CHICAGO BLOG » rinnovabili http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Se le pale girano nel verso sbagliato /2010/11/29/se-le-pale-girano-nel-verso-sbagliato/ /2010/11/29/se-le-pale-girano-nel-verso-sbagliato/#comments Mon, 29 Nov 2010 11:21:07 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7717 Ieri Report ha dedicato una puntata alle fonti rinnovabili, col titolo un po’ scontato “girano le pale”. Purtroppo, la bella trasmissione di Milena Gabanelli non è sfuggita allo stereotipo del derby. In tv si parla delle rinnovabili solo in due modi: o per denunciare le forze oscure della reazione in agguato contro le belle-buone-convenienti-ecologiche-democratiche fonti verdi, oppure per tremonteggiare. La Gab ha tremonteggiato.

La puntata si apre con un paio di immagini “forti”. Tullio Fanelli che dice l’ovvio, cioè che i sussidi sono troppo generosi. Un assessore (credo calabrese) che casca dal pero quando gli dicono che la mafia ha messo le mani su alcuni appalti eolici. Il sottosegretario Stefano Saglia spiazzato di fronte a un decreto pubblicato in gazzetta ufficiale con un commentaccio tra parentesi. La conduttrice che indugia sui piccoli-che-annegano-nella-burocrazia e i grandi-che-speculano. Un agricoltore bolognese che parla come Bersani e si lamenta di non ottenere i finanziamenti dalla banca, l’ex patron del brand di abbigliamento intimo “La Perla” che invece sta mettendo in campo un mostro fotovoltaico senza problemi (“mi considerano ancora un buon cliente”) anche se pure lui ha avuto le sue magagne, come tutti. Anche uno scivolone molto brutto per chi crede che la liberalizzazione vada anzitutto comunicata (“siamo a Milano e qui la bolletta è di A2A”). Comunque, in generale, buona la spiegazione della composizione della bolletta, e di cosa è e quanto vale la componente A3. (Un po’ ambigua la spiegazione sulla componente A2, da cui il telespettatore ingenuo potrebbe capire che noi paghiamo per il nucleare – che non abbiamo – e non per la scelta scellerata di chiudere prematuramente le centrali negli anni successivi al referendum, ma vabbé). Ma poi qual’è la tesi forte della trasmissione?

Un po’ si rintraccia l’implicito sostegno all’idea che le rinnovabili siano effettivamente alternative alle centrali tradizionali. Grande enfasi per Carlo Vulpio che, in sostanza, dice che i sussidi hanno senso se servono a sostituire capacità convenzionale – se la cosa viene presa sul serio, si arriva alla posizione dell’Ibl: i sussidi non hanno senso, perché (tra le altre cose) la potenza intermittente e imprevedibile deve essere comunque rimboccata da centrali convenzionali pronte a entrare in funzione quando il sole non splende o il vento non soffia. Poi c’è la continua e sotterranea tensione tra la voglia di verde ma l’indisponibilità a pagare per sostenerlo. C’è Vittorio Sgarbi che se la prende con l’eolico (“sta merda qui”) in quanto paesaggisticamente scorretto. Qui cominciamo ad avvicinarci al cuore della trasmissione, non prima di aver aperto una ampia digressione su Enel Green Power e i paradisi fiscali (questa volta, il Delaware).

Il centro della trasmissione è il servizio sui certificati verdi, quindi, soprattutto, l’eolico. Ma prima di arrivarci c’è altra ciccia: le false certificazioni di energia verde nelle importazioni e lo scandalo dell’acquisto di certificati verdi da parte del Gse. Apro una parentesi: è uno scandalo anche secondo me, perché alza artificialmente il prezzo, ma è uno scandalo scolpito nel momento in cui tutto l’ambaradàn è cominciato ed è controproducente cancellare tutto con un tratto di penna (come voleva fare il ministro dell’Economia con poca sensibilità per la certezza del diritto). E finalmente, si arriva alla Calabria.

Si ritorna sull’assessore che visibilmente non sa nulla di ciò di cui parla. Ma la questione clou è la mafia nell’eolico, di cui i magistrati si stanno occupando da tempo (“non ci credo”, dice l’assessore, e chiosa: “sono favole, sono barzellette”) e di cui sappiamo tutto e quello che non sappiamo lo sospettiamo. Nel fango viene scaraventata la Edison per un percorso autorizzativo non chiarissimo, ma anche questo non aggiunge nulla al teorema perché, nella peggiore delle ipotesi, rappresenta un caso isolato (e nella migliore una pista falsa, come onestamente ritengo probabile dato che trovo improbabile che una grande società quotata in borsa faccia un simile passo falso). La domanda che io avrei voluto porre all’autore del servizio (Alberto Nerazzini) e alla Gab è però un’altra: so what? A me non piace fare il difensore d’ufficio dell’industria verde, che del resto può contare su difensori più convinti di me, ma la questione è, al tempo stesso, semplice e complessa. Complessa perché le infiltrazioni mafiose non sono in alcun modo specifiche dell’eolico: “sono dappertutto”, dice una delle persone sentite da Report. Bisogna dunque semmai chiedersi perché la ‘ndrangheta è dappertutto e come fare a sconfiggerla, cioè a rintracciare le responsabilità, ingabbiare i delinquenti, e rimuovere tutte quelle circostanza (anzitutto di ordine normativo, regolatorio e istituzionale) che favoriscono la criminalità.

Ma la questione, almeno per quel che riguarda l’eolico, è anche davvero semplice: come abbiamo spiegato assieme a Carlo Durante,

il rischio implicito dell’investire in Italia (non solo nelle rinnovabili) è fonte di un rischio “Paese” più elevato della media. Ci si aspetta, dunque, una remunerazione più elevata. Ecco il risultato di troppo compromesso, di mancata chiarezza delle regole, o di regole mancate. Ecco come si spiega, e si volatilizza, un’altra fetta dell’incentivo.

Il punto, cioè, è che la confusione burocratica e la moltiplicazione dei passaggi amministrativi crea una naturale alcova per le infiltrazioni e, nella migliore delle ipotesi, per comportamenti non cristallini. Sarà contato – ma evidentemente non lo è – dire che l’opacità dipende… dalla scarsa trasparenza. Ed è nell’opacità che si incista l’illegalità. Dunque, un conto è condurre un’inchiesta su casi specifici nei quali la criminalità ha preso il sopravvento, altra cosa è generalizzare, o dare l’impressione di generalizzare, istituendo il collegamento tra eolico e mafia. In altre parole, non conta quanti siano i casi di incesto tra la mafia e l’eolico: sono tutti casi isolati, e non è una battuta. Sono casi isolati perché non sono specifici dell’eolico, ma specifici della burocrazia italiana. Volete sconfiggere la mafia eolica? Semplificate, semplificate, semplificate.

Tutto il resto viene dal demonio.

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O’ Sole tedesco, ma quanto ci costi! /2010/10/16/o-sole-tedesco-ma-quanto-ci-costi/ /2010/10/16/o-sole-tedesco-ma-quanto-ci-costi/#comments Fri, 15 Oct 2010 23:05:53 +0000 Giovanni Boggero /?p=7299 Brutte notizie per i consumatori tedeschi. L’anno prossimo avranno bollette più care. Tutto sta in una parolina magica che in tedesco si chiama EEG-Umlage e che rappresenta quel contributo aggiuntivo, che chiunque paghi la bolletta in Germania è tenuto a sobbarcarsi per garantire l’elargizione dei sussidi ai fruitori di energie rinnovabili. In altre parole, se è vero che “nessun pasto è gratis”, è altrettanto vero che neanche le sovvenzioni piovono dal cielo, ma i costi se li debbono ripartire tutti i consumatori. E’ il bello della redistribuzione. Ciò che si vede è il sussidio per chi approfitta delle energie rinnovabili. Ciò che non si vede è la tassa occulta addossata a tutti i membri della comunità, anche a quelli che per una libera scelta hanno deciso di non scaldarsi con il sole o con il vento. Che le norme non siano mai neutrali dovremmo averlo capito. Questa ne è l’ulteriore conferma.

Ebbene, l’anno venturo, complice l’aumento della produzione di energia ecologica sul totale, l’Umlage schizzerà verso l’alto (da 2,047 cent a 3,530 per kWh; qui il grafico) e con ogni probabilità l’aumento della bolletta si aggirerà intorno ai 70 euro all’anno per famiglia.

Tra i tanti motivi del repentino aumento della produzione di energie rinnovabili (ma ricordiamo sempre che il solare contribuisce per l’1% alla produzione nazionale di energia teutonica!), il quotidiano economico Handelsblatt cita anche la corsa all’acquisto di un pannello fotovoltaico da parte di moltissimi tedeschi, desiderosi di sfruttare le cd. feed-in-tariffs prima dei tagli destinati ad entrare in vigore nel mese di ottobre 2010 (-3%), a gennaio 2011 (fino a -13%) e a gennaio 2012 (fino a -21%).

Una piccola eterogenesi dei fini, insomma, destinata  forse a rientrare quando i tagli saranno stati implementati una volta per tutte. Solo allora vi sarà forse una discesa della curva totale delle sovvenzioni al solare, che nel 2011, nonostante le tariffe meno generose, toccherà verosimilmente livelli superiori al 2010, a fronte però di una potenza installata maggiore.

L’approvazione del taglio alle sovvenzioni per il fotovoltaico deciso dal Parlamento tedesco lo scorso agosto è infatti solo il primo passo verso la definitiva cancellazione dei sussidi, prevista entro il 2030. Al proposito, gli strepiti degli ambientalisti (e di alcuni curiosi banchieri delle Landesbanken, che paventano una possibile depressione del settore a causa della concorrenza cinese) sono del tutto ingiustificati, tanto più alla luce dei grafici e delle tabelle che gli stessi ecologisti amano esibire per dimostrare che ormai il solare è sempre più concorrenziale. Delle due l’una. O il solare è competitivo e allora i sussidi non servono più e vanno pian piano ridotti. Oppure il solare non è competitivo e perciò deve continuare a rimanere a carico di tutti i contribuenti. Tertium non datur.

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Di nucleare e dischi volanti. Di Antonio Sileo /2010/09/20/di-nucleare-e-dischi-volanti-di-antonio-sileo/ /2010/09/20/di-nucleare-e-dischi-volanti-di-antonio-sileo/#comments Mon, 20 Sep 2010 20:28:15 +0000 Guest /?p=7093 Riceviamo da Antonio Sileo e volentieri pubblichiamo.

Questa mattina, mentre in ritardo mi scapicollavo nella metropolitana di Milano, ho acchiappato una copia di Affari&Finanza, il supplemento economico de laRepubblica,. Immantinente sono stato colpito dal titolo dell’editoriale del direttore, Massimo Giannini, “L’Italietta nel caos atomico”. Ho iniziato a leggere avidamente. Richiamo al presidente del Consiglio per la (perdurante) non nomina del ministro dello Sviluppo Economico (che dell’energia è competente). Giusto e inevitabile. Dubbi e sospetti sulla ramanzina fatta dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che oltre a criticare l’eolico, pesantemente, ha rilanciato la ripresa di produzione nostrana di energia da fonte elettronucleare. Oltre al danno anche la beffa, viene da dire – scrive Giannini – e almeno per due ragioni una politica e l’altra tecnica. 

L’atomo ricorda sempre di più le «grandi opere» disegnate sulla lavagna nello studio televisivo di Bruno Vespa. Da un anno è tutto fermo – incalza l’editorialista. Non proprio, visto che l’approvazione in extremis del d.lgs. n. 31/2010, testo che attua la delega contenuta nella legge Sviluppo, un tassello significativo, è del 15 febbraio di quest’anno. Ma va bene: un po’ bisogna semplificare. Anche perché l’Agenzia per la sicurezza non ha ancora un organigramma. Ci siamo! Qui si sfonda un balcone, di una casa in verità già un po’ diroccata. In effetti, come di recente ha facetamente scritto un (super)esperto come GB Zorzoli: l’’iter previsto per il rilancio del nucleare accumula ritardi che neanche nei momenti peggiori della loro travagliata storia le ferrovie e l’Alitalia sono riuscite a eguagliare.

Si passa quindi alle ragioni tecniche: «L’Italia, al palo dai tempi dei referendum, punta a centrali di terza generazione, Nel resto del mondo se ne costruiscono di quarta già un pezzo.», inizia Giannini.

Ora (come del resto è molto noto a lettori di fumetti e science fiction) si sa che gli Americani sono riusciti a smontare l’impianto di aria condizionata del disco volante caduto a Roswell nel 1947 già a metà degli anni ’60. Si trattava appunto di un reattore di quarta generazione che da allora è stato utilizzato per alimentare gli illuminatissimi casinò di Las Vegas. Non ci risulta però, come si vede in tantissimi B movie, che sempre gli Americani non abbiano reso di dominio pubblico la suddetta tecnologia spaziale.

L’articolo si conclude con il «crossover» tra i costi del nucleare e solare fotovoltaico, ma forse era la pubblicità di una nissan Qashqai. Mi scuso con i lettori, perché proprio a questo punto mi sono ritrovato i cancelli sbarrati della linea 3 della metro, la gialla (quella più nuova e nota anche per le tangenti), a causa dell’esondazione di sabato del fiume Seveso: mi sono un po’ incazzato e forse ho capito male. In ogni caso su quest’ultima (non)questione, cioè il confronto tra nucleare e fotovoltaico, rimando, per esempio, a un Briefing Paper di IBL, dove si ricorda subito che quanto riportato dal New York Times sull’argomento è stato rettificato.

Certo, però, che se le ragioni politiche possono essere condivisibili, su quelle “tecniche” non ci siamo; proprio. 

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Il dubbio di Gubbio, la ramanzina di Cortina, e i conti di Tremonti /2010/09/19/il-dubbio-di-gubbio-la-ramanzina-di-cortina-e-i-conti-di-tremonti/ /2010/09/19/il-dubbio-di-gubbio-la-ramanzina-di-cortina-e-i-conti-di-tremonti/#comments Sun, 19 Sep 2010 13:43:13 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7084 Dopo il dubbio di Gubbio sullo spezzatino dell’Enel, la ramanzina di cortina su eolico e nucleare: che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, stia facendo i conti con l’energia? Se è così, ha probabilmente bisogno di un ripasso. Qui la prima puntata. Questa è la seconda.

Durante il suo intervento alpino, il ministro ha affrontato due questioni legate all’organizzazione del nostro mercato elettrico. Nel primo passaggio, ha espresso una dura condanna nei confronti dell’energia eolica; nel secondo, ha spiegato perché senza il nucleare siamo fottuti. In entrambi i casi, ha detto alcune cose giuste utilizzando gli argomenti sbagliati.

Partiamo dall’eolico. Sulla questione, a dire il vero, Tremonti era già intervenuto tempo fa, gettando l’industria del vento nello scompiglio, e oggi lo fa rilanciando l’argomento e riciclando la battuta (ma un grande maestro un giorno mi spiegò che l’importante non è cambiare battute: è cambiare pubblico). Parto dalla battuta:

Non dobbiamo credere a quelli che raccontano le balle dei mulini a vento, le balle dell’eolico, vi siete mai chiesti perchè in Italia non ci sono i mulini a vento?

La battuta esprime una semplice verità, naturalmente, cioè che l’Italia non è un paese ventoso. Si potrebbe però rispondere che il progresso tecnico consente di sfruttare con profitto anche zone meno ventose del passato, e anche questo è un po’ vero, un po’ no. Il problema è se l’energia dal vento sia (o possa essere competitiva) in assenza di sussidi. Nella maggior parte dei casi, non lo è, ma questa è un’opinione: l’unico modo per avere una risposta è lasciare alle imprese del settore la scelta se impiantare oppure no le torri eoliche, e farlo senza distorcerne gli incentivi con sussidi che, tra l’altro, sono spesso troppo alti e sempre troppo incerti (aggiungo: sono alti perché sono incerti). Comunque, Tremonti va oltre e aggiunge:

Il business dell’eolico è uno degli affari di corruzione più grandi e la quota di maggioranza francamente non appartiene a noi.

Non mi è chiaro se con “non appartiene a noi” Tremonti si riferisca all’industria italiana o alla sua parte politica (nel qual caso la cosa sarebbe quanto meno discutibile). Fatto sta che nelle parole di Tremonti si nasconde una verità fattuale – che attorno all’eolico siano volate e stiano volando tangenti – la quale, però, richiede di essere interpretata. In altri termini: la corruzione è intrinsecamente legata all’eolico? Se così fosse, dovremmo trovare episodi più o meno simili anche in altri paesi, e in particolare in quelli che più hanno investito nel vento, come Germania e Danimarca. Invece non è così. Come la mettiamo? La mettiamo che l’eolico è spesso un veicolo di corruzione non perché questa vada via col vento, ma perché i processi autorizzativi e i meccanismi burocratici per ottenere un’autorizzazione sono così opachi, così imprevedibili e così discrezionali da aprire una enorme finestra di opportunità per imprenditori disonesti, politici di facili costumi, e infiltrazioni mafiose di varia umanità. Che poi le regioni del Sud siano relativamente più ventose è una ulteriore circostanza facilitante, ma non la prima né la più importante. Se dunque Tremonti vuole affrontare seriamente la faccenda, deve fare alcune cose molto semplici: semplificare radicalmente i processi autorizzativi, scambiare questa razionalizzazione con una riduzione dei sussidi (la disponibilità ad accettare lo scambio è un indice interessante di quanto l’industria rinnovabile creda realmente nelle sue capacità), e disboscare le distorsioni esistenti. (Me ne sono occupato, senza esplicito riferimento all’eolico, anche qui). Per fare questo, non serve volare alto (anche perché poi è facile cadere): basta mettersi di buzzo buono e lavorare. Azzardo una scommessa: se mai il ministro ci provasse, dovrebbe scontrarsi con le fortissime resistenze della sua stessa base di amministratori (lo stesso accadrebbe se lo facessero gli altri, beninteso). Non è un’opzione, invece, “rottamare” l’eolico: fosse per me tutti i sussidi finirebbero domani mattina, e l’eolico dovrebbe battersi con le sue armi, ma non è possibile perché a questo siamo obbligati dalle direttive europee. Se proprio s’ha da fare, allora, tanto vale farlo bene.

Non comprendere che la corruzione non sta nell’eolico, ma nelle procedure spinge il ragionamento su una direttrice sbagliata. Infatti, Tremonti trae le sue conseguenze:

Un punto che ci penalizza è quello del nucleare: noi importiamo energia. Mentre tutti gli altri paesi stanno investendo sul nucleare noi facciamo come quelli che si nutrono mangiando caviale, non è possibile.

Ci sono  varie mine da disinnescare, in queste poche parole. Primo: non è vero che “tutti gli altri paesi stanno investendo sul nucleare“. Alcuni sì, altri no; di quelli no, la maggior parte non ci investono perché l’hanno già fatto. Inoltre, investire sul nucleare non gli impedisce di investire sulle rinnovabili, e viceversa. Non è che io mi ci trovi moltissimo a fare il difensore delle energie verdi, e non lo voglio fare, ma per sostenere una tesi corretta bisogna anzitutto partire da dati fattuali veri. Secondo: il nostro caviale non sono, tecnicamente, le rinnovabili, ma il gas. E il gas non è caviale in senso assoluto, anzi, è un combustibile straordinario di fondamentale importanza in un mix di generazione elettrica. Però ha il suo ruolo, mentre noi lo facciamo giocare in tutte le posizioni. Sicché lo impieghiamo non solo per fare le cose che sa fare bene, ma anche per quelle che sa fare meno bene e in modo molto costoso (la generazione “di base”, che altrove viene affidata a fonti con una diversa proporzione tra costi fissi e variabili quali il carbone e il nucleare). Noto per inciso che la vera competizione, se le cose stanno così, è tra nucleare e carbone (o, al limite, tra nucleare e gas): non può essere, per ragioni tecniche ed economiche, tra nucleare e rinnovabili (come abbiamo cercato di spiegare qui e come non si stanca di dire Chicco Testa).

Ultimo e più importante. Al contrario di quanto sembra sostenere Tremonti, non è vero che siamo poco competitivi perché importiamo energia: è vero che importiamo perché siamo poco competitivi. Se i prezzi elettrici in Italia fossero relativamente alti a causa delle importazioni, basterebbe smettere di importare e produrre in casa. Invece, per una molteplicità di ragioni (tra cui le più importanti sono le opposizioni contro i combustibili appropriati per la generazione di base, le inefficienze della rete e una serie di ruggini normative) il nostro costo di generazione è troppo elevato, e dunque importiamo una quota di energia dall’estero. Se le importazioni servissero a coprire deficit di capacità, la loro quota crescerebbe nelle ore di picco: invece, il grosso è di notte. Ora, è possibile che inserendo il nucleare nel nostro mix avremmo costi (non necessariamente prezzi) più competitivi, ed è possibile che questo andrebbe a scapito delle importazioni. Ma il nesso logico è il contrario di quello ipotizzato da Tremonti e, anzi, a parità di altri elementi avrebbe moltissimo senso aumentare la nostra dipendenza dall’estero e, in particolare, dalla Francia (così come avrebbe senso per la Francia, in altre ore del giorno, aumentare la dipendenza dalle importazioni dall’Italia).

Quello energetico è un settore importante e complesso. Non capire, però, che – in un contesto liberalizzato – si importa perché costa meno non tradisce una incompleta comprensione delle questioni energetiche. Tradisce o l’incompleta comprensione che due più due fa quattro, o la scelta consapevole di chiudere gli occhi di fronte a questa banale verità nel nome del populismo.

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Germania, per qualche atomo in più… /2010/09/06/germania-per-qualche-atomo-in-piu/ /2010/09/06/germania-per-qualche-atomo-in-piu/#comments Mon, 06 Sep 2010 10:19:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=6958 A quasi un anno dalla storica vittoria elettorale del 27 settembre, CDU/CSU ed FDP sono finalmente giunte ad un accordo per prolungare la vita dei diciassette reattori nucleari della Repubblica federale. Basterà il voto del Bundestag; il Bundesrat, in cui l’esecutivo non ha più la maggioranza, verrà comodamente aggirato.* In una lunga riunione, tenutasi ieri in una Cancelleria assediata dai manifestanti ecologisti, gli esponenti del governo hanno stilato le linee guida di questo “phase-out dal phase-out”, come è stato ribattezzato in questi mesi dalla stampa.

Complici i dubbi del Ministro dell’Ambiente Norbert Röttgen (CDU), tradizionalmente vicino alle istanze ecologiste, l’inversione di rotta sarà solamente parziale e non certo, come la stampa italiana probabilmente titolerà, epocale. E questo perché la decisione voluta dal gabinetto rosso-verde nel 2001 di chiudere con l’esperienza nucleare non è stata affatto ribaltata. L’atomo è una “tecnologia-ponte”, hanno ripetuto in questi mesi gli esponenti democristiani e liberali. Liberarcene intorno al 2020 sarebbe prematuro, rinviamo dunque la fuoriuscita. Questo il succo del ragionamento. E così, mentre gli impianti più vecchi, quelli costruiti prima del 1980 potranno rimanere attivi per ancora otto anni, quelli più nuovi godranno di un posticipo di circa quattordici anni. Ciò significa che l’ultimo reattore chiuderà i battenti intorno al 2040. Come giustamente metteva a fuoco Henning Klodt su Wirtschaftliche Freiheit, quello che vi è stato di errato in questa stucchevole guerra di cifre sugli anni (e poi perché quattordici e non quindici o ventitré?) è che lo Stato gioca la partita sia in  qualità di regolatore, sia in qualità di attore. Non volendo limitarsi a fissare le regole del gioco (in particolare in tema di sicurezza), pretende di potersi occupare dei reattori come se fossero ancora di sua proprietà. E così il rischio continuerà ad essere quello di reattori chiusi quando ancora potevano funzionare o impianti tenuti in vita oltre ogni tempo ragionevole. In questo senso ha forse ragione – anche se la predica viene dal pulpito sbagliato – il presidente dell’SPD Sigmar Gabriel, che nell’annunciare un autunno caldo di proteste, ha accusato l’esecutivo di aver barattato la sicurezza con un po’ di denaro. E sì, perché la signora Merkel, per cercare di trovare la quadra e mettere d’accordo tutti, ha pensato di chiedere alle compagnie energetiche di pagare per circa sei anni una tassa aggiuntiva su uranio e plutonio (Brennelementesteuer) per risanare il bilancio, nonché di utilizzare i profitti per migliorare la sicurezza dei reattori e versare fondi per lo sviluppo (dopo vent’anni ancora a “sviluppà” stiamo?) delle energie rinnovabili, quasi che fosse pentita del passo intrapreso. Insomma, come al solito, la Cancelliera si dibatte vorticosamente tra le due C: confusione e compromessi. In buona sostanza, infatti, si annulla la recente decisione di tagliare i sussidi al solare. Ciò che è uscito dalla porta, pare  rientrare dalla finestra.

Al di là di quanto detto, il cambio di fronte rispetto al decennio passato è comunque da giudicare positivamente. Il rischio di un phase-out immediato avrebbe potuto condannare la Repubblica federale a bollette sempre più care e a pericolosi black-out.

*La Corte Costituzionale di Karslruhe è già stata attivata dall’opposizione.

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A tutto c’è un limite, e gli ambientalisti spagnoli quel limite l’hanno passato /2010/06/25/a-tutto-ce-un-limite-e-gli-ambientalisti-spagnoli-quel-limite-lhanno-passato/ /2010/06/25/a-tutto-ce-un-limite-e-gli-ambientalisti-spagnoli-quel-limite-lhanno-passato/#comments Fri, 25 Jun 2010 08:57:13 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6366 UPDATE: A quanto risulta dalle ultime informazioni – riportate per esempio da Pajamas Media – il “pacco bomba” è frutto di una serie di errori e fraintendimenti: il pacco non era destinato a Calzada, e il suo contenuto, pur potendo apparire una bomba smontata, era in realtà una serie di componenti meccanici inoffensivi. Il fraintendimento da parte di Gabriel dipende, probabilmente, un po’ dalla risposta ambigua della persona responsabile della spedizione (“è la nostra risposta al suo studio sulle fonti rinnovabili”, che ora sostiene di aver inviato un plico cartaceo che, per errore, sarebbe stato inviato a qualcun altro); e un po’ dal fatto che Calzada in passato aveva già ricevuto diverse minacce e intimidazioni. Meglio così.

Gabriel Calzada, presidente e direttore generale dell’Instituto Juan de Mariana, qualche giorno fa ha ricevuto un pacco inatteso da Thermotecnic, un produttore spagnolo di pannelli fotovoltaici. Insospettito dalla forma e il peso del pacchetto, Calzada telefona al mittente per verificare di essere davvero il destinatario desiderato, che non si tratti di un disguido. Gli rispondono:

es nuestra respuesta a los artículos sobre energía de Sr. Calzada en Expansión.

Expansiòn è il principale quotidiano economico-finanziario spagnolo, con cui Gabriel collabora regolarmente e per il quale si è occupato, in particolare, dell’impatto dei sussidi verdi sull’economia spagnola (tema a cui ha dedicato anche un ampio studio). La risposta era talmente obliqua, il tono talmente minaccioso, che Calzada ha voluto approfondire, e si è rivolto a un esperto di terrorismo per aprire il pacco. Paranoia?

Giudicate voi. Il pacco conteneva un ordigno smontato. Non pericoloso. Per ora. Un avvertimento. In futuro, chissà. Un abbraccio a Gabriel. Giudicate voi.

Qui la cronaca su Expansiòn, qui il resoconto su Pajamas Media.

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Lavori verdi, lavori veri? /2010/05/03/lavori-verdi-lavori-veri-2/ /2010/05/03/lavori-verdi-lavori-veri-2/#comments Mon, 03 May 2010 07:12:37 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5882 Di Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro

Le lobby ambientaliste hanno avuto, in Italia, un’influenza che va ben al di là del peso elettorale dei partiti “verdi”. Il loro maggior successo è stato la vittoria al referendum antinucleare del 1987, che ha sancito la fine di un’avventura tecnologica che aveva visto il nostro paese, per una volta, all’avanguardia, con ingenti costi economici e ambientali. Oggi la Terra Promessa sembra stare nelle energie rinnovabili, presentate come la panacea di ogni male: non solo energia pulita, a zero emissioni, ma anche un mezzo per spingere l’economia, anzi, la creazione di una “new new” economy (per non confonderla con la precedente “new” economy), detta, per l’appunto, “green economy”, alternativa e Pareto-superiore alla “vecchia” economy. Insomma, un gioco dove tutti hanno da guadagnarci, sia in termini di salute che ambientali, economici e occupazionali. Gli endorsement non mancano sia a sinistra che a destra, passando per il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e la Commissione Europea. Eppure, il sospetto che non siano tutte rose e fiori, che ci siano delle insidie dietro l’angolo e’ molto concreto. Un nostro studio prova a fare ordine. Nel Working Paper “Are Green JObs Real Jobs?” cerchiamo di far luce sull’efficacia della “green economy”, come strumento per creare posti di lavoro; per prima cosa abbiamo cercato dei riferimenti alle esperienze dei paesi più “impegnati”, ossia Danimarca, Germania e Spagna, scoprendo una recente letteratura che, a distanza di vari anni dall’inizio dell’incentivazione, cerca di tirare le somme, con risultati soprendenti: miliardi di euro (73,8 e 28,7 rispettivamente per Germania e Spagna) spesi, e il paradosso di un paese che deve esportare la sua energia quando tira vento (la Danimarca) per mantenere in equilibrio la rete di trasmissione. Successivamente ci siamo concentrati sull’Italia, analizzando i vari programmi a sostegno delle rinnovabili, dal CIP6 (sui cui soltanto recentemente si è indagato a fondo) ai Certificati Verdi sino alle più recenti Tariffa Omnicomprensiva (feed-in tariff) e Conto Energia. La bolletta? Solo il CIP6 è costato non meno di 46,6 miliardi di euro e costerà altri 30 mld fino al 2020, con discutibili risultati in termini di promozione dell’energie rinnovabili (va detto per chiarezza che la maggioranza di queste risorse hanno sovvenzionato le fonti cosiddette “assimilate”). Ma neanche gli altri sistemi di incentivazione scherzano: il Conto Energia è costato ben 400 milioni di euro in soli due anni e l’Authorità per l’Energia stima che il costo degli incentivi salirà a di circa 6-7 miliardi al 2020.

A fronte di questa montagna di denaro sottratto ai consumatori, quale risultato? Il nostro studio stima che, a secondo degli scenari, potrebbero essere creati fra 55 e 112 mila posti di lavoro (si tratta probabilmente di sovrastime, che poggiano sulle valutazioni dei posti attualmente esistenti nell’eolico e fotovoltaico a loro volta, riteniamo, sopravvalutate), assumendo che il potenziale massimo stimato dal governo nel 2007 (9.500 MW per fotovoltaico e 22.500 MW per eolico) venga raggiunto. L’indicatore per apprezzare l’efficienza dell’investimento in termini di impatto occupazionale netto, già usato per simili scopi in Spagna, è il rapporto tra lo stock medio di capitale per lavoratore (sussidi) destinati alle energie rinnovabili e lo stock medio per lavoratore del settore manufatturiero e dell’economia in generale. Risulta  dunque che se le stesse risorse fossero lasciate al mercato, per ogni “green job” potrebbero essere creati 6,9 posti nel settore manufatturiero e 4,8 nell’economia in media.

Ciò non significa necessariamente che un “green job” ne distrugga 4,8 o 6,9, bensì che l’industria verde è ad alta intensità di capitale, dunque difficilmente potrà risolvere problemi occupazionali in maniera efficiente. Meglio lasciare questo denaro nelle tasche di cittadini e imprese (la tariffa A3 vale il 4,3% della bolletta media) e lasciar fare al mercato che saprà allocarlo in maniera migliore. Nulla da togliere al fatto che le energie rinnovabili abbiano moltissimi pregi, tra i quali un possibile impatto positivo sull’ambiente, ma come volano dell’economia proprio non ci siamo.

E pensare che per cifre dello stesso ordine di grandezza oggi c’è una nazione allo sbando e un’Unione Europea sul orlo della dissoluzione… 

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Clima: Babbo Natale sta con Chicago-blog /2009/12/23/clima-babbo-natale-sta-con-chicago-blog/ /2009/12/23/clima-babbo-natale-sta-con-chicago-blog/#comments Wed, 23 Dec 2009 12:06:57 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4434 Babbo Natale

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I numeri di Copenhagen: i delegati emettono 2 tonnellate di CO2 a testa in 11 giorni, come un cinese in sei mesi /2009/12/07/i-numeri-di-copenhagen-i-delegati-emettono-2-tonnellate-di-co2-a-testa-in-11-giorni-come-un-cinese-in-sei-mesi/ /2009/12/07/i-numeri-di-copenhagen-i-delegati-emettono-2-tonnellate-di-co2-a-testa-in-11-giorni-come-un-cinese-in-sei-mesi/#comments Mon, 07 Dec 2009 14:06:23 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4173 1200 auto con autista, 140 jet privati, un carcere temporaneo per ospitare, all’occorrenza, 4.000 detenuti. Si mette in moto la macchina per salvare il mondo e, di certo, qui non si risparmia. Nè sulle spese, né sull’ambiente. Lo racconta, con dovizia di particolari e pettegolezzi, Andrew Gilligan sul Times, che insiste – giustamente – sui lussi e gli sprechi che si concederanno i 15.000 delegati, 5.000 giornalisti e 98 leader politici, a cui si aggiunge un imprecisato numero di curiosi, ong, manifestanti, fancazzisti e casinari. Secondo gli organizzatori, lo svolgimento dei lavori determinerà il rilascio in atmosfera di 41.000 tonnellate equivalenti di CO2. Tanto quanto ne consuma in un anno una città di 150 mila abitanti.

Chiamatela necessità, se volete, ma questi virtuosi che si vedono una volta all’anno negli alberghi superfighi per redimerci dai nostri peccati emetteranno, negli undici giorni undici della conferenza, in media 2,05 tonnellate di CO2 pro capite, cioè 0,19 tonnellate al giorno, cioè - su base annua – 68 tonnellate di CO2. Tra le tre e le quattro volte un cittadino americano, forse solo Al Gore e pochi altri emettono così tanto nel mondo reale.

Non di sole emissioni vivono i summit sul clima, naturalmente. Anche di soldi, soldi, soldi, tanti soldi. I conti li ha fatti Matthew Sinclair della TaxPayers’ Alliance, che ha calcolato una spesa – per gli undici giorni del meeting – di 143 milioni di euro. E’ una cifra enorme, specie se si considera che razza di anno stiamo vivendo, e quanti miracoli potrebbe fare un’impresa se ricevesse una cifra simile in dono dai governi del mondo. O, se preferite, se proprio bisogna spenderli in roba verde, con 143 milioni di euro potete installare una capacità eolica pari a 110 MW, secondo stime ottimistiche (1.300 euro al kW), da cui trarre 220.000 MWh di produzione elettrica all’anno (suppongo 2.000 ore di funzionamento / anno) e risparmiare emissioni per 176.000 tonnellate all’anno (il parco termoelettrico europeo ha un’intensità carbonica media pari a 0,8 ton CO2 / MWh).

Ma, dimenticavo. Costerà un mare di soldi, produrrà un oceano di emissioni, ma senza questo vertice, come faceva Greenpeace ad avere tanta risonanza coi suoi manifesti?

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Ancora sul Cip6. 4.100 megawatt a gennaio, quanti a fine 2010? /2009/12/04/ancora-sul-cip6-4-100-megawatt-a-gennaio-quanti-a-fine-2010/ /2009/12/04/ancora-sul-cip6-4-100-megawatt-a-gennaio-quanti-a-fine-2010/#comments Fri, 04 Dec 2009 08:38:43 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4141 Non sono ancora chiare tutte le conseguenze del decreto Mse sulla risoluzione anticipata volontaria delle concessioni Cip6. Sul Sole 24 Ore di oggi, Jacopo Giliberto parla efficacemente di “uno scivolo agevolato, un prepensionamento incentivato, un’offerta cui non si può dire di no”. Non è ancora chiaro, però, chi ci guadagna e chi ci perde, e dunque chi si adeguerà e chi, invece, proverà a opporsi al caloroso suggerimento che arriva da Via Veneto. Per mettere qualche punto fermo, è utile leggere questo informato e notizioso articolo, pubblicato ieri sulla Staffetta Quotidiana (che ringrazio per l’autorizzazione, qui in originale per abbonati): secondo il decreto, potrebbero chiudersi un massimo di 3.300 megawatt, su un monte complessivo dipotenza assegnabile pari a 4.100 megawatt a inizio anno prossimo. Quanti faranno ricorso alla risoluzione volontaria? E con quali conseguenze per il sistema?

Cip6: 4.100 MW a gennaio, quanti saranno a fine 2010?

Le quote esatte: 17% va ad AU e l’83% al mercato libero. Istanze di risoluzione verosimilmente alla fine del 1° trimestre 2010. Da esse dipenderanno la riduzione del “monte Cip6″ e le modalità di recupero in tariffa Quanti dei 3.300 MW capacità produttiva Cip6 eligibili per la risoluzione anticipata delle convenzioni aderiranno al meccanismo lo si inizierà a capire, almeno in parte, dopo il 21 dicembre, termine per la presentazione delle istanze (non vincolanti) al Gse. E in ragione delle convenzioni che verranno effettivamente interrotte e liquidate in anticipo diminuirà anche il quantitativo di energia Cip6 assegnabile al mercato libero e all’Acquirente Unico nel 2010 – un “monte” di elettricità a prezzo contenuto e prevedibile particolarmente appetito da alcuni grandi consumatori italiani. Le quote esatte previste dal decreto, firmato il 27 novembre scorso dal ministro Caludio Scajola, sono le seguenti: 83% per il mercato libero e 17% per l’AU. Visto il meccanismo di exit strategy dal Cip6, tuttavia, i 4.100 MW iniziali potrebbero ridursi nel corso dell’anno di un massimo di 3.300 MW (le produzioni da gas di processo e combustibili fossili). Secondo il decreto, ogni 20 del mese per il mese successivo il Gse annuncerà il totale di energia assegnabile sulla base delle risoluzioni avvenute fino a quel momento. Queste ultime potrebbero verosimilmente iniziare a dare i loro effetti verso la fine del 1° trimestre. Per il momento infatti è avviata la raccolta delle istanze non vincolanti di risoluzione, che verranno poi trasmesse al Ministero dello Sviluppo entro fine anno. Il Mse dovrà quindi dettagliare le modalità della rescissione delle convenzioni e di erogazione delle liquidazioni (in un unica soluzione o a rate) in un decreto ad hoc. Solo a questo punto, alla luce di tale decreto – che individuerà modalità di chiusura individuali per ogni singola convenzione – i produttori potranno presentare istanze vincolanti di risoluzione. Dalla data delle istanze, le relative convenzioni risulteranno a tutti gli effetti interrotte, e la relativa energia cesserà di far parte del monte Cip6 2010. Da qui ad allora correrà insomma parecchio tempo. Se è verosimile che qualcuno si lamenterà (si può ricordare che proprio sulle assegnazioni annuali del Cip6 scoppiò la “rivolta” degli energivori che portò alla nascita del Tavolo della domanda nel 2007) il mercato è certamente in condizione di prendere le relative contromisure. Altra questione che resta al momento in sospeso è poi come le erogazioni finanziarie legate alla risoluzione delle convenzioni verranno trasferite in tariffa attraverso la componente A3. Su questa gravano oggi gli oneri per sostenere gli incentivi Cip6 vigenti, e la rescissione anticipata “con sconto” permetterà di ridurre l’importo complessivo a carico dei consumatori. Resta però da stabilire, per così dire, il “fattore tempo”.

Quanto rapidamente l’importo delle liquidazioni verrà posto a carico delle bollette? Dipenderà dal numero e dall’entità delle istanze e dalle relative modalità di rimborso scelte. Lo scenario peggiore per i consumatori sarebbe naturalmente che tutti i 3.300 MW siano “risolti” con rimborso in un’unica soluzione. Un’eventualità tutt’altro che scontata però. D’altro canto è anche difficile immaginare che il prelievo A3 resti possa restare del tutto invariato o inferiore rispetto al passato. 

Da Staffetta Quotidiana, 3 dicembre 2009

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