CHICAGO BLOG » pd http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Autorità energia. Il Pd perde i pezzi /2010/11/18/autorita-energia-il-pd-perde-i-pezzi/ /2010/11/18/autorita-energia-il-pd-perde-i-pezzi/#comments Thu, 18 Nov 2010 19:03:43 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7640 Solo due righe per avvisare che, a quanto mi risulta, il parlamentare del Pd Federico Testa si è dimesso da responsabile energia & servizi pubblici del partito.

A monte della decisione starebbero le perplessità (eufemismo) per l’accordo bipartisan sull’Autorità per l’energia, che (se le commissioni ratificheranno la decisione del governo) sarà presieduta dall’attuale numero uno dell’Antitrust, Antonio Catricalà, e sarà composta da Guido Bortoni (capo dipartimento energia al ministero dello Sviluppo economico e già direttore mercati dell’Aeeg); Alberto Biancardi (direttore generale della Cassa conguaglio del settore elettrico e responsabile energia dell’Arel); Valeria Termini; e Luigi Carbone. Testa, in particolare, non avrebbe gradito l’inserimento nel collegio di alcuni componenti privi di esperienza sul settore, in attrito con quanto prevede la legge istitutiva dell’autorità. Ma dietro la decisione c’è probabilmente un malessere più diffuso per l’apatia del Pd e la sua difficoltà a mantenere posizioni coerenti e credibili sui temi energetici e ambientali – col risultato di apparire sempre più come una succursale, fuori tempo massimo, di un’ideologia anti-industriale e anti-crescita economica.

Un altro competente si allontana dalla politica. Non ne guadagna il principale partito dell’opposizione, né il paese, ma i cacicchi verdi stasera possono brindare. Chissà se qualcuno li ha informati che le bollicine sono fatte di CO2.

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L’acqua è di tutti. O tutti fanno acqua? /2010/10/21/lacqua-e-di-tutti-o-tutti-fanno-acqua/ /2010/10/21/lacqua-e-di-tutti-o-tutti-fanno-acqua/#comments Thu, 21 Oct 2010 17:56:45 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7350 Il Partito democratico ha presentato, questo pomeriggio, la sua proposta sull’acqua – o, meglio, sul servizio idrico integrato. Qui si può leggere un sommario della proposta (presentata dalla responsabile Ambiente del partito, Stella Bianchi, assieme al segretario, Pierluigi Bersani, e ai capigruppo alla Camera e al Senato) e qui il testo della proposta di legge. Cosa dice il Pd? E’ fedele alla vocazione riformista oppure si allinea alla retorica referendaria? La risposta, come spesso accade, è più complessa.

di Luigi Ceffalo e Carlo Stagnaro

Anzitutto, visto che la faccenda dell’acqua è gonfia di richiami simbolici e identitari, la proposta va contestualizzata nello scenario politico. In questo senso, non crediamo si debba dare troppo peso alla precisazione, più volte ribadita dallo stesso Bersani, che “l’acqua è un bene pubblico e sono beni pubblici anche le strutture del servizio idrico integrato”. Non gli diamo peso a dispetto di due cose: (a) non crediamo che la “pubblicità” del bene e delle infrastrutture, e la relativa retorica, portino alcunché di buono: nella migliore delle ipotesi, non introducono miglioramenti, nella peggiore creano distorsioni; (b) lo stesso decreto Ronchi, obiettivo polemico del Pd e dei referendari (e della Lega, a cui si devono primariamente ritardi, ambiguità e incertezze) afferma con forza la pubblicità dell’acqua e delle infrastrutture (acquedotti, fognature, depuratori, ecc.). Dunque, sotto questo profilo, non c’è alcuna differenza tra i due maggiori partiti, e semmai c’è un passo indietro rispetto alla situazione precedente, che tollerava la proprietà privata delle infrastrutture. Altro che privatizzazione!

E’ però sicuramente positivo il fatto che, per la prima volta, il Pd prenda ufficialmente ed esplicitamente le distanze dai referendum. “Ufficialmente” la ragione è lo scetticismo verso lo strumento referendario, che essendo di natura meramente abrogativa è considerato (giustamente) inadeguato a correggere gli aspetti del decreto Ronchi su cui il Pd è critico. Sospettiamo che vi sia anche la consapevolezza che, qualora la logica referendaria dovesse prevalere, il paese farebbe non un passo, ma un salto indietro rispetto ai progressi faticosamente compiuti in questi anni, che in qualche maniera hanno portato quanto meno ad accettare che il servizio idrico ha una irrinunciabile dimensione industriale, che non può essere sacrificata alla mitologia delle gestioni collettive.

Il progetto affronta una molteplicità di temi, di cui non ci occupiamo perché li riteniamo marginali. La ciccia vera e propria, infatti, sta tutta in cinque articoli: il gruppo 4-5-6 (“assemblea di ambito territoriale ottimale”, “partecipazione dei comuni all’assemblea d’ambito”, “autorità nazionale di regolazione del servizio idrico”), il 9 (“affidamento e revoca della gestione”), e il 10 (“tariffa del servizio idrico integrato”).

Gli articoli 4 e 5 reintroducono le autorità d’ambito (chiamandole “assemblee di ambito”), coordinate dal presidente della regione o della provincia (a seconda dei casi) e composte dai sindaci, a cui viene conferito il compito di affidare il servizio, determinare le tariffe (sulla base di una procedura di cui parleremo tra poco), e decidere gli investimenti. Questi soggetti erano stati soppressi dal decreto Calderoli “taglia enti”, che però, passando alle Regioni il compito di individuare cosa e come dovrà prenderne il posto, finisce per risolvere la contraddizione… creando confusione.

La situazione è parzialmente raddrizzata dagli articoli 6 e 10. Il primo – che costituisce il vero punto forte del progetto e il cui recepimento potrebbe, speriamo, rappresentare un elemento di mediazione virtuosa tra il Pd e il governo – trasforma l’attuale Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche – un ente senza risorse e senza poteri – in una vera e propria autorità di regolazione, con poteri di controllo e sanzione. Soprattutto, essa

definisce gli schemi tipo degli atti delle concessioni, delle autorizzazioni, delle convenzioni e dei contratti regolanti i rapporti tra i diversi soggetti (art.6 comma 10 lettera m)

verifica la congruità delle tariffe, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le stesse, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale in modo da assicurare la qualità, l’efficienza del servizio e l’adeguata diffusione del medesimo, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; verifica la conformità ai criteri di cui alla presente lettera delle proposte di aggiornamento delle tariffe eventualmente presentate (art.6 comma 10 lettera n)

con apposito Regolamento definisce la metodologia per la determinazione della tariffa per usi civili e industriali nonché le modalità per la revisione periodica (art.10 comma 2)

L’Autorità è nominata dal governo su proposta dei presidenti delle camere, teoricamente garanzia di indipendenza anche se avremmo preferito il voto a maggioranza qualificata nelle commissioni parlamentari competenti, o qualcosa del genere. Essa, insomma, è contemporaneamente l’ente tecnico di riferimento – che, si spera, verrebbe messo in grado di raccogliere i dati che il Conviri non riesce a ottenere – e agisce in modo tale da ridurre, per quanto possibile, la discrezionalità e i pasticci delle assemblee d’ambito. In breve, la proposta del Pd prevede un quadro regolatorio nazionale di natura relativamente più tecnica e relativamente meno politica, ma rischia di vanificarne o ridurne le potenzialità mischiandone le competenze con quelle delle assemblee, che poi saranno nella pratica chiamate a prendere o eseguire le decisioni rilevanti.

Questo ci conduce all’aspetto più discutibile della proposta: quello relativo alle modalità di affidamento. Mentre il decreto Ronchi fissa il principio dell’affidamento in via ordinaria tramite gara, relegando l’affidamento diretto o in house a una casistica residuale, il Pd torna ad aprire il vaso di Pandora . Infatti, pur salvaguardando (e ci mancherebbe altro!) la possibilità di affidamento a soggetti privati che dovrebbe avvenire tramite procedura a evidenza pubblica, prevede la possibilità di conferire la gestione del servizio

a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano

La clausola del “controllo analogo” è un requisito necessario per la legittimità comunitaria dell’affidamento ma rischia di essere, come è stata fino a ora, l’escamotage attraverso cui può essere fatto passare qualunque cosa – cioè la preservazione di inefficienze, opacità e collateralismi attuali. Ma, se e nella misura in cui questo “qualunque cosa” passa, è davvero difficile immaginare che sia possibile trovare capacità e volontà per ammodernare le reti nel senso che pure gli stessi esponenti del Pd auspicano.

In sintesi, la proposta ha alcuni aspetti positivi (la creazione di un’autorità di regolazione, pur mitigata dal ripescaggio delle autorità, pardon assemblee, d’ambito) e altri negativi (la retromarcia sulle gare). Il migliore dei mondi possibili, per noi, sarebbe impiantare il contesto regolatorio immaginato dal Pd nel tessuto del decreto Ronchi. Di certo, però, la conferenza stampa di oggi ci rincuora perché, al di là delle valutazioni di merito, ci lascia sperare che i referendum – tra la presumibile opposizione del Pdl e quella sperabile del Pd – no pasaràn.

(Crossposted @ www.ilfoglio.it/duepiudue)

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Ogm: l’Unità batte un colpo. E il PD? /2010/08/24/ogm-lunita-batte-un-colpo-e-il-pd/ /2010/08/24/ogm-lunita-batte-un-colpo-e-il-pd/#comments Tue, 24 Aug 2010 09:01:17 +0000 Giordano Masini /?p=6839 Ieri l’Unità ha ospitato un bell’intervento sugli Ogm di Sergio Bartolommei, docente all’Università di Pisa e membro del consiglio direttivo della Consulta di Bioetica, che spicca per chiarezza e concretezza già a cominciare dal titolo, “Quel luddismo che cresce nei campi“. Bartolommei afferma:

La distruzione di un campo di pannocchie in Friuli è stata sostenuta da un argomento che è diventato un po’ il cavallo di battaglia degli avversari del transgenico: gli Ogm minacciano «l’identità agroalimentare italiana», «la nostra agricoltura non si tocca», «l’identità dei prodotti tipici non è in svendita». L’argomento legittima una sorta di neo-autarchia agricola evocatrice di altri e discutibili appelli a italici “primati” e autosufficienze. Gli resta forse un fascino retorico, ma è razionalmente insostenibile. Il concetto di “identità agricola nazionale” è vago o vuoto.

Effettivamente, da quando il dibattito sugli Ogm e le biotecnologie si è spostato dal piano della sicurezza ambientale e alimentare a quello della sostenibilità economica di diversi “modelli” di agricoltura (ormai sono rimasti in pochi a sostenere che un Ogm possa far male a qualcuno o a qualcosa), è sempre più chiaro che la contreversia non è più scientifica, ma tra scienza e ideologia, ed è un indiscutibile merito di Bartolommei quello di chiamare quell’ideologia, proprio sull’Unità, con il suo nome di battesimo: luddismo.

Sono sempre di più quelli che nel PD si dimostrano insofferenti per la riproposizione ossessiva di concetti suggestivi, ma vaghi e privi di significato. Proprio oggi Sergio Chiamparino, in un’intervista al sole24ore, si chiede “perché mai una persona di sinistra deve essere a favore della ricerca sulle staminali, ma non a quella sugli Ogm“, per non parlare di Umberto Veronesi, che si è dichiarato senza tanti giri di parole “un grande sostenitore dell’utilizzo delle conoscenze genetiche per tutte le attività umane, comprese quelle agricole“.

Cosa dicono il Partito Democratico e i suoi dirigenti sull’argomento? Ne avevamo parlato qualche tempo fa, in occasione della presentazione di un documento del Forum Agricoltura del partito in cui si ribadiva la posizione contraria del PD all’introduzione degli Ogm in Italia, e proprio per le ragioni che paiono tanto ridicole a Chiamparino, Bartolommei e Veronesi. Il fatto però che ci sia un dibattito aperto è cosa buona e giusta. Sui tempi di soluzione della questione, siamo abituati a rispettare i bioritmi del PD, e a pazientare.

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Agricoltura paesaggistica /2010/07/13/agricoltura-paesaggistica/ /2010/07/13/agricoltura-paesaggistica/#comments Tue, 13 Jul 2010 12:16:13 +0000 Giordano Masini /?p=6507 Il forum  Agricoltura del Partito Democratico ha votato un documento in cui si dichiara la contrarietà del partito all’uso di Ogm in Italia. Il testo, che dovrà essere ratificato dall’Assemblea Nazionale di ottobre, è seguito ad un lungo dibattito al quale avrebbero partecipato per mesi scienziati (non troppi) ed esponenti del PD. Oggi viene sancito, oltre alla preferenza per la tutela della biodiversità rispetto alla necessità di rispondere alle esigenze quantitative dell’agricoltura moderna, il principio che le scelte di un imprenditore possono essere guidate e indirizzate dall’alto, non solo attraverso misure di stimolo, ma anche e soprattutto attraverso la mortificazione di libertà essenziali quali quella di scegliere autonomamente cosa e come produrre. Il PD, infatti, non si oppone agli Ogm perché li ritiene dannosi per la salute o per l’ambiente, ma semplicemente perché non li ritiene necessari alla nostra agricoltura. Un po’ come proibire la fabbricazione di auto di grossa cilindrata perché non le si ritiene compatibili con la nostra rete stradale… Il commento migliore sulla vicenda è quello apparso su salmone.org, il blog del biotecnologo Roberto Defez:

Il PD ci pensa bene, sente gli scienziati e poi decide per l’agricoltura paesaggistica, dove gli agricoltori sono parte dell’arredo rurale. Ecco come si rottama una attività imprenditoriale per poi versarci sopra tra qualche anno lacrime di coccodrillo.

l PD ci pensa bene, sente gli scienziati e poi decide per l’agricoltura paesaggistica, dove gli agricoltori sono parte dell’arredo rurale. Ecco come si rottama una attiività imprenditoriale per poi versarci sopra tra qualche anno lacrime di coccodrillo.
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Liberalizzazioni: bene il Pd, se sa quel che dice /2010/06/16/liberalizzazioni-bene-il-pd-se-sa-quel-che-dice/ /2010/06/16/liberalizzazioni-bene-il-pd-se-sa-quel-che-dice/#comments Wed, 16 Jun 2010 18:23:22 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6295 Finalmente il Partito democratico batte un colpo, e che colpo. Le sei proposte di liberalizzazione presentate oggi da Pierluigi Bersani rappresentano, finalmente, un tentativo di dare sostanza all’opposizione, evitando sia la tentazione controproducente dell’antiberlusconismo, sia il massimalismo della Fiom. Non tutto è perfetto, ma c’è molto di buono.

Prima ancora di entrare nel merito delle proposte, buona è la retorica con cui il Pd le condisce:

Il Partito democratico sostiene la libertà di impresa e la libertà dei consumatori… L’Italia ha bisogno di una nuova stagione di liberalizzazioni: meno barriere di accesso alle professioni, più concorrenza nei servizi, autorità realmente indipendenti.

L’idea di fondo sembra essere che il paese sia “bloccato”, e che questo blocco non dipenda (perlopiù) dalla crisi, cioè non sia un blocco congiunturale, ma dipenda da ragioni strutturali. In particolare, dall’inadeguatezza del contesto normativo a ospitare vera concorrenza in una serie di settori della nostra economia, producendo rendite a favore degli incumbent e sottraendo risorse preziose ai consumatori e al mercato. Da questo presupposto, discendono abbastanza naturalmente quattro delle sei proposte. Due, invece, mi paiono contraddirlo. Vediamo perché.

1. Carburanti. Il Pd propone due cose, una – voglio essere buono – sbagliata e l’altra dannosa. Quella sbagliata è di rompere il vincolo di esclusiva che lega i distributori alla compagnia di cui battono i colori, obbligandoli a ritirare da essa solo il 50 per cento del carburante servito. Per il resto, varrebbe una sorta di third party access in virtù del quale potrebbero approvvigionarsi dove gli pare. La misura dannosa prevede di affidare all’Acquirente Unico – che già svolge un compito analogo nel settore dell’elettricità – le funzioni di grossista della benzina, in modo da rifornire i piccoli distributori fornendogli potere contrattuale. Questo è sbagliato perché – al di là delle riserve sul ruolo attuale di Au – c’è una ovvia e sostanziale differenza tra l’elettricità e i carburanti: nel caso dell’elettricità il consumatore, specie quello domestico, ha bisogno di essere accompagnato verso il mercato (anche se credo che questa sia una comoda illusione, ma facciamo finta), nel caso dei carburanti no. E, per la stessa ragione, non si vede per quale ragione si debba entrare a gamba tesa nella libertà contrattuale tra distributori e compagnia. Ma, al di là di tutto questo, mi pare che l’errore sia più profondo: la lettura del Pd è che si debba usare diversamente la rete esistente, mentre il problema vero è che è la rete a essere inadeguata: non dobbiamo usarla meglio, dobbiamo ricostruirla. E per ricostruirla non servono alchimie regolatorie, ma libertà di apertura/chiusura di punti di rifornimento, inclusa la libertà di aprirli assieme a un supermercato o minimarket o quel che sia senza vincoli al mix merceologico, sul tipo di servizio offerto, e così via. Sta tutto scritto qui.

Farmaci. L’ampliamento delle maglie della prima “lenzuolata” di Bersani è cosa buona e giusta. Il Pd propone di consentire alle parafarmacie di vendere anche farmaci di fascia C, ampliando i canali d’offerta. C’è poco da aggiungere, visto che sta tutto scritto qui e qui.

Professioni. Questa è la proposta, al tempo stesso, più innovativa e rivoluzionaria: si propone in sostanza, al di là di una serie di aggiustamenti condivisibili ma minori, di “riconoscere le libere associazioni costituite su base volontaria e senza diritto di esclusiva tra professionisti (sono circa 3 milioni) che svolgono attività non regolamentate in ordini, attribuendo ad esse anche compiti di qualificazione professionale. Viene infine prevista l’equiparazione delle professioni intellettuali al settore dei servizi ai fini del riconoscimento delle misure (comunitarie e nazionali) di sostegno economico per lo sviluppo dell’occupazione e degli investimenti con particolare riferimento ai giovani“. Questo scardinerebbe il sistema ordinistico italiano, introducendovi un importante germe di libertà di organizzazione. Assolutamente da sostenere con le unghie e per i denti. Peraltro, sta scritto anche qui.

Abolizione della clausola di massimo scoperto. Anche qui si tenta di estendere le lenzuolate del 2006/7, ma rispetto a un tema che ci ha visti molto critici. Infatti, quello che questa proposta farebbe sarebbe di mettere le mani all’interno di contratti già scritti e firmati, cioè di pasticciare con la libertà contrattuale di individui e imprese. Roba che a noi non piace e che, di norma, non funziona neppure rispetto ai suoi obiettivi originari. Comunque, non c’è nulla di nuovo: i nostri dubbi stanno scritti qui.

Separazione proprietaria rete gas. Se quella sulle professioni è la proposta probabilmente più rivoluzionaria, questa è la più improbabile: perché il Pd si muove sul classico terreno che “chi tocca i fili, muore”. Si tratta del crocevia indispensabile per avviare una seria liberalizzazione del mercato del gas naturale nel nostro paese, e a catena di quello elettrico che a esso è strettamente legato. Pochi hanno provato e quei pochi hanno fallito (con onore). Ma la proposta è talmente giusta e condivisibile che sta scritto tutto qui e qui.

Avvio immediato attività produttive. Infine, l’ultima proposta è quella di consentire, tramite una semplice autocertificazione, le procedure per la realizzazione di impianti necessari all’avvio di nuovi insediamenti produttivi. C’è poco da commentare, qui, se non che sono idee giustissime (e forse, vista la convergenza con le ultime uscite di Giulio Tremonti, questa proposta ha perfino qualche chance). La burocrazia e la confusione amministrativa sono i mostri contro cui le imprese italiane si battono quotidianamente. Sta scritto qui.

Il giudizio è insomma più che positivo. Su sei proposte, due sono discutibili (carburanti e massimo scoperto), quattro buone o molto buone, ma due del tutto impossibili (rete gas e professioni) o estremamente improbabili (farmaci). Una (semplificazione) è buona e possibile. Non sono sicuro che il Pd si renda pienamente conto della portata di questo “programma di governo”: di certo, se mai torneranno a Palazzo Chigi, il giorno dopo qualcuno dovrà prendersi la briga di chiedergli di mantenere le promesse.

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Pomigliano: Cgil accoltella FIOM, il Pd guarda e squaglia /2010/06/16/pomigilano-cgil-accoltella-fiom-il-pd-guarda-e-squaglia/ /2010/06/16/pomigilano-cgil-accoltella-fiom-il-pd-guarda-e-squaglia/#comments Wed, 16 Jun 2010 16:14:58 +0000 Oscar Giannino /?p=6286 La vicenda Pomigliano si mette sempre peggio per la sinistra, sindacale e politica.  Lo dico senza alcuna iattanza nè soddisfazione. Di fronte a svolte di questa importanza, per il rilievo in Italia dell’azienda che le propone, e per l’impatto che intese simili potrebbero avere in tutto il manifatturiero italiano internazionalizzato ed esposto alla concorrenza estera, quel che sichiede alla sinistra è di avere come minimo le idee chiare. Non ce l’ha, purtroppo.

Se la sinistra politica e sindacale fosse convinta che l’intesa su Pomigliano lede diritti indisponibili e viola la Costituzione, a cominciare dal diritto allo sciopero se lo considera inalienabile e più importante di quello alla codecisione per innalzare la produttività e difendere gli stabilimenti e il lavoro stesso, allora dovrebbe sposare la linea Fiom, dire un no secco all’accordo, chiedere ai lavoratori di votare no nel referendum del 22 giugno, rilanciare la linea antagonista contro ciò che a quel punto si ridurrebbe a una bieca provocazione padronale, perpetrata per approfittare della debolezza dei lavoratori.

Se fosse invece convinta invece che la competizione globale con cui si misura il nostro manifatturiero, la sfida americana in cui è impegnata la Fiat, nonché la storia particolare e il track record delle performance dello stabilimento di Pomigliano, rendano necessaria una svolta, e che naturalmente è meglio che a questo punto essa sia condivisa, e apra nella condivisione anche la strada a una serie di accordi simili dovunque necessari, allora – anche e proprio per evitare che Fiat e altre imprese interpretino la vicenda come un semplice “prendere o lasciare”, ripeto – la sinistra  dovrebbe dire “noi ci siamo, diciamo un sì convinto, e lo facciamo con le nostre idee  e convinti della loro peculiarità, perché più produttività e meno scioperi sono del tutto compatibili con la storia di una sinistra pienamente riformista”.

Non mi pare affatto che sia emersa una simile chiarezza, nell’atteggiamento di Cgil e Pd. La FIOM ha fatto la sua scelta antagonista, come sappiamo. La Cgil campana con una lunga nota fitta di distinguo ha chiesto ai lavoratori di votare sì, dopo aver scritto che l’accordo comprende temi che in quanto tali non sono sottoponibili  un voto. Il segretario della FIOM, Landini, ha reoplicato che questa è una vera e propria “coltellata” alla schiena della FIOM e dei lavoratori.

Nel Pd, Chiamparino, Ichino e Treu hanno parlato chiaro, respingendo la tesi della violazione costituzionale e indicando la via di una compiuta scelta riformista. Il resto del partito li ha considerati incongrui ed eccessivi, come chi offre arfgomenti al nemico. Bersani ha detto che governo, azienda e Confindustria non devono illudersi, che Pomigliano non è un esempio né un precedente: oggettivamente, una sfida alla logica.

Le svolte vere sono tali se le classi dirigenti mostrano consapevolezza della posta in gioco. Marchionne ha sorpreso tutti, con la decisione nella della sua sfida. Quattro sindacati su cinque non dico che abbiano stappato, nè che ballino per la gioia, ma l’hanno capito.  La sinistra continua a sorprendermi. Il “sì, ma” è la peggior posizione, testimonia solo di essere senza una linea vera. Al rimorchio di avvenimenti creati da altri, in primis dal mondo  e dai suoi mercati.

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Pd e nucleare. Qualcuno batte un colpo /2010/05/11/pd-e-nucleare-qualcuno-batte-un-colpo/ /2010/05/11/pd-e-nucleare-qualcuno-batte-un-colpo/#comments Tue, 11 May 2010 08:15:28 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5972 UPDATE: Il dibattito si allarga dentro il Pd. Il sito del Sole 24 Ore sente, su posizioni diverse, il responsabile energia del Pd, Federico Testa, e gli “ecodem”, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.

UPDATE 2: Qui la risposta evasiva di Bersani. Il segretario dice cose in parte condivisibili, nel criticare il piano del governo. Ma la lettera dei 73 non era a proposito di questo: riguardava l’opposizione preconcetta al nucleare. Con la sua replica, Bersani non fa altro che alimentare che l’opposizione del Pd non riguardi il progetto dell’esecutivo, le sue specificità, ma, appunto, il nucleare di per sé. Almeno gli “ecodem” hanno le palle di dirlo chiaro e tondo.

Il Riformista di oggi apre con la notizia di una lettera inviata da una settantina di intellettuali e politici, più o meno di sinistra, che scrivono al segretario del Pd, Pierluigi Bersani, una lettera dai contenuti molto chiari e molto condivisibili: il no al nucleare, senza se e senza ma, non trova riscontro nella storia della sinistra in questo paese, nella logica, nell’ambiente. Tra i firmatari, Umberto Veronesi, Margherita Hack, Enrico Morando, Gilberto Corbellini, Chicco Testa, Umberto Minopoli, e molti altri.

Il senso della lettera si riassume nella conclusione:

Riterremmo innaturale e incomprensibile ogni chiusura preventiva su un tema che riguarda scelte strategiche di politica energetica, innovazione tecnologica e sviluppo industriale così critiche e con impatto di così lungo termine per il nostro paese.

La maggior parte dei firmatari non sostiene queste tesi per la prima volta. Anzi, le ha affermate con forza in vari momenti e in diverse sedi. Per la prima volta, però, vediamo emergere lo scontento e il disappunto di una fetta importante del mondo che guarda al Pd, e che chiede al partito di smetterla con posizioni approssimative e populiste. In qualche modo, l’elezione di Bersani rispondeva anche a questa esigenza: consentire al Pd di darsi una struttura e un programma più solidi, in modo da esprimere posizioni che non siano, semplicemente, il percolato di quello che i sondaggi dicono essere l’opinione pubblica. Il nucleare è una questione troppo importante e troppo complessa per liquidarla in uno slogan. Condannarsi a un “no” pregiudiziale, per il principale partito dell’opposizione che aspira a essere principale partito di governo, significa marginalizzarsi, rinunciare alla possibilità di influire sui modi e i tempi (e Dio solo sa quanto avremmo bisogno di un confronto di merito tra centrodestra e centrosinistra).

Di fronte a una domanda tanto pressante, con firme tanto numerose e tanto autorevoli, Bersani non può sottrarsi. Aspettiamo, tutti, una risposta.

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A proposito di acqua e servizi pubblici locali. Di Federico Testa /2010/04/24/a-proposito-di-acqua-e-servizi-pubblici-locali-di-federico-testa/ /2010/04/24/a-proposito-di-acqua-e-servizi-pubblici-locali-di-federico-testa/#comments Sat, 24 Apr 2010 08:22:02 +0000 Guest /?p=5750 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Federico Testa, economista e deputato Pd. In risposta ai dubbi avanzati ieri da Carlo Stagnaro, Testa esprime le ragioni di perplessità sul decreto Ronchi.

Il tema dei servizi pubblici locali è certamente complesso, lo dimostrano anche i tentativi di intervenire fatti nel passato e non sempre riusciti. Quando si parla di servizi pubblici locali si parla di servizi che vanno a soddisfare bisogni fondamentali della collettività, pertanto è importante, da un lato, lavorare per un approccio organico -e l’articolo inserito in un decreto-legge che parla d’altro non rappresenta certamente un approccio organico- ma è anche importante capire cosa si mette al centro.


Io credo che, se si vuole affrontare correttamente questo tema, al centro sia doveroso mettere il cittadino e il suo diritto ad avere servizi di buona qualità ad un prezzo corretto, il minimo possibile.

Da questo punto di vista, quando si ragiona di questo tema, il primo punto su cui bisogna confrontarsi  è sempre quello privatizzazione-liberalizzazione, perché la teoria ci dice che bisogna prima liberalizzare e poi privatizzare, altrimenti  si corre il rischio o di trasferire una rendita di monopolio dal pubblico al privato.

In questo senso, quello che a me pare manchi nel recente decreto legge su cui il Governo ha posto la fiducia, sono interventi seri proprio sul fronte delle liberalizzazioni. Ma cosa non ha funzionato nelle liberalizzazioni in Italia? Non ha funzionato, ad esempio, tutto il tema delle gare: molto spesso abbiamo a che fare con gare che sono assolutamente non vere e ciò dipende anche dal fatto che i soggetti che sono chiamati a bandire le gare, da un lato, non hanno le competenze per poterlo fare, dall’altro, molto spesso sono in palese conflitto di interessi rispetto chi si aggiudicherà la gara stessa.

Inoltre, vi è la questione dell’autorità di regolazione, nel senso che la concorrenza perfetta non è uno stato naturale del mercato; le imprese vanno alla ricerca di un vantaggio competitivo nei confronti delle altre, e quindi là dove lo si ritenga opportuno, bisogna realizzare interventi affinché la concorrenza venga mantenuta.

Il Governo, con il recente provvedimento, ragiona al contrario, ossia pone vincoli molto rigidi in tema di privatizzazione, e quindi l’effetto che si ottiene pare essere prevalentemente quello, diciamo così, di “spartire” la rendita di monopolio del pubblico con qualche privato, il tutto senza alcun vantaggio certo e chiaro per i cittadini e per i consumatori. Questo è reso evidente dal fatto che le concessioni in house vanno a scadenza purché nel soggetto pubblico che ne è titolare entri il privato almeno per il 40 per cento. Quindi, in questo modo, invece di stabilire di bandire una gara, visto che si tratta di una concessione in house e che magari chi ha vinto la gara poteva non essere il soggetto che dava la migliore qualità e il miglior prezzo ai cittadini, si prevede di fare entrare un privato e questo, di per sé, sana la questione.

L’approccio al tema, invece, dovrebbe essere profondamente diverso: occorre mettere al centro i consumatori sapendo che si deve tra l’altro affrontare –in tema di ciclo idrico- una questione delicatissima, che è quella degli investimenti che bisogna effettuare nel nostro Paese, in quanto il dato di oltre il 35 per cento di perdite degli acquedotti in Italia è purtroppo realistico.

Occorre, dunque, fare investimenti e che questi siano finanziati: sia che li faccia il pubblico, sia che li faccia il privato, gli investimenti devono avere una sostenibilità finanziaria. Se il finanziamento è a carico della fiscalità generale, dobbiamo avere il coraggio di andare a dire che la fiscalità generale probabilmente deve crescere o diventare più efficiente per finanziare gli investimenti nell’acqua; se gli investimenti devono essere finanziati dal settore stesso, dobbiamo sapere che probabilmente le tariffe sono destinate a crescere perché si dovrà investire parecchio, o che bisognerà riuscire a recuperare, attraverso gli interventi regolatori, importanti spazi di efficienza e produttività.

Quindi, l’autorità indipendente di garanzia –che il provvedimento del governo non prevede- è importante proprio perché, nel momento in cui si vanno a chiedere maggiori risorse ai cittadini per finanziare gli investimenti, è fondamentale che tali maggiori risorse vadano alla destinazione richiesta e non vadano, invece, a costituire profitto o sprechi.

Da questo punto di vista, forse, la scelta migliore era quella di non perseguire un approccio ideologico qual è quello che, a mio modo di vedere, si è voluto assumere ma, invece, di mettere correttamente in competizione pubblico e privato allo scopo di garantire la qualità e il servizio migliore ai cittadini.

In questo senso credo che, un’altra volta, si sia persa un’occasione importante per intervenire in un settore che, proprio perché riguarda i bisogni fondamentali dei cittadini, è assolutamente importante e rilevante per tutti noi.

(Pubblicato per la prima volta su Management delle utilities, vol.8, no.1, 2010, pp.97-98).

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Acqua. Mr Pierluigi ma anche, e sempre più, Dr Bersani /2010/04/23/acqua-mr-pierluigi-ma-anche-e-sempre-piu-dr-bersani/ /2010/04/23/acqua-mr-pierluigi-ma-anche-e-sempre-piu-dr-bersani/#comments Fri, 23 Apr 2010 18:06:03 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5748 Comincia domani la guerra dell’acqua. Il comitato “Acqua bene comune” avvia la raccolta delle firme per tre quesiti referendari, per l’abrogazione dell’art.23 bis del “decreto Ronchi” e delle altre norme il cui combinato disposto produce l’attuale (insoddisfacente) assetto di parziale liberalizzazione. La battaglia populisticamente, e scorrettamente, intitolata all’acqua pubblica – populisticamente e scorrettamente perché non c’è un rigo, nelle norme, che “privatizzi” l’acqua - ha trovato, fin da subito, il sostegno (esplicito e forte) dell’Italia dei Valori, e quello (implicito e paraculesco) della Lega. Da ieri, il Partito democratico si è, più o meno, aggregato alla carovana.

Dico “più o meno” perché, pur avversando il decreto Ronchi in merito alla “privatizzazione” dell’acqua, durante l’apposita conferenza stampa il segretario, Pierluigi Bersani, ha parlato di tutelare la proprietà pubblica della risorsa idrica e il “ruolo fondamentale delle regioni e degli enti locali nelle scelte di affidamento del servizio idrico integrato” (così si legge nella nota distribuita alla stampa). Tradotto in italiano corrente: il Pd difende lo status quo. Il colpo al cerchio: il Pd raccoglierà le firme su una proposta di legge di iniziativa popolare. Il colpo alla botte: il Pd non raccoglierà le firme per il referendum. (Ma, verosimilmente, lo appoggerà nel caso in cui vada in porto).

Ora, c’è un che di stupefacente in tutto questo. Quello che meraviglia non è tanto l’incapacità per il Pd di ammettere (capire, lo capiscono) che il decreto Ronchi, pur non essendo in alcun modo perfetto, è il migliore dei mondi politicamente possibili. Non meraviglia neppure che, dentro il Pd, vi siano voci simili a quelle che si sentono comunemente provenire dalle parti della sinistra massimalista: qualche dissonanza c’è sempre stata. Quel che lascia a bocca aperta è che, di tutti i democratici, sia proprio Bersani a impugnare lo scettro dell’acqua pubblica. Stupisce perché, come riconosce un critico intellettualmente onesto quale Giuseppe Altamore, non c’è tutta queste differenza tra il decreto Ronchi e il mitico, e affossato dalle opposizioni interne, ddl Lanzillotta (in realtà l’acqua era stata esclusa, ma il ministro Lanzillotta disse a più riprese che aveva subito una forzatura, e poté contare, tra l’altro, sul soccorso dell’Antitrust). Non risulta che, all’epoca, Bersani si sia opposto agli sforzi di Lanzillotta. Risulta, dalla cronaca e dall’anedottica, il contrario: che Mr Pierluigi, che cesellò attorno sé l’epica del liberalizzatore coraggioso, si sia battuto per ottenere quello che poi non avvenne.

Stupisce e delude, allora, assistere oggi al “contrordine compagni” del Dr Bersani, che non sa trovare un modo migliore di interpretare il proprio ruolo se non quello di cedere agli istinti più belluini del suo partito. E sì che questa sarebbe una splendida occasione per dimostrare la maturità del Pd, a fronte dello spettacolo che il Pdl sta offrendo al paese. Sic transit gloria, si fa per dire, mundi.

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Nucleare: Bersa-nì /2010/03/06/nucleare-bersa-ni/ /2010/03/06/nucleare-bersa-ni/#comments Sat, 06 Mar 2010 14:18:02 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5313 Il Pd è favorevole o contrario al nucleare? O, meglio, è favorevole o contrario alla possibilità per le imprese elettriche operanti nel paese di tornare a investire in questa tecnologia? E, quindi, rispetto alla strategia governativa conduce una opposizione senza se e senza ma, oppure la sua è una critica costruttiva per correggere le eventuali storture? Apparentemente – se almeno si giudica dagli atti parlamentari – il Pd non è contrario a priori. Se invece si giudica in base alla percezione pubblica delle posizioni del principale partito d’opposizione è vero il contrario. Finalmente, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, intervistato sul Secolo XIX da Luigi Leone, esprime in modo chiaro la posizione del Pd. Forse. Più o meno. Grosso modo.

La domanda è chiarissima: “E il nucleare?” (prima di leggere la risposta, bisogna tener conto del fatto che a Genova hanno sede Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, eredi di quel che resta delle competenze tecniche del nostro paese, e che il capoluogo ligure si è candidato - per voce della sindaco democratica, Marta Vincenzi – a ospitare l’Agenzia di sicurezza nucleare). Ecco, testualmente, le parole di Bersani:

Un’azienda come l’Ansaldo avrebbe solo da guadagnare se facessimo le cose che dobbiamo, come il “decommissioning” (lo smantellamento delle vecchie centrali, ndr). Invece questo percorso è stato abbandonato, con un piano portato avanti dal ministro Claudio Scajola che è velleitario e irrealizzabile. Tanto per dire: si può parlare di nucleare senza aver previsto siti di superficie per le scorie e con procedure che escludono sostanzialmente le responsabilità dei territori? Noi siamo disponibili a ragionare, ma su cose concrete.

Ora, cosa ha detto Bersani? Assolutamente nulla. Ha pacchianamente sviato la questione. Per certi versi ha ragione: senza un percorso chiaro per lo smaltimento delle scorie, nessuno si sogna di rischiare. L’iter autorizzativo delineato nel decreto del Mse è discutibile. Tutte queste cose, e altre, le spiega benissimo Diego Menegon in questo Focus dell’IBL. Ma tutto ciò c’entra solo marginalmente con l’oggetto della discussione parlamentare di oggi, che non riguarda la realizzazione di centrali nucleari – e dunque l’effettivo ritorno all’atomo – ma la costruzione della cornice di norme e regole che rendano possibile tale sviluppo – e dunque stiamo parlando di uno dei tanti tasselli relativi al ritorno potenziale all’atomo.

Un partito serio – come senza dubbio aspira a essere il Pd – non può permettersi ambiguità su questi temi. Deve saper dire se è favorevole o contrario all’opzione nucleare (che è cosa enormemente diversa dall’essere favorevoli o contrari al decreto del governo, o favorevoli o contrari a uno specifico progetto). Dalla risposta che si fornisce a questa domanda, discende poi logicamente il tipo di approccio, sia nella comunicazione sia nell’azione parlamentare e nell’elaborazione di progetti di legge, verso la maggioranza e i suoi tentativi. Voglio essere chiaro: si può benissimo essere favorevoli all’opzione nucleare e contrari al modo in cui il governo sta tentando di declinarla. O si può essere serenamente contrari. Ma non si può nascondersi dietro questioni specifiche per evitare il cuore del problema, perché da un lato è un tema troppo importante e di troppo ampia dimensione per essere dribblato, dall’altro perché un “nì” equivale, agli effetti pratici, a un “no”. Una centrale costa troppi soldi e troppo tempo perché qualcuno investa in presenza della percezione di un forte rischio politico. Il niet del principale partito d’opposizione sortisce esattamente questo fatto. Quindi, nicchiare è un modo ipocrita di essere contrari.

Bersani, che ha le palle, le mostri e prenda una decisione. Farebbe un favore a sé, al suo partito, al mercato e a tutti i cittadini che prendono il nucleare sul serio (favorevoli o contrari che siano).

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