CHICAGO BLOG » ospedali http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Le regioni in rosso dovranno aumentare le tasse. E chiudere, finalmente, gli ospedali inutili /2010/05/14/le-regioni-in-rosso-dovranno-aumentare-le-tasse-e-chiudere-finalmente-gli-ospedali-inutili/ /2010/05/14/le-regioni-in-rosso-dovranno-aumentare-le-tasse-e-chiudere-finalmente-gli-ospedali-inutili/#comments Fri, 14 May 2010 17:05:17 +0000 Giordano Masini /?p=5991 La notizia che quattro regioni (Lazio, Campania, Calabria e Molise) non riceveranno più i fondi del FAS per ripianare i conti in rosso del proprio sistema sanitario è una buona notizia. Anche se questo significherà necessariamente più tasse (anche per il sottoscritto, ahimé, che risiede nel Lazio nonostante pochi chilometri lo separino da due regioni “virtuose” come Umbria e Toscana).

E’ prevedibile il coro di proteste che si leverà, e si può star certi che in qualche caso si troveranno delle formule per aggirare il niet del ministero. D’altronde il fatto che le amministrazioni in questione si siano appena insediate non può costituire un alibi. I nuovi governatori hanno avuto successo proprio promettendo di mettere fine agli sprechi e risanare i bilanci della sanità. Cominciando quest’opera senza seguire le orme dei predecessori potranno dimostrare la bontà delle loro intenzioni. Quindi, se non vorranno inaugurare il loro mandato mettendo mano al portafogli dei loro elettori, o se vorranno farlo per il tempo più breve possibile, dovranno mettere mano alle forbici, e cominciare a usarle.

Dovranno cominciare a chiudere le strutture inutili come i piccoli ospedali. Come il mio beneamato ospedale di Acquapendente, in provincia di Viterbo, recentemente salvato dall’amministrazione regionale uscente grazie a un provvedimento ad hoc che lo ha trasformato in ospedale montano (“Hanno portato l’ospedale in montagna”, scherzavano in paese).

I piccoli ospedali fanno lievitare i costi del servizio “sanità”, ne peggiorano decisamente la qualità, ma nonostante questo rendono per altre ragioni. In un paese come Acquapendente, infatti, l’ospedale ha creato un indotto di servizi collegati, come mense, catering, fornitori e badanti, oltre ad offrire posti di lavoro stabili per una gran quantità di persone. Per questa ragione, quando si cominciò a ventilare l’ipotesi della sua chiusura, tutte le forze politiche locali, da destra a sinistra, fecero muro.

Eppure i cittadini già evitano, se possono, di servirsene: per arrivare a Orvieto ci vuole meno di mezz’ora di macchina, per le cose serie c’è Viterbo o Siena, e anche prima di andare al pronto soccorso è meglio sapere chi è il medico di turno. Per non parlare del fatto che si viene ricoverati anche per una stupidaggine, probabilmente per poter dimostrare, alla resa dei conti, un numero di degenze sufficiente a giustificare l’esistenza in vita dell’ospedale. In qualche caso, poi, l’aver sostato del tempo al pronto soccorso di Acquapendente, magari in attesa del radiologo reperibile, prima di essere trasferiti in una struttura più adeguata, ha messo a repentaglio la vita dei pazienti.

Il problema è che Orvieto e Siena sono fuori regione, e se le persone si servono di quelle strutture diventano automaticamente un costo per la Regione Lazio. Ma, ovviamente, ai cittadini importa poco dove si curano, ciò che importa loro è di usufruire di un servizio decente, come dimostra il caso calabrese, dove chi se lo può permettere vola a curarsi addirittura a Milano.

Stiamo imparando in questi giorni, su scala maggiore, cosa significa curare il debito con altro debito, e dove si va a finire. Spostare il deficit dal bilancio regionale a quello nazionale attraverso fondi che servono semplicemente da salvagente per chi non ha voluto imparare a nuotare cronicizza il problema, ed è molto più costoso per i contribuenti di una addizionale regionale.

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Tutto il potere ai medici? /2009/12/22/tutto-il-potere-ai-medici/ /2009/12/22/tutto-il-potere-ai-medici/#comments Tue, 22 Dec 2009 14:48:28 +0000 Alberto Mingardi /?p=4392 La Voce.info sforna da alcuni giorni delle “ricette” per uscire dalla crisi. Uno dei più acuti economisti italiani, Pietro Garibaldi, giostra la sua sulla necessità di “ridurre il potere dei signori della sanità”.
Il contesto in cui l’articolo di Garibaldi si situa è quello dei numerosi “scandali” scoppiati nel tempo nel mondo della salute, particolarmente rispetto all’interazione pubblico-privato. Ora, su un punto bisogna esser chiari. Il sistema misto, privato-pubblico, in Italia è patrimonio essenzialmente della Regione Lombardia. La componente privata può essere importante anche in altre Regioni, ma svolge un ruolo quasi ovunque “residuale”.
In Lombardia, invece, l’ospedale privato è ospedale a tutti gli effetti: con eccellenze assolute nell’ortopedia o nella cardiochirurgia, specialità che richiedono importanti investimenti, e con l’impegno in attività tradizionalmente  riservate agli ospedali pubblici come l’urgenza-emergenza e la rianimazione
Ci sono dei problemi con l’attuale sistema che consente l’accreditamento dei privati per svolgere funzioni di sanità pubblica? Certamente. Il primo e più vistoso problema sta a monte, nella logica sottesa al sistema degli accreditamenti, che è inevitabilmente politicizzata e discrezionale.
Garibaldi si focalizza invece sulla necessità di ridurre “lo strapotere dei pochi signori delle case di cure”, partendo dalla constatazione (indubbiamente corretta) che i grandi gruppi della sanità sono relativamente concentrati, e che avere un gruppo di dimensione “importante” rispetto al sistema sanitario in cui si opera (quindi, di norma, rispetto a una/ due regioni) conferisce una “leva” politica.
La sua proposta allora è quella di

di riconoscere il rimborso delle operazioni chirurgiche effettuate direttamente ai medici piuttosto che alle case di cure. In altre parole le unità da accreditare per le operazioni dovrebbero essere i medici e non più le case di cura. In un sistema di questo tipo, diversi medici potrebbero scegliere tra diverse strutture, in modo da ridurre il potere oligopolistico dei manager privati della sanità. Lo Stato, le Regioni e il Ministero del Welfare dovrebbero comunque controllare che gli standard qualitativi e igienici in ciascuna struttura privata siano rispettati. Infine, sarebbe comunque necessario controllare, almeno in via campionaria, che gli interventi chirurgici richiesti dai singoli medici siano davvero necessari.

Ma è davvero possibile “disintermediare” gli ospedali? Le aziende sanitarie possono essere considerate alla stregua di una rete? La competizione nella sanità può essere una “concorrenza per il mercato” di demsetziana memoria?
Non credo. La professione medica ha esigenze particolari. Deve essere preservata da una certa tendenza alla burocratizzazione, in certa misura connaturata alle strutture dello Stato sociale. Deve essere garantita la liberà di cura, e la libertà di sperimentazione (consapevole ed approvata da parte del paziente). Però parliamo di un contesto già squilibrato, a tutto vantaggio del medico. Inoltre, il medico non è di norma un manager, non è detto che sappia gestire al meglio (banalmente) le relazioni col resto del personale, e vi sono economie di scala e di scopo che vengono sfruttate proprio dagli ospedali (pensate solo all’acquisto dei macchinari). Immaginare operazioni complesse che vengono “rimborsate” al singolo medico, il quale “affitta” le attrezzature opportune dall’ospedale, è invero curioso. Si tratterebbe di portare le logiche dell’attività extra moenia all’interno delle strutture ospedaliere. Ma con quali costi? E generando quali conflitti d’interesse? E soprattutto, eliminando l’impresa dalla sanità (riducendo il tutto a libera professione), che ne sarebbe dell’innovazione e dei forti investimenti strutturali che essa richiede? Proprio questo è un settore nel quale abbiamo tutti un evidenze interesse che l’aggiornamento tecnologico delle strutture sia il massimo.
Infine, ma più importante di tutto, è che per fare oggi al meglio un singolo atto medico, come un intervento chirurgico, serve il lavoro contemporaneo di decine di specialisti presenti contemporaneamente e affiatati fra loro. E questo solo un ospedale può assicurarlo.
Inoltre, è tutto da vedere che l’interesse dei medici sia meno concentrato di quello degli imprenditori della sanità, o che abbiano meno forza lobbistica nei confronti della politica. Già oggi la professione è una lobby formidabile (banalmente, pensate al numero chiuso. Dal 1990, il numero dei medici è aumentato in tutti i Paesi OCSE, tranne l’Italia).
Credo che a Pietro Garibaldi (che non ha nessuna tentazione “passatista”: giustamente scrive “il sistema del futuro dovrà necessariamente basarsi su un misto pubblico e privato”) vada riconosciuto il coraggio di aver posto un tema che molti altri, sulla Voce e altrove, preferiscono ignorare. Ma sarebbe sbagliato, visto il mix sanitario italiano, concentrarsi sulle storture dei privati. Che vanno risolte (attraverso un regolatore indipendente o, meglio, inserendo una intercapedine assicurativa fra finanziamento del sistema ed erogazione dei servizi). Ma che sono ben poca cosa rispetto alle storture del pubblico. Più trasparenza, a cominciare dai bilanci, sarebbe un inizio per diventare tutti più consapevoli di quanto spendiamo, nella sanità.

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