CHICAGO BLOG » Pomigliano http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Fiat: Mirafiori come Pomigliano? /2010/11/30/fiat-mirafiori-come-pomigliano/ /2010/11/30/fiat-mirafiori-come-pomigliano/#comments Tue, 30 Nov 2010 08:49:24 +0000 Andrea Giuricin /?p=7728 Mirafiori come Pomigliano? Questa è l’idea di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, almeno da un punto di vista dell’organizzazione del lavoro e non certo delle relazioni sindacali con la FIOM.  Sarebbe un altro passo in avanti ed una grande occasione per l’Italia. Flessibilità e produttività diventano quindi due parole sempre più importanti per gli stabilimenti italiani della casa automobilistica.

Il piano per lo stabilimento torinese è stato presentato settimana scorsa e prevede la produzione di modelli di alto di gamma, cosi come auspicato da molti analisti. L’Italia difficilmente (ma non è impossibile) può competere su modelli a basso valore aggiunto, viste tutti i lacci che limitano gli investimenti nel nostro Paese.

In particolare dovrebbe essere prodotto un SUV, anche con il marchio Alfa Romeo, in joint venture con Jeep. Questo è un grande passo in avanti per il marchio del “Biscione” perché per la prima volta entra in un segmento nel quale Fiat, nella globalità dei suoi marchi, non era presente.

Dalla piattaforma della Giulietta nasceranno a Mirafiori tutte le automobili del segmento D ed E, oltre ai SUV, vale a dire quelle a più elevato valore aggiunto.

Quest’annuncio non è solo importante per l’Italia, ma è un passo essenziale nella fusione tra Chrysler e Fiat.

Questi nuovi modelli porteranno oltre un miliardo d’investimenti nello stabilimento di Mirafiori e dunque è previsto un rilancio in grande stile.

Ma cosa chiede Marchionne per puntare sull’Italia? Le stesse cose richieste per Pomigliano d’Arco.

Mirafiori certamente ha una produttività superiore alla fabbrica campana con un minor tasso di assenteismo, ma al fine di aumentare la produttività vi è la necessità di rivedere l’organizzazione del lavoro. Il contratto in discussione con le parti sociali può prevedere anche quattro turni settimanali di 10 ore ognuno. L’aumento delle ore lavorate porterebbe ai dipendenti anche fino a 5 mila euro annuali in più.

La piattaforma unica produrrà in Italia anche per esportare negli Stati Uniti, al contrario di quanto diceva una parte del sindacato, che Fiat è ormai la parte italiana di Chrysler.

Certo, l’integrazione con la casa automobilistica americana porterà ad avere una struttura aziendale e un management che si divide tra Detroit e Torino, ma questo è necessario per cercare di non fallire nel merger. Fiat affronta dunque una sfida per la sopravvivenza e continua a scontare la debolezza di non essere in pratica presente nel mercato del futuro, l’Asia.

I prossimi anni saranno decisivi per Fiat. Se non raggiungerà gli obiettivi del piano industriale che prevedono un raddoppio del fatturato da qui al 2014, la casa automobilistica italiana resterà al di fuori dei grandi produttori globali.

In questo contesto di competizione globale, l’Italia pone molti punti interrogativi: la FIOM salirá nuovamente sui tetti? Costruirà barricate contro questo accordo?

La radicalità del sindacato della CGIL non ha pagato a Pomigliano, essendosi di fatto isolato completamente. La lezione passata potrebbe avere insegnato qualcosa, ma il principale elemento di differenza risiede nel fatto che la lotta per la successione alla guida della CGIL è terminata, con l’elezione di Susanna Camusso.

Probabilmente vi saranno resistenze a quest’accordo proposto da Sergio Marchionne, ma la FIOM troverà il coraggio di chiudersi nella sua torre d’avorio un’altra volta?

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Fiat: i dieci minuti della rivoluzione /2010/10/24/fiat-i-dieci-minuti-della-rivoluzione/ /2010/10/24/fiat-i-dieci-minuti-della-rivoluzione/#comments Sun, 24 Oct 2010 15:55:36 +0000 Andrea Giuricin /?p=7359

Dieci minuti fanno la rivoluzione? Questo è l’interrogativo che l’Italia si pone in questi ultimi giorni. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, ha un’altra volta spostato il limite del rapporto tra sindacati e mondo imprenditoriale. L’azienda torinese ha infatti deciso di cambiare le pause di lavoro anche nell’azienda di Melfi, dopo averlo proposto a Pomigliano d’Arco. In particolare, i nuovi ritmi di lavoro, prevedono un aumento del numero delle pause di lavoro del 50 per cento, da due a tre, ma un dimezzamento del tempo medio di ogni pausa, da 20 minuti a 10 minuti. Nel complesso il tempo lavorato aumenta di 10 minuti, con un contemporaneo incremento anche delle retribuzioni. Dieci minuti sono quelli che separano la Fiat dai sindacati, viste le reazioni non certo rassicuranti non solo della FIOM, ma anche della UILM e della FIM Queste reazioni non stupiscono; quel che stupisce è la forza con la quale Marchionne ha deciso unilateralmente le nuove condizioni contrattuali che entreranno in vigore dal 31 gennaio del 2011. L’azienda di Melfi è uno dei cinque stabilimenti italiani che producono le poco più 600 mila veicoli l’anno con oltre 20 mila dipendenti. In Polonia, lo stabilimento di Tichy, ormai famoso per la delocalizzazione al contrario a favore di Pomigliano della Nuova Panda, produce lo stesso numero di veicoli dell’Italia intera in un solo stabilimento e con un terzo dei dipendenti.

Questo semplice dato è alla base del ragionamento di Fiat, che al fine di aumentare la produttività in Italia, cambia il metodo di lavoro. Le tre pause accorciate servono ad introdurre una maggiore produttività, ma l’azienda si impegna a retribuire il maggior lavoro agli operai.

La reazione dei sindacati è abbastanza ovvia, dato che in Italia si è abituati a passare per tavoli di concertazione per ogni minimo cambio contrattuale. Marchionne su questo punto è poco italiano e l’ha lasciato capire negli ultimi cinque mesi. Il progetto di investire 20 miliardi di euro nel piano “Fabbrica Italia” per aumentare il numero di veicoli prodotti nel nostro Paese ad oltre 1 milione di unitá, puó essere completato solo se cambiano i rapporti sindacali.

Pomigliano d’Arco è stato l’esempio della volontà di puntare sull’Italia da parte della Fiat, con un investimento di diverse centinaia di milioni di euro per produrre la Nuova Panda nello stabilimento campano.

Non è certo un momento facile per Fiat, alle prese con la crescita negli Stati Uniti e con un mercato europeo in caduta libera.

La stessa trimestrale presentata al mercato la settimana scorsa ha mostrato due facce della medaglia. Da un lato, l’auto che continua a vedere una contrazione delle vendite e una previsione di scendere a meno di 2 milioni di veicoli venduti, contro i 2,15 milioni del 2009; dall’altro lato CNH ed Iveco che mostrano incrementi dei ricavi nel terzo trimestre 2010 di oltre il 22 e 15 per cento rispettivamente.

Lo stesso mercato dell’auto vede il segmento lusso in forte recupero, mentre è proprio Fiat Group Auto che registra i maggior problemi. Lo stesso Brasile, uno dei punti di forza del gruppo, registrerà un 2010 stagnante con una crescita del 2 per cento nelle vendite.

Fiat ha quindi bisogno di aumentare la produttività per restare competitiva a livello globale. E questo può essere fatto soprattutto in Italia e non in Polonia e Brasile, dove gli stabilimenti hanno già un’efficienza molto elevata.

L’aumento della produttività passa attraverso il nuovo orario di lavoro ed in questo caso non vengono ridotti i costi. Infatti lo stipendio aumenterà proporzionalmente all’aumento dei minuti lavorati.

I dieci minuti sono importanti per la Fiat e per aumentare la produttività degli stabilimenti italiani. Non si parla di abbassare lo stipendio a livelli polacchi, ma si parla di aumentare lo stipendio per l’incremento dei minuti lavorati.

Ancora una volta Marchionne, cambiando il modo di proporsi ai sindacati, provoca uno shock all’Italia; uno shock salutare.

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Fiat: Marchionne accetterà lunghe contrattazioni al tavolo del Ministero? /2010/10/06/fiat-marchionne-accettera-lunghe-contrattazioni-al-tavolo-del-ministero/ /2010/10/06/fiat-marchionne-accettera-lunghe-contrattazioni-al-tavolo-del-ministero/#comments Wed, 06 Oct 2010 07:26:27 +0000 Andrea Giuricin /?p=7226 Il paradosso italiano, illustrato ieri, relativo agli sviluppi positivi delle relazioni sociali italiane in mancanza del Ministro dello sviluppo Economico è stato una provocazione. È comunque indubbio che negli ultimi cinque mesi si siano avuti dei progressi quasi inimmaginabili fino a pochi mesi fa ed il merito è certamente dell’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. La stessa casa automobilistica si è ritrovata ieri con le parti sociali per discutere del progetto “Fabbrica Italia”. Come ricordava il manager Fiat, è un piano in divenire e dunque non ha senso di parlare d’investimenti precisi, impianto per impianto.

E su questo punto era nata la polemica con il Partito Democratico, che con il responsabile Economia e Lavoro, Stefano Fassina, aveva affermato che “abbiamo scoperto dalle parole del Dott. Marchionne che la Fiat in realtà è un’associazione di beneficenza, e rimane in Italia per gratitudine”. Il dirigente del partito d’opposizione si era poi lamentato della mancanza della specificazione degli investimenti di 20 miliardi di euro in Italia, per rilanciare la produzione. Questa posizione ha superato a sinistra perfino la Fiom, che invece ha deciso di sedersi al tavolo delle trattative, lasciando inoltre fare le dichiarazioni alla parte più moderata del sindacato.

Questo cambiamento della posizione del sindacato deriva certamente dalla quasi certezza di elezione di Susanna Camusso alla successione di Guglielmo Epifani nella CGIL e dalla fine dello scontro elettorale interno alla Fiom.

Certo passare dalle parole ai fatti sarà ben più difficile per il sindacato che per un semestre si è chiuso in un veicolo cieco, andando al muro contro muro contro Fiat.

E senza dubbio l’amministratore delegato del gruppo Fiat è uscito vincente dallo scontro, tanto che la Federmeccanica ha imposto la sua linea di una contrattazione di secondo livello, eliminando il contratto nazionale.

Il contratto “Pomigliano” flessibile è necessario per portare gli investimenti Fiat in Italia. Senza una maggiore produttività non si capisce perché l’azienda torinese dovrebbe continuare a fare i propri veicoli nel nostro paese.

L’efficienza è essenziale alla sopravvivenza nel mondo automotive che diventa sempre più competitivo e globale.

Le difficoltà di Fiat non si fermano alle trattative sindacali e al Piano “Fabbrica Italia”. Le maggiori insidie arrivano dal mercato, dove la casa automobilistica registra forti difficoltà.

Il Piano industriale che prevedeva un raddoppio delle vendite da qui al 2014 è messo in discussione dalla crisi del settore auto europeo. In Italia le immatricolazioni sono calate del 18,9 per cento nel mese di settembre, una contrazione a doppia cifra come quella spagnola, -27,3 per cento, e tedesca, -27 per cento. Il mercato italiano rimane molto importante per Fiat e dunque la contrazione ormai in atto da alcuni mesi ha alzato il livello di guardia del gruppo torinese. Le vendite sono scese del 4,4 per cento da inizio anno e l’ultimo trimestre sarà certamente uno dei più difficili degli ultimi anni. E Fiat sta performando peggio del mercato con una contrazione del 12,1 per cento nei primi nove mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009.

Negli Usa, invece, Chrysler sta conquistando lentamente quote di mercato, dopo il pessimo 2009, anno nel quale aveva portato i libri in tribunale.

Per rilanciare il marchio di Detroit, che diventerà centrale nei piani di sviluppo Fiat, l’azienda torinese ha bisogno di risorse fresche. Per salire dal 20 per cento attuale al 51 per cento delle azioni di Chrysler sono necessari alcuni miliardi di dollari. Anche per questo motivo, valorizzando al massimo il gruppo, Sergio Marchionne ha proceduto allo spin-off.

Ora sono ben chiari i valori della parte auto e della parte industrial e giá si parla di cessione di alcuni marchi. In particolare gli ultimi rumors indicano Alfa Romeo alla Volkswagen e Iveco a Daimler. Difficilmente entrambi i marchi saranno ceduti ai concorrenti, ma altrettanto difficilmente Fiat manterrà tutti i marchi attuali nel suo portafoglio. Sergio Marchionne continua a dire che Alfa Romeo è al centro del piano di sviluppo americano e sembra avere qualche possibilità in più di essere ceduta Iveco. Certo è che l’amministratore delegato di Fiat è bravo a non svelare le proprie carte e anche le dichiarazione su Alfa Romeo potrebbero essere strategiche.

Alfa Romeo è uno dei marchi più internazionali del gruppo Fiat e, come affermato dal presidente di Volkswagen, Ferdinand Piech, potrebbe essere valorizzato maggiormente. Dietro queste parole del presidente del colosso tedesco molti analisti hanno visto l’interessamento di Volkswagen per il marchio del ”Biscione”. Probabilmente è così e probabilmente sarà una questione di prezzo.

Fiat dovrà dunque vendere qualche marchio per investire in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti.

Le parti sociali e il Governo Italiano devono comprendere che ormai Fiat è un’impresa globale e il Piano Fabbrica Italia è una parte di un piano più ampio.

L’azienda ha bisogno di flessibilità nell’investimento e gli ultimi cinque mesi hanno dimostrato che Sergio Marchionne non perderà tempo in lunghe contrattazioni infruttuose (al Ministero dello Sviluppo economico?)

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Spin-off Fiat: da Pomigliano a Detroit /2010/09/20/spin-off-fiat-da-pomigliano-a-detroit/ /2010/09/20/spin-off-fiat-da-pomigliano-a-detroit/#comments Mon, 20 Sep 2010 08:05:28 +0000 Andrea Giuricin /?p=7089

Sergio Marchionne, con la “conquista” dell’America sta rendendo globale Fiat, che tuttavia si ritrova a discutere con un sindacato italiano molto antiquato. Il dato dal quale parte il ragionamento di Fiat e che una parte del sindacato italiano non ha capito è quello della produzione di veicoli.

In Italia la produzione è scesa negli ultimi anni, fino ad arrivare a poco più di 600 mila veicoli prodotti, lontano non solo da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, ma un livello inferiore rispetto anche alla Repubblica Ceca.

Il piano “Fabbrica Italia” nel quale si prevedono 20 miliardi di euro di investimenti in Italia nei prossimi anni, con addirittura un incremento della produzione italiana è stato un passo coraggioso di Marchionne. Certo gli obiettivi del piano industriale saranno difficilmente raggiungibili, ma l’arrivo della Nuova Panda a Pomigliano d’Arco è stato un punto a favore di Fiat e del suo piano industriale.

La nuova Panda a Pomigliano d’Arco ha tuttavia registrato un punto di scontro con la FIOM, in piena campagna di successione nella CGIL. Le nuove condizioni di Fiat, che voleva una produzione più flessibile in cambio dell’investimento di 700 milioni di euro, sono state prese di mira da Filippo Landini, alla guida della FIOM.

Questo scontro è stato solo il primo. Dopo la presa di posizione cieca della FIOM, Fiat ha annunciato che la produzione delle monovolume, presente nel piano “fabbrica Italia” sarebbe stato spostato da Mirafiori alla Serbia, lasciando capire che gli investimenti in Italia sono possibili solo a certe condizioni.

Fiat proponeva un patto ai sindacati dove in cambio di un aumento della produzione in Italia, grazie al piano “Fabbrica Italia”, si rinnovavano le relazioni sindacali e si cambiava la struttura del contratto. Questa scommessa era stata accettata dalla parte più moderna del sindacato, mentre aveva trovato la forte opposizione della Fiom. Il sindacato della CGIL si è trovato isolato e ha chiuso le porte alla contrattazione anche perché si trovava in piena campagna di successione. Guglielmo Epifani, leader della CGIL, lascerà questo anno il posto a Susanna Camusso, la quale si scontrerà con una minoranza interna guidata dalla Fiom molto forte.

Il contratto delle tute blu era stato firmato il 20 gennaio del 2008, con l’accordo di tutti i sindacati, ma giá nell’ottobre del 2009 l’unitá sindacale venne meno. Fim e Uim firmarono un accordo separato con Federmeccanica, mentre la Fiom decise di andare contro quello che definì “un contratto scandaloso”.

La disdetta del contratto da parte di Federmeccanica segue l’impostazione scelta da Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e porta un vento nuovo nella relazione tra sindacati ed industriali. È senza dubbio un passo in avanti perché nel contratto “Pomigliano”, che verrá probabilmente utilizzato in tutto il settore, si decide per una maggiore flessibilità e soprattutto per dare più spazio a quella che è detta la contrattazione locale.

La contrattazione di secondo livello, vale a dire quella aziendale o territoriale è essenziale per aumentare la produttività delle aziende italiane. Con essa si lega maggiormente il destino degli operai a quello della fabbrica, dando la possibilità di premiare nelle aziende dove i risultati sono buoni e di penalizzare laddove vi sono perdite.

Il contratto “Pomigliano” è una rivoluzione e arriva grazie anche all’accordo che nel mese di luglio raggiunse informalmente la leader si Confindustria Emma Marcegaglia con i leader di CISL e UIL.

La Fiom non ha ancora compreso che guadagnare qualche delegato in piú non ha senso nel momento in cui la produzione di Fiat è globalizzata.

La casa automobilistica torinese è ormai un gruppo globalizzato come dimostra l’avventura americana. Certo la mancanza di una forte presenza di Fiat in Cina, dove ad esempio Volkswagen vende piú auto che nel suo paese d’origine, continua a rimanere il punto debole, ma il processo di un’azienda aperta al mondo è ormai avviato.

La Fiat puó sopravvivere ad un mercato auto sempre piú competitivo e con nuovi attori “asiatici” solo con una visione globale.

Lo spin-off è dunque un modo per valorizzare l’azienda nel momento in  cui servono risorse fresche di liquiditá per crescere in America.

I dati delle vendite in USA e Europa tuttavia lasciano molti dubbi sul possibile raggiungimento degli obiettivi del Piano industriale Fiat, mentre una parte del sindacato italiano ostacola qualsiasi cambiamento.

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Pomigliano, chi ha paura e chi no /2010/06/23/pomigliano-chi-ha-paura-e-chi-no/ /2010/06/23/pomigliano-chi-ha-paura-e-chi-no/#comments Wed, 23 Jun 2010 14:59:43 +0000 Oscar Giannino /?p=6344 Non si capisce il referendum dei lavoratori di Pomigliano, senza una premessa. La Fiat di Sergio Marchionne e John Elkann ha scelto una via nuova. Non prende più contributi pubblici, e dunque rifiuta di essere considerata una branca dell’INPS. Resta a produrre negli stabilimenti italiani non per fare assistenza pubblica in perdita, ma solo se la produttività è tale da realizzare utili. Perché solo così si riesce a fare altrettanto anche negli USA con Chrysler. E’ vero che a Pomigliano c’è una storia particolare, di alto assenteismo e finti malati. Ma la nuova Fiat addita al Paese una realtà che molti continuano a non voler vedere.

La bassa crescita del Pil italiano, da anni, nasce dalla bassa crescita della produttività, che provoca continue perdite di competitività. Nell’industria manifatturiera, tra l’avvio dell’euro e il 2007, prima della grande recessione, il costo del lavoro per unità di prodotto è cresciuto in Italia del 19%, mentre si è ridotto del 7,5% in Francia e del 9,8% in Germania. Abbiamo ceduto ai tedeschi ben 32 punti di competitività. Per questo, tra il 1997 e il 2007, il PIL italiano è aumentato dell’1,4% l’anno contro il 2,5% del resto dell’eurozona, il 2,7% degli altri Paesi Ue, il 3% degli USA. E il reddito per abitante degli italiani è arretrato di 7 punti rispetto alla media dell’area euro.

Sinistra antagonista, FIOM e CGIL hanno levato grida di giubilo, al risultato del referendum a Pomigliano che ha visto più un lavoratore su tre respingere l’intesa. Pensano che a questo punto la Fiat debba fermarsi, e ritrattare tutto. Lo capisco, sono esplicitamente e orgogliosamente depositari di una visione per la quale, ostinatamente, sir ifiuta che sia il mercato, secondo logiche di costo comparato per valore aggiunto, a dettare le condizioni globali delle allocazioni produttive e d’investimento. Al contrario, a me pare che la vera notizia sia che due lavoratori su tre – anche in un realtà particolare come Pomigliano – abbiano capito che non c’è alternativa a lavorare di più, a non mettersi in finta malattia per il secondo lavoro in nero, e a non scioperare quando l’azienda chiederà straordinari, notturni e sabati di lavoro. Cisl, Uil, Ugl e Fismic, che hanno sostenuto l’accordo, possono essere soddisfatti. Hanno dimostrato che la paura del lavoro aggiuntivo non batte la consapevolezza che senza di questo, semplicemente, lo stabilimento chiude.

Chi ha votato sì è pronto a nuove regole di condivisione, non di scontro. E’ più coraggioso di molta parte della classe dirigente italiana, che nelle ore immediatamente successive al voto ha temuto che Marchionne facesse tanto sul serio da tirare comunque giù la serranda. E ha iniziato a dire che mica è una svolta nazionale, è solo un caso particolare. E dunque la Fiat non faccia troppo la difficile, spenda i suoi bei 700 milioni di investimenti e mantenga la parola.

Bisogna dire le cose come stanno. Quando la Fiat dice che a questo punto l’azienda procederà solo con sindacati e lavoratori che si sono impegnati, ha ragione. Non si aumenta per otto la produzione, sotto la minaccia di ridiscutere tutto altrimenti si incrociano le braccia. Se la FIAT sceglierà la strada di una newco solo per i lavoratori che s’impegnano alle nuove condizioni, si scatenerà un pandemonio. Sarebbe senza precedenti. Legioni di protestatari si ergerebbero, da settori assai diversi da quelli della sinistrra antagonista. valuterà l’azienda, ma io penso che quella scelta sarebbeb ancor più limpida e apprezzabile. Penso infatti che classi dirigenti serie dovrebbero aggiungere che la svolta non deve fermarsi a Pomigliano. I dati dicono che in mezza economia italiana, c’è bisogno di qualcosa di simile. Chi lo nega, non ha capito nulla del mondo nuovo in cui con la crisi siamo entrati. Parla di produzione alternativa al modello seguito dalle aziende, solo perché preferisce “padroni” – per usare il vecchio frasario antagonista-  che prendono i soldi pubblici, e sono di conseguenza più influenzabili – diciamola meglio: ricattabili – da politici e sindacati.

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Pomigliano: Cgil accoltella FIOM, il Pd guarda e squaglia /2010/06/16/pomigilano-cgil-accoltella-fiom-il-pd-guarda-e-squaglia/ /2010/06/16/pomigilano-cgil-accoltella-fiom-il-pd-guarda-e-squaglia/#comments Wed, 16 Jun 2010 16:14:58 +0000 Oscar Giannino /?p=6286 La vicenda Pomigliano si mette sempre peggio per la sinistra, sindacale e politica.  Lo dico senza alcuna iattanza nè soddisfazione. Di fronte a svolte di questa importanza, per il rilievo in Italia dell’azienda che le propone, e per l’impatto che intese simili potrebbero avere in tutto il manifatturiero italiano internazionalizzato ed esposto alla concorrenza estera, quel che sichiede alla sinistra è di avere come minimo le idee chiare. Non ce l’ha, purtroppo.

Se la sinistra politica e sindacale fosse convinta che l’intesa su Pomigliano lede diritti indisponibili e viola la Costituzione, a cominciare dal diritto allo sciopero se lo considera inalienabile e più importante di quello alla codecisione per innalzare la produttività e difendere gli stabilimenti e il lavoro stesso, allora dovrebbe sposare la linea Fiom, dire un no secco all’accordo, chiedere ai lavoratori di votare no nel referendum del 22 giugno, rilanciare la linea antagonista contro ciò che a quel punto si ridurrebbe a una bieca provocazione padronale, perpetrata per approfittare della debolezza dei lavoratori.

Se fosse invece convinta invece che la competizione globale con cui si misura il nostro manifatturiero, la sfida americana in cui è impegnata la Fiat, nonché la storia particolare e il track record delle performance dello stabilimento di Pomigliano, rendano necessaria una svolta, e che naturalmente è meglio che a questo punto essa sia condivisa, e apra nella condivisione anche la strada a una serie di accordi simili dovunque necessari, allora – anche e proprio per evitare che Fiat e altre imprese interpretino la vicenda come un semplice “prendere o lasciare”, ripeto – la sinistra  dovrebbe dire “noi ci siamo, diciamo un sì convinto, e lo facciamo con le nostre idee  e convinti della loro peculiarità, perché più produttività e meno scioperi sono del tutto compatibili con la storia di una sinistra pienamente riformista”.

Non mi pare affatto che sia emersa una simile chiarezza, nell’atteggiamento di Cgil e Pd. La FIOM ha fatto la sua scelta antagonista, come sappiamo. La Cgil campana con una lunga nota fitta di distinguo ha chiesto ai lavoratori di votare sì, dopo aver scritto che l’accordo comprende temi che in quanto tali non sono sottoponibili  un voto. Il segretario della FIOM, Landini, ha reoplicato che questa è una vera e propria “coltellata” alla schiena della FIOM e dei lavoratori.

Nel Pd, Chiamparino, Ichino e Treu hanno parlato chiaro, respingendo la tesi della violazione costituzionale e indicando la via di una compiuta scelta riformista. Il resto del partito li ha considerati incongrui ed eccessivi, come chi offre arfgomenti al nemico. Bersani ha detto che governo, azienda e Confindustria non devono illudersi, che Pomigliano non è un esempio né un precedente: oggettivamente, una sfida alla logica.

Le svolte vere sono tali se le classi dirigenti mostrano consapevolezza della posta in gioco. Marchionne ha sorpreso tutti, con la decisione nella della sua sfida. Quattro sindacati su cinque non dico che abbiano stappato, nè che ballino per la gioia, ma l’hanno capito.  La sinistra continua a sorprendermi. Il “sì, ma” è la peggior posizione, testimonia solo di essere senza una linea vera. Al rimorchio di avvenimenti creati da altri, in primis dal mondo  e dai suoi mercati.

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I tre no della Fiom su Pomigliano. E ora? /2010/06/14/i-tre-no-della-fiom-su-pomigliano-e-ora/ /2010/06/14/i-tre-no-della-fiom-su-pomigliano-e-ora/#comments Mon, 14 Jun 2010 18:29:32 +0000 Oscar Giannino /?p=6269 Il Comitato Centrale della Fiom ieri ha confermato il no all’intesa su Pomigliano. raggiunta venerdì tra Fiat, e metalmeccanici di Cisl, Uil, Ugl e Fismic. La decisione è stata assunta all’unanimità. La minoranza della categoria, ma maggioranza nella confederazione poiché fa riferimento all’82% conseguito al recente congresso dal leader nazionale Guglielmo Epifani, avrebbe evitato il braccio di ferro. Ma alla fine ha deciso di scongiurare una frattura interna, che avrebbe ulteriormente indebolito una posizione che già è minoritaria. Non solo tutti gli altri sindacati e naturalmente la Fiat, ma tutte le forze dell’impresa, con reiterati interventi del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, hanno calorosamente invitato sino all’ultimo secondo la Fiom a recedere dalle sue riserve. Così non è stato. Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?

La Fiat e Confindustria, come gli altri sindacati firmatari dell’intesa, sottolineano che l’accordo ha la portata di una svolta storica. E’ vero. Perché per la prima volta, proprio nello stabilimento che, chiusa Termini Imerese nel 2011, rappresenta la punta avanzata degli insediamenti nel Mezzogiorno dell’azienda manifatturiera leader del nostro Paese, si condividono insieme regole e princìpi che sono senza precedenti. Assumono infatti come criterio di riferimento ritmi e obiettivi di produttività comparati a quelli degli stabilimenti che la Fiat gestisce in Brasile e Polonia, perché la nuova Fiat-Chrysler di Marchionne mira a essere protagonista nel consolidamento dell’auto mondiale.

Se l’azienda vince nel mondo, allora difende meglio testa e membra che ha storicamente in Italia. Ma solo se gli stabilimenti italiani accettano la sfida della produttività, ha senso che Fiat investa nel nostro Paese 20 dei suoi 30 miliardi annunciati nel suo programma pluriennale. E solo se Pomigliano passa da 36 mila a 280 mila auto prodotte, ha senso investirvi altri 700 milioni. Marchionne è stato chiaro. Ditemi se siete disposti, ha detto ai sindacati. Altrimenti non sposto dalla Polonia all’Italia la lavorazione della Nuova Panda. La faccio altrove, e Pomigliano si chiude.

Che i sindacati firmatari condividano esplicitamente questo assunto, spalanca una porta alla condivisione strutturale di come meglio utilizzare impianti, orari, turni e produttività in tutta l’industria italiana. Ora si capisce meglio, che cosa avevano in mente Confindustria e tutti i sindacati – tranne la Cgil – che nel febbraio 2009 firmarono l’intesa per i nuovi assetti contrattuali, decentrati e contrattati localmente, proprio per consentire lo scambio “più produttività alle imprese, più salario ai lavoratori”. Ci fu chi irrise, dicendo che le aziende chiudevano, altro che salario di produttività. Ma al contrario, nella grande crisi, oltre 20 mila imprese manifatturiere italiane già internazionalizzate stanno tenendo dannatamente bene le posizioni sull’export. Insieme alla Germania, che avanza e migliora, siamo l’unico Paese del G10 che difende la sua posizione mentre gli altri perdono. Per questo ora c’è bisogno di intese come Pomigliano, per crederci fino in fondo e fare ancor meglio.

Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?

Il no della Fiom ha tre argomenti. Il primo ha a che vedere con l’idea di mercato: il rifiuto di sottoscrivere un simile accordo sotto la pressione della chiusura dello stabilimento. La Fiom la considera una minaccia intollerabile, non la conseguenza obbligata e fisiologica per un’impresa multinazionale. Il secondo deriva da ciò che la Fiom considera la vera ancora delle relazioni industriali: solo e soltanto il contratto nazionale di categoria. Accordi integrativi aziendali possono essere aggiuntivi per la parte salariale, ma mai e in nessun caso intaccare né la parte normativa del contratto, né quella salariale.

La terza ragione è ancor più di fondo, perché investe “il” diritto sindacale per definizione. Se aderite a un’idea di sindacato partecipativo, allora per voi – e per le 4 organizzazioni firmatarie – il diritto essenziale per tutelare meglio gli iscritti è quello di codecidere il più possibile con l’azienda. Se restate invece all’idea che il sindacato sia una forza antagonista, ovviamente per voi – per la Fiom, sicuramente – “il” diritto essenziale in campo sindacale è quello di sciopero. Al quale certo gli altri sindacati non rinunciano, ma che considerano arma estrema , non ordinaria. E poiché l’intesa per Pomigliano non riguarda solo turni e orari, ma è in deroga al contratto nazionale sia per quanto riguarda gli assenteisti e finti malati – niente contributi sanitari aziendali – sia soprattutto impegna i sindacati a non dichiarare sciopero nei turni supplettivi chiesti dall’azienda in notturni e sabati, ecco che per la Fiom scatta il rosso assoluto. Lo sciopero non si tocca: ed ecco l’appello alla Costituzione e alle leggi violate.

Per il futuro di Pomigliano, è decisivo a questo punto che nel referendum aperto a tutti lavoratori il sì vinca a larga maggioranza. In caso contrario, se dovesse prevalere una vasta resistenza in nome dell’autarchia italiana e dovessero di conseguenza manifestarsi opposizioni permanenti, la Fiat si riserva di considerare incompatibile Pomigliano coi suoi programmi. In tutto il Sud, la Fiat col suo indotto di centinaia di imprese collegate non ci sarebbe più. Sarebbe, quello sì, un segno che non è la Fiat a non voler più restare in Italia. Ma che c’è un’Italia che non vuole più la Fiat, neanche questa che per la prima volta in un secolo non prende più sussidi pubblici, indicandogli che l’unica strada per restare competitiva è sempre più solo quella straniera.

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Pomigliano, svolta storica davvero /2010/06/13/pomigliano-svolta-storica-davvero/ /2010/06/13/pomigliano-svolta-storica-davvero/#comments Sun, 13 Jun 2010 15:01:27 +0000 Oscar Giannino /?p=6263 Una svolta storica. Non è una definizione enatica, per definire l’accordo su Pomigliano tra Fiat e 4 sindacati su 5, Cisl, Uil, Ugl e Fismic. La Fiom-Cgil dovrebbe davvero pensarci molto a fondo domani, e recedere dalla riserva che non le ha fatto firmare l’accordo. Ma deve esere inflessibile, la determinazione che in ogni caso, anche se la Cgil dovesse continuare a dire no, ebbene bisogna andare comunque avanti. Senza esitazioni. E finirla una volta per tutte con un’idea della concertazione in cui a dettare contenuti e passo degli accordi è sempre il soggetto più lento, perché basta che uno dica no e allora tutti gli altri devono fermarsi ad aspettarlo.

Come la marcia dei quarantamila, la storica discesa in piazza dei quadri Fiat che, il 14 ottobre 1980, riempirono le strade di Torino per protestare contro i sindacati, che picchettavano da 35 giorni gli ingressi dell’azienda? No, a 30 anni di distanza l’11 giugno 2010 ha tutti i titoli per essere molto ma molto più “storico” dei 40mila di allora. Questa volta, non sono lavoratori esasperati a sottolineare l’arcaicità delle sterili contrapposizioni tra azienda e sindacati. Questa volta, l’accordo è un salto verso il futuro per tutti. Da una parte l’azienda leader della manifattura nazionale, la Fiat che con Sergio Marchionne e John Elkann – e finalmente senza più contributi pubblici dallo Stato italiano, munto con troppa dovizia per un secolo – nella grande crisi mondiale è protagonista di un grande balzo nel mercato americano con Chrysler, mette con grande coraggio nero su bianco criteri di competitività globali come condizioni essenziali anche in Italia, per vincere la sfida. Dall’altra, oggi anche i sindacati – tranne, finora, la Cgil – condividono con l’azienda la sfida, e accettano di definire insieme nuove regole per innalzare la produttività di Somigliano, moltiplicandone per 8 la produzione in 3 anni, da 36mila a 270mila auto.

Impresa e sindacato mostrano di voler così sconfiggere insieme la sterile lamentazione di chi, in questi anni e nella crisi, ha ripetuto che la globalizzazione ruba lavoro agli italiani, perché i dipendenti Fiat brasiliani e polacchi costano meno all’azienda. E’ una balla, anche se di suscesso. Al contrario, sono gli stabilimenti in quei due Paesi che hanno consentito in questi anni a Fiat di realizzare il più di utili e margine, ed è grazie ad essi che si sono difesi i 5 stabilimenti in Italia. Ora che l’azienda alza l’asta della sua ambizione nel mercato mondiale, occorre alzare il contributo anche del lavoro italiano. Solo così si giustificano 700 milioni di investimento, per 5mila lavoratori, 15 mila famiglie e 200 altre aziende dell’indotto in un’area socialmente delicatissima come quella napoletana.

L’Italia manifatturiera è già virtuosa come la Germania, etornerò su questo nei prossimi giorni visto che immagino molti leggendolo faranno un balzo sulla sedia dicendo che non è vero. I dai del commercio estero elaborati da WTo e Unctad lo provano. Nella grande crisi l’Italia è stato l’unico Paese del G10, insieme alla Germania che guadagnava, a difendere le proprie posizioni nell’export mentre tutti le perdevano, a favore dei Paesi emergenti. Se consideriamo il prodotto industriale procapite, siamo secondi solo alla Germania, nel mondo. E se pensiamo alle Regioni del Nord, siamo addirittura meglio della Germania come nazione. Ma se la manifattura italiana è come la Germania, il resto dell’economia pubblica e dei servizi pesa come piombo nelle ali, per la sua bassa produttività, alta inefficienza, chiusura alla concorrenza. Ma anche per una vecchia idea della concertazione, la concertazione che non decide e rinvia, come ha ricordato Sacconi evocando la rottura imposta dalla Cgil alla Confindustria di Montezemolo, nel 2004, sui nuovi asseti contrattuali.

Solo nel marzo 2009 Marcegaglia e i sindacati firmarono il nuovo modello per il salario di produttività, l’accordo che ha posto le basi per la svolta su Pomigliano. Senza più fermarsi, anche se la Cgil ha continuato a dire no.  Nella fase in cui non solo Fiat, ma circa 20.500 imprese italiane manifatturiere sono impegnate in un grande rafforzamento dei propri insediamenti internazionali di cui già dispongono, l’intesa per alzare la produttività a Pomigliano parte dal basso, dalla sussidiarietà. Non dal sin qui “sacro” contratto nazionale, ma da accordi diretti tra aziende e lavoratori negli stabilimenti. Per questo è una grande prospettiva di speranza. Indica il modello da estendere in tutta Italia. Assegna al nuovo tavolo della produttività, che Confindustria riunirà coi sindacati entro fine giugno, l’impegno di fare dovunque come a Pomigliano.

C’è un punto essenziale, nell’accordo, che supera finalmente un tabù per 50 anni considerato intoccabile. Non sono solo i 18 turni, e il divieto di sciopero quando verranno chiesti i turni notturni al sabato. C’è la firma anche dei sindacati sotto l’impegno a non pagare più i contributi sanitari ai dipendenti assenteisti, ai finti malati, ai finti scrutatori elettorali. Che i sindacati finalmente decidano di non coprire più i lavoratori disonesti, perché compromettono il posto di lavoro dei più che fanno il proprio dovere, è una boccata d’aria fresca e di grande serietà per tutto il mondo del lavoro italiano. Meglio tardi che mai, anche se ci si è dovuti arrivare non per senso di responsabilità, ma per la paura che suscita un Marchionne finalmente deciso a dire : o così, o chiudiamo. E a farlo davvero, nel caso in cui le firme non fossero venute. C’è bisogno di più gente così, in Italia, tosta e di una soloa parola. Altro che i ring di cui parla Montezemolo….

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La ricetta Fiat: mani sciolte da liberista, tasca piena da statalista /2009/12/22/la-ricetta-fiat-mani-sciolte-da-liberista-tasca-piena-da-statalista/ /2009/12/22/la-ricetta-fiat-mani-sciolte-da-liberista-tasca-piena-da-statalista/#comments Tue, 22 Dec 2009 19:47:06 +0000 Oscar Giannino /?p=4414 Oggi a palazzo Chigi, di fronte a governo e sindacati, Sergio Marchionne è stato all’altezza della sua fama. Quella di prendere il toro per le corna. Senza tale dote, Marchionne non sarebbe riuscito a rilanciare Fiat dal fallimento all’utile, né sarebbe stato preso sul serio da Obama per ripetere in grande l’operazione alla scassatissima Chrysler americana, con l’obiettivo di restituirle il 15% del mercato domestico Usa dal 7% in cui è precipitata. Ma nell’incontro di oggi all’ordine del giorno non c’era la sostenibilità finanziaria e industriale del piano Fiat-Chrysler, i 21 modelli tra nuovi e rinnovati nuovi un quadriennio sommando le due case, con la discesa da 11 a 7 piattaforme di cui 3 condivise con Fiat nel segmento medio-alto, il trapianto americano dei diesel, del Multiair e delle trasmissioni Fiat, e via continuando. Il confronto era su un punto solo: il basso utilizzo degli stabilimenti e degli occupati Fiat in Italia. La risposta torinese non mi piace: mani sciolte da liberista, ma a tasca piena da statalista.

Le cifre sono desolanti. In Italia, in 5 insediamenti produttivi, la Fiat oggi ha 22mila occupati che nel 2009 producono solo 650mila vetture. In Polonia, in un solo stabilimento 6100 occupati realizzano quasi l’intera produzione Fiat in Italia, 600mila vetture. In Brasile, in un solo stabilimento 9400 occupati superano la nostra produzione nazionale con 730mila vetture. La cura Marchionne? Ieri ha ribadito quella già nota. A Mirafiori, Cassino e Melfi la produzione resterà. Ad Arese, quel poco che restava dell’Alfa Romeo non c’è già più. A Termini Imerese non si produrranno più auto dalla fine del 2011. La nuova “Y” si farà in Polonia, la city car Small in Serbia. E per Pomigliano il problema è ufficialmente aperto. Se la nuova Panda si dovesse fare ancora in Campania, Torino chiede un piano straordinario di sostegno per i nuovi investimenti necessari sulla linea.

Per difendere i 5 residui stabilimenti italiani, Fiat ha dovuto far ruotare su base annuale tra cassa integrazione ordinaria e straordinaria più di un dipendente su due tra quelli del nostro Paese. Non ha più senso continuare così, per Marchionne. Che ieri è stato più diplomatico di quanto non fosse la settimana scorsa ad Automotive News, al quale ha confidato che sia i marchi Lancia e che Alfa rischiano di cadere per sempre, e che se fosse dipeso da lui nessuno dei cinque stabilimenti Fiat in Italia sarebbe dov’è. Ma è bastato quel che Marchionne ha detto ieri, per suscitare vive preoccupazioni e contrarietà in sindacati e governo.

A fronte delle riduzioni in nome dell’efficienza, Marchionne non chiede poco. Innanzitutto si aspetta il rinnovo degli incentivi pubblici all’acquisto di auto più ecologiche anche nel 2010 come nel 2009. Oltre a denari pubblici per vedere che tipo di produzioni non automobilistiche mantenere a Termini Imerese, e ai sostegni ai quali subordina la Nuova Panda a Pomigliano. Possibile mai che malgrado tutto ciò – controbattono sindacati e governo – in Italia si producano meno delle auto che si assemblano in Belgio, meno di un terzo di quelle prodotte in Francia e Spagna, un nono addirittura di quelle che si costruiscono in Germania?

La Fiat risponde all’obiezione rifiutando sdegnosamente di considerare gli incentivi all’acquisto come un favore. Vanta un credito di oltre 800 milioni di euro verso il governo. Gli incentivi all’acquisto li ripaga più che ampiamente al governo, sostiene la casa torinese. È proprio così? Facciamo due conti. Tra fine febbraio 2009 – quando sono stati adottati gli incentivi pubblici – e fine ottobre di cui abbiamo i dati, l’incentivo ha riguardato quasi 800 mila auto, tra ecologiche senza e con rottamazione. Grazie a questi acquisti, che a fine anno saranno intorno al milione, si calcola che nel 2009 il mercato dell’auto in Italia supererà 2,1 milioni di unità acquistate: nessuno ci avrebbe scommesso, un anno fa. E per continuare a restare su questi numeri anche nel 2010 vengono chiesti eguali incentivi anche nel 2010, altrimenti il venduto scenderebbe verso 1,8 milioni (la media del decennio precrisi era di 2,3 milioni di unità l’anno). Per lo Stato, la spesa in incentivi è di circa 1,5 miliardi di euro, circa 1600 euro in media per nuovo acquisto.

Ma gli incentivi non vanno solo alla Fiat, dice Torino. Giustissimo: la Fiat ha il 32% del mercato italiano, dunque il 67% va a case estere. Ma sul totale degli acquisti per rottamazione incentivata la Fiat sta al 65% del suo venduto 2009, Volkswagen, Ford, Renault e Citroen al 59%, Audi al 48% e BMW al 42%. I numeri dicono che la Fiat si avvantaggia degli incentivi in quota più che proporzionale del suo 32% di mercato (anche perché, per esempio, i pingui incentivi fino a 5mila euro per la propulsione a metano sono di fatto destinati a lei sola).

In più, sostiene la Fiat, lo Stato in realtà ci guadagna con gli incentivi, perché con l’Iva sui nuovi acquisiti si ripaga di quanto stanzia. Il ragionamento è fondato, tranne un piccolo ma decisivo particolare. Perché le tasse sull’auto non le paga la Fiat, ma il consumatore italiano. E sono tasse spaventose. La sola IVA sull’acquisto dei 2,1 milioni di auto nuove nel 2009 allo Stato frutterà quasi 10 miliardi di euro. Sommando i 21 prelievi fiscali diversi che gravano sull’auto – l’associazione delle case estere in Italia ne ha contati 18, io ne conto 21 tra IVA sui carburanti e lubrificanti, pneumatici, imposta provinciale, tasse su RCA, tassa di proprietà automobilistica, accisa sui carburanti e via proseguendo – lo Stato incasserà nel 2009 oltre 63 miliardi di euro, e nel 2010 oltre 65 miliardi. Questi 65 miliardi si sommano ai 38 miliardi di euro che i privati italiani hanno speso nel 2009 per comprare i 2,1 milioni di auto nuove: e la somma fa ben oltre 100 miliardi. Ecco il contributo degli italiani al settore auto, sommando tutte le voci. Sono gli italiani a ripagare con gli interessi gli aiuti al settore, non la Fiat.

Ecco perché finché resteranno gli incentivi pubblici, è – purtroppo, dal punto di vista liberista – del tutto logico che politica e sindacati italiani rivolgano alla Fiat le stesse richieste che Berlino e Parigi stanziando denari pubblici hanno rivolto alle loro case nazionali dell’auto. Solo che in quei Paesi la risposta è stata di tutelare la produzione nazionale. Qui da noi no. Per me che credo nel mercato, direi che la Fiat avrebbe più ragione a chiedere come è giusto di chiudere laddove è inefficiente, ma rinunciando al denaro dei contribuenti italiani visto che già può pinguemente approfittare di quello degli americani per Chrysler (tanto è vero che si sposterà lì, ricerca e produzione dell’ibrido elettrico Fiat). Altrimenti, è ben difficile che dipendenti, sindacati e governo capiscano perché solo da noi, a Termini Imerese e a Pomigliano, a denari pubblici non corrisponda la tutela del lavoro. È vero che l’auto resta gravata da sovraccapacità produttiva in tutta Europa. Ma rassegnarsi a che la lotta alla sovraccapacità si faccia solo da noi nel Mezzogiorno e per di più a spese nostre, è un po’ dura da buttar giù.

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