CHICAGO BLOG » nimby http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 19:45:09 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Chi il rigassificatore ferisce, di inedia perisce… /2010/12/20/chi-il-rigassificatore-ferisce-di-inedia-perisce%e2%80%a6/ /2010/12/20/chi-il-rigassificatore-ferisce-di-inedia-perisce%e2%80%a6/#comments Mon, 20 Dec 2010 22:44:59 +0000 Luciano Lavecchia /?p=7874 di Carlo Stagnaro e Luciano Lavecchia

Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso del Comune di Agrigento contro il progetto del Rigassificatore di Porto Empedocle, un progetto che risale a 6 anni fa, che prevede una capacità di 8 mld di m3, e investimenti per 650 mln. Il rigassificatore peraltro insiste sul territorio di comune diverso da Agrigento, Porto Empedocle, favorevole all’iniziativa, insieme al Ministero dell’Ambiente e la Regione Siciliana. Il sindaco di Agrigento, supportato da organizzazioni ambientaliste assortite e dalla consueta carovana del “no”, lamenta il mancato coinvolgimento nella Conferenza dei Servizi della sua Amministrazione. Insomma, più che un esempio di NIMBY (not-in-my-backyard) siamo davanti ad un caso di BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything), ove un’opera infrastrutturale di respiro nazionale (il gas costituisce il 38% dell’energia primaria consumata in Italia nel 2009), con tempi di approvazione biblici (sei anni!), riceve l’autorizzazione (la Valutazione d’Impatto Ambientale – VIA) dagli enti locali coinvolti, ma viene bloccata per le bizze di un Comune vicino. A color che opporranno che Agrigento è effettivamente prossima a Porto Empedocle, e che un rigassificatore è un impianto che coinvolge un’area ampia, rispondiamo che se ogni opera infrastrutturale deve richiedere il parere di ogni stakeholder, e del vicino di ogni stakeholder, e del vicino del vicino, e di suo cugino e degli amici del cugino, si capisce perché questo paese è 157 nella categoria “enforcing contracts” (su 183 paesi) della Survey Doing Business della World Bank (per il 2011). Va da sé che, considerando i tempi geologici, c’erano tutte le possibilità per ascoltare, senza avere necessari mante il sindaco presente, gli interessi dei cittadini di Agrigento (e anche quelli di Palermo, Catania, Napoli, Roma, Milano e Londra, già che ci siamo..) Al danno (per il Paese) la beffa (per il territorio): oltre alle ricadute occupazionali (500 operai previsti a regime), ENEL – titolare dell’investimento – prevedeva opere compensative per 50 mln di euro, fra le quali un nuovo molo per navi da crociera, riqualificazione dell’illuminazione della Valle dei Templi e disponibilità gratuita di acqua potabile ed industriale per tutto il territorio agrigentino (un’area dove al 2011 vi sono ancora comuni che ricevono l’acqua ogni 4 giorni! – ne abbiamo già parlato e ne parleremo ancora) e royalties annue da 2 mln per il Comune e 2,5 per la Regione. Insomma, ricadute più che positive per una Regione in affanno. Eppure, davanti al rispetto per i sacri confini della Patria e l’ambiente, nulla regge, niente può corrompere le candide anime dei nuovi luddisti. Oltretutto la Sicilia non è nuova nell’opposizione ai rigassificatori, come nel caso del progetto di Priolo-Melilli ove è in atto un duro scontro fra la Confindustria locale e la Regione Siciliana. Porto Empedocle sembrava fino ad ora immune da questi problemi (esiste un vasto comitato favorevole e persino lo scrittore Andrea Camilleri, noto per le sue posizioni contro il Ponte sullo Stretto). ENEL ha annunciato ricorso davanti al Consiglio di Stato, ultima speranza per il progetto. La vicenda suscita due riflessioni, entrambe deprimenti. La prima dovrebbe deprimere i consumatori elettrici. E’ ragionevole aspettarsi che, se e quando il terminale entrerà in funzione, sarà alimentato da gas nigeriano. Lo stesso gas che avrebbe dovuto rifornire un terminale – mai realizzato e sempre per opposizioni pregiudiziali – a Monfalcone. Quel gas, garantito da un contratto di lungo termine tra l’azienda di Viale Regina Margherita e il paese africano, raggiunge oggi la Francia grazie a uno swap con Gaz de France, non senza aver prima originato penali che ancora oggi gli italiani pagano in bolletta perché, ai tempi della liberalizzazione, l’extracosto dovuto all’investimento mai realizzato venne riconosciuto come straded. Così, i consumatori sborsano ogni anno più di 100 milioni di euro, e grazie alla sortita del comune di Agrigento continueranno a pagarli. La seconda questione, più generale, riguarda la natura e l’effetto della giustizia amministrativa. Nessuno di noi è un giurista, ma ci pare ovvio che il senso del diritto amministrativo sia quello di garantire il rispetto delle forme e delle procedure, non quello di offrire alle pubbliche amministrazioni l’occasione per dire la propria sempre e comunque, anche fuori tempo massimo. Il comune di Agrigento, se riteneva di dover essere coinvolto, avrebbe dovuto alzare la voce durante la conferenza dei servizi, non ora che i giochi sono fatti. Tanto più che il suo territorio è toccato dall’opera solo indirettamente, perché attraversato dal tratto di gasdotto che dovrebbe allacciare il rigassificatore alla rete nazionale e che, peraltro, è di competenza Snam, non Enel. Insomma: comunque la si guardi, siamo di fronte all’ennesimo caso studio su come spaventare gli investitori, scacciare gli investimenti, e perpetuare la stagnazione economica. Una cosa sola ci resta da fare: protestiamo, protestiamo, protestiamo!

di Carlo Stagnaro e Luciano Lavecchia

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Nucleare e informazione. Di Giovanni Galgano /2010/03/15/nucleare-e-informazione-di-giovanni-galgano/ /2010/03/15/nucleare-e-informazione-di-giovanni-galgano/#comments Mon, 15 Mar 2010 09:04:54 +0000 Guest /?p=5393 Riceviamo da Giovanni Galgano e volentieri pubblichiamo.

Il “ritorno” al nucleare, punto fermo della strategia energetica del governo italiano, sta causando crescenti tensioni tra differenti apparati dello Stato, motivate perlopiù dalle solite difficoltà di interpretazione legate alla concorrenza tra Stato e Regioni in materia energetica. Ben 12 Regioni hanno ricorso alla Corte Costituzionale contro la Legge 99/2009 che statuisce in materia di energia nucleare e di fatto spiana la strada all’atomo italico. Puglia, Basilicata e Campania hanno promulgato una legge regionale in cui escludono e impediscono la realizzazione di centrali nucleari sui loro territori e il Governo ha impugnato di fronte alla Corte Costituzionale tali leggi, eccependone la competenza sulla materia. A metà febbraio 2010 il Governo ha emanato il Decreto legislativo che disciplina la localizzazione, la realizzazione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, gli impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, i sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché le misure compensative e campagne informative al pubblico.

 L’Osservatorio Nimby Forum®, che monitora e studia i casi di “sindrome Nimby” in Italia e che recentemente ha presentato il suo ultimo rapporto, ha messo sotto la sua lente nel 2009 una serie di focolai di protesta in quei territori ove si è soltanto “parlato” di localizzare le nuove centrali. Il mero diffondersi di voci – molto spesso infondate – sulla presunta localizzazione di impianti di produzione di energia nucleare ha generato una ridda di prese di posizione contrarie ai presunti nuovi insediamenti, a prescindere dalla veridicità dell’informazione, in un momento storico nel quale il Governo non aveva ancora reso noto (e ancora mentre scriviamo non lo ha fatto) le località che saranno considerate per l’insediamento dei siti.

L’Osservatorio ha rilevato ben 22 casi di opposizione a mere ipotesi di localizzazione di impianti nucleari (qualcuna per la verità abbastanza fondata, affermano gli esperti) di fronte ad un piano complessivo di sviluppo a lungo termine che si incentra sulla realizzazione di un numero totale di centrali certamente di gran lunga inferiore.

Si tratta di casi che hanno avuto un ampio riscontro mediatico in assenza di notizie certe, basate per lo più su indiscrezioni di stampa e su voci non ufficiali. Una sorta di Nimby virtuale, sul quale aleggia, a nostro giudizio, una diffusa mancanza di consapevolezza sui temi del nucleare: di fatto sussiste un enorme deficit di conoscenza da parte dell’opinione pubblica in merito agli aspetti ambientali, economici e di safety che oggi  la tecnologia nucleare gioca sul grande tavolo energetico mondiale.

Se il Governo ha deciso di perseguire un “new deal” energetico italiano, questo non può prescindere da un corretto e trasparente dialogo con l’opinione pubblica e, successivamente, con le comunità che vivono nei territori che verranno ritenuti adatti ad accogliere una centrale nucleare.

Il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso febbraio che stabilisce le “linee-guida” e i criteri per il ritorno del nucleare rappresenta certamente un buon punto di partenza, soprattutto dove viene prevista “la partecipazione di regioni, enti locali e popolazioni sulle procedure autorizzative, sulla realizzazione, sull’esercizio e sulla disattivazione degli impianti nucleari, così come sulle misure di protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione e la salvaguardia dell’ambiente”. E buona norma ci pare anche l’art.22 dello stesso provvedimento, che  individua nel Comitato di confronto e trasparenza l’organismo territoriale che dovrà gestire la partecipazione alle procedure da parte di enti e cittadini.

Tuttavia è opportuno evidenziare le differenze tecniche che sussistono tra le azioni di comunicazione al territorio e quelle di informazione, sulle quali potrebbe essere determinante l’apporto di esperti massmediologi, sociologi, studiosi dei mass media. Il ritorno al nucleare non passerà soltanto da un “convincimento dialogato” con le comunità interessate dagli impianti. Sarà decisiva un’azione di informazione più generale, rivolta a tutti gli strati della popolazione che rappresenti in modo oggettivo, scientifico, con un’azione scevra da approcci ideologici, la realtà dell’energia nucleare oggi nel mondo, e ne svisceri vantaggi e svantaggi, eccellenze e difficoltà, in modo da consentire a chiunque voglia farsi un’idea sul tema di avere a disposizione tutti gli elementi per decidere da che parte stare.

L’Osservatorio Nimby Forum®, preso atto della volontà politica di sviluppare l’energia nucleare nel nostro Paese, sta portando a conoscenza del Parlamento e delle Istituzioni – attraverso anche audizioni alle Commissioni competenti di Camera e Senato – una proposta di affiancamento operativo allo schema predisposto dalle norme che disciplinano il piano nucleare italiano.

Tra le varie attività che Aris – Agenzia di Ricerche Informazione e Società che gestisce l’Osservatorio – propone di realizzare spicca l’istituzione del Forum sull’Informazione e la Comunicazione in ambito di materie energetiche.

Il Forum, ispirato anche all’esperienza britannica dell’Energy Saving, organo terzo partecipato dai Ministeri interessati che ha gestito le procedure informative nel piano di comunicazione relativo all’esperienza nucleare in quel Paese, si configurerebbe come un organismo tecnico che possa affiancare l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare (istituita dalla legge n.99/2009, all’art.29) che, in base al decreto licenziato dal Governo il 10 febbraio 2010, dovrà occuparsi anche della “Campagna di informazione nazionale in materia di produzione di energia elettrica da fonte nucleare”.

Il Forum, nella visione di Aris, si dedicherebbe alla raccolta sistematica delle informazioni, delle notizie e dei temi che emergono nel dibattito pubblico e scientifico in materia di energia nucleare, all’organizzazione di un osservatorio sulla percezione dell’energia nucleare in Italia, con l’obiettivo di monitorare il grado di informazione e di conoscenza dei cittadini sui vari aspetti della materia.

Il Forum potrebbe ancora coadiuvare la nascente Agenzia per la Sicurezza Nucleare nella definizione delle Linee Guida della campagna di informazione in materia di produzione di energia nucleare, e realizzare e divulgare un Libro Bianco sull’Energia nucleare, che rappresenti la “summa” delle conoscenze scientifiche sugli aspetti tecnologici, tecnici, ambientali, di sicurezza, rese però fruibili da un pubblico ampio e dagli operatori della comunicazione. Lo scopo del Forum? Quello di sviluppare un dibattito laico e partecipato, scevro da posizioni ideologiche, tendente a garantire i cittadini e il loro diritto ad una corretta informazione.

L’organismo, snello ed efficiente che Aris si immagina vede la partecipazione, oltre che dei suoi esponenti, del Ministero dell’Ambiente, di quello dello Sviluppo Economico, della Conferenza Stato-Regioni, di istituti di studi e ricerche nel campo energetico ed economico, di rappresentanti delle aziende che realizzeranno materialmente i siti, di esperti e studiosi della comunicazione. 

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Dal Nimby al Nimto (Not in My Term of Office). Di Giovanni Galgano /2010/02/16/dal-nimby-al-nimto-not-in-my-term-of-office-di-giovanni-galgano/ /2010/02/16/dal-nimby-al-nimto-not-in-my-term-of-office-di-giovanni-galgano/#comments Tue, 16 Feb 2010 09:29:02 +0000 Guest /?p=5187 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Giovanni Galgano.

Prendi un progetto che, come altri analoghi in pista, potrebbe svincolare l’Italia dalla spada di Damocle dell’approvvigionamento rigido di gas naturale attraverso i gasdotti, rendendo il mercato più libero e più competitivo. Sulla carta da 6 anni, non si vede ancora all’orizzonte alcun segnale di avvio dei lavori.  ERG e Shell avrebbero in animo di realizzare un rigassificatore nell’area industriale di Priolo, a un tiro di schioppo da Siracusa, in una zona a forte vocazione industriale e che sta trasformandosi da polo petrolchimico tout court a centro di produzione energetica multiforme. Quello di Ionio gas (la joint venture di ERG e Shell) è il classico esempio di opposizione territoriale ad un’infrastruttura energetica, un caso in cui fenomeno “Nimby” e opportunismo politico si mescolano per dar vita ad un incredibile quadro di ritardi, decisioni attese  e mancate, conflitti tra forze politiche locali, ricorsi alla giustizia amministrativa e referendum popolari più o meno attendibili. Il caso del rigassificatore siracusano può rappresentare un’ esemplare sintesi di tutto quanto emerge dal quinto rapporto  prodotto dall’Osservatorio Nimby Forum, che monitora e studia i casi di contestazione e opposizione territoriale ad impianti e infrastrutture su tutto il territorio nazionale e che oggi viene presentato a Roma da Aris.

Un quadro, quello confezionato dai dati dell’Osservatorio, tutt’altro che esaltante: 283 opere e impianti censiti (e casi di contestazione in aumento del 7% rispetto al 2008), 152 nuove situazioni di contestazioni, ovvero fresche, nate nel 2009. E ancora, trasversalità piena della protesta: prevalenza del Nord, distribuzione delle “lotte” attraverso tutta la filiera politica e amministrativa e, naturalmente, coinvolgimento di ogni colore politico.

Indipendentemente dall’analisi dei singoli casi,  sembra che il fenomeno continui a diffondersi interessando indiscriminatamente infrastrutture, settore dei rifiuti, centrali per la produzione di energia elettrica, rigassificatori, elettrodotti, e con crescente intensità anche gli impianti a fonti rinnovabili come i parchi fotovoltaici, che per la prima volta rientrano tra le tipologie degli impianti contestati.

Ai casi di rilievo nazionali si affiancano con maggiore frequenza focolai di forte dissenso contro impianti di piccole dimensioni, situazioni di conflitto che, pur non arrivando all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, contribuiscono al rallentamento del sistema- Paese. A leggere  i dati del rapporto, è facile osservare come le proteste colpiscano gli impianti indipendentemente dal loro stato di avanzamento. I media riportano infatti notizie di proteste nei confronti di  ipotesi di progetto, di impianti in corso di autorizzazione o già autorizzati, ma anche di opere per cui è stata avviata la fase di cantierizzazione o già esistenti.

Il rapporto di Aris ci colpisce per un dato: si evince chiaramente che il fenomeno delle opposizioni territoriali  sta  mutando rapidamente, e, come un virus che trova nuove alchimie per diffondersi e colpire, si ciba sì delle contestazioni dei cittadini (l’elemento che ha fortemente caratterizzato le prime edizioni del Forum), ma sempre più viene alimentato da una pervicace politicizzazione:  insomma, il fenomeno Nimby (“Not in my back yard”) evolve verso un più moderno “ Not in My Term Of Office” (“non durante il mio mandato elettorale”).

Gli studiosi della materia ci dicono oggi due cose: la paralisi che attanaglia il Paese si deve fondamentalmente alla voglia dei cittadini di essere ascoltati e di influire sulle scelte del loro territorio, opportunità che però non viene incanalata in un sistema di dialogo e di partecipazione integrato e regolamentato; ma soprattutto ci dice che il fenomeno si è fortemente politicizzato, e che la protesta viene non solo cavalcata, ma spesso generata e guidata a fini elettorali e di consenso.

L’analisi approfondita di questi indicatori ha permesso agli studiosi di Aris di rilevare oltre a una sostanziale trasversalità politica delle contestazioni, anche l’esistenza di incongruenze tra soggetti appartenenti alla stessa compagine politica che si esprimono sul medesimo impianto. Scorrendo il rapporto del Nimby Forum, si registrano episodi in cui, per esempio, la posizione favorevole assunta dallo schieramento politico a livello di governo centrale o regionale contrasta con l’opposizione manifestata dallo stesso schieramento a livello comunale o provinciale. Come del resto è possibile rilevare una comunanza d’intenti tra schieramenti politici opposti che sono in carica a diversi livelli. Il crescente ruolo assunto dagli enti pubblici nel farsi portatori di istanze contrarie all’insediamento di impianti sul territorio di riferimento emerge anche dai dati sulle tipologie di contestazione. Se è vero che nel 40,7% dei casi i principali fautori delle contestazioni sono sempre soggetti riconducibili a movimenti di cittadini (comitati, associazioni culturali o altre organizzazioni che agiscono sui territori), d’altra parte si osserva che gli enti pubblici con il 31,4% occupano il secondo posto e precedono, con un distacco di circa 15 punti percentuali, i soggetti connotati politicamente che agiscono a livello locale, come gli esponenti dell’opposizione all’interno delle diverse Amministrazioni.

In buona sostanza:  si sta facendo poco o nulla per favorire una partecipazione ampia ma regolamentata dei cittadini alle scelte che influiscono pesantemente sui territori (basterebbe prendere spunto da quello che avviene in Francia o in Inghilterra, dove le comunità vengono coinvolte nel dibattito ma con tempi certi e con strumenti di partecipazione trasparenti e definitori); il caos burocratico e la legislazione concorrente tra Stato e Regioni non può generare altro che tensioni e conflitti, anche istituzionali, in una materia che necessiterebbe  come il pane di una seria pianificazione; ai confini dell’impero la lotta politica senza quartiere e i localismi bloccano senza alcun pudore investimenti per puro calcolo elettorale, anche verso opere che sembravano immuni e politically correct, come gli impianti fotovoltaici ed eolici.

E in questo scenario pensiamo davvero di assistere alla rivoluzione nucleare italiana? 

Giovanni Galgano, esperto di comunicazione e public affairs.

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Lo scansa-nucleare ai bordi della legittimità /2010/01/22/lo-scansa-nucleare-ai-bordi-della-legittimita/ /2010/01/22/lo-scansa-nucleare-ai-bordi-della-legittimita/#comments Fri, 22 Jan 2010 10:34:34 +0000 Diego Menegon /?p=4866 Le Regioni si affrettano a dire no al nucleare a casa propria. Chi con legge; chi con un ordine del giorno; chi con i famigerati piani energetico-ambientali regionali.
Mercoledì è stata la volta della Sicilia con un ordine del giorno approvato all’unanimità. Dopotutto la punta dello stivale mostra coerenza e fa perno sullo stesso punto da tempo. Poco importa se uno dei motivi per cui gli Italiani pagano bollette più care del resto d’Europa è rappresentato anche dagli alti prezzi dell’energia in Sicilia ed agli ostacoli posti in passato dalla regione e dagli enti locali allo sviluppo delle infrastrutture energetiche.Gli atti di indirizzo possono essere anche ignorati. Utili espedienti oggi in campagna elettorale, potranno essere dimenticati tra qualche mese. Più problematico un atto con forza di legge che si ponga di fatto in contrasto con la normativa nazionale. La stessa regione siciliana si appresta a votare un disegno di legge dove si stabilisce che “il territorio della Regione Sicilia è precluso all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattiva”.
Se gli appelli alla responsabilità, alla trasparenza ed un atteggiamento meno demagogico e irrazionale come quello rivolto nei giorni scorsi da Benedetto Della Vedova nei giorni scorsi non basteranno, saranno probabilmente le sentenze della Corte costituzionale a dirimere la vicenda.
Il testo dell’articolo 117 della Costituzione non è un esempio di limpida saggezza, annoverando l’energia tra le materie immerse nel confuso limbo della competenza concorrente. La scelta infelice ha dato luogo a un fiume di giudizi in via principale che oppongono Governo e regioni (si ricordino a tal proposito, le 11 regioni che hanno impugnato la delega sul nucleare dello scorso luglio).
Ma se in base al dettato costituzionale è la legge statale a dover fissare i principi quadro della disciplina sull’energia, difficilmente l’ammissibilità dell’opzione nucleare può dirsi una norma di dettaglio che può essere contraddetta dalle regioni e che ricade nella loro piena e libera disponibilità. La libertà di stabilimento su tutto il territorio nazionale di un’attività economica ammessa dallo stato è poi un principio che vede un valido appiglio normativo in altri punti della costituzione.
Da un esame dello schema di decreto presentato dal Governo, si evince come le regioni potranno partecipare in modo continuo alla politica nucleare e all’iter di autorizzazione degli impianti e del deposito nazionale. Il problema è semmai quello di concentrare in pochi momenti salienti un processo concertativo protratto in modo indefinito, ripetitivo e sfiancante.
Sarebbe auspicabile che le regioni, quando il 28 gennaio si riuniranno in conferenza unificata con gli enti locali  si occupassero più di migliorare il testo presentato da Governo, anziché attardarsi in preconcetti destinati ad esser spazzati via da una sentenza del giudice delle leggi.
Mettendo da parte derive Nimby e impeti propagandistici, si renderà un miglior servizio ai propri cittadini cercando di salvaguardare l’indipendenza dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, che oggi sembra destinata, unitamente agli operatori, a seguire in via subordinata le linee tracciate dalla strategia nucleare dettata dal Governo. Il momento tecnico della definizione dei criteri di individuazione delle aree idonee ad ospitare siti nucleari è, al pari delle scelte economiche di investimento degli operatori privati, un ambito che va preservato nella sua autonomia.

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Comprami fermo posta. Di Gabriele Masini e Antonio Sileo /2009/11/23/comprami-fermo-posta-di-gabriele-masini-e-antonio-sileo/ /2009/11/23/comprami-fermo-posta-di-gabriele-masini-e-antonio-sileo/#comments Mon, 23 Nov 2009 10:07:03 +0000 Guest /?p=3880 Riceviamo da Gabriele Masini e Antonio Sileo e volentieri pubblichiamo.

Se fosse capitato solo tra un mese si sarebbe potuto anche pensare a Scrivimi fermo posta (The Shop Around the Corner) di Ernst Lubitsch, con James Stewart e Margaret Sullivan, del ’40, capolavoro assoluto della commedia sofisticata americana: peccato che la sobrietà e il sense of humor che caratterizzano il film – ambientato a Budapest in prossimità del Natale – manchino del tutto.

Ma veniamo ai fatti: sul Corriere Economia, il dorso del Corriere della Sera, lunedì scorso è comparso, a pagina 16, un annuncio pubblicitario (mezza pagina, taglio basso): “SARDEGNA FOTOVOLTAICO. Cedesi società autorizzata alla realizzazione di impianto da 3 MW”, sotto un girasole con dentro dei pannelli fotovoltaici, niente altro. Per avere ulteriori informazioni l’indicazione è di scrivere a una casella postale Mail Boxes Etc., a Milano.

Si chiama compravendita di autorizzazioni ed è una delle “spine” che affliggono l’irruente adolescenza del settore delle rinnovabili, oggetto già da qualche tempo di attenzione da parte delle riviste di settore (ricordiamo, tra le altre, un’inchiesta condotta dalla Staffetta Quotidiana già nel 2007) oltre che da diversi esperti del settore.

E per le rinnovabili e tutto quello che ruota loro intorno non è certo un bel momento: dal progetto eolico di Is Arenas, proposto da una società di Lussemburgo con 10.000 euro di capitale, di cui si è parlato pure su Chicago-blog, all’arresto del “re” dell’eolico Oreste Vigorito o, ancora, per rimanere sempre al Sud, si potrebbe fare qualche esempio relativo alla Lucania, una volta terra di boschi e lupi, dove per lupi passano anche i proponenti di una centrale a biomasse da 14 MW (in fondo una grande stufa), che nulla comunicano alla sparuta popolazione presentandosi, anche qui, con una srl (del branco) da 10.000 euro.

Davvero spontanee e inevitabili nascono, quindi, le domande: è una strategia di comunicazione convincente, specie in relazione al fenomeno Nimby e alle compensazioni territoriali, quella che si basa sull’anonimato? E i margini delle rinnovabili sono abbastanza ampi da consentire la presenza di tanti intermediari che, nel caso del fotovoltaico citato sopra, acquistano anche spazi pubblicitari sul Corsera?

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Nucleare: consenso informato? Di Antonio Sileo /2009/07/13/nucleare-consenso-informato-di-antonio-sileo/ /2009/07/13/nucleare-consenso-informato-di-antonio-sileo/#comments Mon, 13 Jul 2009 16:01:08 +0000 Guest /?p=1527 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da parte di Antonio Sileo.

Vogliano perdonare i sempre più numerosi lettori l’incursione su queste colonne, su un tema, poi, di cui si parla (e si scrive) già tanto; ma energia nucleare (o atomica, come si diceva una volta) è proprio un argomentone: problema insolubile o soluzione ovvia a seconda dei punti di vista; come se la ripresa di una produzione elettronucleare fosse davvero dietro l’angolo. Forse si è già capito, ma voglio ribadire che sono abbastanza d’accordo con quanto ha qui scritto Carlo Stagnaro.
La produzione di energia da fonte elettronucleare è un percorso lungo, secolare, che proprio non si presta ad accelerazioni o strappi, anche se tantissimi dei proponenti hanno i capelli bianchi…

Vorrei, quindi, brevemente, soffermarmi sulla questione dell’indispensabile consenso, che tra l’altro mai come in questo caso, è difficile da misurare.
Un consenso a geometria variabile, che muta quando si passa da un’intenzione generica alla scelta della reale ubicazione della centrale (Roberto Benigni avrà certo occasione di rifare un suo vecchio sketch: Noi siamo d’accordissimo al Nucleare, non vogliamo mica rimanere indietro, ma se la centrale serve a Roma perché farla qui? Noi ci accontenteremmo anche di una succursale…).

Del resto, proprio la mancanza di consenso ha fatto sì che la trascorsa avventura nucleare italiana sia stata altalenante negli sviluppi, quasi fallimentare nei risultati e non scevra da colpi bassi e di teatro. Anche a prescindere dalla vicenda referendaria, ciò che ha fatto difetto ai vari livelli – istituzionale, politico, economico, industriale, civile, accademico, tecnico – è stata proprio l’assenza manifesta di un accordo multidimensionale, per la verità una merce in Italia comunque rara. Né a tal proposito basta un’intensa attività convegnistica (per tradizione un indotto certo, con o senza centrali).

Forse, visto che il cammino resta ostico e il sentiero si intravede soltanto, conviene procedere con circospezione. Non tanto, e per forza, lentamente, quanto con passi piccoli che dovrebbero ridurre le possibilità di sgambetti.

A tal proposito, gioverebbe rammentare come il novellato art. 117, comma 3, della Costituzione comprenda, nell’elenco delle materie di legislazione concorrente, anche quelle relative al sistema infrastrutturale in materia di produzione, trasporto e distribuzione(?) nazionale dell’energia nonché alla ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi.

La Corte costituzionale ha fornito nel tempo un’interpretazione dinamica di tale competenza concorrente (ex pluribus, le sentenze 303/2003, 6/2004, 62/2005), abbandonando l’idea di un riparto in senso rigidamente verticale, in favore di un sistema di relazioni Stato-Regioni costruito sulle cosiddette “intese” e sul principio della “leale collaborazione”. C’è il rischio, intrinseco alla materia, che talune scelte in tema di localizzazione degli impianti, sistemi di stoccaggio e definizione di misure compensative in favore delle popolazioni interessate dalla costruzione delle centrali – presenti nel disegno di legge – possano essere avvertite dalle Regioni come eccessivamente “centralistiche”, con il risultato di scatenare un contenzioso davanti alla Consulta dagli effetti dilatori facilmente intuibili.
Il fatto che nulla è stato concluso su un deposito nazionale per le scorie, neanche per quelle a medio-bassa attività, né è una riprova.

C’è poco da fare, e non bisogna dimenticarselo, l’energia nucleare viene (sovra)percepita, e in modo diverso da qualsiasi altra.
Lo scontro difficilmente sarà evitabile, in diversi saranno tentati di cavalcare i dissensi. La domanda di fondo sarà: ma perché il nucleare è così necessario?
Lo scontro difficilmente sarà evitabile, in diversi saranno tentati di cavalcare i dissensi.

La domanda di fondo sarà: ma perché il nucleare è così necessario? Con la crisi (con gli impatti sull’economia reale di quella che era una crisi finanziaria) i consumi, anche energetici, sono crollati e chi sa quando riprenderanno a crescere.  E, poi, a prescindere, non sarebbe meglio lavorare (investire) nel contenimento dei consumi.

Obiezioni, invero, non del tutto peregrine che verranno fatte dal (finalmente ricompattato) fronte ambientalista e non solo.
Come rispondere? Meglio, come convincere? Non sarà soltanto per le canute chiome, ma sta di fatto che non si sentono idee nuove.

Be’, visto che le celebrazioni per i cento anni del Futurismo non sono ancora finite e ché il Direttore ci da licenza poetica (e non solo), e vieppiù chiedendo scusa al genio di Marinetti, la risposta potrebbe essere la seguente:

Forse sarà proprio l’allora futuristica automobile (diventata ormai femminile) monca dei suoi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile non più ruggente, che adesso sembra correre come gioco di bambino e non più sulla mitraglia, che forse sarà meno bella della Vittoria di Samotracia, ma pulita: senza alcuna emissione biossicabonante, con ultramini celle di accumulo e che solo un po’, di notte?, si fermerà… Allora l’auto (elettro)atomica produrrà +++++++ (silenzio) e l’AgGlomErAtO UrbanO, le nostre ancor piccole metropoli, verranno purificate. E l’elettrocrescita di nuovo detonerà.

Chi sa, può darsi aspettino che lo dica un altro genio. Marchionne?

PS: chi scrive, naturalmente, è a conoscenza di un accordo proprio sull’auto elettrica tra una nota azienda energetica dal nome palindromo, che c’entra con un monopolista elettrico francese, e una ancor più nota casa automobilistica (anch’essa a controllo pubblico) sempre d’oltralpe.

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