CHICAGO BLOG » salvataggi bancari http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Quel pozzo senza fondo chiamato Hypo Real Estate /2010/11/12/quel-pozzo-senza-fondo-chiamato-hypo-real-estate/ /2010/11/12/quel-pozzo-senza-fondo-chiamato-hypo-real-estate/#comments Fri, 12 Nov 2010 20:28:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=7576 Nei giorni in cui i progetti di fusione tra le malconce Landesbanken sfumano per l’ennesima volta, il canale televisivo ARD ripercorre con una galleria fotografica i momenti salienti della crisi bancaria tedesca degli ultimi anni, il cui simbolo può a buon diritto essere considerata Hypo Real Estate.

Ma andiamo con ordine. HRE è una banca, specializzata in mutui immobiliari con sede a Monaco di Baviera, nata nel 2003 a seguito dello spin-off da Hypovereinsbank, a sua volta fusasi con Unicredit nel 2007. La voragine nei conti di HRE, causati dagli affari spericolati della controllata irlandese Depfa Bank, divenne di pubblico dominio solo verso la fine di settembre del 2008, quando il watchdog dei mercati finanziari tedesco (BaFin), la Bundesbank e l’associazione delle banche tedesche (BdB) decisero di concedere linee di credito al gruppo, al fine di tamponarne le difficoltà di rifinanziamento. Solo qualche giorno più tardi divenne chiaro che la situazione di Depfa Bank, acquisita nel 2005 dall’audace Ceo Georg Funke, era così drammatica, che il problema non era più semplicemente di far affluire liquidità, bensì di evitare la bancarotta della holding.

Appena una settimana più tardi, il 5 ottobre, l’esecutivo tedesco di grande coalizione  fu così costretto a varare la prima delle numerose iniezioni di denaro pubblico, pena – si disse- un effetto domino sul sistema bancario, simile a quello provocato dal tracollo di Lehman Brothers negli Stati Uniti. Dopo l’azzeramento dei vertici del gruppo, la loro sostituzione con “manager” di dubbie capacità (tra cui anche politici socialdemocratici con un passato nella Landesbank di Berlino o alla Bundesbank) e la creazione del famoso fondo per la stabilizzazione degli istituti di credito (SoFFin), Hypo è arrivata a farsi versare più di 100 miliardi tra garanzie e aiuti diretti dalla Federazione e solo in minima parte (15 miliardi) da altre banche.

Il 26 gennaio 2009, di fronte allo stato comatoso del paziente, il Governo federale entrò nel capitale di HRE, nel tentativo di accaparrarsi  la quota di maggioranza. L’opposizione, tanto quella liberale quanto quella comunista, lamentò un intervento tardivo, giacché – si disse – le eventuali responsabilità degli ex proprietari di Hypovereinsbank erano ormai per legge prescritte e solo lo Stato, cioè i contribuenti, avrebbero potuto paracadutare i debiti dell’istituto.

Con perdite per l’anno 2008 pari a 5,5 miliardi di euro, il 20 marzo 2009 il Bundestag approvò la Rettungsübernahmegesetz, legge che attribuiva al Governo federale il potere di espropriare gli azionisti ancora titolari di azioni di HRE. Se gli azionisti non avessero accettato la carota dell’offerta pubblica di acquisto da parte della Federazione, il Governo federale avrebbe usato il bastone dell’esproprio. Un chiaro abuso del diritto, derivante dal surreale conflitto di interesse dell’essere contemporaneamente regolatori e banchieri. Abuso che il fondo di private-equity C.J. Flowers, detentore di quasi il 22% delle quote societarie, decise di non accettare. La cocciuta opposizione del fondo americano costrinse così i tecnici del Ministero ad aggirare l’ostacolo. Dopo un gigantesco aumento di capitale per annacquarne le partecipazione, la Federazione acquisì il controllo del disastrato istituto. La nazionalizzazione si completò così nell’ottobre dello scorso anno con il cd. squeeze-out ad 1.30 € ad azione del restante 10% degli azionisti.

Formalmente l’esproprio non avvenne, anche se sulla natura dello squeeze-out si potrebbe discutere. Ma il clima di arbitrio e di allontanamento dai principi della cd. Ordnungspolitik portò alla mente quello altrettanto violento di sessant’anni prima, ai tempi del nazionalsocialismo. Ma quel che è peggio è che, in poco meno di due anni, Hypo Real Estate aveva inghiottito decine e decine di miliardi dei contribuenti, senza riuscire a cavarsi d’impaccio. Ancora oggi, unico tra gli istituti di credito tedeschi a non aver superato lo stress-test europeo, Hypo Real Estate, che oggi si chiama Deutsche Pfandbriefbank AG, è la pecora nera del sistema bancario teutonico. Nonostante le ingenti perdite, i vertici del gruppo dovrebbero persino ricevere bonus e liquidazioni nell’ordine di 20 milioni di euro. A chi sostiene che lo Stato è un azionista migliore e più avveduto, raccontate la storia di HRE.

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Compiti 2010-3: una “nuova” eurodisciplina /2010/01/07/compiti-2010-3-una-nuova-eurodisciplina/ /2010/01/07/compiti-2010-3-una-nuova-eurodisciplina/#comments Thu, 07 Jan 2010 21:10:22 +0000 Oscar Giannino /?p=4655 La Banca Centrale Europea e la disciplina di bilancio dell’Euroarea e dell’Unione Europea escono severamente provati dalla crisi. Ma non sembra proprio che le classi dirigenti europee siano intenzionate ad animare un dibattito serio sulle loro modifiche. Anzi, in generale prevale la soddisfazione per come avrebbero affrontato con maggior successo di altri gli effetti della crisi. Bisogna avere il fegato e gli argomenti buoni per contrastarla.
La macchinosità delle modifiche al Trattato – dopo il travagliato iter pluriennale costellato di incidenti referendari prima della recentissima entrata in vigore della rimaneggiata “versione di Lisbona” - rischia per altro di rendere le regole europee intoccabili quanto l’ormai eretta a feticcio prima parte della Costituzione italiana. In realtà, nell’ambito dell’Euroarea e dell’Unione Europea nel difficile 2009 hanno convissuto diverse “vie nazionali” al salvataggio bancario. La via francese e quella dei Paesi Bassi, nel caso Fortis o ING, o quella tedesca nel caso della Landesbanken, hanno in realtà visto le articolazioni nazionali del Sistema Europeo di Banca Centrale muoversi in totale autonomia venata da concertazioni riservate del tutto estranee agli organi ufficiali BCE di Francoforte, forti di un consenso con le autorità politiche nazionali che in realtà è stato praticamente sempre – anche nel caso germanico – totale allineamento ai desiderata politici. Di che cosa possano essere fieri i banchieri centrali europei - al di là di quelli che, come nel caso di Draghi in Italia, non hanno dovuto per fortuna salvare nessuno – non riesco proprio a capirlo. Analoga amarezza vale per le regole contabili europee: e non mi riferisco ai deficit e debiti pubblici che schizzano verso l’alto, bensì al fatto che nell’Ue alla fine il principio che esce affermato da questa crisi è che per le banche conviene essere insediate o nei Paesi Ue che non hanno l’euro, come UK, oppure in quelli che hanno maggior margine dei debito pubblico aggiuntivo: perché in entrambi i casi la loro probabilità di essere salvate a spese del contribuente maggiore. Ma ciò configura semplicemente un’inaccettabile distribuzione asimmetrica dell’azzardo morale, visto che le banche sono indotte a una disciplina patrimoniale inversamente proporzionale al rischio di debito pubblico nazionale. Quanto più contenuti sono i CDS sul debito sovrano, tanto più possono essere impunemente altri i CDS delle banche incardinate in quei Paesi. È un’ipocrisia intollerabile.
Due paper propongono argomenti e considerazioni sull’intreccio tra regolazione finanziaria e disciplina di bilancio in Europa. Il primo è di Paul De Grauwe che insegna a Lovanio – in questo blog più volte citato in questi ultimi mesi – e del neokeynesiano eurortodosso Daniel Gros del CEPR. Parte dalla condivisibile premessa che la missione affidata per Statuto alla BCE – la sola lotta all’inflazione attraverso i tassi d’interesse – sia inadeguata, e conclude affermando  che la disciplina  di microstabilità finanziaria – dei coefficienti  patrimoniali di vigilanza degli istituti – e di macrostabilità – vigilanza sugli intermediari cross border o comunque di taglia tale da proiettare conseguenze sull’intera Euroarea in caso di insolvenza – vadano attribuiti alla BCE. Mi convince la prima osservazione, non la seconda, che è comunque lontana dalla barocca architettura in via di attuazione, secondo lo schema del rapporto de Laroisiére. In realtà, poiché è il debito nazionale a far come si è visto la differenza in ordine a come comportarsi verso i Too Big To Fail, allora la soluzione migliore è un’altra, l’unica alla quale la politica comunitaria possa addivenire senza far gridare la BCE all’attentata indipendenza.  Mi convince per questo assai di più la via indicata in quest’altro paper di Alexander Fink e Thomas Stratmann della George Mason University. In realtà occorre un esplicito compromesso politico tra Paesi europei, per il quale essi dichiarino d’ora in poi criteri comuni di convergenza per i bailouts bancari, “a prescindere” dalla facoltà nazionale di accendere debito pubblico aggiuntivo per la bisogna. E che tali criteri vengano esplicitamente adottati come articoli aggiuntivi ai tetti di Maastricht: perché l’esperienza storica insegna altrimenti che il moral hazard dell’intermediazione finanziaria cresce in presenza di criteri di bilancio pubblico troppo soft.

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