CHICAGO BLOG » previdenza http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Lo sbilancio previdenziale: c’è, eccome /2010/04/29/lo-sbilancio-previdenziale-ce-eccome/ /2010/04/29/lo-sbilancio-previdenziale-ce-eccome/#comments Thu, 29 Apr 2010 09:50:16 +0000 Oscar Giannino /?p=5814 Non c’è dubbio che bisogna essere riconoscenti, per il gran lavoro svolto all’Inps dal presidente Antonio Mastrapasqua e da tutti i suoi collaboratori. La relazione annuale INPS sul 2009  presentata l’altroieri in Parlamento testimonia di un grande sforzo di efficienza tecnologica e di procedure, con 600 milioni di euro di risparmi cumulati, 18 miliardi di sostegni a vario titolo alle vittime della crisi di cui 10 alle famiglie, 18 milioni di prestazioni pensionistiche pagate, 20 milioni di lavoratori assicurati, un milione e mezzo di imprese con cui interfacciarsi. Anche se, malgrado tutto questo, il testo della relazione sul sito Inps ancora non c’è. Tre dati almeno, però, si stagliano tra tutti quelli forniti, e disegnano una fotografia del Paese che ha anche ombre, al di là delle luce su cui Mastrapaqua giustamente ha insistito. La prima ombra è il pesante deficit reale, altro che avanzo. Vediamo i dati.

Il primo riguarda il bilancio finanziario. Viene dichiarato un avanzo di 7,9 miliardi rispetto agli 11 del 2008. Ma a fronte di uscite per 268,6 miliardi, le entrate contributive ammontano nel 2009 a 148,5 miliardi. Il resto sono trasferimenti dal bilancio dello Stato per 83 miliardi, in amento del 5% quasi sull’anno prima. E’ evidente che per un conto veritiero, al dà della tecnicalità delle diverse poste e del fatto che all’Inps spettano funzioni di assistenza oltre che previdenziali, bisogna concludere che il bilancio resta in rosso per 83 miliardi meno gli 8 di avanzo, cioè di 75 miliardi. Lo sbilancio era pari a 59 miliardi nel 1999, a 68 nel 2007. E’ cresciuto del 24% in un decennio.  Nel dare atto all’INPS di fare il possibile per migliorare l’efficienza della propria gestione, questo è il maggior dato su cui riflettere. Senza nuovi interventi – a proposito dei quali si comprende che la politica non muoia dalla voglia di confrontarsi con sindacato e  imprese – i trasferimenti generali dal bilancio dello Stato sono destinati ad accrescersi.

Il secondo dato riguarda i 16 e oltre miliardi spesi per i 2,6 milioni di trattamenti d’invalidità. L’INPS sta potenziando con successo i controlli e le revoche, e si espone a ulteriore contenzioso come non bastasse quello che già lo colpisce. Ma lo scandalo del ministro Tremonti, che ripete spesso i tassi di concentrazione dell’invalidità in alcune province del Sud superiori anche del 500% al resto d’Italia, resta pienamente giustificato. E’ una prassi che in alcune aree d’Italia ha configurato una vera forma impropria di integrazione al reddito delle famiglie. In cambio quasi sempre di consensi alla politica e al sindacato, con medici e funzionari compiacenti. E’ una faccia dell’Italia premoderna che colpisce i contribuenti onesti, uno scandalo che deve finire.

Il terzo dato è quello che ci dice molto dell’Italia attuale e del suo futuro. Nel 2010, la popolazione degli anziani sopra i 65 anni supererà quella dei giovani tra gli 0 e 19 anni. E’ l’inversione di una tendenza plurisecolare, dovuto all’innalzamento della vita attesa, al minor tasso di fecondità da oltre 25 anni inchiodato a 1,5 nati per donna invece dei 2,1 che servono a sostenere l’equilibrio demografico. Nel 2009 i nuovi sessantenni sono stati 780 mila, i nuovi ventenni poco più di 600mila. Se allunghiamo la proiezione fino al bambini nati nel 2009, per ogni anno tra il 2010 e il 2030 otteniamo che il saldo migratorio necessario per l’equilibrio dei conti intergenerazionali sale dalle 170 mila unità del 2009, a 200mila l’anno fino al 2017, per innalzarsi a ben 400 mila l’anno tra il 2019 e il 2030. Trecentomila nuovi stranieri l’anno per vent’anni sono sei milioni di individui: è questo l’apporto di immigrati di cui l’Italia e l’INPS hanno bisogno, per non collassare sotto il peso di trasferimenti ancora maggiori dalla fiscalità generale.

Di qui tre conseguenze. La prima riguarda la necessità di una forte svolta nelle politiche a favore della famiglia e della natalità. Si tratti di deduzioni fiscali o del quoziente familiare, sono più che mai necessari approcci “alla francese” o alla “tedesca”, per innalzare il tasso di attività femminile rendendo insieme possibile avere più figli, come accade in quei Paesi.

La seconda conseguenza è che sulle politiche dell’immigrazione non è più il caso di fare demagogia. Senza imigrati, e  ben integrati, l’Italia secondo i numeri che abbiamo non si regge.

La terza è che bisogna abituarci a un paese in cui gli ultra sessantacinquenni passeranno oltre i 20 milioni tra poco, per salire fin verso i 30. E’ un Paese in cui cambia la modalità del consumo e dell’investimento, del risparmio e dell’utilizzo del patrimonio. In cui devono essere diversi i modi di intendere e offrire i servizi, la mobilità nelle città e sui lunghi tratti, la facilità di accesso alla pubblica amministrazione. Ma anche l’intrattenimento e i consumi culturali, il cibo e le abitudini alimentari, persino lo sport e il tempo libero. In un Paese dove tutto è modellato in apparenza per “sempre giovani”, saremo davvero capaci di adeguarci a un’”Italoia di vecchi’? E’ una asfida culturale e umana, prima che di aridi conti previdenziali.

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Draghi sul welfare: come sprecare buoni consigli /2009/10/13/draghi-sul-welfare-come-sprecare-buoni-consigli/ /2009/10/13/draghi-sul-welfare-come-sprecare-buoni-consigli/#comments Tue, 13 Oct 2009 18:08:21 +0000 Oscar Giannino /?p=3260 La lezione tenuta oggi dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi al Collegio Carlo Alberto di Moncalieri – solida istituzione di gloriosi tempi che furono – è un bell’esempio di spiegazione a studenti non versati nella questione dei princìpi di fondo, dei fini e degli strumenti attuativi dell’assicurazione sociale pubblica in tutte le sue forme, sostanzialmente per la garanzia contro i rischi da perdita di lavoro, e per il sostegno alla vecchiaia. È un intervento che riprende talvolta alla lettera le riflessioni e le proposte che, con decenni di anticipo, alla materia furon dedicati da quel grande attuarialista che era Onorato Castellino, maestro di Elsa Fornero. Non contiene solo analisi, ma anche indicazioni di punti critici irrisolti, e di eventuali proposte per affrontarli. La politica si è divisa in due: alcuni nella maggioranza, come Urso e Della Vedova, hanno apprezzato e condiviso. Il ministro Sacconi ha mostrato di non gradire.  Chi ha ragione, e perché? È nel merito, che non piacciono a taluni le indicazioni del governatore? O piuttosto è una questione di metodo? Per quanto mi riguarda, le proposte sono sagge. Il governo poteva e può non dico farle proprie integralmente, ma opportunamente farne uso per procedere sulla via del dialogo sociale e delle riforme. Infine, se la questione non è di merito ma di metodo, forse è il caso di approfittarne per chiarirsi le idee: su che cosa debba o non debba dire e fare, un governatore della Banca d’Italia.

Sugli ammortizzatori, come potete leggere Draghi riconosce che il governo molto ha fatto quest’anno per attenuare le disparità tra coloro che non ne erano coperti in terziario e artigianato, in caso di perdita dell’impiego. Ma aggiunge che ancora allo stato attuale almeno 1,2 milioni di lavoratori dipendenti ne restano esclusi, e quasi mezzo milione di lavoratori parasubordinati, oltre al fatto che il requisito dei 12 mesi di contributi versati nei due anni precedenti al sussidio non è solo distonico rispetto a criteri più limitati e diluiti nel tempo di altri grandi Paesi europei, ma soprattutto poco coerente alla flexicurity verso la quale il governo stesso vuole meritoriamente procedere. Per questo, dice Draghi, usciti dall’emergenza occorre una riforma complessiva. Poiché aggiunge chiaramente “usciti dall’emergenza”, mi pare che abbia ragione non una ma due volte. Non vedo contraddizione con quanto il governo ha sempre sostenuto.

In materia previdenziale, Draghi non solo sottolinea che pur dopo le correzioni recenti sui coefficienti di trasformazione a partire dal 2015 sembrano permanere problemi legati al basso tasso di sostituzione per chi ricadrà integralmente nella riforma Dini, a capitalizzazione “virtuale”, ma avanza l’ipotesi che al pilastro integrativo su base volontaria possano essere trasferiti parte di quel monte contributi del 33% individuale che sono attualmente il tetto più elevato in area Ocse. In che cosa consiste, a tale proposito, l’invasione indebita di campo rispetto al governo? Piuttosto, mi pare un utile osservazione che potrebbe essere utilizzata dall’esecutivo nel suo rapporto con i sindacati, per ottenere maggiore disponibilità a incentivare il rialzo dell’età media pensionabile effettiva. A ciò si aggiungono molte pertinenti osservazioni, sull’eccesso di costi e commissioni che continuano a gravare sulle gestioni e prodotti previdenziali integrativi, nonché sulle ripercussioni che derivano dall’essere troppi gestori non di adeguata  massa critica amministrata, nonché ancora sulla necessità di sottoporre le rendite a condizioni di trasparenza nelle modalità di erogazione, che oggi continuano a mancare per asimmetria informativa. Non vedo se non del bene, da tali proposte. Richiamano a più responsabilità non solo lo Stato, ma anche gli operatori finanziari e assicurativi.

Il punto di fondo è forse un altro. La politica diffida ormai dei tecnici non eletti, dopo anni nei quali proprio da essi venne una straordinaria supplenza politica al clamoroso fallimento di un’intera classe politico-istituzionale. In questo, posso capirla e anzi la capisco. Deve governare chi si presenta al giudizio dell’elettorato e ne ottiene la maggioranza. Ma se questo significa che un governatore della Banca d’Italia deve tacere su qualunque argomento abbia a che fare con la finanza pubblica e privata, vuol dire solo che la politica ha ancora poca stima di se stessa. Così facendo mostra non di avversare legittimamente ipotesi improprie – che oggi non esistono -  ma di temere fantasmi. Che sono figli della propria inadeguatezza, dei propri complessi di inferiorità.

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