CHICAGO BLOG » professioni http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 È necessaria una tragedia greca per ottenere le liberalizzazioni anche in Italia? /2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/ /2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/#comments Wed, 24 Nov 2010 13:44:15 +0000 Guest /?p=7686 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Luigi Ferrata:

Vittorio da Rold su il Sole 24 Ore del 23 novembre analizza le ricette adottate dal Governo greco per fronteggiare la crisi.  Si tratta di una serie di liberalizzazioni e riforme strutturali che incidono in profondità nel tessuto sociale e burocratico del Paese. Da Rold sottolinea anche come Papandreu sia consapevole dell’impopolarità delle proprie scelte, ma che sia determinato a proseguire anche a costo di essere sconfitto alle elezioni.

Fa un certo effetto scorrere la lista e vedere come il Primo Ministro stia procedendo verso una maggiore liberalizzazione delle professioni di avvocato, ingegnere, farmacista e medico per ottener l’aumento di un punto di PIL. E ancora per risparmiare e snellire i costi burocratici il Governo greco è anche riuscito a far passare una riforma dell’organizzazione statale grazie alla quale sono state eliminate le 57 province per sostituirle con 13 macroregioni ed addirittura il Governo ha ottenuto che molti comuni venissero accorpati garantendo risparmi nell’ordine di un miliardo e mezzo all’anno.
Tra le altre misure adottate una seria lotta all’evasione fiscale, basata anche sull’utilizzo della tecnologia fornita da Google Maps per individuare gli evasori.

In sostanza le misure adottate in Grecia sono considerate le ricette necessarie per uscire dalla crisi: in altre parole per salvarsi la Grecia ha compreso l’importanza e l’urgenza di liberalizzare il mercato ed il Governo è disposto a sopportarne il costo politico nell’interesse del paese, confortato dal fatto di poter guadagnare in termini di crescita del Pil.

Rileggendo il paragrafo e sostituendo le parole Grecia e a Papandreu con Italia e Berlusconi si ottiene una fattispecie che dovrebbe essere perfettamente adattabile anche al nostro Paese ma che purtroppo non viene implementata.

A mio avviso è paradossale che nella situazione di crisi, anche l’Italia, che sicuramente in termini di crescita non gode di ottima salute, non si arrenda all’evidenza e non decida di imboccare la strada delle liberalizzazioni, tanto più che le scelte effettuate dalla Grecia sono di buon senso, condivisibili e addirittura oggetto dei programmi elettorali dei partiti di maggioranza.

La Grecia per crescere ha scelto, l’Italia vuole crescere, sa cosa deve fare, ma non lo fa.

]]>
/2010/11/24/e-necessaria-una-tragedia-greca-per-ottenere-le-liberalizzazioni-anche-in-italia/feed/ 14
Liberalizzazioni: bene anche i Radicali e bentornata Emma /2010/06/23/liberalizzazioni-bene-anche-i-radicali-e-bentornata-emma/ /2010/06/23/liberalizzazioni-bene-anche-i-radicali-e-bentornata-emma/#comments Wed, 23 Jun 2010 18:05:02 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6348 Dopo le sei proposte di Pierluigi Bersani, oggi sono venuti allo scoperto i Radicali. I leader del partito – Emma Bonino, Mario Staderini, Michele De Lucia e Marco Beltrandi – hanno illustrato un pacchetto di emendamenti alla manovra finanziaria. Il senso generale delle proposte è quello di “raddrizzare” le storture dell’intervento tremontiano, giudicato molto duramente:

misura strutturale, tagli lineari, interventi emergenziali, settoriali o a colpi di “una tantum”. Misure inique, dunque, dall’efficacia limitata, ma soprattutto senza alcuna prospettiva, per il nostro Paese, di riforme, crescita, sviluppo. Per distribuire ricchezza, bisogna prima produrla; in caso contrario, si distribuisce solo povertà, se non – addirittura – miseria.

La diagnosi è, sostanzialmente, condivisibile, al netto della polemica politica. E la terapia?

Pensioni. I Radicali suggeriscono un graduale innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per tutti i lavoratori, uomini e donne, pubblici e privati, a decorrere dal 2018. Coi risparmi così realizzati, si suggerisce di creare strumenti più efficaci e affidabili degli attuali destinati al “sostegno del reddito, alla formazione e al reinserimento nel mercato del lavoro“. So che va molto di moda, e so di andare controcorrente, ma entrambe le misure mi lasciano perplesso. Per quel che riguarda l’età pensionabile, il mero innalzamento è un second best: il first best sarebbe la piena liberalizzazione dell’età del pensionamento, in cambio dell’abolizione di qualunque livello minimo della rendita pensionistica. In fondo, se uno vuole smettere di lavorare a 40 anni, perché vive in campagna e ha l’orto si sostenta da sé, e dunque per le spesucce gli basta un assegno da 100 euro vita natural durante, perché impedirglielo? Per quel che riguarda la costruzione di un welfare “nordico”, è questione complessa a piena di implicazioni, ma quanto meno la contropartita non dovrebbe essere il mero equilibrio contabile – meno pensioni contro più tutele – ma anche regolatoria – più sostegno ai lavoratori in cambio di un mercato del lavoro più libero. Ecco, questa seconda gamba non c’è, e in sua assenza non so se il gioco possa valer la candela. Ne abbiamo discusso qui.

Voucher. Sulla sanità, i Radicali propongono una proposta rivoluzionaria ma monca – o, almeno, insufficiente. Suggeriscono infatti di dotare ciascun individuo di una serie di “buoni sanità” utilizzabili per tutti i servizi di cura e assistenza. I voucher hanno una serie di vantaggi indiscutibili, che vanno dalla regolarizzazione di una serie di posizioni lavorative in particolare nell’assistenza, alla possibilità di creare forme di competizione tra le strutture pubbliche, e tra queste e le strutture private. Il problema è che, in un contesto ampiamente statizzato come il nostro, i voucher sono utili ma non sufficienti: occorre iniettare maggiori dosi di privato, creando un contesto competitivo che sia veramente equo. Ma, per evitare che questa appaia come una critica “benaltrista”, non ho problemi a dire che non c’è alcun motivo di avversare la proposta, mentre ci sono molti e buoni motivi per sostenerla. Comunque, la nostra posizione sul tema sta qui (e in un libro di prossima pubblicazione a cura di Alberto Mingardi e Gabriele Pelissero per IBL Libri: stay tuned).

Isae. Di fatto qui si vuole salvare, cambiandogli la faccia, l’Isae. Boh.

Liberalizzazioni. Qui sta della ciccia davvero sugosa, e forse è il capitolo più interessante e rivoluzionario dell’intero pacchetto di riforme radicali. La prima e più bella consiste nella sostanziale abolizione dell’Inail, consentendo l’ingresso dei privati nel mercato assicurativo degli infortuni sul lavoro. Credo noi dell’IBL siamo stati tra i primi a suggerirlo, qui. Sulle banche, si propone l’istituzione di un’autorità di controllo sull’attività delle fondazioni di origine bancaria e si suggerisce il ripristino del divieto di impresa nei settori non bancari e non finanziari: lasciamo perdere. Sulle infrastrutture energetiche si propone la separazione proprietaria delle reti, in particolare quella gas, dagli incumbent. Non è disponibile il testo della proposta, quindi non la so valutare tecnicamente (in realtà non serve una legge, serve solo una data per rendere efficace quello che la normativa vigente già impone), comunque il principio è giusto e coraggioso, come spiego qui. Libri: si suggerisce una parziale liberalizzazione dei prezzi, consentendo al librario di praticare sconti superiori al 15 per cento nei 20 mesi successivi alla pubblicazione (chissà perché solo per un periodo di tempo limitato). Buono ma poco coraggioso. Qui le buone ragioni per un intervento più… radicale. [UPDATE: Come spiegato nei commenti, l'emendamento radicale ha l'effetto di liberalizzare completamente i prezzi dei libri, perché questi sono già liberi a partire dal ventesimo mese dalla pubblicazione. Mi scuso per l'errore]. Sale cinematografiche: togliere alle regioni il potere di programmare (o impedirne) l’apertura. Giusto. Ne abbiamo parlato, con una riflessione più ampia sulle regolamentazione del commercio, qui. Idem per la liberalizzazione delle vendite dei giornali. Viene poi proposto un significativo alleggerimento dei vincoli alle vendite sottocosto (ma, anche qui, perché non liberalizzarle del tutto?). Infine, conclusione in bellezza: abolizione del valore legale del titolo di studio. Hip hip hurrà!

Costi della politica. Riduzioni assortite dei contributi pubblici ai partiti. Why not?

Risparmi nella pubblica amministrazione. Il primo emendamento propone di privilegiare il software open source rispetto a quello proprietario. Mi lascia molto perplesso: non c’è ragione a priori di ritenere l’uno meglio dell’altro, specie quando il software serve per svolgere funzioni precise. Non metto link perché non trovo, ma sono sicuro che anche questo l’avevamo detto qualche anno fa, quando se ne era parlato. Poi c’è un tentativo di rendere un filo più civili le nostre norme sull’immigrazione, e non possiamo che approvare. E infine c’è la questione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, su cui è superfluo dire che siamo del tutto allineati.

Stato di diritto e fisco. Vengono eliminati gli interventi più violenti e da stato di polizia tributaria contenuti nella manovra tremontiana. Avanti tutta!

Fiscalità ambientale. Vengono avanzate tre proposte: una carbon tax il cui gettito sia impiegato per ridurre il carico fiscale sul lavoro. Promossa. La costituzione di un fondo di garanzia contro i danni delle estrazione offshore (mica siamo in Louisiana, perbacco). La riduzione degli incentivi all’eolico: qui non è chiaro come, ma di fatto un provvedimento del genere, e persino esagerato, c’è già nella manovra. Il problema è complesso e penso di tornarci presto in modo più ampio, ma mi pare anzitutto sia necessario distinguere tra impianti esistenti o autorizzati (per i quali pacta sunt servanda) e installazioni future. Inoltre non ne capisco la logica: in un’ottica di carbon tax, tutti i sussidi andrebbero aboliti. Inoltre, e questo ha dell’incredibile, credevo fosse ovvio che il vero scandalo in questo paese non sono i sussidi all’eolico, ma quelli al solare fotovoltaico. Se proprio si deve, pregasi iniziare da lì.

Tutela delle aree protette. I radicali vorrebbero restituire ai parchi i soldi tolti da Tremonti. Vade retro!

Urbanistica. Sono molto combattuto su questo emendamento, che vorrebbe rintuzzare le ambigue aperture della manovra sulla possibilità di re-introdurre imposte sugli immobili negli enti locali. Da un lato, mi sta bene: serve a contenere la pressione fiscale totale. Dall’altro insomma: se davvero dobbiamo prendere sul serio la riforma federalista, il problema non è impedire agli enti locali di autofinanziarsi come gli pare, ma tagliare le unghie al fisco centrale.

In conclusione: il pacchetto è ampio e variegato, ma la maggior parte delle proposte sono più che sensate. Quindi, nella maggior parte dei casi speriamo vengano approvate, sapendo che ciò non accadrà. Fa piacere, e mi scuso per la conclusione un filo polemica, scoprire che la Dott.ssa Bonino-Jeckyll ha ripreso il sopravvento su Miss Emma-Hyde che, durante la corsa alienata per la presidenza del Lazio, aveva subito una mutazione genetica nel solco tremontian-rifondarolo. Bentornata tra noi!

]]>
/2010/06/23/liberalizzazioni-bene-anche-i-radicali-e-bentornata-emma/feed/ 23
Elitarismo professionale e cooptazione selettiva, di Mario Unnia /2010/06/17/elitarismo-professionale-e-cooptazione-selettiva-di-mario-unnia-2/ /2010/06/17/elitarismo-professionale-e-cooptazione-selettiva-di-mario-unnia-2/#comments Thu, 17 Jun 2010 13:57:03 +0000 Guest /?p=6301 Riceviamo da Mario Unnia e volentieri pubblichiamo:

C’è un gran discutere di professioni, tra chi vuole l’ordine o si accontenta del ‘riconoscimento’ pubblico dell’associazione. Insomma, tutti a fare gruppo, convinti che nel gruppo stia la salvezza. Avremo dunque altri sindacati camuffati da ordini e da associazioni, dotati di poteri selettivi garantiti dalla legge e dagli accordi tra lobby. È proprio questo che serve alle professioni?

Penso di no. A mio parere le professioni necessitano di un meccanismo di governo che non si esaurisca nei dettati delle leggi né nelle procedure rappresentative interne. L’esperienza ha dimostrato che leggi e rappresentanza non hanno evitato l’involuzione delle professioni verso strutture chiuse, autoreferenziali, clientelari. In questo favorite da politiche di destra e di sinistra. Il meccanismo di governo va dunque cercato altrove.
Occorre guardare ai processi di formazione delle élite, a cominciare dai dibattiti socratici, per poi passare all’esperienza degli ordini monastici, alle procedure selettive dei salotti seicenteschi, dei club settecenteschi, delle associazioni coperte dell’Ottocento, dei circoli del Novecento, delle fondazioni degli ultimi trent’anni (mi riferisco non alle nostre fondazioni, bancarie e partitiche, bensì alle fondazioni americane che selezionano le classi dirigenti).

Se si percorrono, seppur a volo d’uccello, le esperienze richiamate, ci si accorge dell’elemento comune: ogni ambito di attività, dalla politica agli affari, dalla scienza alla cultura, dispone di meccanismi di cooptazione selettiva della dirigenza ‘che conta’. Questi meccanismi sono di due tipi : uno è conforme ai valori morali della società, in primis equità e giustizia, l’altro si richiama invece ad un paradigma morale del tutto contrapposto. Il meccanismo auspicato è quello virtuoso che si affianca ai poteri e ai meccanismi formali, li condiziona, li corregge, li denuncia quando deviano dall’etica e, non ultimo, è punto di riferimento per le giovani leve e tutela del ricambio generazionale.

L’elitarismo professionale è pienamente compatibile con le procedure democratiche, anzi ne corregge le deviazioni. La cooptazione selettiva della dirigenza reale, quella che conta, di fatto garantisce la continuità del valore professionale al di là dell’avvicendamento della rappresentanza e delle incongruenze delle leggi. In assenza di questo meccanismo l’entità partito, associazione, sindacato, ecc. tende a involvere in un apparato protetto, in una consorteria.

Che cosa si intende per elitarismo professionale e per cooptazione selettiva? Occorre introdurre la distinzione tra classe dirigente e classe di governo. L’elitarismo produce la classe dirigente, la legge e le rappresentanze producono la classe di governo. Può succedere che le due coincidano, ma è assai raro. Perché la seconda guarda e persegue il potere, mentre la prima guarda e persegue il prestigio. Il potere è comune ai vertici degli ordini e delle associazioni professionali, e ne costituisce il legante: il prestigio è comune all’eccellenza interna ad ogni professione, e ne costituisce il legante. L’accademia è l’architrave che dovrebbe ospitare il prestigio e proteggerlo, ma troppo spesso non lo fa.

Questo, a mio parere, è il nocciolo del dibattito che andrebbe aperto sul fronte delle professioni: col rischio naturalmente di sentirsi dire che da noi la cooptazione selettiva va bandita perché è un vizio nazionale. Eppure occorre avere il coraggio di porre il problema.

]]>
/2010/06/17/elitarismo-professionale-e-cooptazione-selettiva-di-mario-unnia-2/feed/ 5
Liberalizzazioni: bene il Pd, se sa quel che dice /2010/06/16/liberalizzazioni-bene-il-pd-se-sa-quel-che-dice/ /2010/06/16/liberalizzazioni-bene-il-pd-se-sa-quel-che-dice/#comments Wed, 16 Jun 2010 18:23:22 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6295 Finalmente il Partito democratico batte un colpo, e che colpo. Le sei proposte di liberalizzazione presentate oggi da Pierluigi Bersani rappresentano, finalmente, un tentativo di dare sostanza all’opposizione, evitando sia la tentazione controproducente dell’antiberlusconismo, sia il massimalismo della Fiom. Non tutto è perfetto, ma c’è molto di buono.

Prima ancora di entrare nel merito delle proposte, buona è la retorica con cui il Pd le condisce:

Il Partito democratico sostiene la libertà di impresa e la libertà dei consumatori… L’Italia ha bisogno di una nuova stagione di liberalizzazioni: meno barriere di accesso alle professioni, più concorrenza nei servizi, autorità realmente indipendenti.

L’idea di fondo sembra essere che il paese sia “bloccato”, e che questo blocco non dipenda (perlopiù) dalla crisi, cioè non sia un blocco congiunturale, ma dipenda da ragioni strutturali. In particolare, dall’inadeguatezza del contesto normativo a ospitare vera concorrenza in una serie di settori della nostra economia, producendo rendite a favore degli incumbent e sottraendo risorse preziose ai consumatori e al mercato. Da questo presupposto, discendono abbastanza naturalmente quattro delle sei proposte. Due, invece, mi paiono contraddirlo. Vediamo perché.

1. Carburanti. Il Pd propone due cose, una – voglio essere buono – sbagliata e l’altra dannosa. Quella sbagliata è di rompere il vincolo di esclusiva che lega i distributori alla compagnia di cui battono i colori, obbligandoli a ritirare da essa solo il 50 per cento del carburante servito. Per il resto, varrebbe una sorta di third party access in virtù del quale potrebbero approvvigionarsi dove gli pare. La misura dannosa prevede di affidare all’Acquirente Unico – che già svolge un compito analogo nel settore dell’elettricità – le funzioni di grossista della benzina, in modo da rifornire i piccoli distributori fornendogli potere contrattuale. Questo è sbagliato perché – al di là delle riserve sul ruolo attuale di Au – c’è una ovvia e sostanziale differenza tra l’elettricità e i carburanti: nel caso dell’elettricità il consumatore, specie quello domestico, ha bisogno di essere accompagnato verso il mercato (anche se credo che questa sia una comoda illusione, ma facciamo finta), nel caso dei carburanti no. E, per la stessa ragione, non si vede per quale ragione si debba entrare a gamba tesa nella libertà contrattuale tra distributori e compagnia. Ma, al di là di tutto questo, mi pare che l’errore sia più profondo: la lettura del Pd è che si debba usare diversamente la rete esistente, mentre il problema vero è che è la rete a essere inadeguata: non dobbiamo usarla meglio, dobbiamo ricostruirla. E per ricostruirla non servono alchimie regolatorie, ma libertà di apertura/chiusura di punti di rifornimento, inclusa la libertà di aprirli assieme a un supermercato o minimarket o quel che sia senza vincoli al mix merceologico, sul tipo di servizio offerto, e così via. Sta tutto scritto qui.

Farmaci. L’ampliamento delle maglie della prima “lenzuolata” di Bersani è cosa buona e giusta. Il Pd propone di consentire alle parafarmacie di vendere anche farmaci di fascia C, ampliando i canali d’offerta. C’è poco da aggiungere, visto che sta tutto scritto qui e qui.

Professioni. Questa è la proposta, al tempo stesso, più innovativa e rivoluzionaria: si propone in sostanza, al di là di una serie di aggiustamenti condivisibili ma minori, di “riconoscere le libere associazioni costituite su base volontaria e senza diritto di esclusiva tra professionisti (sono circa 3 milioni) che svolgono attività non regolamentate in ordini, attribuendo ad esse anche compiti di qualificazione professionale. Viene infine prevista l’equiparazione delle professioni intellettuali al settore dei servizi ai fini del riconoscimento delle misure (comunitarie e nazionali) di sostegno economico per lo sviluppo dell’occupazione e degli investimenti con particolare riferimento ai giovani“. Questo scardinerebbe il sistema ordinistico italiano, introducendovi un importante germe di libertà di organizzazione. Assolutamente da sostenere con le unghie e per i denti. Peraltro, sta scritto anche qui.

Abolizione della clausola di massimo scoperto. Anche qui si tenta di estendere le lenzuolate del 2006/7, ma rispetto a un tema che ci ha visti molto critici. Infatti, quello che questa proposta farebbe sarebbe di mettere le mani all’interno di contratti già scritti e firmati, cioè di pasticciare con la libertà contrattuale di individui e imprese. Roba che a noi non piace e che, di norma, non funziona neppure rispetto ai suoi obiettivi originari. Comunque, non c’è nulla di nuovo: i nostri dubbi stanno scritti qui.

Separazione proprietaria rete gas. Se quella sulle professioni è la proposta probabilmente più rivoluzionaria, questa è la più improbabile: perché il Pd si muove sul classico terreno che “chi tocca i fili, muore”. Si tratta del crocevia indispensabile per avviare una seria liberalizzazione del mercato del gas naturale nel nostro paese, e a catena di quello elettrico che a esso è strettamente legato. Pochi hanno provato e quei pochi hanno fallito (con onore). Ma la proposta è talmente giusta e condivisibile che sta scritto tutto qui e qui.

Avvio immediato attività produttive. Infine, l’ultima proposta è quella di consentire, tramite una semplice autocertificazione, le procedure per la realizzazione di impianti necessari all’avvio di nuovi insediamenti produttivi. C’è poco da commentare, qui, se non che sono idee giustissime (e forse, vista la convergenza con le ultime uscite di Giulio Tremonti, questa proposta ha perfino qualche chance). La burocrazia e la confusione amministrativa sono i mostri contro cui le imprese italiane si battono quotidianamente. Sta scritto qui.

Il giudizio è insomma più che positivo. Su sei proposte, due sono discutibili (carburanti e massimo scoperto), quattro buone o molto buone, ma due del tutto impossibili (rete gas e professioni) o estremamente improbabili (farmaci). Una (semplificazione) è buona e possibile. Non sono sicuro che il Pd si renda pienamente conto della portata di questo “programma di governo”: di certo, se mai torneranno a Palazzo Chigi, il giorno dopo qualcuno dovrà prendersi la briga di chiedergli di mantenere le promesse.

]]>
/2010/06/16/liberalizzazioni-bene-il-pd-se-sa-quel-che-dice/feed/ 15
Elitarismo professionale e cooptazione selettiva. Di Mario Unnia /2010/04/19/elitarismo-professionale-e-cooptazione-selettiva-di-mario-unnia/ /2010/04/19/elitarismo-professionale-e-cooptazione-selettiva-di-mario-unnia/#comments Mon, 19 Apr 2010 13:27:49 +0000 Guest /?p=5726 Riceviamo dal prof. Mario Unnia e volentieri pubblichiamo.

C’è un gran discutere di professioni, tra chi vuole l’ordine o si accontenta  del ‘riconoscimento’ pubblico dell’associazione. Insomma, tutti a fare gruppo, convinti che nel gruppo stia la salvezza. Avremo dunque altri sindacati camuffati da ordini e da associazioni, dotati di poteri selettivi garantiti dalla legge e dagli accordi tra lobby. E’ proprio questo che serve alle professioni?

Penso di no. A mio parere le professioni necessitano di un meccanismo di governo che non si esaurisca nei dettati delle leggi né nelle procedure rappresentative interne. L’esperienza ha dimostrato che leggi e rappresentanza non hanno evitato l’involuzione delle professioni verso strutture chiuse, autoreferenziali, clientelari. In questo favorite da politiche di destra e di sinistra. Il meccanismo di governo va dunque cercato altrove.

Occorre guardare ai processi di formazione delle élite, a cominciare dai dibattiti socratici, per poi passare all’esperienza degli ordini monastici, alle procedure selettive dei salotti secenteschi, dei club settecentesci, delle associazioni coperte dell’Ottocento, dei circoli del Novecento, delle fondazioni degli ultimi trent’anni (mi riferisco non alle nostre fondazioni, bancarie e partitiche, bensì alle fondazioni americane che selezionano le classi dirigenti).

Se si percorrono, seppur a volo d’uccello, le esperienze richiamate, ci si accorge dell’elemento comune: ogni ambito di attività, dalla politica agli affari, dalla scienza alla cultura, dispone di meccanismi di cooptazione selettiva della dirigenza ‘che conta’. Questi meccanismi sono di due tipi : uno è conforme ai valori morali della società, in primis equità e giustizia, l’altro si richiama invece ad un paradigma morale del tutto contrapposto. Il meccanismo auspicato è quello virtuoso che si affianca ai poteri e ai meccanismi formali, li condiziona, li corregge, li denuncia quando deviano dall’etica e, non ultimo, è punto di riferimento per le giovani leve e tutela del ricambio generazionale.  

L’elitarismo culturale professionale è pienamente compatibile con le procedure democratiche, anzi ne corregge le deviazioni. La cooptazione selettiva della dirigenza reale, quella che conta, di fatto garantisce la continuità del valore professionale al di là dell’avvicendamento della rappresentanza e delle incongruenze delle leggi. In assenza di questo meccanismo l’entità partito, associazione, sindacato, ecc. tende a involvere in un apparato protetto, in una consorteria.

Che cosa si intende per eletarismo professionale e per cooptazione selettiva? Occorre introdurre la distinzione tra classe dirigente e classe direttiva. L’elitarismo produce la classe dirigente, la legge e le rappresentanze producono la classe direttiva. Può succedere che le due coincidano, ma è assai raro. Perché la seconda guarda e persegue il potere, mentre la prima guarda e persegue il prestigio. Il potere è comune ai vertici degli ordini e delle associazioni professionali, e ne costituisce il legante: il prestigio è comune all’eccellenza interna ad ogni professione, e ne costituisce il legante. L’accademia è l’architrave che dovrebbe ospitare il prestigio e proteggerlo, ma troppo spesso non lo fa.

Questo, a mio parere, è il nocciolo del dibattito che andrebbe aperto non solo sul fronte delle nostre professioni: eppure sono proprio la formazione, la consulenza, la comunicazione le aree più interessate all’elitarismo cooptativo della dirigenza, al prestigio come valenza legittimante.

]]>
/2010/04/19/elitarismo-professionale-e-cooptazione-selettiva-di-mario-unnia/feed/ 0
Sei semplici mosse per (quasi) liberare le professioni liberali… /2010/04/15/sei-semplici-mosse-per-quasi-liberare-le-professioni-liberali%e2%80%a6/ /2010/04/15/sei-semplici-mosse-per-quasi-liberare-le-professioni-liberali%e2%80%a6/#comments Thu, 15 Apr 2010 11:31:00 +0000 Carlo Lottieri /?p=5666 Sono consigli molto puntuali, che mirano a unire realismo politico ed efficacia liberalizzatrice, quelli che il Position Paper dell’IBL intitolato “Per una riforma delle professioni. Sei idee (quasi) liberali per Governo e Parlamento” (PDF) offre al ceto dirigente italiano, ormai vicino a una riforma delle professioni che potrebbe, però, configurarsi come una “contro-riforma”. Anche se può sembrare impossibile, ma da più parti giungono infatti indicazioni che vorrebbero ancor più ossificare uno dei settori più ossificati della nostra società, rinunciando perfino a quelle modeste aperture in direzione del mercato che si sono avute in anni recenti.

Per questo motivo, il primo dei sei suggerimenti dati dal paper è proprio quello di “non toccare il buono che si è già fatto”: quando si sono abolite le tariffe minime, si è permesso il patto di quota-lite (l’americano contingent fee), si è introdotta la possibilità di pubblicità, si è aperto alle società di persone. Bisogna anzi che alle norme seguano atti concreti, dato che in molti casi gli ordini professionali si sono messi di traverso, annullando di fatto le novità positive del decreto Bersani del 2006.
Il secondo consiglio consiste nel suggerire che la riforma del settore avvenga con un’unica legge, offrendo una disciplina quindi omogenea che aiuti al massimo la trasparenza.
Il paper propone, per giunta, di aprire ad una concorrenza di ordini. Se proprio non si vogliono abolire gli ordini esistenti, si permetta la nascita di ordini “alternativi”: che ad esempio siano più rigorosi (o meno) nei loro requisiti e che in tal modo diano vita a un embrione di concorrenza, sottraendo ai notabili dei diversi settori quel potere di cui ora dispongono, del tutto illegittimo e incompatibile con una società liberale.
Quarto punto: si mantengano all’interno del sistema ordinistico solo le professioni che sono più legate a esigenze di tutela della qualità: medici e avvocati, quindi, e al limite anche architetti e ingegneri. Tutti gli altri devono invece operare entro un regime di libera concorrenza. E soprattutto devono farlo i giornalisti, dal momento che si tratta di un ordine “intrinsecamente incompatibile con il diritto alla libera manifestazione del pensiero”.
È poi indispensabile che si apra ulteriormente la possibilità di organizzare in termini nuovi e più imprenditoriali l’universo professionale, facendo nascere anche società di capitali e quindi garantendo ai professionisti italiani di poter competere ad armi pari con i colleghi di altre realtà nazionali.
Ultimo suggerimento: poiché già esiste de facto la figura del libero professionista che nella sostanza è un lavoratore dipendente, si deve permettere anche de jure di scegliere – se lo vogliono – di esercitare la propria professione nella forma del lavoratore subordinato. Questo non va intenso con un invito a ingabbiare o tutelare questa nuova posizione, ma semplicemente come la volontà di permettere il superamento di vincoli e limiti, in modo che la professione possa essere svolta nelle forme più adeguate.
Il testo propone le proprie tesi riformatrici ben sapendo che si tratta di proposte moderate, tanto che nel sottotitolo si parla di “idee (quasi) liberali”. In una società liberale gli ordini vanno aboliti, e quedsto soprattutto quando si tratta di garantire alti livelli di qualità nei settori più cruciali (dove si ha a che fare con la salute, ad esempio).
Ormai si è in molti a sperare che in Italia si facciano riforme “(quasi) liberali”. Per quelle veramente liberali bisognerà forse attendere generazioni più fortunate e intellettualmente coraggiose.

]]>
/2010/04/15/sei-semplici-mosse-per-quasi-liberare-le-professioni-liberali%e2%80%a6/feed/ 1
Vi prego: ditemi che non è vero /2009/10/18/vi-prego-ditemi-che-non-e-vero/ /2009/10/18/vi-prego-ditemi-che-non-e-vero/#comments Sun, 18 Oct 2009 16:06:35 +0000 Carlo Stagnaro /?p=3341 L’albo dei buttafuori!

]]>
/2009/10/18/vi-prego-ditemi-che-non-e-vero/feed/ 8
Camici liberi! /2009/10/15/3281/ /2009/10/15/3281/#comments Thu, 15 Oct 2009 10:29:33 +0000 Silvio Boccalatte /?p=3281 In un panorama contraddistinto da leggi e proposte di legge che fanno a gara per comprimere la libertà economica – si pensi che giacciono in Parlamento ben 19 progetti finalizzati ad istituire nuovi ordini o albi professionali – ogni tanto appare qualche lodevole idea di segno contrario.

E’ il caso della proposta A.C.2529 (primo firmatario On. Michele Scandroglio) la quale intende rimuovere un vincolo assurdo che contraddistingue negativamente il sistema sanitario italiano (SSN).

Come molti sanno, tutti i medici dipendenti del SSN possono liberamente optare per svolgere la libera professione al di fuori dell’orario di lavoro (sia all’interno delle strutture pubbliche – c.d. “intramoenia” – sia in strutture private – c.d. “extramoenia”): al contrario, tutti gli altri dipendenti del SSN non hanno questa facoltà e sono tenuti all’esclusività del rapporto di impiego con lo Stato. Le conseguenze, talvolta, sono drammatiche: per alcune professioni sanitarie il cittadino semplicemente non riesce a trovare sul mercato un’offerta sufficiente ed è costretto a rivolgere la propria domanda alla galassia del lavoro nero. Ovviamente e logicamente. Ma tutto si svolge in un clima catacombale che incrementa i rischi, per tutti. Paradigmatico è il caso gli infermieri: sono tenuti all’esclusività del rapporto d’impiego, dunque non si possono aprire liberamente una partita IVA. Così il vecchietto solo soletto non trova un infermiere per il ciclo di iniezioni prescrittogli dal medico, mentre il giovane neodiplomato è fortemente scoraggiato ad intraprendere una professione che richiede anni di studio e fatica e promette non molto più di mille euro al mese (infatti gli infermieri sono in numero gravemente insufficiente alle necessità). Ma è solo uno tra i possibili esempi delle distorsioni conseguenti alla vigente normativa: i tecnici di radiologia – altro esempio – sanno bene come i macchinari di radiologia siano sottoutilizzati in alcune strutture ospedaliere, e sovrautilizzati in altre; nel primo caso potrebbero sfruttarli con attività privata intramoenia e renderli così economicamente redditizi, per tutti. Ciò, però, è loro vietato dalla legge vigente.

La proposta avanzata dall’On. Scandroglio, invece, mira a spazzare via tutte queste assurdità normative (nonché l’inconcepibile disparità di trattamento rispetto ai medici), concedendo la possibilità a tutte le professioni sanitarie di esercitare la libera professione al di fuori dell’orario di lavoro.

Un refolo di libertà economica nell’attuale tempesta statalista.

]]>
/2009/10/15/3281/feed/ 1
Liberalizzazioni: lo stato della professione legale – di Pasquale Annichino /2009/07/22/liberalizzazioni-lo-stato-della-professione-legale-%e2%80%93-di-pasquale-annichino/ /2009/07/22/liberalizzazioni-lo-stato-della-professione-legale-%e2%80%93-di-pasquale-annichino/#comments Wed, 22 Jul 2009 12:57:57 +0000 Guest /?p=1724 Riceviamo da Pasquale Annicchino e volentieri pubblichiamo

La lodevole iniziativa del gruppo “Io non voglio il posto fisso, voglio guadagnare” coordinata dall’instancabile Piercamillo Falasca (fellow dell’Istituto Bruno Leoni e vice-presidente di Libertiamo) offre una preziosa opportunità di riflessione sul grado di apertura del mercato delle libere professioni in Italia. Ad essere oggetto di discussione è soprattutto la professione legale.
Occorre però un attimo di franchezza prima di procedere: l’iniziativa, per quanto da apprezzare e sostenere, è destinata a finire nel vuoto. Nessuno prenderà sul serio quel disegno di legge. Che Piercamillo non se la prenda. Esiste un ampio consenso bipartisan a supporto delle posizioni corporative del Consiglio nazionale forense (CNF). L’esercizio non sarà comunque inutile.
E’ da anni che il tema delle liberalizzazioni delle professioni è oggetto di discussione. Gli argomenti sono ormai tutti sul piatto. Costi e benefici. Rischi ed opportunità. La sintesi della tavola rotonda che la Italian Society of Law and Economics organizzò alla LUISS nel 2007 ne offre una preziosa ricognizione. Non è un caso se Guido Alpa, presidente del CNF, regolarmente invitato a quella conferenza decise di non presentarsi. I suoi argomenti sono indifendibili.
Ho collaborato per un paio di anni con l’ANPA (ora Unione Giovani Avvocati Italiani), l’intervista al presidente dell’associazione Gaetano Romano, pubblicata oggi da Libertiamo sintetizza, se ce ne fosse ancora bisogno, la ragionevolezza di una battaglia da non abbandonare.
A meno che non si voglia ammettere che in questo Paese le professioni liberali non hanno ragion d’esistere. Cerchiamo l’introvabile?

]]>
/2009/07/22/liberalizzazioni-lo-stato-della-professione-legale-%e2%80%93-di-pasquale-annichino/feed/ 1