CHICAGO BLOG » privacy http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Viva la Rai /2010/11/30/viva-la-rai/ /2010/11/30/viva-la-rai/#comments Tue, 30 Nov 2010 09:17:43 +0000 Guest /?p=7732 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Antonio Sileo:

Con l’approssimarsi della fine dell’anno arrivano puntuali, tra le altre, le pubblicità che ricordano di pagare il canone per la gloriosa Radiotelevisione italiana. Con queste, regolarmente, divampano commenti pro e contro e non mancano le proposte per risolvere la non poca “evasione”.

Il neoministro Paolo Romani – di telecomunicazioni grande esperto – ha ripreso un’idea che a dire balzana non si scherza.  «A tutti i titolari di un contratto di fornitura di elettricità, siano essi famiglie, pubblici esercizi o professionisti, verrà chiesto di pagare il canone, perché, ragionevolmente, se uno ha l’elettricità, ha anche l’apparecchio tv. Chi non ha la televisione dovrà dimostrarlo e, solo in quel caso, non pagherà» ha dichiarato al Corriere della Sera il ministro.
Certo, si dirà che alcune ultime proposte di Romani non abbiano incontrato un così gran successo (ci riferiamo ai cinque nomi suggeriti per il collegio dell’Autorità per l’energia). Tuttavia, l’iniziativa è seria, tanto che rientrerebbe nella riforma del canone Rai che dovrebbe essere presentata col decreto milleproroghe o, comunque, entro l’anno. Il fine è meritorio: azzerare la grande evasione (circa il 30%) e, allo stesso tempo, pagare meno; pagare tutti, proprio tutti, ma meno.
Ora, è evidente che il ministro non è mai stato alle presentazioni della relazione annuale dell’Autorità per l’energia. Sono noti, infatti, gli appelli di Alessandro Ortis e Tullio Fanelli per spostare una parte degli oneri per l’incentivazione delle rinnovabili dalla bolletta alla fiscalità generale, ma trasformare chi fattura energia elettrica in esattore elettronico sostituto pare proprio un po’ troppo, anche perché, a stare attenti, sarebbe solo l’inizio. È in grande aumento, infatti, l’utilizzo di schermi che permettono di vedere la televisione in auto, sono il trastullo di tanti autisti in città e di molti ragazzi in periferia. Dobbiamo quindi aspettarci una nuova componete RaiTV tra le accise di diesel e benzina?

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Ancora su Street-View /2010/03/08/ancora-su-street-view/ /2010/03/08/ancora-su-street-view/#comments Sun, 07 Mar 2010 23:43:22 +0000 Giovanni Boggero /?p=5328 Sul tema Street-View, di cui abbiamo discusso di recente, mi piace segnalare due contributi di notevole interesse, entrambi pubblicati sulla rivista libertaria “Eigentümlich Frei”, quest’anno al secondo lustro di attività (auguri!). Il primo riecheggia sostanzialmente il nostro modo di vedere le cose ed è stato scritto da Gérard Bökenkamp, vincitore nel 2009 del premio per l’articolo liberale dell’anno istituito dalla Friedrich Naumann Stiftung, fondazione vicina all’FDP. Il secondo, invece, a firma dell’amico Dirk Friedrich, è estremamente originale e distingue tra la soluzione del problema nell’ambito di una società di proprietari e la soluzione in un quadro giuridico, dove esiste la proprietà pubblica (nella fattispecie quella delle strade).

In quest’ultimo caso, la tentazione dello Stato è solitamente quella di trovare “regole generali e astratte”, che individuino a tavolino un contemperamento degli interessi in gioco. Il gioco del bilanciamento imposto dall’alto non piace a Friedrich, come non piace a noi. Quanto più la proprietà pubblica è diffusa, tanto più lo Stato si sentirà legittimato ad individuare soluzioni valide per tutti, senza alcun riguardo al caso concreto. Anche nell’argomentazione da me proposta (“lasciar Google libera di fotografare le vie delle città”) Friedrich individua un parziale disancoramento dai principi liberali o libertari e, forse, un eccesso di “realismo”. Si tratta, infatti, pur sempre di una regola generale e astratta che difficilmente riuscirà a soddisfare tutti gli interessi in gioco. Me ne rendo conto e sottoscrivo. Come d’altronde recita un simpatico proverbio tedesco, “in Gefahr und großer Not bringt der Mittelweg den Tod “, frase che potrebbe riecheggiare la battuta di Mises secondo cui “Middle-of-the-Road policy leads to socialism”.

Detto ciò, il mio ragionamento era forse parzialmente diverso e si collocava in un orizzonte temporale e ideale differente. Non essendo possibile pensare ad una privatizzazione delle strade dall’oggi al domani, ho tentato di fornire la soluzione più plausibile e meno illiberale in relazione allo stato dell’arte. Hic et nunc.  Nel dubbio, vietare in maniera draconiana Street-View pare illogico proprio per le ragioni elencate. Lo Stato deve quindi fare un passo indietro. Laddove, poi, taluno non si consideri tutelato nel suo diritto alla privacy può/deve poter contrattare direttamente con Google (come ha d’altra parte fatto il sottoscritto), se del caso magari anche ricorrendo ad un giudice o ad un arbitro. Si tratta insomma dell’innesto di un principio liberale in un contesto ab ovo illiberale. Non per salvare capra e cavoli, ma per dare concretezza ad un caso che purtroppo o perfortuna richiede anche risposte politiche.

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Ma Street-View è davvero un problema? /2010/02/24/ma-street-view-e-davvero-un-problema/ /2010/02/24/ma-street-view-e-davvero-un-problema/#comments Wed, 24 Feb 2010 00:11:57 +0000 Giovanni Boggero /?p=5243 La scorsa settimana ho dovuto avventurarmi tra le vie di Hannover per raggiungere una conferenza stampa. Google Maps è come noto un Tuttocittà mondiale di straordinaria efficacia. A parte l’ira suscitata tempo fa in qualche cartografo, il programma non è ancora finito nel tritacarne politico anti-Google.

Si dà il caso, però, che la visione aerea delle vie non mi aiutasse un granché nel rintracciare effettivamente la destinazione. Nella mia città, Torino, ogni qual volta abbia bisogno di verificare dove si trovi quel determinato numero civico o che aspetto abbia il palazzo presso il quale devo recarmi, Google mi offre anche il servizio “Street-View”. Qui in Germania Street-View ha incontrato molti ostacoli e sta provocando ormai da qualche settimana un’ondata di polemiche, a mio avviso del tutto ingiustificate. Nell’ordine il ministro della Giustizia, la liberale (sic) Sabine Leutheusser-Schnarrenberger e la cristianosociale Ilse Aigner hanno frontalmente attaccato la società di Mountain View per la natura lesiva del programma in termini di diritto alla riservatezza: “Il privato viene trascinato in pubblico, senza alcuna possibilità di difendersi e senza che nessuno possa controllare lo sviluppo di un tale sistema”, ha commentato indignata la signora Aigner.

Non starò a citare la contraddittorietà di un governo, che pretende di agire in nome della riservatezza dei propri cittadini, acquistando cd rubati contenenti i numeri di contocorrente di presunti evasori fiscali, così come non intendo citare tutte le leggi approvate negli ultimi anni nella Repubblica federale che hanno brutalmente ridotto la privacy dei cittadini. Dal salvataggio di tutte le conversazioni telefoniche a fini penalistici, allo sguinzagliamento di Trojan informatici per individuare terroristi. Non lo farò. Sarebbe da polemichetta spicciola.

Ora, “Street-View” è un servizio, il cui fine è quello di rendere più agevole l’esistenza a migliaia di consumatori. Google stessa provvede a coprire il numero delle targhe e a rendere irriconoscibili i volti dei passanti. Vietare che un’automobile filmi e metta in rete immagini di una città avrebbe conseguenze logiche devastanti. Google no, ma foto e filmati messi online da semplici cittadini sì? Vietiamo di fotografare i palazzi delle città? Prima di scattare una foto, chiediamo a chi è intorno a noi di scansarsi dall’obiettivo? Conosco l’obiezione. Google ha un raggio potenziale di visitatori infinitamente superiore a quello che può avere un filmato amatoriale. Verissimo, ma ciò non cambia i termini della questione. Il fine perseguito da Mountain View è più che lecito. Laddove vi siano reclami, l’azienda stessa mette in bella vista indirizzo e numero di telefono del servizio-clienti. Io stesso, lo ammetto, sono rimasto piuttosto scosso, quando, sperimentando per la prima volta il programma, ho scoperto che parte degli interni di camera mia (in quanto al pian terreno) erano stati accidentalmente immortalati dalla telecamerina. Ebbene, ciò detto, non mi sono stracciato le vesti, né mi sono rivolto a chissà quale associazione dei consumatori perché prendesse le mie difese. Mi sono limitato a scrivere a Google, pregando che l’immagine venisse sfocata. Detto, fatto. Qualche giorno più tardi, il servizio clienti mi ha gentilmente avvisato che il fotogramma era stato addirittura rimosso.

Nella società di Internet pensare che l’accesso a nostri dati possa essere riportato agli standard di fine ottocento è folle ed è sinonimo di passatismo. Piuttosto è opportuno concentrarsi sulla trasparenza nell’utilizzo che di quei dati può essere fatto. Dire che Street-View è un regalo ai ladri d’appartamento è un po’ come sostenere che i palazzi di trenta piani rappresentano un incentivo al suicidio.

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Clima. E se i buoni fossero i cattivi? /2009/11/22/clima-e-se-i-buoni-fossero-i-cattivi/ /2009/11/22/clima-e-se-i-buoni-fossero-i-cattivi/#comments Sun, 22 Nov 2009 14:23:07 +0000 Carlo Stagnaro /?p=3866 Nel dibattito sul clima una cosa è certo: i buoni sono loro, i cattivi noi. I buoni sono scienziati disinteressati pronti al sacrificio umano e personale per salvare il mondo, i cattivi sono le industrie e i loro tirapiedi o utili idioti, che negano l’evidenza. I buoni sono onesti ricercatori, i cattivi parte di un complotto. Le informazi0ni trapelate con la diffusione di una banca dati immensa, zeppa di scambi privati di email tra superstar del clima politicamente corretto, cambia tutto. Qui la ricostruzione di Andy Revkin. Qui Julie Walsh per la Cooler Heads Coalition. Qui Claudio Gravina e Guido Guidi, e qui Guidi, su Climate Monitor. Qui Piero Vietti sul Foglio.

Intendiamoci: la diffusione di scambi privati di email è un fattaccio di cui non possiamo essere contenti. Di questo bisogna tener conto. Così come bisogna tener conto del fatto che il linguaggio colloquiale è diverso da quello formale, ha le sue regole, per cui espressioni che in altri contesti suonerebbero come una “pistola fumante”, qui sono più o meno innocenti. Quindi, non cerchiamo e non troviamo smoking guns. Resta però il fatto che diversi scienziati, alcuni tra i più reputati autori dei rapporti Ipcc (*), discutono tranquillamente di quali “trucchi” utilizzare e di come “nascondere i dati”.

Io non mi scandalizzo. Il mondo è fatto così. Certo, però, tutti quelli che hanno fino a oggi tagliato la realtà in due col coltello, dovrebbero fare un esame di coscienza. Scienziati, giornalisti, politici e semplici cittadini che hanno sempre pensato che la buonafede stesse di là e la malafede fosse di qui, oggi hanno la prova provata che così non è. E soprattutto hanno la prova provata che i documenti che, per convenzione, prendiamo per buoni, sono in realtà opera di esseri umani, con tutte le loro debolezze e tutte le loro tentazioni. Il mondo reale è complesso, e la storia che oggi emerge ricorda la storia, sicuramente più estremizzata, tessuta dal compianto Michael Crichton nel suo splendido Stato di paura.

Tutto questo, va da sé, non mette in dubbio le conoscenze sul clima, né l’esistenza del “consensus”. Mette in dubbio, però, l’onestà intellettuale di molti generali dell’esercito allarmista. E quindi, sulla validità dei documenti da essi redatti, come i famosi “Summary for Policymakers” dell’Ipcc, che oltre a essere le uniche parti realmente lette da opinion- e policy-makers, non sono opera dei 2500 scienziati che vengono spesso sbandierati, ma di una cinquantina di essi. Quando si vedono le teste d’uovo lamentarsi del fatto che il clima non segue i loro modelli, e dunque interrogarsi su come far scomparire la realtà tra le pieghe dei loro risultati allo scopo, si presume, di non ridurre la pressione sull’opinione pubblica, viene da chiedersi su cosa poggino le costose politiche che l’Unione europea ha adottato, e che altri nel mondo vorrebbero adottare.

Non si tratta di negare il global warming o la sua componente antropogenica. Si tratta di chiedere, agli esperti, onestà e chiarezza, inclusa la necessaria trasparenza rispetto ai punti ancora incerti del dibattito. E poiché l’incertezza non può essere ignorata, essa pure va considerata nelle politiche. Se le certezze ostentate dagli uomini politici, e la sicumera di certi scienziati che fanno politica, cederanno il passo a un atteggiamento più umile e razionale, anche questa (di per sé brutta) vicenda sarà servita a qualcosa. Dal male, a volte, può sorgere il bene.

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