federmeccanica.

Un nuovo rapporto quello tra Fiat e i sindacati, ma anche un nuovo rapporto tra le imprese e i sindacati, come fortemente voluto da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria.

Sergio Marchionne in questi cinque mesi di vacanza del ministro allo Sviluppo Economico ha fatto molti cambiamenti. Il più importante è l’introduzione delle deroghe nel contratto “Pomigliano”. L’amministratore delegato di Fiat ha poi continuato nella sua scelta di chiudere l’improduttivo stabilimento di Termini Imerese e è andato avanti su tutti i fronti, dallo spin-off del gruppo al Piano “Fabbrica Italia”.

I venti miliardi d’investimenti per il nostro paese sono certamente un fatto positivo, dopo anni di disinvestimento nel settore auto motive.

La produzione di autoveicoli si è dimezzata in meno di un decennio, non a causa della crisi economica, ma per i diversi svantaggi competitivi che l’Italia ha insiti nel suo sistema produttivo. Una tassazione troppo elevata, una burocrazia lenta, incertezza del diritto e sindacalizzazione elevata sono elementi che non hanno mai permesso l’arrivo d’investimenti stranieri nel nostro paese. Sergio Marchionne ha proposto un patto ai sindacati, che hanno avuto il coraggio di accettare (ad eccezione della Fiom): cambiare i contratti per avere maggiore flessibilità ed efficienza in cambio di maggiori risorse sull’Italia.

E questa scelta arriva nel momento in cui Fiat diventa sempre più globale, con il peso di Chrysler nel gruppo che è sempre maggiore.

I dati di settembre indicano proprio questo. Mentre in Europa c’è una caduta delle vendite del gruppo Fiat, con una diminuzione delle quote di mercato, negli Stati Uniti, Chrysler sta riuscendo a cavalcare la piccola ripresa delle vendite. Da inizio anno il mercato americano è cresciuto del 10 per cento, mentre Chrysler del 14,6 per cento. Certo la comparazione è con il pessimo 2009, anno del sorpasso cinese sugli USA, ma indica che finalmente la casa di Detroit sta riconquistando quote di mercato. La market share è salita nei primi nove mesi dell’anno dal 9,2 al 9,5 per cento; un piccolo passo in avanti.

La sfida americana rimane difficilissima da vincere e le incognite sono elevatissime, anche perché l’introduzione del marchio Fiat negli USA non è facile. Un dato su tutti: il segmento delle piccole utilitarie è l’unico oltreoceano, insieme al “small SUV”, che ha registrato una contrazione delle vendite da inizio anno di quasi il 3 per cento, andando in contro tendenza rispetto al mercato.

Per questa ragione Fiat ha bisogno di risorse fresche da investire negli USA (su questo punto uscirà un’analisi domani su Chicago-Blog). Se il mercato americano è essenziale per Marchionne, altrettanto importante è modificare i rapporti contrattuali in Italia.

Su questo punto le evoluzioni degli ultimi cinque mesi sono state importantissime.

Il paradosso italiano è questo: ci sono state maggiori innovazioni nei rapporti contrattuali e sindacali in cinque mesi senza Ministro allo Sviluppo Economico che negli ultimi dieci anni.

È proprio uno strano paese, l’Italia.

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Spin-off Fiat: da Pomigliano a Detroit /2010/09/20/spin-off-fiat-da-pomigliano-a-detroit/ /2010/09/20/spin-off-fiat-da-pomigliano-a-detroit/#comments Mon, 20 Sep 2010 08:05:28 +0000 Andrea Giuricin /?p=7089

Sergio Marchionne, con la “conquista” dell’America sta rendendo globale Fiat, che tuttavia si ritrova a discutere con un sindacato italiano molto antiquato. Il dato dal quale parte il ragionamento di Fiat e che una parte del sindacato italiano non ha capito è quello della produzione di veicoli.

In Italia la produzione è scesa negli ultimi anni, fino ad arrivare a poco più di 600 mila veicoli prodotti, lontano non solo da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, ma un livello inferiore rispetto anche alla Repubblica Ceca.

Il piano “Fabbrica Italia” nel quale si prevedono 20 miliardi di euro di investimenti in Italia nei prossimi anni, con addirittura un incremento della produzione italiana è stato un passo coraggioso di Marchionne. Certo gli obiettivi del piano industriale saranno difficilmente raggiungibili, ma l’arrivo della Nuova Panda a Pomigliano d’Arco è stato un punto a favore di Fiat e del suo piano industriale.

La nuova Panda a Pomigliano d’Arco ha tuttavia registrato un punto di scontro con la FIOM, in piena campagna di successione nella CGIL. Le nuove condizioni di Fiat, che voleva una produzione più flessibile in cambio dell’investimento di 700 milioni di euro, sono state prese di mira da Filippo Landini, alla guida della FIOM.

Questo scontro è stato solo il primo. Dopo la presa di posizione cieca della FIOM, Fiat ha annunciato che la produzione delle monovolume, presente nel piano “fabbrica Italia” sarebbe stato spostato da Mirafiori alla Serbia, lasciando capire che gli investimenti in Italia sono possibili solo a certe condizioni.

Fiat proponeva un patto ai sindacati dove in cambio di un aumento della produzione in Italia, grazie al piano “Fabbrica Italia”, si rinnovavano le relazioni sindacali e si cambiava la struttura del contratto. Questa scommessa era stata accettata dalla parte più moderna del sindacato, mentre aveva trovato la forte opposizione della Fiom. Il sindacato della CGIL si è trovato isolato e ha chiuso le porte alla contrattazione anche perché si trovava in piena campagna di successione. Guglielmo Epifani, leader della CGIL, lascerà questo anno il posto a Susanna Camusso, la quale si scontrerà con una minoranza interna guidata dalla Fiom molto forte.

Il contratto delle tute blu era stato firmato il 20 gennaio del 2008, con l’accordo di tutti i sindacati, ma giá nell’ottobre del 2009 l’unitá sindacale venne meno. Fim e Uim firmarono un accordo separato con Federmeccanica, mentre la Fiom decise di andare contro quello che definì “un contratto scandaloso”.

La disdetta del contratto da parte di Federmeccanica segue l’impostazione scelta da Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e porta un vento nuovo nella relazione tra sindacati ed industriali. È senza dubbio un passo in avanti perché nel contratto “Pomigliano”, che verrá probabilmente utilizzato in tutto il settore, si decide per una maggiore flessibilità e soprattutto per dare più spazio a quella che è detta la contrattazione locale.

La contrattazione di secondo livello, vale a dire quella aziendale o territoriale è essenziale per aumentare la produttività delle aziende italiane. Con essa si lega maggiormente il destino degli operai a quello della fabbrica, dando la possibilità di premiare nelle aziende dove i risultati sono buoni e di penalizzare laddove vi sono perdite.

Il contratto “Pomigliano” è una rivoluzione e arriva grazie anche all’accordo che nel mese di luglio raggiunse informalmente la leader si Confindustria Emma Marcegaglia con i leader di CISL e UIL.

La Fiom non ha ancora compreso che guadagnare qualche delegato in piú non ha senso nel momento in cui la produzione di Fiat è globalizzata.

La casa automobilistica torinese è ormai un gruppo globalizzato come dimostra l’avventura americana. Certo la mancanza di una forte presenza di Fiat in Cina, dove ad esempio Volkswagen vende piú auto che nel suo paese d’origine, continua a rimanere il punto debole, ma il processo di un’azienda aperta al mondo è ormai avviato.

La Fiat puó sopravvivere ad un mercato auto sempre piú competitivo e con nuovi attori “asiatici” solo con una visione globale.

Lo spin-off è dunque un modo per valorizzare l’azienda nel momento in  cui servono risorse fresche di liquiditá per crescere in America.

I dati delle vendite in USA e Europa tuttavia lasciano molti dubbi sul possibile raggiungimento degli obiettivi del Piano industriale Fiat, mentre una parte del sindacato italiano ostacola qualsiasi cambiamento.

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Lo spin-off di Fiat – Parte seconda /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/ /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/#comments Sat, 18 Sep 2010 10:11:25 +0000 Andrea Giuricin /?p=7079 Il Piano industriale di Sergio Marchionne, presentato lo scorso aprile, si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.

I danni dei sussidi europei

Gli aiuti statali dati in tutti i Paesi dell’Unione Europea sono stati molto importanti, in particolare in Germania, che affrontava un periodo pre-elettorale.

Tutte le case automobilistiche subiranno le conseguenze della fine degli incentivi, ma molto probabilmente Fiat ne risentirà di più, poiché molto spesso gli aiuti statali andavano principalmente ai produttori delle auto “piccole”, per motivi ecologici. Proprio in questo segmento di mercato, Fiat è ai vertici delle vendite. Il mercato europeo dovrebbe ridursi di circa il 15 per cento nella seconda parte dell’anno, mentre in Germania la contrazione si è già avvicinata al 30 per cento nei primi otto mesi del 2010.

La seguente tabella mostra la crisi nei principali mercati europei nel mese di agosto, mentre la situazione annuale non è univoca.

Mercato Europeo: la fine dei sussidi
Dati: Variazioni percentuali
Paese Agosto 2010/  Agosto 2009 Gen-Ago 2010/2009
Germania -27,0% -28,7%
Francia -7,9% 2,0%
Italia -19,3% -2,5%
Regno Unito -17,9% 13,2%
Spagna -23,8% 21,9%
UE27 -12,9% -3,5%
Fonte: Elaborazione dati ACEA

Il dato tedesco è il piú preoccupante poiché mostra una caduta continua vicino al 30 per cento, sia in agosto che nei mesi precenti. La Francia, secondo mercato europeo, mostra una diminuzione meno importante delle vendite, mentre l’Italia si avvicina al -20 per cento.

In Spagna e Gran Bretagna  la situazione è differente, poiché gli incentivi governativi sono cominciati nella seconda parte del 2009 e sono finiti più tardi che nel resto d’Europa. È la ragione per la quale nei primi 8 mesi del 2010 si è registrata una crescita nelle vendite. Tuttavia, per tutto il resto del 2010 vi sarà una diminuzione dell’ordine del 20/30 per cento.

In Germania Fiat sta subendo maggiormente la contrazione, tanto che la quota di mercato si è quasi dimezzata. Se questo andamento dovesse confermarsi, la casa automobilistica italiana dovrebbe perdere ulteriori 80 mila veicoli nel solo mercato europeo, che sommati ai 120 mila veicoli in meno del mercato italiano, farebbe oltre 200 mila veicoli.

La quota di mercato di Fiat in Europa è in caduta libera, avendo perso oltre un punto percentuale nei primi 8 mesi dell’anno. Nel mese di agosto il dato è ancora più preoccupante, dato che la market share è scesa al 6,5 per cento.

Il mercato europeo non aiuterà Fiat a raggiungere gli obiettivi del Piano industriale presentato ad aprile.

La situazione americana è un po’ migliore, ma certamente non è brillante, nonostante il lancio di 13 nuovi veicoli nel corso dei prossimi mesi.

La Fiat Americana

Il mercato dell’auto americano sta rimbalzando e Chrysler sembra essere riuscita in parte a beneficiare di questo recupero. I dati a disposizione non sembrano tuttavia suggerire euforia, in quanto la terza delle “Big Three” non si sta comportando molto meglio del mercato. La seguente tabella mostra l’andamento delle principali case automobilistiche.

Mercato USA
Dati: numero di veicoli venduti e quota di mercato
Casa Automobilistica Numero Veicoli Venduti Quota di mercato
Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010 Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010
General Motors 1374780 1461700 19,4% 19,1%
Ford 1077850 1276362 15,2% 16,7%
Chrysler 653319 720143 9,2% 9,4%
Toyota 1170409 1164154 16,6% 15,2%
Honda 806807 815075 11,4% 10,6%
Nissan 524903 599496 7,4% 7,8%
Totale Auto 3765089 3917734 53,3% 51,1%
Totale Truck 3304287 3743858 46,7% 48,9%
Totale Veicoli 7069376 7661592 100,0% 100,0%
Fonte: Elaborazione IBL dati WSJ

La quota di mercato di Chrysler è cresciuta nei primi 8 mesi dell’anno dal 9,2 al 9,4 per cento, grazie soprattutto alla debolezza e ai problemi di affidabilità di Toyoya. La casa automobilistica giapponese ha visto un tracollo della quota di mercato di un punto e mezzo percentuale a causa della campagna di richiamo e alle multe inflitte per mancanza di sicurezza dei suoi veicoli.

Nei prossimi mesi Sergio Marchionne ha annunciato il lancio di vetture Alfa Romeo e Fiat nei concessionari Chrysler. Il momento per il mercato delle auto non è facile negli USA, dato che i “light trucks” stanno conquistando sempre maggiori quote di mercato. Il tracollo della Smart lascia pochi spazi alla 500, in un mercato profondamente differente da quello europeo. Molto dipenderà dall’andamento del prezzo del petrolio; infatti nel 2008/2009 vi è stata la crescita della vendita delle vetture proprio quando il prezzo del gallone cresceva. Nel momento in cui il prezzo del “barile” è cominciato a contrarsi, i light trucks hanno ricominciato a diventare attrattivi, tanto che nel mese di agosto vi è stato quasi il sorpasso ai danni del mercato auto.

Il mercato americano comunque ha visto nel mese di agosto una contrazione del 21 per cento, fronte a una crescita nei primi 8 mesi dell’anno del 8,4 per cento. Anche negli USA i prossimi mesi potrebbero essere molto difficili per il settore auto.

Questa globalizzazione di Fiat non è stata ancora compresa da una parte del sindacato, la Fiom, la quale si è ritrovata a contrapporsi all’investimento di Pomigliano in piena campagna di successione della CGIL.

(continua domani: Pomigliano, la “Caporetto” della Fiom)

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Lo spin-off di Fiat – Parte prima /2010/09/17/lo-spin-off-di-fiat-parte-prima/ /2010/09/17/lo-spin-off-di-fiat-parte-prima/#comments Fri, 17 Sep 2010 11:03:51 +0000 Andrea Giuricin /?p=7071 È arrivata la scissione Fiat: la parte auto e quella industriale sono dunque divise. La decisione presa il 16 settembre avrà un impatto rilevante sul settore auto italiano e quello mondiale in generale. È il primo passo anche verso un consolidamento della Chrysler in Fiat Auto, proprio nel momento in cui il Tesoro Americano ha annunciato la progressiva uscita dal settore automotive. La quota di Fiat nel colosso di Detroit crescerá lentamente dapprima dal 20 per cento di oggi al 25 per cento, poi al 35 per cento e successivamente, con l’uscita dei sindacati americani, fino al 51 per cento. Per raggiungere la maggioranza assoluta, la societá guidata da Sergio Marchionne dovrá investire una somma non irrilevante di liquiditá ed è anche per questa motivazione che il demerger è avventuto.

Rendere evidenti i punti di forza della parte auto e di quella industrial ai mercati è necessario per trovare nuove risorse. Per fare ciò non è escluso a priori che una parte dell’auto venga venduta ai concorrenti. In particolare vi sono rumors da diversi mesi sulla vendita di Alfa Romeo e Lancia a Volgswagen o altri gruppi europei.

Se questa voce fosse confermata sarebbe la prova dello spostamento globale degli interessi di Fiat Group.

Lo spin-off annunciato aveva le sue basi nel piano industriale presentato a fine aprile agli investitori, nel quale si presentava il futuro di Fiat da qui al 2014.

 

Il Piano Industriale molto ambizioso

Il primo traguardo riguarda il numero di veicoli da vendere da qui al 2014; si prevede un raddoppio dei veicoli da poco più di tre milioni annui del 2009 a circa sei milioni a fine del piano industriale.

La stima dello stesso amministratore delegato del gruppo è una caduta del 30 per cento del mercato italiano. Nel nostro Paese, Fiat Automobile ha venduto nel 2009 oltre 720 mila vetture, pari ad un terzo delle vendite mondiali del gruppo.

La quota di mercato della casa automobilistica torinese è scesa al 30,8 per cento nei primi otto mesi del 2010, quasi tre punti percentuali in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Se anche la market share dovesse mantenersi stabile, cosa non facile in questo momento di aggressività e di crescita dei gruppi stranieri, il gruppo italiano potrebbe “perdere” circa 120 mila veicoli nella sola Italia, arrivando ad un totale di circa 600 mila unità nel 2010, a causa del calo strutturale della domanda dovuto alla fine degli incentivi. Nei primi otto mesi dell’anno in corso ha giá perso 50 mila veicoli rispetto allo stesso periodo del 2009. Questo dato sconta tuttavia di un primo trimestre positivo nel quale il gruppo torinese era arrivato a “guadagnare” fino a 25 mila vetture in piú rispetto all’anno precedente. Il dato del mese di luglio è preoccupante perché in un solo mese Fiat ha perso 25 mila immatricolazioni rispetto al 2009.

La tabella mostra le vendite del gruppo Fiat in Italia e in Europa nei primi mesi del 2010 e la fotografia del mese di agosto 2010.

Fiat – Vendite in Italia ed in Europa
Dati: numero di veicoli nuovi registrati
 
  Agosto 2010 Gennaio-Agosto 2010
Italia Europa Italia Europa
Gruppo Fiat 21101 45720 426691 723356
Fiat 15873 36096 327279 580809
Lancia 3109 3744 63800 72326
Alfa Romeo 2083 5628 34662 65894
Altre 36 252 950 4327
 
Fonte: Elaborazione IBL da dati ACEA e UNRAE

I dati mettono in mostra la principale debolezza di Fiat, che il piano industriale di Marchionne vuole appunto eliminare. La casa torinese è troppo dipendente dalle vendite in Europa ed in particolare in Italia.

Il seguente grafico permette di apprezzare meglio questo punto di debolezza.

Lancia è il marchio che maggiormente soffre di questo posizionamento, dato che quasi non riesce a vendere oltre i confini. Fiat e Alfa Romeo sono in una posizione similare, con piú delle metá delle vendite europee nel Belpaese.

Fiat prevede una contrazione globale delle vendite di oltre 200 mila veicoli nel 2010 e il raggiungimento dell’obiettivo di circa 3,2 milioni di veicoli per il 2014 per la sola casa automobilistica italiana potrà essere centrato con una crescita annuale di circa il 14 per cento.

Se dal lato delle vendite il Piano Industriale è estremamente ambizioso, lo stesso si può dire dal lato produttivo. Mentre l’azienda ha confermato alcuni mesi fa di chiudere l’impianto di Termini Imerese, considerato poco efficiente, ha deciso di aumentare la propria produzione in Italia di quasi il 50 per cento, fino ad arrivare a 900 mila veicoli prodotti. Questa cifra è lontana dai valori raggiunti nel 2000, quando sfiorava 1,4 milioni di autoveicoli.

Lo scontro su Pomigliano d’Arco con la Fiom parte proprio dal piano industriale, nel quale si decise di portare la produzione della nuova Panda dalla Polonia alla Campania.

Gli impianti italiani soffrono di una cronica mancanza di competitività, dato che nel nostro Paese Fiat produce con cinque impianti circa lo stesso numero di veicoli l’anno che in Brasile, dove è presente un solo stabilimento. Per questo motivo Fiat chiese ai sindacati maggiore flessibilità contrattuale, come negli Stati Uniti d’America.

Sergio Marchionne evidenzia spesso la differenza tra cooperazione che esiste con il sindacato americano e la conflittualità con quello italiano.

Nel 2009 la casa automobilistica di Detroit, dopo essere salvata dal Governo Americano, ha venduto poco meno di 1,4 milioni di veicoli. I 2,8 milioni di veicoli previsto per il 2014 sono insomma molto lontani.

Il Piano invece non prevede un sbarco in forze nel mercato asiatico, che è il più promettente. La Cina è diventata il primo mercato mondiale per numero di autoveicoli nel 2009, superando la leadership statunitense.

Nella presentazione del Piano Industriale 2009-2014 è illustrata la divisione tra il ramo automobilistico e quello industriale. Nella prima, chiamata “pure Fiat” confluiranno Fiat Auto, Magneti Marelli e altre società, mentre nella parte “industrial” andranno principalmente Iveco e CNH.

La nuova Fiat, dedicata all’auto, si pone come obiettivo il raddoppio del fatturato, fino a 64 miliardi di euro nel 2014, mentre la parte Industrial dovrebbe vedere i ricavi crescere da 19 miliardi del 2010 a 32 miliardi di euro nel 2014. Questi dati non comprendono Chrysler e si capisce dunque che ancora una volta l’obiettivo è estrem

amente ambizioso.

Il Piano industriale si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.

Un doping inutile e dannoso, come anche affermato da Sergio Marchionne a margine della conferenza stampa di ieri.

(continua domani)

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Fiat globale vs. Fiom locale /2010/09/04/fiat-globale-vs-fiom-locale/ /2010/09/04/fiat-globale-vs-fiom-locale/#comments Sat, 04 Sep 2010 18:30:05 +0000 Andrea Giuricin /?p=6949 La nuova Fiat è sempre più globale, come mostrano anche i dati delle vendite di agosto nei principali mercati automobilistici. Certo un singolo mese non fa un anno, ma la tendenza dopo lo sbarco di Marchionne in America è questa. Tuttavia Fiat, nonostante l’acquisto di Chrysler, rischia di non essere abbastanza grande per il mercato dell’auto del futuro.

L’acquisizione del 20 per cento di Chrysler da parte del gruppo torinese nel 2009 ha cambiato la prospettiva della casa automobilistica italiana. Nei prossimi anni la quota di Fiat in Chrysler dovrebbe salire fino al 55 per cento, rendendo il gruppo guidato da Sergio Marchionne il primo azionista del produttore americano. In questo modo l’Europa non sará piú il centro degli interessi per la casa torinese, che registrerà la predominanza del  mercato americano, grazie anche al Sud America e la posizione di forza in Brasile.

Se dal lato della produzione Fiat è riuscita da qualche anno a globalizzarsi questo processo di internazionalizzazione nel settore delle vendite è stato piú lento, anche perché costruire una rete di concessionari globale è molto difficile. Infatti, stabilire una fabbrica negli Stati Uniti è relativamente semplice, mentre è molto più complicato avere centinaia o migliaia di rivenditori.

Perché Fiat ha bisogno d’essere un’impresa sempre più globale? E perché una parte del sindacato italiano non riesce a comprendere questa nuova fase?

Innanzitutto bisogna guardare allo sviluppo del mercato automobilistico. L’Europa sta perdendo quote di mercato a discapito principalmente del continente asiatico, con il traino della Cina. Il gigante asiatico ha registrato il sorpasso sugli Stati Uniti d’America nel 2009 per quanto riguarda il numero di autoveicoli venduti.

Fiat ha compreso che l’Europa era troppo piccola ed è la ragione per la quale Sergio Marchionne ha puntato sull’operazione Chrysler. In questo modo Fiat diventa più americana che europea, con tutte le conseguenze del caso.

In Italia la produzione di autoveicoli è scesa negli ultimi anni, fino ad arrivare a poco più di 600 mila veicoli prodotti, lontano non solo da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, ma un livello inferiore rispetto anche alla Repubblica Ceca.

Il piano “Fabbrica Italia” nel quale si prevedono 20 miliardi di euro di investimenti in Italia nei prossimi anni, con addirittura un incremento della produzione italiana è stato un passo coraggioso di Marchionne. Certo gli obiettivi del piano industriale saranno difficilmente raggiungibili, poiché si prevede un raddoppio delle vendite entro il 2014, ma l’arrivo della Nuova Panda a Pomigliano d’Arco è stato un punto a favore di Fiat e del suo piano industriale.

La nuova Panda a Pomigliano d’Arco ha tuttavia registrato un punto di scontro con la FIOM, in piena campagna di successione nella CGIL. Le nuove condizioni di Fiat, che voleva una produzione più flessibile in cambio dell’investimento di 700 milioni di euro, sono state prese di mira da Filippo Landini, alla guida della FIOM.

Questo scontro è stato solo il primo. Dopo la presa di posizione cieca della FIOM, Fiat ha annunciato che la produzione delle monovolume, presente nel piano “fabbrica Italia” sarebbe stato spostato da Mirafiori alla Serbia, lasciando capire che gli investimenti in Italia sono possibili solo a certe condizioni.

L’ultimo scontro si ferma a Melfi, come ben descritto da Oscar Giannino.

La FIOM, per difendere i tre lavoratori che bloccarono probabilmente la produzione degli impianti di Melfi, ha deciso di assumere una posizione strumentale al fine di avere qualche voto in più alle prossime elezioni CGIL.

Una FIOM che non vede oltre Melfi o Pomigliano d’Arco e che per interessi elettorali rischia di cancellare il progetto “fabbrica Italia”.

La FIAT si scontra con una sfida globale estremamente difficile e si trova una parte del sindacato che non va oltre a Melfi. La posizione della FIOM pur comprensibile a livello di lotte di successione, non è giustificabile e dimostra l’arretratezza di una parte del sindacato italiano.

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TAV: strategica per l’Italia? O per la Fiat? /2010/01/23/tav-strategica-per-litalia-o-per-la-fiat/ /2010/01/23/tav-strategica-per-litalia-o-per-la-fiat/#comments Sat, 23 Jan 2010 14:15:08 +0000 Francesco Ramella /?p=4898 Nel profluvio di dichiarazioni sulla TAV di questi ultimi giorni, merita forse sottolinearne un paio. La prima è di Rainer Masera, il presidente della Cig (conferenza intergovernativa italo-francese), che ha dichiarato a MF Dow Jones:

“la linea dell’alta velocità tra Torino e Lione potrà e dovrà essere il cantiere più grande d’Europa, i costi saranno notevoli e occorrerà tenerli sotto controllo ma ci sono elementi di flessibilità per i finanziamenti, grazie al fatto che si può procedere per lotti costruttivi”;
“si tratta di un’opera transeuropea fondamentale tanto che anche la Corte dei Conti ha adattato le proprie regole per permetterne la costruzione”.

Il Presidente della CIG sembra mettere la mani avanti, prefigurando uno scenario assai preoccupante sotto il profilo dei costi di costruzione che, è facile prevederlo, a consuntivo saranno molto più elevati di quelli a preventivo. E’ quasi la norma, per le infrastrutture ferroviarie: uno studio di qualche anno fa del danese Bent Flyvbierg ha mostrato come, in media, i costi reali superano di quasi il 50% quelli a preventivo mentre i traffici sono inferiori alla metà di quelli stimati inizialmente. In Italia, come dimostra il caso della rete AV, il fenomeno assume poi contorni patologici con scostamenti superiori al 100%.
Inoltre, come hanno spiegato Andrea Boitani e Marco Ponti su lavoce.info, la possibilità di procedere per “lotti costruttivi” e non, come previsto in precedenza, per “lotti funzionali”, significa aumentare di molto il rischio che si realizzino tratte di infrastrutture che saranno inutilizzabili magari per decenni.
Considerati poi i rilievi che la Corte dei Conti ha avanzato negli scorsi anni a proposito delle acrobazie finanziare legate alle grandi opere, la notizia di un “adattamento” (ammorbidimento?) delle regole non può che destare ulteriore preoccupazione.
Il secondo intervento che merita attenzione è quello dell’ad della Fiat, Sergio Marchionne, secondo il quale:

“l’Alta Velocità rappresenta la più grande occasione che l’Italia ha per modernizzare la propria rete infrastrutturale e per porre le basi dello sviluppo economico che lasceremo alle prossime generazioni”

Potrebbe sembrare a prima vista curioso che un costruttore di automobili sia così entusiasta di un progetto che dovrebbe avvantaggiare la concorrenza. Di norma, accade il contrario. Quando lo Stato concede aiuti alla Fiat, sono, non troppo coralmente a dire il vero, gli altri settori produttivi che si lamentano del provvedimento. In questo caso la Fiat sarebbe disposta a “sacrificarsi” per il bene superiore del Paese? Probabilmente le cose stanno diversamente. In Fiat sanno benissimo che l’alta velocità non ridurrà in alcuna misura apprezzabile l’utilizzo e la vendita di auto. Strada e ferrovia sono due modi di trasporto in larga misura non in concorrenza: due vasi non comunicanti. L’esperienza francese dell’AV è in tal senso illuminante: la più estesa rete europea non ha avuto alcun impatto sull’evoluzione della domanda di trasporto su strada.
Dall’altro lato, c’è un evidente interesse della casa torinese alla possibilità di far parte, come già accaduto per altre tratte dell’AV, del consorzio di imprese che realizzerà i lavori della Torino – Lione. Imprese per le quali la prospettiva di una lievitazione dei costi appare tutt’altro che disprezzabile. Non sarà per caso che quello che (si dice) va bene per l’Italia in realtà va bene per la Fiat?

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Settore Auto: quegli aiuti inutili /2009/06/22/settore-auto-quegli-aiuti-inutili/ /2009/06/22/settore-auto-quegli-aiuti-inutili/#comments Mon, 22 Jun 2009 07:36:06 +0000 Andrea Giuricin /?p=1096 La settimana scorsa si è tenuto un importante vertice tra Fiat e il Governo; l’incontro ha messo in evidenza la strategia del gruppo torinese, che è quella di focalizzarsi sempre più sul mercato internazionale.
Questa è una necessità dovuta sia ad un mercato dell’automotive sempre più globalizzato che allo scarso appeal del nostro Paese come paese produttore di autovetture.
La Fiat ha esplicitato tale strategia non solamente con l’acquisizione del 20 per cento della proprietà di Chrysler e il tentativo di fusione con Opel, ma con una delocalizzazione, negli ultimi anni, della produzione verso paesi con un migliore ambiente atto agli investimenti.
Il gruppo guidato da Sergio Marchionne mette in evidenza due punti chiave del settore automobilistico italiano.Nella nuova alleanza tra Chrysler e Fiat, nel 2008, in Italia si sono prodotte circa il 15 per cento del totale delle vetture.
La quota di produzione italiana è molto bassa ed è in calo nell’ultimo decennio. Se nel 2000 la produzione di auto italiane era pari a 1,42 milioni, nel 2008 si sono fabbricate solamente 659 mila vetture. Il calo è stato pari ad oltre il 50 per cento, ma quel che più colpisce è il confronto con gli altri paesi europei.

Il primo paese produttore europeo di automobili è la Germania, che nel 2008 ha visto uscire dalle proprie fabbriche oltre 5,5 milioni di veicoli. La Francia ha fabbricato circa 2,14 milioni di auto, seguita da Spagna, 1,94 milioni e Gran Bretagna, 1,45 milioni. I livelli italiani di produzione sono molto distanti e questo è imputabile sia ad un costo del lavoro elevato che ad un ambiente non favorevole agli investimenti.
Si posso trovare due modelli di sviluppo del settore auto:

  • quello della Germania e  della Francia, i quali hanno diversi produttori nazionali, come Volkswagen, BMW, Mercedes per il primo paese o PSA e Renault per il paese Transalpino.
  • Spagna e Gran Bretagna sono invece caratterizzate da una produzione di case automobilistiche estere.

L’Italia ha un modello invece incentrato solo su Fiat, che nel 2007, ultimo anno con le statistiche disponibili, produceva il 97 per cento di tutte le automobili italiane.

Lo stesso Belgio, la Polonia e la Repubblica Ceca, nel 2008 hanno fabbricato più automobili dell’Italia e questo è dovuto non tanto a Fiat, che ha cercato di produrre laddove le condizioni economiche erano migliori, quanto ai diversi Governi Italiani che si sono succeduti e non sono mai stati in grado di favorire una produzione italiana con un abbassamento del costo del lavoro.
Quello che ne deriva è che, quando la Fiat ha dei problemi, tutta la produzione auto italiana ne risente e il Governo si sente costretto ad intervenire.

L’incontro tra l’azienda torinese e il Governo di settimana scorsa quindi è stato molto influenzato dagli errori passati delle diverse amministrazioni. Un aumento della Cassa Integrazione è il tipico intervento che non risolve il problema, ma è  la solita amara medicina per il contribuente italiano. Tale medicina che il Governo Italiano continua a somministrare al settore auto, forse era inevitabile, ma certamente non è il cambio di marcia che serviva per attirare produttori esteri.

Le politiche dovrebbero cambiare radicalmente, cercando di abbassare la tassazione, semplificare l’investimento di produttori esteri, al fine di rilanciare un settore, quello automobilistico, che in Italia ha sempre meno importanza.

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