CHICAGO BLOG » pilati http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Autorità indipendenti: perché continuiamo a raccontarci favole? /2010/11/28/autorita-indipendenti-perche-continuiamo-a-raccontarci-favole/ /2010/11/28/autorita-indipendenti-perche-continuiamo-a-raccontarci-favole/#comments Sun, 28 Nov 2010 10:37:20 +0000 Alberto Mingardi /?p=7714 Della situazione paradossale che si è creata con la lettera di “indisponibilità” di Antonio Catricalà, ha già scritto Carlo Stagnaro. Da parte via, vorrei solo aggiungere qualche considerazione.

Si possono dire molte cose, sugli sfortunati giri di giostra che hanno coinvolto il Presidente dell’Antitrust negli ultimi mesi. Prima avrebbe dovuto attraversare la piazza, e spostarsi dall’AGCM alla Consob. La nomina del Presidente di questa Authority è rimasta bloccata per alcuni mesi, presumibilmente a fronte della capacità di interdizione di coloro che avrebbero visto meglio su quella poltrona Catricalà anziché Giuseppe Vegas. A scanso di equivoci: si tratta, in un caso e nell’altro, di tecnici stimati, due figure che si avvicinano quanto possibile in Italia all’identikit di un “civil servant” dal profilo alto. In un caso e nell’altro, l’arrivo alla Consob sarebbe stato in qualche misura anomalo – “poco elegante”, come hanno detto dalle parti del PD. Vegas, che è persona per bene, universalmente stimata, e di sentimenti liberali (il che, almeno da queste parti, è un punto a favore), veniva dal Ministero dell’Economia. Catricalà avrebbe lasciato un’altra Autorità indipendente, prima della conclusione del mandato.

Quando finalmente il governo ha esplicitato la sua preferenza per Vegas (la nomina è su indicazione del Presidente del Consiglio, deve passare per le commissioni parlamentari e poi avere il “bollino” del Presidente della Repubblica), Catricalà è stato dirottato sull’energia – dove si è appena concluso il settennato di Alessandro Ortis. Carlo Stagnaro ha già spiegato come la cinquina di commissari all’energia fosse “figlia di un accordo tra il Pdl, la Lega e la maggioranza interna del Pd, mentre lasciava a bocca asciutta Udc, Idv e Fli”. Tanto vale notare che lasciare a bocca asciutta Fli in fatto di Authority era in tutta evidenza una strategia molto stupida.

Perché? La risposta a questa domanda spiega perché Catricalà non sia riuscito, nonostante la stima di cui gode nelle istituzioni e il supporto di Gianni Letta, a diventare Presidente della Consob. Perché il capo dell’Antitrust deve essere nominato congiuntamente dal Presidente della Camera e da quello del Senato. Il Presidente della Camera di Fli è, come è noto, il leader e fondatore.

Si è scritto che Antonio Pilati non avrebbe potuto fare il Presidente pro tempore dell’Antitrust (essendo membro anziano, nella vacatio a lui sarebbe spettata tale responsabilità) perché “troppo berlusconiano” ovvero fra gli estensori della legge Gasparri. Come la pensi Pilati sullo sviluppo del mercato televisivo in Italia, non è un mistero. Con Franco Debenedetti, ha scritto un libro, “La guerra dei trent’anni”, proprio su questo.

Dichiaro un conflitto d’interessi. Considero Antonio Pilati uno dei miei amici più cari, e quindi è naturale che pensi non solo che avrebbe potuto fare il Presidente dell’Antitrust, e non solo pro tempore, ma che l’avrebbe fatto con la professionalità e l’intelligenza che gli sono propri. Al di là delle persone, però, forse sarebbe utile che utilizzassimo questa ridicola pantomima sulle nomine all’Energia e all’Antitrust per qualche considerazione di ordine generale.

Se l’indipendenza delle Autorità può essere un “dato” nel loro funzionamento concreto, e segnatamente nel rapporto che formalmente le lega agli altri organi dello Stato, l’indipendenza in senso assoluto non esiste. I loro componenti debbono, è vero, esibire requisiti di “riconosciuta professionalità e notoria indipendenza”. Ma che significa? Limitiamoci all’AGCM, dove la nomina del collegio è in capo ai Presidenti delle due Camere. Nella legge istitutiva dell’Autorità, questo avrebbe dovuto garantirla da pressioni politiche le più varie. Quella legge è stata scritta al tramonto della prima repubblica, ed è debitrice ai suoi riti. Allora, i Presidenti delle due Camere erano signori maturi che si ponevano fuori dai giochi. Non proprio il profilo di personaggi come Luciano Violante, Pierferdinando Casini, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, tutti politici di primo piano. Allora, una camera andava all’opposizione: convenzione mai più rispettata, dal ’94 in qua.

La composizione dei collegi dell’Antitrust ha sempre riflettuto l’appartenenza dei Presidenti delle due Camere. Il primo collegio, dopo la morte di Francesco Saja, fu presieduto da Giuliano Amato: ragionevolmente considerabile, soprattutto nel 1994, l’uomo della sinistra più vicino a Berlusconi (e un politico non di seconda fila: aveva già fatto, e avrebbe fatto di nuovo, il presidente del consiglio). L’Autorità a guida Tesauro è ricordata da molti con rimpianto, perché composta soprattutto da “tecnici”: bravi studiosi come Michele Grillo e Marco D’Alberti, apprezzati dai colleghi, legittimamente vicini ai partiti di sinistra. Il membro berlusconiano era il giurista bolognese Giorgio Bernini, che era stato ministro del commercio estero e poi divenne presidente di RFI.

Siamo all’era Catricalà. Stimato a sinistra (indimenticabile il suo feeling con Bersani ministro dell’industria), Catricalà era stato capo di gabinetto di Antonio Maccanico al ministero delle poste, poi segretario generale del primo consiglio dell’Autorità delle telecomunicazioni, poi segretario generale della Presidenza del Consiglio ai tempi del secondo governo Berlusconi (2001) fino all’approdo all’Antitrust. Non proprio uno che i politici li ha visti solo da lontano.

Gli altri componenti dell’Autorità sono analogamente stati scelti dai Presidenti della Camera o del Senato, raramente in contrasto con l’appartenenza politica degli stessi. Guazzaloca uscì dal cilindro del sodale bolognese Casini, Pilati era “in quota” al berlusconiano Pera, la nomina di Rabitti Bedogni è riconducibile a Bertinotti, quella di Piero Barucci (figura di grande prestigio, già ministro e presidente dell’Abi) a Franco Marini, Salvatore Rebecchini ha condotto una carriera limpida e integerrima in Banca d’Italia, ma la sua famiglia è stata tradizionalmente vicina a Fini.

Finché i meccanismi di nomina saranno quelli che sono, non prendiamoci in giro: è normale che vengano scelti “tecnici” non insensibili alla politica. Le authority non dipendono dallo Spirito Santo. Varrebbe la pena prestare più attenzione ai requisiti di professionalità, anziché andare a farfalle cercando l’Indipendenza con la i maiuscola. Sarebbe auspicabile rendere più trasparenti i meccanismi di nomina? Indubbiamente. Ma non illudiamoci. Si passi dalle commissioni parlamentari, o dai presidenti delle camere, sempre di scelte riconducibili alla politica si tratta.

L’indipendenza ed efficacia delle Autorità va misurata e controllata decisione dopo decisione, senza mai chiudere gli occhi (e del resto, perché dovrebbe bastare essere “indipendenti” per non fare fesserie?). Sul resto, meglio sarebbe se i nostri politici la smettessero di fingere di credere a Babbo Natale – rigorosamente quando gli fa comodo.

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Autorità per l’energia. Non hai vinto, ritenta /2010/11/27/autorita-per-lenergia-non-hai-vinto-ritenta/ /2010/11/27/autorita-per-lenergia-non-hai-vinto-ritenta/#comments Sat, 27 Nov 2010 16:46:39 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7710 La bomba è scoppiata a Palazzo Chigi questa mattina. Antonio Catricalà, presidente non-più-uscente dell’Antitrust, ha rinunciato a prendere la guida dell’Autorità per l’energia. Nel pomeriggio, lo stesso Catricalà ha confermato la decisione, giustificandola così:

Ho scritto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per comunicargli la mia decisione di rimanere all’Antitrust. Sono un uomo delle istituzioni e non voglio consentire che l’Autorità che presiedo e l’Autorità dell’energia siano paralizzate da veti incrociati che pur non riguardano la mia persona.

Cosa c’è dietro, e cosa abbiamo davanti?

La scelta di Catricalà è dettata soprattutto da un giusto senso dell’opportunità. La cinquina Catricalà-Biancardi-Bortoni-Carbone-Termine, uscita apparentemente blindata da Palazzo Chigi, è stata immediatamente investita da una serie di critiche più o meno nobili. La parte nobile, che si è manifestata sotto forma di dolorosi mal di pancia nel Pd, riguarda il fatto che, secondo molti osservatori, almeno alcuni dei componenti non avevano quelle caratteristiche di competenza richieste dal mercato, dal buonsenso e dalla legge istitutiva dell’Autorità. La parte meno nobile riguarda soprattutto quelli che si sono sentiti esclusi. Per chiamare le cose col loro nome, il collegio era figlio di un accordo tra il Pdl, la Lega e la maggioranza interna del Pd, mentre lasciava a bocca asciutta Udc, Idv e Fli. Di questi, a quanto si mormora nei corridoi, almeno l’Udc avrebbe aperto una sua trattativa parallela per “compensare” la mancata indicazione di un componente dell’Autorità con l’inserimento di un suo uomo ai vertici della struttura. Il governo, pur non avendone teoricamente bisogno, avrebbe accettato questa trattativa per evitare che i voti degli esclusi e degli incazzati si sommassero, mettendo a repentaglio l’approvazione parlamentare del nuovo collegio (necessari i 2/3 dei voti nelle commissioni competenti).

Contemporaneamente, ulteriori mal di pancia si sarebbero manifestati sul tavolo parallelo dell’Antitrust. L’abbandono di Catricalà ha fatto emergere Antonio Pilati in qualità di reggente (è l’attuale membro anziano). Il nome di Pilati è entrato immediatamente nel mirino di Fli e del Pd in quanto considerato “troppo vicino a Berlusconi”. Confesso un piccolo conflitto di interessi: con Pilati ho buoni rapporti e di Pilati ho stima. Ma non voglio, qui, né difenderlo né attaccarlo. Mi limito a osservare che fa abbastanza ridere prendersela con lui alla luce (a) di una tornata di nomine in cui tutti sono vicini a, o amici di, qualcuno; (b) in ogni caso, la reggenza di Pilati era per definizione temporanea, in quanto i presidenti delle camere avrebbero potuto e dovuto indicare un nuovo presidente. In tutta sincerità, insomma, trovo che questa sia la più pretestuosa delle critiche.

Terzo, lo stesso Catricalà non è stato esente da critiche. Non tanto per la sua persona, che ha riscosso consensi virtualmente unanimi (se sinceri o ruffiani, non so dirlo). Quanto per il precedente che la sua nomina avrebbe creato, e che è stato immediatamente rilevato, tra gli altri, da Orazio Carabini, che ha scritto:

La “professionalizzazione” del mestiere di componente di authority (i casi sono già numerosi e sono destinati a moltiplicarsi) non è un bene perché, almeno in teoria, spinge chi ha ambizioni di continuare la sua carriera nel “settore” a scendere a compromessi con la politica e con i vigilati, a non dare troppo fastidio, ad accettare scambi pericolosi.

Di per sé, questa debolezza oggettiva di Catricalà non sarebbe stata sufficiente a far tremare l’Autorità. Ma, messa nel combinato disposto con le debolezze tecniche di alcuni membri del collegio e la generale caratterizzazione del tutto come un do-ut-des di nomine, la situazione si è fatta insostenibile. Intelligentemente, Catricalà ha preferito un dignitoso passo indietro piuttosto che il rischio della bocciatura o anche solo di un’approvazione risicata.

A questo punto, che succede? Dio solo lo sa. Nel breve, si fa più urgente la risposta del Consiglio di stato in merito alla possibilità di una proroga (limitata) dell’attuale collegio. I tempi sono ormai scaduti. L’immagine più desolante è quella del deserto e dell’incapacità di trovare un accordo di alto profilo su una nomina di cui, da sette anni, tutti conoscono la scadenza. E questa è una dimostrazione di quanto sia imbarazzante e impreparato il nostro ceto politico. Di fatto sono due le possibili via d’uscita.

La prima è quella dell’inciucio: ci sono cinque poltrone, e sei sono i partiti maggiori, di cui due (Pdl e Lega) stanno nella “maggioranza”, uno (Fli) a metà strada con l’opposizione, e tre all’opposizione (Udc, Idv, Pd). E’ chiaro che in una logica spartitoria avrebbe senso lasciare a bocca asciutta Idv e uno a scelta tra Udc e Fli, e allargare l’accordo a Pdl-Lega-Pd-Udc/Fli.

La seconda è quella della responsabilità: si indichino cinque nomi che possono avere simpatie per questo o per quello, ma che sono anzitutto noti per la loro competenza tecnica sul settore. Questa è la scelta migliore per il paese e per il mercato. Pertanto, questa è la scelta che non verrà presa.

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Live blogging. Indice delle liberalizzazioni/5 /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni5/ /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni5/#comments Mon, 12 Jul 2010 10:34:30 +0000 Alberto Mingardi /?p=6483 Breve secondo giro di tavolo. Pilati è un “ottimista tecnologico” e invita a considerare la televisione non in se stessa, ma rispetto ai suoi competitori per l’attenzione del pubblico (YouTube, etc). Sulla Spagna, segnala come la tv pubblica senza canone abbia fatto bilanci disastrosi, e così pure i privati in un mercato “frammentato” (quello vantato positivamente da Gentiloni): il finanziamento dei contenuti, nel mondo di oggi, spinge ai consolidamenti. Le economie di scala sono molto rilevanti.

Sulle tlc, Pilati sottolinea differenza fra privatizzazione e liberalizzazione. La liberalizzazione del settore ha funzionato bene (pensiamo al mercato della telefonia mobile). Se mancano gli investimenti sulla rete, dipende dal modo in cui Telecom è stata privatizzata: Telecom non è stata in grado di difendere l’asset che aveva ricevuto in eredità dalla SIP (la rete). Il problema di oggi è che dopo aver caricato il debito delle acquisizioni sul patrimonio della società a Telecom mancano risorse. Gli operatori mobili hanno bisogno di risorse trasmissive in quantità maggiore di oggi: serve un riassetto delle frequenze, che ne sposti dal settore televisivo (dove sono usate in modo inefficiente) alla telefonia. Bisogna “aprire il trading delle frequenze” consentendo agli operatori di negoziare i diritti di uso che hanno accumulato nel tempo. Altrimenti si rischia saturazione reti operatori mobili.

Dopo la richiesta di un commento sulle assicurazioni da Bellasio, Pilati nota come l’indennizzo diretto non abbia fatto scendere i prezzi. Per Pilati, il differenziale di prezzo delle polizze con gli altri Paese va spiegato anche alla luce di una lettura del contesto italiano: troppi sinistri, troppa litigiosità, incertezza del diritto, frequenza delle frodi.

Bellasio nota come il PD faccia tutto fuorché incalzare il governo sulle liberalizzazioni.  Sulla tv, Daniele chiede a Gentiloni se non sia stato sbagliato, per la sinistra, evitare sempre il tema di privatizzazione della Rai. Gentiloni risponde che le forze di centro-sinistra hanno “problemi al loro interno”, e cita la vicenda del referendum sulla privatizzazione (cosiddetta) dell’acqua. Dice però che è dalle parti del Governo che le liberalizzazioni sembrano mordere il freno (“manca pure il ministro del ramo”).

Sul mercato del lavoro, Gentiloni sostiene che per salvaguardare il maggiore grado di apertura del lavoro vanno cambiati gli ammortizzatori sociali (per evitare “effetti boomerang” anche sul piano sociale). Evitare il cortocircuito con una forma di “flexecurity”.

Gentiloni è d’accordo con Pilati sul tema delle frequenze, siamo fra i Paesi più avanzati per accesso alla banda larga sul mobile, vanno redistribuite le frequenze ma c’è un “problema di posizione dominante dei grandi soggetti, che vogliono tenersi le frequenze anche se è evidente che oggi non sanno che farsene”. Gli operatori scommettono sull’innovazione, accaparrando frequenze pensando di potere poi andare all’incasso in un secondo momento. Per questo, il sacrificio non lo possono fare solo le tv locali “deve essere fatto a tutti i piani del palazzo dei televisionari”. La sua proposta è quella di un’asta pubblica delle frequenze (e non libero scambio dei diritti d’uso fra operatori, come proponeva Pilati).

Il dibattito è chiuso, Bellasio auspica che ci rivedremo l’anno prossimo “superando la soglia psicologica del 50%”. Come dalle migliori tradizioni italiche, ora si passa al buffet.

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Live blogging. Indice delle liberalizzazioni/ 3 /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni-3/ /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni-3/#comments Mon, 12 Jul 2010 09:54:02 +0000 Alberto Mingardi /?p=6478 Stagnaro conclude citando Rahm Emanuel: non bisogna sprecare una buona crisi. Bellasio giustamente sottolinea come purtroppo Emanuel e Obama abbiano approfittato della crisi non certo per andare nella direzione della libertà economica.

Interviene Antonio Pilati. Servizi pubblici locali, gas e tlc sono per Pilati l’ambito su cui rilanciare l’azione liberalizzatrice. Non sono riuscito a sentire tutto l’intervento di Pilati e mi scuso per la sintesi.

Interviene Maurizio Sacconi. Esprime espressamente per il rapporto “che segnala delle strozzature” anche se si può essere in disaccordo sui contenuti delle “liberalizzazioni”.  Siamo condizionati da tre fattori strutturali che rendono difficile crescere: la “condizione del debito sovrano” e la necessità di intervenire sul debito pubblico,  il declino demografico, la contrazione dei consumi interni.  Sacconi: serve meno Stato e più società, in cui c’è anche “più mercato”. Bisogna snellire le strutture dello Stato, e soprattutto evitare che con il pretesto della “ri-regolamentazione” si aumenti la regolamentazione: “è opportuno continuare a parlare di deregolamentazione”. Questa riflessione va fatta a tutti i livelli: il fatto che esista la Calabria non può servire sempre da alibi per le Regioni del Nord (più efficienti, ma solo rispetto al benchmark). Bisogna ridurre la spesa e la spesa liberata va usata per ridurre le tasse. Il cambiamento è necessario perché noi siamo in competizione con democrazie molto più “semplici” della nostra, con Stati più snelli. Pomigliano, continua Sacconi, è un caso di scuola: Fiat non ha chiesto più soldi, ma ha accettato di fare un “patto con la società”. Passare “da più Stato a più società” significa passare da relazioni segnate dall’intervento pubblico, a momenti di cooperazione spontanea fra individui e corpi sociali. “In questo senso Pomigliano fa scuola”. Anche i percorsi del mercato del lavoro non sono necessariamente formalizzabili in forma di legge: si sostanziano fuori da ogni centralismo regolatorio e si sostanziano in una vasta deregolamentazione. Lo stesso Statuto dei Lavoratori potrebbe essere sostituito non da norme di legge ma in parte può essere rimesso alla deregolabilità ed alla adattabilià  delle parti sociali. Il piano triennale per il lavoro che Sacconi presenterà alle parti sociali si intitolerà “Liberare il lavoro per liberare i lavori”. Sacconi chiude con due rilievi: manca la giustizia, nell’Indice (l’eliminazione del patto di quota lite, dice in polemica con le liberalizzazioni di Bersani, porterebbe ad aumento del “contenzioso temerario”). L’incertezza che grava sulla giustizia è forse il principale problema per le imprese. Sulle telecomunicazioni, Sacconi trova l’indice troppo “generoso” – l’osservazione è però rivolta allo stato degli investimenti sulla rete dell’incumbent.

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Berlusconi e la concorrenza. Un dibattito a Milano /2009/06/18/berlusconi-e-la-concorrenza-un-dibattito-a-milano/ /2009/06/18/berlusconi-e-la-concorrenza-un-dibattito-a-milano/#comments Thu, 18 Jun 2009 21:01:31 +0000 Alberto Mingardi /?p=1068 Oggi alla Banca Popolare di Milano (grazie per l’ospitalità) abbiamo presentato “La guerra dei trent’anni” di Franco Debenedetti e Antonio Pilati, con Fedele Confalonieri, Ferruccio De Bortoli e Walter Veltroni. A inizio della presentazione, a mo’ di saluto, ho cercato di bofonchiare alcune cose che non si sono sentite, nel brusio generale. Poco male: le introduzioni di circostanza servono a dare agli ospiti il tempo di prendere posto. Primo commento impressionistico, sui protagonisti e non sui contenuti. Confalonieri e Veltroni sono persone molto civili. Nota di colore: Veltroni chiama tutti per nome e infiora le frasi con citazioni da scaffale dell’Universale Feltrinelli in sconto 15%. De Bortoli è sempre un signore ed ha moderato con perizia, ma alla presentazione i due che hanno davvero parlato del libro sono stati gli autori. Franco, che è un candido, l’ha quasi detto lui stesso, buttando là che l’ambizione di un editore è di vendere ma che quella dell’autore è che si legga più che la quarta di copertina… L’ex segretario del Pd, infatti, ha sparato ad alzo zero più che sul libro sulla presentazione che ne avevo bofonchiato (ripeto: bofonchiato) io. Nella quale mettevo in luce non tanto perché il libro sia rilevante per il resto del mondo, ma perché è interessante leggerlo per chi veleggia sul bordo di questo blog: per l’analisi di Pilati della “liberalizzazione selvatica” dell’etere contro il monopolio della Rai (una “giungla” in cui ha messo ordine certo Berlusconi ma con lui e più di lui una “legislazione difficile” volta a mantere lo status quo, rispetto alla quale “la liberalizzazione spontanea ha perso i nemici e mantenuto i nemici” al volgere della prima repubblica) e per la lettura di Debenedetti della radicale incomprensione, della “rivoluzione televisiva”, da parte dell’universo politico-ideale che detiene tradizionalmente il monopolio dell’idea di progresso: la sinistra.
Veltroni in parte ha involontariamente difeso la tesi di Pilati, dimostrando come la discussione pubblica in realtà si spacca sul modo d’intendere il pluralismo: il “pluralismo interno” al monopolio pubblico (= lottizzazione) e il “pluralismo esterno”, sul mercato. Per WV, il pluralismo interno era meglio perché la qualità dell’offerta era migliore (c’era il maestro Manzi…), la Rai ha alfabetizzato l’Italia come la scuola pubblica, e la concorrenza è una race to the bottom a suon di tette e culi. C’è del vero, ma ha avuto – perlomeno secondo me – gioco facile Confalonieri a ricordargli il grigiore della Rai della censura.
La “liberalizzazione selvatica” non piace a Veltroni, che avrebbe visto bene una “liberalizzazione in serra”, portata avanti tenendo fermi i principi educativi che hanno informato la storia della tv di stato.
Su altre cose, Veltroni non aveva torto: il conflitto d’interessi, il sostanziale appiattimento dell’informazione in Italia, il fatto che le nuove tecnologie ci regalano un pluralismo infinitamente più ricco che in passato. Confalonieri sull’ultimo punto ha sostanzialmente difeso l’industria dei contenuti. Veltroni sul primo ha ignorato il punto di vista di Debenedetti: cioè che per risolvere il conflitto d’interessi la strada maestra fosse privatizzare la Rai (una privatizzazione che avrebbe dovuto fare la sinistra, perché è chiaro come il sole che Berlusca non la farà mai nella vita).
Un bel dibattito, che però ha lasciato in ombra i due messaggi cruciali del libro. La televisione commerciale come punto di scontro fra la sinistra e la modernità/ Debenedetti. La tesi per cui le liberalizzazioni “anarchiche”, sospinte dalla creatività imprenditoriale e non da un “dirigismo di mercato” volto a stimolare la nascita di nuovi competitors, tutto sommato sono le migliori/ Pilati. A margine della tesi Debenedetti c’è un altro tema: che è quello di come la televisione commerciale ha di fatto rottamato l’egemonia, creando il mondo “naturaliter berlusconiano” di cui parlava Bobbio, all’insegna di un nuovo immaginario. Ma sul punto, forse, più che leggere il bellissimo libro di Debenedetti e Pilati, vale la pena di rivedere “Il Caimano”.

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