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Posts Tagged ‘reti’

Ecco perché qui si tifa Erogasmet

25 ottobre 2009

Normalmente noi dell’IBL non guardiamo ai risultati del mercato, o ai soggetti che vi partecipano, ma agli aspetti strutturali: norme e regole. Vi sono però alcuni (rari) casi in cui dall’esito di una trattativa può dipendere molto. Sia in termini di funzionamento del mercato, sia in termini di sua evoluzione prospettiva. La gara per le reti di distribuzione del gas di E.On, qui raccontata da Jacopo Giliberto, è uno di quei casi. Noi tifiamo per Erogasmet.

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Reti private in libero mercato. Se na parla lunedì a Torino

24 ottobre 2009

E’ almeno dalla campagna elettorale che si parla di liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Parole parole parole. Qui trovate, invece, una proposta concreta per procedere sul giusto sentiero. Angelo Miglietta e Federico Testa hanno infatti suggerito di separare le unità commerciali delle municipalizzate dai gestori/proprietari delle reti. Le prime possono essere privatizzate senza esitazione. Le altre – che noi dell’IBL metteremmo pure sul mercato, con l’unico caveat dell’incompatibilità col possesso di partecipazioni rilevanti ad aziende attive sul segmente libero di mercato – sono invece al centro di una lunga e in parte pretestuosa polemica. In funzione del loro “monopolio tecnico”, molti ritengono dovrebbero restare in mani pubbliche. Ma questo rischia di determinarne da un lato una gestione inefficiente (to say the least), dall’altro di produrre un’allocazione inefficiente delle risorse (che interesse hanno gli enti locali a immobilizzare tanti soldi?). Una possibile via d’uscita può appunto passare per il ruolo strategico delle fondazioni bancarie, soggetti in grado di garantire un azionariato stabile e che si collocano al crocevia tra investitori privati e interesse pubblico. A noi pare un compromesso più che ragionevole per sbloccare la situazione. Per questo abbiamo voluto organizzare un convegno su questi temi a Torino, lunedì 26 ottobre prossimo, a partire dalle 17,45 presso la Fondazione CRT (Via XX Settembre 31). Oltre a Miglietta e Testa, parteciperanno il sindaco del capoluogo piemontese, Sergio Chiamparino, il segretario nazionale della Lega Nord Piemont e capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, l’editorialista Franco Debenedetti, e due rappresentanti di prima fila dell’Autorità Antitrust (Salvatore Rebecchini, componente) e dell’Autorità per l’Energia (Carlo Crea, segretario generale). E’ un’occasione importante per affrontare con serietà e pragmatismo un tema fondamentale per il futuro del paese.

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L’Eni in festa. La fa e/o gliela fanno?

15 ottobre 2009

Paolo Scaroni ha tutti i diritti, oggi, di festeggiare. La firma di un contratto per lo sviluppo del giacimento di Zubair, che contiene riserve stimate per 4,1 miliardi di barili e oggi ha una produzione quotidiana di appena 227 mila barili è un indubbio successo della diplomazia del gruppo italiano, che si conferma una delle grandi compagnie petrolifere mondiali. Il ministro iracheno del petrolio, Hussein al-Shahristani, ha parlato di un obiettivo di produzione pari a 1,125 milioni di barili al giorno in un orizzonte di sei anni. La forma dell’accordo – che vede il Cane a sei zampe alla guida di un consorzio con Sinopec, Occidental e Korea Gas – è quella di un contratto di servizio. Secondo la descrizione dell’Oil & Gas Journal (subscription required),

The minister said a consortium led by Italy’s Eni SPA had agreed to Baghdad’s offer of $2/bbl for each extra barrel of oil it extracts on top of the current production of 227,000 b/d at the 4.1 billion bbl Zubair field.

Quanto Piazzale Mattei possa festeggiare, dunque, dipende essenzialmente da due questioni: la capacità di rispettare la tabella di marcia, e i termini del contratto, che – a seconda di come sono definiti – possono consentire una più o meno rapida messa a libro delle risorse. In gioco c’è il risultato 2010: se si può librare tutto e subito, Scaroni è salvo. Altrimenti, deve ancora mettere le mani su nuovi giacimenti per garantire un adeguato tasso di sostituzione delle riserve. Ma i festeggiamenti per la conquista irachena sono resi un po’ meno euforici dalla stilettata che, tramite il Corriere della sera, viene inflitta da Eric Knight, capo del fondo attivista Knight-Vinke che ha proposto il breakup dell’azienda.

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Il costo del monopolio: 50 miliardi di euro

30 settembre 2009

Questa mattina, in un’affollata conferenza a Milano il fondo Knight-Vinke Asset Management ha presentato il suo progetto di ristrutturazione dell’Eni. Qui si trova il comunicato ufficiale. La critica di Eric Knight, numero uno del fondo, è a grandi linee questa: dentro l’Eni convivono due/tre soggetti completamente diversi. C’è anzitutto una oil company tradizionale, attiva nell’upstream e fortemente internazionalizzata. Poi c’è una utility, che importa e vende gas in Italia. Infine c’è l’unità infrastrutturale, una tipica macchina da dividendi che però è penalizzata dal fatto di essere parte del più vasto corpaccione dell’Eni. L’integrazione verticale – che in questi termini rappresenta un caso unico rispetto alle altre imprese simili – imprime uno sconto sul valore del titolo, perché crea al mercato difficoltà di valutazione. Quindi, scorporare in qualche maniera le attività di Eni aiuterebbe a far emergere il valore nascosto, che gli analisti di Knight-Vinke stimano oggi in circa 50 miliardi di euro: secondo le loro proiezioni, il valore del titolo potrebbe grosso modo raddoppiare.

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Paolo e Giulio

4 settembre 2009

Il fondo americano Knight-Vinke, che aveva osato ipotizzare il break up dell’Eni, e il Financial Times, che ne aveva rilanciato le tesi, non trovano sponde in Italia. Il fondo controlla circa l’1 per cento di Piazzale Mattei, e ha posizioni anche in Enel (di cui aveva sostenuto, tra i pochissimi, la mai lanciata opa sulla francese Suez) e in Snam Rete Gas (a sua volta in pancia al Cane a sei zampe per il 51 per cento). La reazione di Paolo (Scaroni) era prevedibile. Quella di Giulio (Tremonti) meno. Vediamo perché.

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Gas Release: risposta azzardata a problema concreto

23 aprile 2009

Il presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis, ha chiesto di obbligare l’Eni a vendere una importante tranche del gas che importa in Italia, a condizioni regolate, in modo da aumentare la concorrenza sul mercato all’ingrosso e trasferire i benefici della riduzione dei prezzi sui consumatori. L’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ha replicato che prezzi e domanda sono hanno subito un calo senza precedenti, e dunque non c’è alcun bisogno di una nuova “gas releaseâ€.

Entrambi hanno le loro ragioni. Ortis vede un mercato che, a sei anni dalla completa apertura (avvenuta nel 2003, in anticipo di quattro anni sul termine ultimo fissato dalla Commissione europea) resta ingessato e scarsamente competitivo, e del quale l’operatore dominante controlla una quota largamente maggioritaria. Quindi, nell’impossibilità di indurre una competizione “naturaleâ€, vorrebbe produrla artificialmente attraverso un intervento oggettivamente invasivo. Scaroni, d’altra parte, rileva correttamente che, oggi, l’Italia ha più problemi col gas invenduto, che coi consumatori insoddisfatti, a causa del crollo della produzione industriale. Una gas release, dunque, potrebbe essere uno strumento accettabile in condizioni di mercato tirato, come è accaduto nel passato, mentre oggi appare meno urgente. Va però riconosciuta, al capo dell’Authority, la coerenza con cui si impegna per risolvere le criticità del nostro mercato, e lo fa coi mezzi a sua disposizione, anche se non sempre dosandone nel modo più appropriato l’utilizzo (ma questa è una questione di merito che, nello specifico, è difficile valutare, perché la domanda rilevante, rispetto alle cessioni obbligatorie di metano, non è solo “se†ma anche “comeâ€).

Il problema vero, che è anche la fonte di frustrazione di Ortis e dell’Autorità, sta nel fatto che la liberalizzazione italiana, come mostra anche il nostro Indice delle liberalizzazioni (PDF), è incompiuta. Il tema di fondo, insomma, è la separazione proprietaria delle infrastrutture di rete dall’incumbent, che può utilizzare le informazioni in suo possesso e pianificare gli investimenti in modo tale da, di fatto, erodere gli spazi di competizione possibile, e questo a prescindere dal controllo dei gasdotti internazionali (che era e in parte è un ostacolo alla concorrenza, ma lo sarà sempre meno man mano che nuovi terminali di rigassificazione e nuove pipeline in mano ad altri soggetti entreranno in funzione).

Purtroppo, la politica sembra sorda a questo fatto – anche perché, tramite i lauti dividendi e le donazioni più o meno spontanee, il Tesoro è di fatto compartecipe e corresponsabile di questa rendita. Forse la gas release non è lo strumento migliore e questo non è il momento più adatto, ma i grandi nodi restano irrisolti.

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Iride. Il paradosso della contendibilità incontendibile

21 aprile 2009

La tensione tra il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e quello di Genova, Marta Vincenzi, sul controllo pubblico di “Irenia†– il gruppo che dovrebbe nascere dalla fusione di Iride ed Enìa – ha ormai ampiamente superato i livelli di guardia, nonostante qualche cauto tentativo di ricucire. Ieri, sulla Stampa Luca Fornovo e Beppe Minello hanno accreditato le indiscrezioni diffuse da Quotidiano Energia, secondo cui la Mole sarebbe pronta a rompere l’alleanza con la Lanterna. Oggetto del contendere, la clausola sul mantenimento del 51 per cento della nuova compagnia in mani pubbliche, che Vincenzi vuole nello statuto, mentre secondo Chiamparino è garantita a sufficienza dai patti parasociali e che, nel lungo termine, rischia di essere più un ostacolo che un elemento di vantaggio. L’esito della vicenda dipende essenzialmente da due variabili: una di natura politica (Vincenzi avrebbe ceduto al diktat di Rifondazione e Italia dei Valori, ma lo stesso Chiamparino avrebbe problemi con l’ala sinistra della sua maggioranza), l’altra strategica. Infatti, per rompere il primo cittadino torinese deve anzitutto ottenere una revisione dello statuto di Fsu (la joint venture paritaria dei due comuni che ha il 58 per cento di Iride e avrà il 36 per cento di Irenia), e poi tessere un rapporto con gli enti locali emiliani azionisti di Enìa, che avranno il 23,6 per cento di Irenia. Se entrambi questi tasselli fossero sistemati, la manovra di Vincenzi finirebbe per ritorcersi contro di lei, e sarebbe una dimostrazione di grande dilettantismo, come ho sostenuto sul Secolo XIX. All’attacco di Chiamparino, Vincenzi replica oggi con un’intervista a Gilda Ferrari del Secolo XIX e alcune dichiarazioni alla Stampa (PDF) e al Sole 24 Ore, da cui traspare la debolezza del suo gioco. Da un lato, infatti, dice che la pretesa che il 51 per cento del gruppo resti pubblico “non toglie nulla alla contendibilità” – dichiarazione assurda, perché se lo statuto impone che il pacchetto di maggioranza dell’azienda sia posseduto da attori pubblici, non c’è spazio alcuno per un mutamento dei rapporti di forza che non passi per le stanze della politica. Dall’altro, ribadisce che la questione della contendibilità riguarda solo il servizio, che “dovrà essere messo a gara”, mentre è per lei essenziale che le reti “dovranno rigorosamente restare in mano pubblica”. Questa è un’affermazione surreale non solo perché è discutibile che la proprietà pubblica delle reti sia un elemento di garanzia e non di immobilismo, ma anche e soprattutto perché la pubblicità delle reti è un obbligo di legge imposto a chiare lettere dal disegno di legge 112 del 2008, art. 23 bis, comma 5, che fa piazza pulita dei (remoti) dubbi in merito lasciati dalla normativa precedente (me ne sono occupato con Federico Testa in questo articolo sul Sole 24 Ore e, più ampiamente, sulla rivista Management delle Utilities). Vincenzi sostiene, correttamente, che le nuove disposizioni entreranno in vigore solo allo scadere delle concessioni vigenti, che avverrà nel prossimo paio di anni, ma sarebbe ridicolo pensare che un attore privato potesse subentrare (anche ammesso che gli attuali proprietari delle reti, che nel caso di Iride ed Enìa sono a controllo pubblico e lo saranno per un po’ a prescindere dall’introduzione della clausola nello statuto) sapendo che non farebbe neppure in tempo a concludere il deal, che dovrebbe immediatamente cedere le reti agli enti locali interessati. E, in ogni caso, se si tratta di un problema di gestione della transizione, non si capisce perché i patti parasociali, che in merito sono ahimé chiarissimi, non possano bastare. La posizione della Vincenzi è, dunque, fragile e incomprensibile, ma soprattutto rischia di pregiudicare una futuribile evoluzione nella direzione della concorrenza e del mercato, cristalizzando gli assetti proprietari e trasformando sempre più queste operazioni di fusione, teoricamente necessarie a conseguire delle efficienze e delle sinergie, in semplici e inutili (ai fini industriali) operazioni di somma. Cioè: cambiare tutto perché ciascun ente locale mantenga il controllo diretto sui pezzetti di suo interesse.

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