Può l’amore per la libertĂ far breccia a sinistra? Una risposta lapidaria è difficile. Ciò che tuttavia balza agli occhi dei piĂą attenti osservatori è che negli ultimi quindici anni, in Italia, il vessillo del liberalismo è stato innalzato (solo) quando si è trattato di combattere il rivale politico per eccellenza, ossia Silvio Berlusconi. La concorrenza, il mercato, la libertĂ di espressione sono diventati degli strumenti di lotta partigiana e non qualcosa di intrinsecamente buono per cui valeva la pena battersi. Qualcosa insomma di cui appropriarsi temporaneamente, come clava da dare in testa all’avversario. In un’intervista concessa al Sole 24 Ore in occasione dell’inaugurazione di Biennale Democrazia, l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky mostra di inserirsi pienamente nel solco di questa strana tradizione intellettuale. Fa infatti davvero piacere sentirsi mettere in guardia dal rischio di una “societĂ come palazzo di cristallo dove tutto è regolato perfettamente e che in vista dell’ordine abolisce la libertĂ “; e ancora, citando Montesquieu, dal fatto che “la paura è la molla che fa funzionare il dispotismo“. Clap, clap. Ma alla tanto bella quanto teorica dichiarazione di principio sui pericoli della societĂ massificata, non fa poi seguito alcuna condanna del costruttivismo, della pianificazione economica e della ipertrofia legislativa. Anzi. Nel suo amore sviscerato per il mito della democrazia e della sua neutralitĂ , Zagrebelsky ricorda ad esempio come “la tutela della sicurezza è per quintessenza il luogo dell’imparzialitĂ ” e ancora come “negli Stati ben strutturati, il Ministero dell’interno è il meno politico, il piĂą oggettivo“. Le ronde e l’autodifesa si collocherebbero secondo Zagrebelsky “fuori da cinque secoli di cultura costituzionale“. Al di lĂ del fatto che il professore sembra essersi perso per strada il secondo emendamento della Costituzione americana, ebbene al di lĂ di questo, considerare come fumo negli occhi la possibilitĂ che i cittadini sopperiscano alle inefficienze dello Stato, approntando strumenti di difesa volontaria di ciò che loro legittimamente spetta, significa non voler impedire che la politica usi proprio il tanto decantato Ministero dell’Interno per soggiogare e coartare le libertĂ del popolo; significa cadere proprio nel vortice dal quale Zagrebelsky intende salvarci; significa insomma permettere che l’uomo-massa deleghi in bianco allo Stato (Ortega y Gasset). Basterebbe avere a mente quante limitazioni alle nostre libertĂ sono state perpetrate negli scorsi anni dietro al paravento della lotta al terrorismo per accorgersi che l’imparzialità è e resterĂ un mito. “Quale Paese può conservare la propria libertĂ se ai suoi governanti non viene periodicamente rammentato che la popolazione conserva il proprio spirito di resistenza? Che il popolo si armi!”. Chi ha scritto queste righe non è nĂ© Calderoli nĂ© Borghezio, ma si chiamava Thomas Jefferson, lo stesso ad avvertire- parecchi secoli prima di Zagrebelsky- che “il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza“. D’altra parte, anche nella deliziosa citazione di Dostoevskij (“Non c’è per l’uomo preoccupazione piĂą ansiosa che di trovar qualcuno a cui affidare al piĂą presto quel dono della libertĂ , con il quale quest’essere infelice viene al mondo“) non v’è alcun intento di demitizzazione della sovranitĂ o delle istituzioni politiche, nĂ© alcuna denuncia dei pericoli che la democrazia in sĂ© e per sĂ© considerata comporta. A Zagrebelsky sfugge quello che è il nodo fondamentale della questione, ovvero quello- per dirla con Bruno Leoni- “dello Stato concepito come realtĂ sopranuotante agli individui; piĂą buona, piĂą giusta, piĂą potente degli individui, a cui dovrebbe tendere la mano per renderli migliori”. Una volta dato per scontato che la Costituzione e la legge positiva sono frutto della volontĂ generale, che lo Stato nasce da un fantomatico contratto sociale e che la norma fondamentale kelseniana è un assioma imprescindibile, si rimuove il problema- a mio avviso fondamentale- della natura irrazionale e religiosa del potere o, per così dire, della nascita del diritto moderno “intorno ad un totem“. Che la democrazia possa tralignare nella dittatura della maggioranza lo sanno ormai anche le pietre. Certo, ricordarlo non fa mai male. Ma in momenti come questi occorrerebbe piuttosto non smettere di interrogarsi sulle ragioni intime della nascita dello Stato, sui motivi della costante espansione dei poteri pubblici e sulle perversioni della rappresentanza politica nella societĂ democratica. Che Biennale Democrazia sappia far questo ne dubitiamo fortemente. Non foss’altro che per l’”educativo” incontro sulle “bellissime tasse” propinato ad innocenti bambini delle elementari. Il mito continua.
Giovanni Boggero liberismo autodifesa, Biennale Democrazia, Bruno Leoni, Gustavo Zagrebelsky, liberalismo, libertĂ , ronde, Thomas Jefferson