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Il gioco dell’oca e la politica digitale

1 luglio 2011

Possibile che dopo cinque anni, un governo, un paio di ministri, un passaggio di mano dell’azienda e miriadi di progetti e proclami, ci ritroviamo ancora a discutere di come nazionalizzare la rete Telecom? Possibilissimo, ahinoi. E non dovrebbe sorprendere che nell’interminabile gioco dell’oca che è la politica digitale italiana ci si ritrovi repentinamente alla casella di partenza.

Certo, Romani non è Rovati ed è mutato il contesto tecnico-finanziario: con ciò cambiano anche i dettagli del piano, che suggerisce il conferimento del rame nella società della rete e non l’acquisto diretto da parte della Cassa Depositi e Prestiti. Non cambia invece il respiro dell’operazione, che tenta di combinare la volontà di controllo con l’esiguità delle risorse disponibili.

Ancor più discutibile è il presunto significato industriale del conferimento, che – nonostante le preoccupazioni espresse dai piccoli azionisti di Telecom – appare oltremodo favorevole all’ex monopolista, garantendo un sussulto di redditività ad un asset che lo switch-off priverebbe di alcun valore, e persino attribuendo al gruppo un’opzione per l’acquisto dell’intera FiberCo.

Il rischio è cioè quello di sopravvalutare oggi la partecipazione di Telecom, permettendole domani di ottenere il controllo totalitario delle nuove infrastrutture proprio in virtù di questo sussidio mascherato. Il che – per restare alla nostra metafora – ci riporterebbe non già alla casella Rovati, ma almeno un paio di giri più indietro: in piena era monopolistica.

Non appare azzardato intravvedere nell’ultima versione del progetto una risposta all’insofferenza espressa da Franco Bernabè – peraltro con argomenti assai condivisibili – poche settimane fa. Non è però chiaro perché gli operatori alternativi dovrebbero imbarcarsi in un’iniziativa che non offre alcuna garanzia duratura per la concorrenza, per i consumatori, e in ultima analisi per un paese che volta le spalle al futuro per l’attrazione irresistibile degli errori del passato.

Massimiliano Trovato telecomunicazioni , , ,

E se fosse la neutralità della rete la killer application?

26 giugno 2009

Alfonso Fuggetta s’interroga sulla killer application per le NGN, quell’applicazione che – come l’SMS ha fatto per la telefonia mobile – dovrebbe determinarne il successo (da leggere anche i commenti).

In diversi hanno sollevato il tema della killer application per le reti di nuova generazione. [...] Sono anni che cerchiamo killer application e sono anni che tutte quelle che vengono proposte più o meno falliscono. O meglio, il mio punto è che su Internet ci sono tantissime applicazioni e ciascuno si noi si crea il suo basket di applicazioni e servizi. [...] Alla fine la vera killer application è l’accesso in quanto tale, la possibilità che ha l’utente di poter accedere ad un insieme vastissimo di servizi che ciascuno seleziona e sceglie in base ai propri gusti. [...] E questo secondo me dice che gli utenti pagheranno per l’accesso. Nessuno pagherà un abbonamento a Internet in quanto e perché viene offerto nel pacchetto uno specifico servizio. O per lo meno, nessuno di questi servizi sarà il main driver che guiderà la crescita degli abbonati/fatturati dei telco operator. Ed è per questo che gli operatori devono ripensare i propri modelli di business: continuare a pensare che conquisteranno e manterranno clienti per qualche specifico servizio non li porta da nessuna parte. Il loro business sarà vendere accesso. E soprattutto, proprio perché gli utenti vorranno decidere da soli che “fare” una volta che “sono su Internet”, l’accesso dovrà essere neutrale e non condizionato dall’operatore.

Mi sembra un punto di vista estremamente persuasivo, ed anch’io ho la sensazione che il mercato – o almeno una larga fetta di esso – non sia disposto a rinunciare ad un accesso neutrale. Questo mi pare, però, un argomento formidabile contro la regolamentazione della net neutrality.

Massimiliano Trovato telecomunicazioni , , , , , , ,

NGN e monopolio naturale

3 giugno 2009

Mi piace segnalare (con alcuni giorni di ritardo) questa presa di posizione di Assoprovider, che offre un punto di vista ragionevole e non convenzionale sugli investimenti per le reti di nuova generazione.

Massimiliano Trovato telecomunicazioni , , , , , ,

Rapporto Caio, svelato l’arcano

25 maggio 2009

Tranquilli, Francesco Caio non è diventato un apostata del libero mercato, né agisce in nome e per conto di neostatalizzatori. Nel fine settimana ho partecipato a una convention organizzata da Fastweb con i suoi grandi clienti, e il clou del programma era un confronto diretto con Caio e Parisi, confronto che ho animato con provocazioni di altri colleghi giornalisti aggiunte alle mie. Al centro, ovviamente, il suo report non-più-riservato su “Portare l’Italia alla leadership europea nella banda larga”. Al riparo da orecchie indiscrete di stampa – eravamo a Cascais – ho azzannato le tre ipotesi conclusive del rapporto, condividendo e rilanciando in maniera tagliente le domande già avanzate da Massimiliano Trovato sul nostro blog. Le risposte di Caio sono state all’altezza, e abbiamo continuato a chiarirci le idee per l’intera serata con un ottimo rosso di Cintra. Sintetizzo, dando per scontato che chi ci legge qui abbia letto il rapporto.
Caio non mette affatto sullo stesso piano l’ipotesi uno – “leadership europea”: copertura di 100 città al 2015 con il 50% delle case collegate con FTTH P2P – l’opzione due – “per non arretrare”: 40-50 città con il 25% delle case collegate FTTF P2P – e quella tre – “flessibilità sul territorio”: 10-15 città attraverso partnership con utilities locali. Caio, come del resto Parisi, sono entrambi convinti dell’opzione uno. Ma con un caveat grande come una casa: nessun esproprio della rete fissa Telecom Italia, nessuna rinazionalizzazione della rete in rame della prima, magari unita a quella in fibra di Fastweb. I 10 miliardi di euro di spesa ipotizzata per la realizzazione dell’ipotesi uno sono concepiti come sostenibili in un piano di politica industriale che realizzi nel tempo più breve possibile l’integrazione tra rame e fibra, con la migrazione più rapida dal primo alla seconda per le NGN e tranne che per le aree a bassa domanda, che resteranno sempre. L’ipotesi di bancabilità privata del cash flow necessario si basa sull’ipotesi che sia il regolatore – non il proprietario eventualmente pubblico – attraverso le sue decisioni anche e soprattutto di politica tariffaria, a “indirizzare” le reti vecchia e nuova verso lo shift alla frontiera più avanzata, remunerando chi è più avanti maggiormente rispetto a chi ha già da decenni ammortizzato il rame e campa oggi di rendita, per quanto inevitabilmente decrescente  e resa ancor più periclitante dalle sforbiciate agli investimenti imposti dal debito di TI e dalle minusvalenze attuali dei soci di controllo.

Messa così, è un’ipotesi suggestiva, che naturalmente non ha nulla a che vedere né con la necessità di un exit favorevole agli attuali soci Telco, né con le più diverse opinioni intorno all’eventuale ruolo di Mediaset – chi realizza e gestisce autostrade continuerà ad essere diverso da chi fa automobili, idem vale tra carrier e broad o narrowcaster - né ancora con chi sogna da tempo il ritorno alla Stet, ammantandola magari di richiami fuori luogo al Giappone odierno, come da un paio d’anni fa il mio caro amico Massimo Mucchetti sul Corriere.

Ho chiesto però a Caio di chiarire pubblicamente il suo pensiero, visto che la pensa così, in maniera tale da uccidere sul nascere ogni equivoco potentemente alimentato da chi lo descrive come un neostatalista . Ha promesso che lo farà. Naturalmente, l’ipotesi regge se c’è un regolatore che adotti politiche di remunerazione degli investimenti, tariffe di terminazione e scelte su OTA e Open Access esplicitamente volte ad accelerare e rendere sostenibile la transizione al nuovo, invece che dettate dalla necessità di sostenere TI in difficoltà  finanziaria. Vedere per credere, visto il track record di quella che considero, tra le Autorità italiane di settore, la più e peggio inficiata dalla politica.

Oscar Giannino Senza categoria , , , , ,

Quattro domande sul rapporto Caio

22 maggio 2009

Ora che del rapporto Caio sappiamo tutto, sebbene continui a sfuggirci il motivo di tanta segretezza, è il momento dell’analisi. La mia impressione è che il rapporto sia una buona risposta a domande cattive: proviamo, dunque, a porre le domande giuste.

1) Siamo convinti che spetti al governo il compito di determinare l’ammontare di connettività desiderabile nel nostro paese?

La risposta è un chiaro no. Vi sono certamente delle azioni che i pubblici poteri possono intraprendere per agevolare (rectius: non ostacolare) il raggiungimento del livello ottimale: rientrano in questa categoria la predisposizione di un quadro regolamentare certo ed equo e la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Ma – come per ogni altro bene – sono la domanda e l’offerta a dover determinare la quantità. La banda larga non sfugge alle leggi dell’economia.

2) Questo vale anche per il digital divide?

Sì. Le zone di digital divide sono banalmente le aree in cui è (ancora) anti-economico portare l’accesso in banda larga. Non si tratta, come molti sembrano pensare, di una market failure ma piuttosto di una market feature: quando il gioco non vale la candela, si passa la mano. Ora, è legittimo sostenere che il digital divide vada combattuto, ma l’argomento va posto per quello che è: una richiesta di redistribuzione a beneficio di individui ai quali – brutalmente – non ha ordinato il dottore di vivere in aree digitaldivise.

3) Come la mettiamo con le reti di nuova generazione?

La risposta è giocoforza la medesima. L’ottimo Stefano Quintarelli rilancia oggi uno studio del regolatore spagnolo che dimostrerebbe l’impossibilità per il mercato di portare le NGN ad oltre metà dei sudditi di Juan Carlos: da ciò consguirebbe la necessità dell’intervento pubblico. Si tratta però di un non sequitur: ad esempio, il mercato non ha ancora trovato il modo per fornire a ciascun maschio maggiorenne un jet privato, e nessuno si sogna di richiedere l’intervento del governo a correzione di tale stortura. Se le stime della CMT fossero corrette ne seguirebbe unicamente che quello della rete di nuova generazione è un progetto prematuro ed, allo stato attuale delle tecnologie e dei processi, insostenibile. Va appena ricordato che non sono le stime a fare la storia dell’economia, ma le concrete operazioni degli agenti economici.

4) Posto che la politica ha deciso di piantare (almeno) una bandierina su internet, si possono individuare strategie d’intervento più o meno dannose?

Mi pare che non si tratti di una questione di poco conto. Se un esborso pubblico dev’esserci, è necessario che esso sia il meno distorsivo possibile. Un finanziamento diretto agli operatori violerebbe questa condizione, attribuendo allo stato un ruolo imprenditoriale che – storicamente – esso ha dimostrato di saper interpretare con esiti tragici. Inoltre, si imporrebbe un notevole sforzo di vigilanza successiva. Perché, allora, non riflettere sulla possibilità di un broadband voucher assegnato direttamente ai cittadini e spendibile presso qualsiasi operatore e senza distinzioni di tecnologia? Si tratterebbe d’un’opzione assai più efficace e rispettosa dei principi di un mercato che la bramosia della classe politica potrebbe seriamente compromettere.

Massimiliano Trovato mercato, telecomunicazioni , , , , , , , , ,