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Posts Tagged ‘mercati’

Le cajas al centro dei problemi della Spagna

25 gennaio 2011

Tutti i nodi vengono al pettine. L’attenzione dei mercati sul debito pubblico dei diversi Paesi si sposta velocemente: mentre non scema la preoccupazione di un prossimo salvataggio del Portogallo, la Spagna continua a navigare a vista. Il Ministro dell’economia spagnolo Elena Salgado ha annunciato che serviranno almeno 20 miliardi di euro per salvare le Cajas spagnole, anche con soldi pubblici. Questo è il piano di riforma del Governo Zapatero che ha l’obiettivo di trasformare le casse di risparmio in entità bancarie. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin debito pubblico , , , , ,

Friedman, i fallimenti bancari e la reincarnazione

31 agosto 2009

Segnalo a chi legge che da qualche sessione di Borsa a questa parte il mercato cinese sta reagendo alla maggior cautela di liquidità che il regolatore monetario locale ha deciso di adottare. Come vi avevamo detto, la bolla si sta riducendo: e a colpi di centinaia di punti base a sessione. Non è per dire a chi ci legge che deve “usarci” per regolare i propri ingressi e uscite sul mercato. È solo per richiamare l’importanza assoluta che in questi chiari di luna i regolatori monetari rappresentano rispetto ad andamenti di mercato largamente “determinati” dall’eccesso di liquidità che qualche strada dovrà pure prendere, in perdurante assenza di efficiente trasmissione del moltiplicatore monetario all’economia reale. Ai corsi di Borsa attuale in Italia, per moltissime quotate il P/E  è assolutamente spaziale. Detto questo, che cosa penserebbe Milton Friedman se fosse ancora tra noi? Prosegui la lettura…

Oscar Giannino liberismo, mercato , ,

Mercati efficienti: nunc et semper Lucas pro nobis

9 agosto 2009

Per chi se lo fosse perso o non avesse abitudine settimanale all’Economist, segnalo il magistrale intervento di Bob Lucas sul corrente numero. È un maestro per noi di Chicago (nell’infinitamente piccolo: anche mio), dunque non lo chioso ma mi limito a  diffonderlo. Imparando, come sempre. Tratta l’Economist come merita, cioè a pesci in faccia, per il suo report sulla dismal science in cui echeggiavano toni che erano quasi italiani, in merito alla solita storia sugli economisti inutili visto che non hanno saputo prevedere la crisi. Tante volte abbiamo anche nel nostro piccolo polemizzato sull’argomento, smentendo innanzitutto proprio la balla relativa alla presunta assenza di allarmi precedenti. Proprio chi non si riconosce in politiche monetarie lasche, aveva più volte inutilmente levato la voce rispetto alla formula Greenspan + high yields = systemic risk.  Ma l’intervento di Lucas è apprezzabile innanzitutto perché sbaracca con il giusto disprezzo chi vorrebbe invece accostare l’origine della crisi alla teoria dell’efficienza cognitiva dei mercati, uno dei maggiori contributi venuti alla finanza moderna dalla scuola di Chicago. E’ stato Eugene Fama- allievo del genialissimo Benoit Mandelbrot – in un famosissimo articolo pubblicato nel 1969 sull’International Economic Review dal titolo The Adjustment of Stock Prices to New Information, a porre le basi della cosiddetta EMH, Efficient Market Hypothesis. La sua teoria comprende tre diversi sub modelli di efficienza – debole, semi forte e forte – nella riflessione dei prezzi degli asset alle informazioni note, ed è accompagnata  dalla dimostrazione che l’efficienza di mercato non può essere respinta senza confutare insieme una qualunque ipotesi di modello di equilibrio del mercato. L’EMH non ha MAI voluto significare che i prezzi siano in sé intrinsecamente “razionali” se all’aggettivo si attribuisce il significato di evitare instabilità, e tanto meno eticament “giusti”: comporta solo che essi esprimano e scontino i dati e gli andamenti noti.  I behavioristi da una quindicina d’anni hanno attaccato duramente la EMH in nome del bias infomativo e cognitivo. E questo ci sta, in un mondo di informazioni finanziarie assolutamente “troppo” asimmetriche come quello in cui viviamo. Ma l’attacco dell’Economist  sapeva invece di mera burletta keynesiana alla finanza intrinsecamente instabile, per questo meritava di essere bastonato. La conclusione di Lucas, su questo, al momento è per me pressoché de-fi-ni-ti-va (anche se non bisognerebbe mai dirlo, in alcuna scienza umana): «The main lesson we should take away from the EMH for policymaking purposes is the futility of trying to deal with crises and recessions by finding central bankers and regulators who can identify and puncture bubbles. If these people exist, we will not be able to afford them». Lucas ora e sempre, per quello che mi riguarda.

Oscar Giannino mercato , ,

Red Obama e il rischio bancario

2 maggio 2009

Sull’auto Obama può fare “il rosso”, perché da sempre la storia dei tre grandi produttori automobilistici Usa è fatta di grandi collusioni tra politica e sindacato. In Chrysler, paradossalmente, attribuire la maggioranza ai sindacati poteva essere una mossa favorita dal fatto che Cerberus, l’azionista di maggioranza sino a ieri, aveva fatto efficienza con grande energia negli ultimi tre anni. Al punto tale che il fondo si è trovato nella singolare condizione di aver pagato pegno, per la troppo puntuale osservanza degli impegni di rientro del debito: avremmo fatto meglio a non restituire miliardi di dollari ai creditori negli ultimi due anni, è stata l’amara battuta finale venuta da Cerberus prima di mandare le carte al Tribunale per il chapter 11. Il che la dice lunga su quali norme prendano automaticamente piede: quando Stato e sindacati la fanno da padrone, ai creditori privati non resta che prendere atto che si entra in una fase di vera e propria sospensione del codice civile. I tre fondi indicati all’esecrazione mondiale da Obama – sui quali è già intervenuto Alberto Mingardi stamane – hanno il torto insopportabile di pretendere che appunto valga il codice civile americano, il quale assegna ai creditori privati la garanzia degli asset societari, e dunque loro non vedono il perché debbano accontentarsi di 29 cents per dollaro prestato, quando il sindacato che dal codice civile non ha garanzie “reali” si vede locupletato del 55% della società… Un errore imperdonabile, credere che in tempi di revanscismo statal-socialista valgano le garanzie ordinarie di legge a proprietari e prestatori…
Già in General Motors, dalla prossima settimana, non si sa quanto un eventuale analogo schema possa funzionare. Perché GM, a differenza di Chyrsler, il più dell’efficienza la deve fare ancora tutta. Lo stesso zar governativo dell’auto, Steve Rattner, ha dovuto ammettere che non bastano affatto, gli impegni di chiudere un terzo degli stabilimenti Usa, di liberarsi di una ventina di migliaia di dipendenti e di più di un terzo dei concessionari. Vedremo che cosa ne salterà fuori. Intanto la Germania si è subito accodata, e il governo Merkel ha reso noto di aver stilato la bellezza di “14 criteri” in base ai quali aggiudicare la proprietà della Opel. Come se in tutto e per tutto si trattasse, appunto, di un’azienda pubblica…
Ma prima di capire quanto “rossa” sarà la soluzione per GM, il rischio è di un incidente molto serio per Obama, gli Usa e i mondo intero. L’ovattata atmosfera dei mercati chiusi per il primo maggio e il lungo week end è stata attraversata da sinistri bagliori che provengono dal cuore malato stesso della crisi: le grandi banche Usa. A Washington si litiga forsennatamente, e il riserbo della Fed e del Tesoro non tiene più. I risultati dei tanto attesi stress test per i primi 19 gruppi bancari Usa, quelli che detengono ciascuno asset superiori a 100 bn di dollari, non verranno resi noti a metà settimana prossima ma – forse – dopo la chiusura settimanale di venerdì. Le banche hanno idee molto diverse dal Tesoro, in merito al rafforzamento “coatto” del proprio patrimonio stimato come necessario dagli ispettori pubblici. Germinano indiscrezioni su una Citigroup bisognosa di altri 10 miliardi di dollari, su Bofa chiamata a trasformare in azioni ordinarie i 45 miliardi di titoli ibridi acquisiti dal pubblico, su Wells Fargo finora esente da cattive dicerie, e su parecchi altri istituti. La settimana di Borsa rischia di essere molto ballerina, su queste voci di profondo dissenso in merito a come riparare proprio le falle che hanno fatto imbarcare tanta acqua all’economia mondiale. Perché se sull’auto Obama può fare il Rosso, sinora l’amministrazione con Summers e Geithner si era ingegnata di avere ottimi rapporti con i vertici bancari privati Usa. Di qui lo schema di riavvio delle cartolarizzazioni dei titoli tossici fortemente favorevole – troppo – agli auctioners privati (la promessa per loro è di mettere soli 6 cents a fronte di un dollaro di nominale, e tutto quel che viene sopra quella linea si spartisce a metà col Tesoro, che per parte sua garantisce il resto e si accolla da solo tutte le eventuali perdite). Ma prima di arrivare alle aste “tossiche” bisogna appunto passare per i bollettini medici ufficiali dello stato patrimoniale delle 19 banche. E se in alcune tra le maggiori di esse Obama pensa di socialisteggiare come nell’auto, è pressoché obbligatorio prevedere pessime reazioni dei mercati. Speriamo che a Washington ragionino, e il socialismo si fermi ai bricks and mortars che più gli appartiene storicamente.

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