CHICAGO BLOG » pubblica amministrazione http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 È necessaria una tragedia greca per ottenere le liberalizzazioni anche in Italia? /2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/ /2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/#comments Wed, 24 Nov 2010 13:44:15 +0000 Guest /?p=7686 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Luigi Ferrata:

Vittorio da Rold su il Sole 24 Ore del 23 novembre analizza le ricette adottate dal Governo greco per fronteggiare la crisi.  Si tratta di una serie di liberalizzazioni e riforme strutturali che incidono in profondità nel tessuto sociale e burocratico del Paese. Da Rold sottolinea anche come Papandreu sia consapevole dell’impopolarità delle proprie scelte, ma che sia determinato a proseguire anche a costo di essere sconfitto alle elezioni.

Fa un certo effetto scorrere la lista e vedere come il Primo Ministro stia procedendo verso una maggiore liberalizzazione delle professioni di avvocato, ingegnere, farmacista e medico per ottener l’aumento di un punto di PIL. E ancora per risparmiare e snellire i costi burocratici il Governo greco è anche riuscito a far passare una riforma dell’organizzazione statale grazie alla quale sono state eliminate le 57 province per sostituirle con 13 macroregioni ed addirittura il Governo ha ottenuto che molti comuni venissero accorpati garantendo risparmi nell’ordine di un miliardo e mezzo all’anno.
Tra le altre misure adottate una seria lotta all’evasione fiscale, basata anche sull’utilizzo della tecnologia fornita da Google Maps per individuare gli evasori.

In sostanza le misure adottate in Grecia sono considerate le ricette necessarie per uscire dalla crisi: in altre parole per salvarsi la Grecia ha compreso l’importanza e l’urgenza di liberalizzare il mercato ed il Governo è disposto a sopportarne il costo politico nell’interesse del paese, confortato dal fatto di poter guadagnare in termini di crescita del Pil.

Rileggendo il paragrafo e sostituendo le parole Grecia e a Papandreu con Italia e Berlusconi si ottiene una fattispecie che dovrebbe essere perfettamente adattabile anche al nostro Paese ma che purtroppo non viene implementata.

A mio avviso è paradossale che nella situazione di crisi, anche l’Italia, che sicuramente in termini di crescita non gode di ottima salute, non si arrenda all’evidenza e non decida di imboccare la strada delle liberalizzazioni, tanto più che le scelte effettuate dalla Grecia sono di buon senso, condivisibili e addirittura oggetto dei programmi elettorali dei partiti di maggioranza.

La Grecia per crescere ha scelto, l’Italia vuole crescere, sa cosa deve fare, ma non lo fa.

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Tagli lineari e preferenza ‘L’ /2010/09/14/tagli-lineari-e-preferenza-l/ /2010/09/14/tagli-lineari-e-preferenza-l/#comments Tue, 14 Sep 2010 13:23:12 +0000 Giordano Masini /?p=7036 Ho ripreso i contatti con una mia vecchia amica, L., con la quale è in corso un’interessante scambio di mail nelle quali ci stiamo raccontando ciò che ci è successo nei lunghi anni in cui non siamo stati in contatto e, dato che, ognuno a modo suo, non riusciamo a tenere fuori le valutazioni generali dalle vicende personali, la discussione finisce spesso “in politica”, ambito nel quale abbiamo visioni radicalmente divergenti. Per fortuna siamo entrambe persone curiose, tolleranti e reciprocamente convinte della buona fede dell’interlocutore, quindi ne è venuta fuori una discussione stimolante della quale voglio riportare qualche spunto.

Qualche giorno fa, mentre si parlava di mercato del lavoro, ho menzionato le cosiddette “categorie protette”, e la sua reazione, come mi aspettavo, è stata piuttosto risentita. Mi scrive che se mi riferisco al pubblico impiego, settore di cui L. fa parte, non le sembra che se la stiano passando troppo bene, e mi porta a conferma qualche dato personale a riprova dell’assunto.

Dunque, L. fa l’assistente sociale in un municipio (non ricordo quale) di Roma. Il lavoro che fa L. (nel modo in cui lo fa L) è un lavoro utile e necessario. Perché i servizi sociali fanno parte di ciò che la pubblica amministrazione deve garantire. E’ anche un lavoro produttivo, nel senso che ciò che L. offre alla comunità ha grande valore, e perché il lavoro che fa L. non lo può fare chiunque. Bisogna studiare, e parecchio, avere spalle larghe e stomaco di ferro, oltre a un’innata e non comune dose di sensibilità. A naso mi verrebbe da dire che il lavoro che fa L. dovrebbe essere pagato a peso d’oro, e che probabilmente molti si dovrebbero contendere la sua professionalità.

Eppure L. guadagna quattro lire, le sue possibilità di fare carriera sono pressocché nulle, e con 46 anni e una discreta anzianità di servizio ancora non riesce a permettersi una casa nella città in cui vive. Mi scrive:

E io sono una fortunata: ho una madre che ha a sua volta una casa di proprietà e che mi vuole abbastanza bene per sacrificarsi a 75 anni per amor mio a cambiare casa ancora una volta. In questo sono nello stesso vergognoso, umiliante sistema che mi addolora vedere nei miei utenti: siamo un mondo che dipende dalle generazioni precedenti; siamo una generazione che sembra non riesca mai a raggiungere l’autonomia, l’autosufficienza; siamo una generazione senza dignità. E non si può proprio dire che sia una scelta.

Il problema è che nello stesso edificio in cui lavora L. (e in altre centinaia di edifici del genere sparsi per Roma e per l’Italia) ci sono tante altre persone (non oso azzardare una cifra) che per lo stesso stipendio di L. svolgono mansioni assai meno utili e produttive. Tanto per fare un esempio, se il lavoro di L. valesse 10, e quello delle quattro signore che siedono stancamente al protocollo valesse 5, e guadagnano tutte 6, sarebbe evidente che L. paga 1/6 dello stipendio delle quattro del protocollo, mentre loro le sottraggono quasi metà dello stipendio.

Viene tolto (ope legis, vedi CCNL) valore al lavoro di L. in modo che il danaro che le spetterebbe possa fare acquisire valore alle mansioni di altri. Passano gli anni, e la situazione, invece di migliorare, peggiora. La competenza di L. viene sempre più svilita, il suo carico di lavoro diviene sempre più pesante e ci sono sempre meno fondi a disposizione per le cose di cui si occupa. Neanche le condizioni di vita dei colleghi degli altri uffici migliora, ma il problema è comunque alla radice, perché quella dignità che L. lamenta di non avere ancora raggiunto in realtà ce l’ha, eccome, è roba sua, conquistata con la sua competenza, professionalità e con l’alta produttività delle mansioni che svolge. Ma le viene regolarmente rubata.

Le cose potrebbero migliorare (ce lo siamo ripetuti fino alla nausea) se si decidesse di affrontare la cosa una volta per tutte: questo non significa necessariamente licenziare una valanga di dipendenti pubblici (cosa che in qualche caso potrebbe anche servire – ne parlava giorni fa Giulio Zanella su nFA), ma più semplicemente la pubblica amministrazione dovrebbe gestire meglio le risorse umane e rivedere le sue priorità: ci sono cose che la pubblica amministrazione deve fare, e bene, altre che sono meno necessarie, altre ancora che non lo sono affatto. Finché ci saranno casi di mansioni create appositamente per impiegare del personale (scavate le buche, poi riempite le buche…) e nessuno dovrà prendersi la responsabilità di impiegarlo in maniera produttiva, le risorse per coprire i costi di queste mansioni le fornirà L., come una tassa nascosta e vigliacca.

Tutto ciò mi porta a due conclusioni: primo, quando si parla di “categorie protette” sarebbe bene ricordare che il costo di questa protezione non lo pagano solo coloro che stanno fuori da queste categorie, ma che all’interno di uno stesso settore c’è chi paga per gli altri. Secondo, e diretta conseguenza del primo: quando, come di questi tempi, si fanno i cosiddetti “tagli lineari” o “tagli orizzontali”, chiamateli come volete, non si risolve un fico secco, anzi, il costo di questi tagli verrà pagato sempre e comunque dalle persone sbagliate, almeno fino a che non si deciderà di prendere il toro per le corna pagandone anche, se è il caso, lo scotto elettorale nel breve periodo.

Se si continua a ritenere che la soluzione ai problemi della pubblica amministrazione sia quello di agire semplicemente e semplicisticamente sul rubinetto, senza mai porsi il problema della direzione del getto, non si uscirà mai dal meccanismo che ci conduce inesorabilmente verso quella preferenza ‘L’ (dove ‘L’ non è più l’iniziale della mia amica, ma la preferenza low, contrapposta ad high) di cui parlava efficacemente Oscar Giannino nel suo post l’altroieri. Perché tagliando la spesa “ad minchiam” continueremo a caricare sulle spalle di L. il costo delle mansioni delle signore del protocollo, la cui reale produttività nessuno si prenderà mai la briga di controllare, e che continueranno a sedere proprio sotto il getto del rubinetto, lasciando agli altri solo gli schizzi. Il lavoro di L. sarà sempre meno gratificante, avrà sempre meno risorse a disposizione, sarà fatto inesorabilmente sempre peggio in un meccanismo che compensa con nuovi costi (che derivano da servizi necessari fatti male) l’eventuale risparmio per le casse dello Stato. Risparmio che il prossimo Visco di turno potrà comunque vanificare agendo di nuovo, semplicemente, sul rubinetto.

E scoraggeremo sempre di più ragazzi e ragazze dal ricercare nello studio e nelle professioni la preferenza ‘H’ che L. inseguiva quando studiava con passione e si lanciava nel mondo del lavoro con l’entusiasmo e la dedizione che le ricordo. A conti fatti, anche se so che L. non sarà d’accordo, non ne valeva la pena.

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Solve et repete n. 3: l’estate porta consiglio /2010/08/17/solve-et-repete-n-3-l%e2%80%99estate-porta-consiglio/ /2010/08/17/solve-et-repete-n-3-l%e2%80%99estate-porta-consiglio/#comments Tue, 17 Aug 2010 11:32:49 +0000 Serena Sileoni /?p=6819 Nel focus IBL del primo luglio n. 164  Solve et repete: Verso lo Stato di polizia tributaria, avevamo segnalato con allarme il pericolo che la manovra finanziaria reintroducesse l’ingiusto e incostituzionale principio del “prima paghi e poi contesti”, che obbligherebbe i contribuenti a pagare i debiti nei confronti dell’amministrazione finanziaria prima che possano essere contestati e, quindi, verificati.

In quella sede, avevamo discusso di quanto fosse non solo incostituzionale nei confronti del nostro ordinamento, ma persino aberrante rispetto a uno Stato che si pretende di diritto obbligare il contribuente a pagare un debito che ancora deve essere accertato e che egli stesso contesta.

In un aggiornamento su Chicago Blog, abbiamo poi guardato con speranza ad alcuni emendamenti alla manovra che sembravano aprire uno pertugio di fiducia circa il senno ritrovato del legislatore.

In sostanza, notavamo che – benché restasse ferma la novità di rendere esecutivo direttamente l’atto di accertamento saltando l’iscrizione a ruolo – l’estensione della sospensione dell’esecuzione decisa dal giudice tributario da 150 giorni a 300 (considerando che un processo tributario in primo grado non dura meno di 750 giorni) avrebbe costituito un buon punto di partenza per convincere il legislatore dell’iniquità della norma.

E un’attività di convincimento (nonché di ammonimento circa il fatto che, alla prima occasione, la norma sarebbe stata bocciata dalla Corte costituzionale) è stata quindi condotta dalle associazioni di categoria, industriali e professionali, da parte della stampa (penso in primo luogo agli articoli di Giacalone e Ostellino) e, volendo, anche dall’Istituto Bruno Leoni, facendo alla fine eliminare dal testo finale di conversione del decreto legge il termine per la durata della sospensione.

In sostanza, anche se l’avviso di accertamento continua a rappresentare direttamente titolo esecutivo, il fatto che, come avvenuto finora, il giudice possa concedere una sospensione per una durata eventuale sino al deposito della sentenza di primo grado consente finalmente al presunto debitore prima di discutere, e poi di pagare.

Certo, la questione dei presupposti della sospensione, in particolare se collegata all’entrata in vigore del redditometro, pone ulteriori, seri problemi al diritto di difesa, ma per ora ci piace esprimere la soddisfazione per questa piccola battaglia vinta.

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Liberalizzazioni: bene anche i Radicali e bentornata Emma /2010/06/23/liberalizzazioni-bene-anche-i-radicali-e-bentornata-emma/ /2010/06/23/liberalizzazioni-bene-anche-i-radicali-e-bentornata-emma/#comments Wed, 23 Jun 2010 18:05:02 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6348 Dopo le sei proposte di Pierluigi Bersani, oggi sono venuti allo scoperto i Radicali. I leader del partito – Emma Bonino, Mario Staderini, Michele De Lucia e Marco Beltrandi – hanno illustrato un pacchetto di emendamenti alla manovra finanziaria. Il senso generale delle proposte è quello di “raddrizzare” le storture dell’intervento tremontiano, giudicato molto duramente:

misura strutturale, tagli lineari, interventi emergenziali, settoriali o a colpi di “una tantum”. Misure inique, dunque, dall’efficacia limitata, ma soprattutto senza alcuna prospettiva, per il nostro Paese, di riforme, crescita, sviluppo. Per distribuire ricchezza, bisogna prima produrla; in caso contrario, si distribuisce solo povertà, se non – addirittura – miseria.

La diagnosi è, sostanzialmente, condivisibile, al netto della polemica politica. E la terapia?

Pensioni. I Radicali suggeriscono un graduale innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per tutti i lavoratori, uomini e donne, pubblici e privati, a decorrere dal 2018. Coi risparmi così realizzati, si suggerisce di creare strumenti più efficaci e affidabili degli attuali destinati al “sostegno del reddito, alla formazione e al reinserimento nel mercato del lavoro“. So che va molto di moda, e so di andare controcorrente, ma entrambe le misure mi lasciano perplesso. Per quel che riguarda l’età pensionabile, il mero innalzamento è un second best: il first best sarebbe la piena liberalizzazione dell’età del pensionamento, in cambio dell’abolizione di qualunque livello minimo della rendita pensionistica. In fondo, se uno vuole smettere di lavorare a 40 anni, perché vive in campagna e ha l’orto si sostenta da sé, e dunque per le spesucce gli basta un assegno da 100 euro vita natural durante, perché impedirglielo? Per quel che riguarda la costruzione di un welfare “nordico”, è questione complessa a piena di implicazioni, ma quanto meno la contropartita non dovrebbe essere il mero equilibrio contabile – meno pensioni contro più tutele – ma anche regolatoria – più sostegno ai lavoratori in cambio di un mercato del lavoro più libero. Ecco, questa seconda gamba non c’è, e in sua assenza non so se il gioco possa valer la candela. Ne abbiamo discusso qui.

Voucher. Sulla sanità, i Radicali propongono una proposta rivoluzionaria ma monca – o, almeno, insufficiente. Suggeriscono infatti di dotare ciascun individuo di una serie di “buoni sanità” utilizzabili per tutti i servizi di cura e assistenza. I voucher hanno una serie di vantaggi indiscutibili, che vanno dalla regolarizzazione di una serie di posizioni lavorative in particolare nell’assistenza, alla possibilità di creare forme di competizione tra le strutture pubbliche, e tra queste e le strutture private. Il problema è che, in un contesto ampiamente statizzato come il nostro, i voucher sono utili ma non sufficienti: occorre iniettare maggiori dosi di privato, creando un contesto competitivo che sia veramente equo. Ma, per evitare che questa appaia come una critica “benaltrista”, non ho problemi a dire che non c’è alcun motivo di avversare la proposta, mentre ci sono molti e buoni motivi per sostenerla. Comunque, la nostra posizione sul tema sta qui (e in un libro di prossima pubblicazione a cura di Alberto Mingardi e Gabriele Pelissero per IBL Libri: stay tuned).

Isae. Di fatto qui si vuole salvare, cambiandogli la faccia, l’Isae. Boh.

Liberalizzazioni. Qui sta della ciccia davvero sugosa, e forse è il capitolo più interessante e rivoluzionario dell’intero pacchetto di riforme radicali. La prima e più bella consiste nella sostanziale abolizione dell’Inail, consentendo l’ingresso dei privati nel mercato assicurativo degli infortuni sul lavoro. Credo noi dell’IBL siamo stati tra i primi a suggerirlo, qui. Sulle banche, si propone l’istituzione di un’autorità di controllo sull’attività delle fondazioni di origine bancaria e si suggerisce il ripristino del divieto di impresa nei settori non bancari e non finanziari: lasciamo perdere. Sulle infrastrutture energetiche si propone la separazione proprietaria delle reti, in particolare quella gas, dagli incumbent. Non è disponibile il testo della proposta, quindi non la so valutare tecnicamente (in realtà non serve una legge, serve solo una data per rendere efficace quello che la normativa vigente già impone), comunque il principio è giusto e coraggioso, come spiego qui. Libri: si suggerisce una parziale liberalizzazione dei prezzi, consentendo al librario di praticare sconti superiori al 15 per cento nei 20 mesi successivi alla pubblicazione (chissà perché solo per un periodo di tempo limitato). Buono ma poco coraggioso. Qui le buone ragioni per un intervento più… radicale. [UPDATE: Come spiegato nei commenti, l'emendamento radicale ha l'effetto di liberalizzare completamente i prezzi dei libri, perché questi sono già liberi a partire dal ventesimo mese dalla pubblicazione. Mi scuso per l'errore]. Sale cinematografiche: togliere alle regioni il potere di programmare (o impedirne) l’apertura. Giusto. Ne abbiamo parlato, con una riflessione più ampia sulle regolamentazione del commercio, qui. Idem per la liberalizzazione delle vendite dei giornali. Viene poi proposto un significativo alleggerimento dei vincoli alle vendite sottocosto (ma, anche qui, perché non liberalizzarle del tutto?). Infine, conclusione in bellezza: abolizione del valore legale del titolo di studio. Hip hip hurrà!

Costi della politica. Riduzioni assortite dei contributi pubblici ai partiti. Why not?

Risparmi nella pubblica amministrazione. Il primo emendamento propone di privilegiare il software open source rispetto a quello proprietario. Mi lascia molto perplesso: non c’è ragione a priori di ritenere l’uno meglio dell’altro, specie quando il software serve per svolgere funzioni precise. Non metto link perché non trovo, ma sono sicuro che anche questo l’avevamo detto qualche anno fa, quando se ne era parlato. Poi c’è un tentativo di rendere un filo più civili le nostre norme sull’immigrazione, e non possiamo che approvare. E infine c’è la questione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, su cui è superfluo dire che siamo del tutto allineati.

Stato di diritto e fisco. Vengono eliminati gli interventi più violenti e da stato di polizia tributaria contenuti nella manovra tremontiana. Avanti tutta!

Fiscalità ambientale. Vengono avanzate tre proposte: una carbon tax il cui gettito sia impiegato per ridurre il carico fiscale sul lavoro. Promossa. La costituzione di un fondo di garanzia contro i danni delle estrazione offshore (mica siamo in Louisiana, perbacco). La riduzione degli incentivi all’eolico: qui non è chiaro come, ma di fatto un provvedimento del genere, e persino esagerato, c’è già nella manovra. Il problema è complesso e penso di tornarci presto in modo più ampio, ma mi pare anzitutto sia necessario distinguere tra impianti esistenti o autorizzati (per i quali pacta sunt servanda) e installazioni future. Inoltre non ne capisco la logica: in un’ottica di carbon tax, tutti i sussidi andrebbero aboliti. Inoltre, e questo ha dell’incredibile, credevo fosse ovvio che il vero scandalo in questo paese non sono i sussidi all’eolico, ma quelli al solare fotovoltaico. Se proprio si deve, pregasi iniziare da lì.

Tutela delle aree protette. I radicali vorrebbero restituire ai parchi i soldi tolti da Tremonti. Vade retro!

Urbanistica. Sono molto combattuto su questo emendamento, che vorrebbe rintuzzare le ambigue aperture della manovra sulla possibilità di re-introdurre imposte sugli immobili negli enti locali. Da un lato, mi sta bene: serve a contenere la pressione fiscale totale. Dall’altro insomma: se davvero dobbiamo prendere sul serio la riforma federalista, il problema non è impedire agli enti locali di autofinanziarsi come gli pare, ma tagliare le unghie al fisco centrale.

In conclusione: il pacchetto è ampio e variegato, ma la maggior parte delle proposte sono più che sensate. Quindi, nella maggior parte dei casi speriamo vengano approvate, sapendo che ciò non accadrà. Fa piacere, e mi scuso per la conclusione un filo polemica, scoprire che la Dott.ssa Bonino-Jeckyll ha ripreso il sopravvento su Miss Emma-Hyde che, durante la corsa alienata per la presidenza del Lazio, aveva subito una mutazione genetica nel solco tremontian-rifondarolo. Bentornata tra noi!

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Troppi burocrati pagati troppo /2010/06/08/troppi-burocrati-pagati-troppo/ /2010/06/08/troppi-burocrati-pagati-troppo/#comments Tue, 08 Jun 2010 12:39:21 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6236 Non (solo) in Italia: anche in America, secondo Dan Mitchell.


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Stephen Goldsmith sbarca nella Grande Mela /2010/05/06/stephen-goldsmith-sbarca-nella-grande-mela/ /2010/05/06/stephen-goldsmith-sbarca-nella-grande-mela/#comments Thu, 06 May 2010 12:45:55 +0000 Filippo Cavazzoni /?p=5925 La notizia è che Stephen Goldsmith ricoprirà un ruolo di spicco nell’amministrazione della città di New York. L’autore di “Governare con la rete. Per un nuovo modello di pubblica amministrazione” (IBL Libri) è stato infatti nominato dal sindaco Michael Bloomberg come suo vice.
Goldsmith ha ricoperto il ruolo di sindaco di Indianapolis dal 1992 al 1999, mettendo in pratica ciò che poi ha sistematizzato in “Governare con la rete”. Durante i suoi due mandati, per fornire servizi pubblici ai cittadini ha creato delle vere e proprie “reti”, dove ogni soggetto ricopriva un ruolo ben definito. Responsabilizzazione dei cittadini, coinvolgimento delle comunità locali e una posizione di primo piano data ad organizzazioni non profit e for profit, questo è stato l’obiettivo (raggiunto) del sindaco Goldsmith. La sfida che ora dovrà affrontare è senza dubbio affascinante, NYC ha 10 volte la popolazione di Indianapolis: le stesse ricette possono funzionare anche nella Grande Mela? Stando a quanto si è appreso, Goldsmith dovrà sovrintendere al funzionamento della polizia e dei vigili del fuoco di New York, e a tanti altri settori fra i quali quelli dei trasporti e della sanità.
Dopo il termine della sua esperienza come sindaco di Indianapolis, Goldsmith ha ricoperto il ruolo consigliere di Bush, durante gli anni della sua amministrazione. Nello specifico, si è occupato delle iniziative della Casa Bianca legate al mondo del non profit e al coinvolgimento delle comunità locali (e soprattutto delle comunità religiose) presenti in larghissima quantità sul territorio statunitense. Non è un caso, infatti, che in “Governare con la rete” Goldsmith dedichi molto spazio ai servizi di assistenza sociale, ad esempio ai servizi di assistenza all’infanzia: tutela della famiglia, adozioni, affidamenti. Per ognuno di questi settori possono essere messe in piedi vere e proprio “reti”, che, grazie alle possibilità di coordinamento offerte dalle innovazioni tecnologiche, permettono una frequente e veloce interazione fra le parti coinvolte. Ma lo stesso schema è applicabile a numerosi ambiti: dalla gestione dei parchi alla costruzione di infrastrutture.
Come scrive Goldsmith, “un’entità statale che realizza la maggior parte della sua missione tramite reti di partner richiede un’impostazione e una serie di capacità diverse rispetto ai tradizionali modelli di governo”. Nel libro si trovano numerosi consigli su come impostare tali reti, e sulle capacità necessarie per renderle operative.
Il libro costituisce una sorta di manuale, che cerca di dare risposta alle tante domande legate ai nuovi modi di erogare servizi pubblici. Goldsmith (ed Eggers, co-autore del libro) non mancano di farcire il volume con numerosi esempi concreti. Ciò che negli Stati Uniti è divenuto realtà da parecchi anni, da noi si deve ancora imporre, scontrandosi con problemi di natura culturale.
Se negli ultimi tempi, in Italia, il dibattito è stato inflazionato da termini come “esternalizzazioni”, “privatizzazioni”, “liberalizzazioni”, non si può dire che nella realtà delle cose il panorama abbia subito particolari svolte. Un esempio è rappresentato dal tema della “privatizzazione” dell’acqua, affrontato in diverse occasioni su questo blog. Se da una parte è stato messo in atto un provvedimento volto a coinvolgere maggiormente i privati nella gestione dei servizi idrici, dall’altra non si è atteso molto per gridare allo scandalo, ricorrendo subito al referendum per abrogare una legge dello Stato.
Le forme tradizionali di erogazione dei servizi sembrano segnare il passo, sia per motivi di efficienza che economici. Il settore pubblico andrebbe ripensato. Se esiste la volontà politica di fornire determinati servizi, il problema si sposta allora su “come” questi vadano erogati. Goldsmith dimostra come il settore pubblico possa reinventarsi, perdendo il suo carattere “operativo” per concentrarsi sul ruolo di impulso e controllo. Non più dunque una gestione del servizio attraverso una struttura “pesante” e burocratica, ma attraverso una pluralità di soggetti, tenuti insieme da regole chiare stabilite preliminarmente (sulle finalità da raggiungere, sulle modalità della collaborazione, ecc.).
Teniamo dunque d’occhio quello che succederà a NYC, perché potrebbero realizzarsi esperienze da cui trarre ispirazione. Nel frattempo, per gli amministratori che vogliano mettere in pratica la “dottrina Goldsmith, esiste già un manuale a cui appoggiarsi, si chiama “Governare con la rete”.

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Mille proroghe, mille scandali /2010/03/01/mille-proroghe-mille-scandali/ /2010/03/01/mille-proroghe-mille-scandali/#comments Mon, 01 Mar 2010 20:14:42 +0000 Guest /?p=5287 Riceviamo da Maurizio Mazziero e volentieri pubblichiamo

La denominazione Mille proroghe è stata così usata e abusata nel corso degli anni che non suscita più alcuna reazione.
Sarà mai possibile istituzionalizzare una continua dilazione dei termini? Non dovrebbero le decorrenze dei termini essere sanzionate?

Nel nostro bel Paese ormai si vive con la costanza di termini che riscuotono aspettative di futuri rinvii; con la conseguenza che un termine non è mai inteso come tale e che quando esso lo diventa, dopo innumerevoli rimandi, lascia tutti perplessi e sbigottiti per questa inaspettata ferocia      legislativa.

Seconda riflessione. Nello spulciare questo decreto ho trovato il seguente passo:

8-octies. All’articolo 42-bis, comma 2, penultimo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, le parole: “31 marzo 2009“ sono sostituite dalle seguenti: “31 maggio 2010“.
8-novies. Per le sole violazioni commesse dal 10 marzo 2009 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le norme di cui all’articolo 42-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14; per tali violazioni le scadenze fissate dal comma 2 del citato articolo 42-bis al 30 settembre e al 31 marzo 2009 sono prorogate rispettivamente al 30 settembre e al 10 marzo 2010.

Come non gridare allo scandalo!

Andando a ritroso nella legge 14 del 27 febbraio 2009, si riesce a decodificare che
all’Art. 42-bis:
(( Disposizioni per la definizione di violazioni in materia di affissioni e pubblicità
1. Le violazioni ripetute e continuate delle norme in materia di affissioni e pubblicità commesse nel periodo compreso dal 1 gennaio 2005 fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, mediante affissioni di manifesti politici ovvero di striscioni e mezzi similari, possono essere definite in qualunque ordine e grado di giudizio, nonché in sede di riscossione delle somme eventualmente iscritte a titolo sanzionatorio, mediante il versamento, a carico del committente responsabile, di una imposta pari, per il complesso delle violazioni commesse e ripetute, a 1.000 euro per anno e per provincia.
2. Tale versamento deve essere effettuato a favore della tesoreria del comune competente o della provincia qualora le violazioni siano state compiute in più di un comune della stessa provincia. In tal caso la provincia provvede al ristoro, proporzionato al valore delle violazioni accertate, ai comuni interessati, ai quali compete l’obbligo di inoltrare alla provincia la relativa richiesta entro il 30 settembre  2009. In caso di mancata richiesta da parte dei comuni, la provincia destinerà le entrate al settore ecologia. La definizione di cui al presente articolo non da’ luogo ad alcun diritto al rimborso di somme eventualmente già riscosse a titolo di sanzioni per le predette violazioni. Il termine per il versamento e’ fissato, a pena di decadenza dal beneficio di cui al presente articolo, al 31 marzo 2009. Non si applicano le disposizioni dell’articolo 15, commi 2 e 3, della legge 10 dicembre 1993, n. 515.))

Riferimenti normativi:
- Si riporta il testo vigente dei commi 2 e 3 dell’art. 15 della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica):
«2. In caso di inosservanza delle norme di cui all’art. 3 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire cinquanta milioni.
3. Le spese sostenute dal comune per la rimozione della propaganda abusiva nelle forme di scritte o affissioni murali e di volantinaggio sono a carico, in solido, dell’esecutore materiale e del committente responsabile.

In pratica si tratta della proroga al 31 maggio 2010 (per tutto, cioè, il periodo delle elezioni regionali) la sanatoria che consente di sanare le violazioni commesse nell’affissione dei manifesti elettorali con il pagamento di sole 1.000 euro.
Si concede quindi una sanatoria a violazioni ancora da commettere e che consentiranno di imbrattare muri, pensiline, sottopassi, cavalcavia e via dicendo con le frasi più accattivanti e con i visi più sorridenti dei nostri futuri rappresentanti.
La sanzione sarà solo di 1.000 Euro, un malcostume che va avanti dal 2005 – ma forse ancora prima – e che continuerà imperterrito con buona pace di tutti noi.
Ora mi domando: ma visto che mancano i soldi non poteva essere tale violazione una buona occasione per fare cassa?
Non per altro per destinarlo a spese per la conservazione del patrimonio, per lavori contro il dissesto idrogeologico, per le categorie in difficoltà o per tutto ciò che è nobile come legge del “contrappasso” rispetto a una violazione che è contro il rispetto di ogni civile cittadino.

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Ordinaria follia amministrativa /2010/02/20/ordinaria-follia-amministrativa/ /2010/02/20/ordinaria-follia-amministrativa/#comments Sat, 20 Feb 2010 08:17:36 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5231 Se non fosse normale, sarebbe incredibile.

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Ma a che cazzo serve la marca da bollo? /2009/09/08/ma-a-che-cazzo-serve-la-marca-da-bollo/ /2009/09/08/ma-a-che-cazzo-serve-la-marca-da-bollo/#comments Tue, 08 Sep 2009 09:24:02 +0000 Carlo Stagnaro /?p=2577 Questo post non intende svolgere un argomento o sostenere un’idea. Questo post intende porre una semplice domanda ai lettori di Chicago-blog, ai loro conoscenti e ai conoscenti dei loro conoscenti: a che cazzo serve, nell’anno del Signore 2009, la marca da bollo?

Mi spiego. Ieri mi è toccata l’infame trafila burocratica per il rinnovo del passaporto (in realtà per fare un nuovo passaporto, visto che quello vecchio era già stato rinnovato una volta). Dunque, come è ben spiegato sul sito della Polizia di Stato, oltre a un po’ di cose burocratiche per avviare l’iter occorre “la ricevuta di pagamento di euro 44,66 per il libretto a 32 pagine e di euro 45,62 per quello a 48 pagine“; e serve “1 contrassegno telematico di euro 40,29 per passaporto“. Il contrassegno telematico ha sostituito, dal 1 settembre 2007, la vecchia marca da bollo, ma sempre di quello si tratta: tu paghi 40,29 euro e ricevi un quadratino di carta appiccicosa che certifica che hai pagato euroquarantavirgolaventinove.

Ora, la mia domanda è semplice: perché, per pagare una novantina di euro scarsi, devo utilizzare due mezzi diversi e incompatibili? Perché devo andare prima in posta (e perder tempo in coda) e poi dal tabacchino (e infilarmi odiosi spiccioli nel portafoglio)?  Ho parlato della cosa con qualche amico, e mi hanno dato essenzialmente quattro tipi di risposta.

Risposta numero 1. I flussi attivati dal versamento e dalla marca da bollo vanno a diversi soggetti, quindi devono essere mantenuti separati. Obiezione: benissimo, ma perché non posso fare due versamenti, oppure comprare due marche da bollo, o ancora due bonifici bancari, o scegliere tra una combinazione di questi mezzi?

Risposta numero 2. La marca da bollo (pardòn, contrassegno telematico) è più economica, per lo Stato, perché garantisce un flusso più voluminoso, mentre il versamento impone singole scritture contabili di piccola entità. Benissimo, ma allora perché non chiedere due marche da bollo?

Risposta numero 3. La marca da bollo garantisce un’entrata sicura ai tabacchini. Di per sé è del tutto inutile, ma anche loro tengono famiglia.

Risposta numero 4. Non rompere i coglioni.

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