CHICAGO BLOG » mario draghi http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Evasione ed illusione /2010/06/01/evasione-ed-illusione/ /2010/06/01/evasione-ed-illusione/#comments Tue, 01 Jun 2010 07:14:50 +0000 Massimiliano Trovato /?p=6118 Il duro richiamo sull’evasione fiscale lanciato da Mario Draghi nelle sue Considerazioni finali – già opportunamente commentate da Carlo Stagnaro – sancisce il consolidamento ultimo d’un mantra oramai condiviso senza esitazioni dall’intera classe politica italiana, e cioè anche da quei settori che avevano fondato su un certo lassismo tributario una parte non trascurabile del proprio consenso elettorale.

Prescindendo da questioni morali che richiederebbero una troppo ampia trattazione, mi pare che la versione accreditata come dominante presenti debolezze sul piano della logica economica e della conseguente azione politica.

In primo luogo, le stime sull’evasione assumono una condizione di business as usual che appare evidentemente fallace, perché  trascura che l’economia sommersa trova la propria ragione di profittabilità proprio nella possibilità di sfuggire all’occhio dell’erario. Pertanto appare più realistico pensare che il recupero a gettito di quelle attività ne determini, in larga parte, il venir meno.

In secondo luogo, l’intera costruzione prende a fondamento una teoria del prelievo che trova ancora accoglimento – ahinoi – nei manuali di scienza delle finanze, ma che  a ben poco a che vedere con la realtà della formazione del bilancio pubblico. Sopravvive, infatti, la persuasione naif che le attività delle amministrazioni richiedano un determinato fabbisogno di risorse, e che questo venga successivamente ripartito tra i contribuenti – secondo criteri di varia natura. È piuttosto vero, come aveva sottolineato il tremontiano Colbert, che “la tassazione è l’arte di spennare l’oca in modo tale da ottenere il massimo di piume con il minimo di starnazzi”.

In terzo luogo, condizionando la riduzione del prelievo complessivo al recupero dell’evasione fiscale, si sottovaluta l’intima connessione tra l’entità dei due fenomeni. Aliquote da record incentivano l’evasione rendendola più redditizia; ed il modo più ragionevole per aumentare la compliance fiscale consiste nel ridurre le pretese del leviatano.

Infine, tale ricostruzione delle vicende tributarie legittima l’adozione di misure che un leader ora ostaggio dei gerarchi bollava sensatamente come degne di uno stato di polizia tributaria. Se il fisco avanza pretese sul denaro dei contribuenti, è il caso che faccia almeno la fatica di guadagnarselo.

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La tremontata del giorno. Impegno serio o parole in libertà? /2010/05/31/la-tremontata-del-giorno-impegno-serio-o-parole-in-liberta/ /2010/05/31/la-tremontata-del-giorno-impegno-serio-o-parole-in-liberta/#comments Mon, 31 May 2010 06:56:13 +0000 Alberto Mingardi /?p=6096 Al netto delle solite tremontate, e di un ego che ormai è grosso quasi quanto il suo elefantiaco monistero (“Succede che dal copione è venuto fuori il film. Per come lo vedo e lo vivo io, La paura e la speranza era il copione, e quello che sta girando è il film”), oggi nella sua intervista con Aldo Cazzullo Giulio Tremonti dice una cosa interessante, su cui ci sarebbe da prenderlo in parola e attenderlo al varco.
E’ probabile che si tratti di un’uscita in buona misura strumentale. Tremonti parla dopo l’assemblea annuale di Confindustria, e prima delle Considerazioni finali del Governatore Draghi. In un caso, a fronte di una relazione ben più ricca, sui giornali è uscito che la proposta-forte degli imprenditori sarebbe convocare una grande assise coi sindacati per discutere di riforme strutturali. Insomma, l’ennesimo convegno. Nell’altro, il Governatore della Banca d’Italia potrà fare poco di più che offrire una lettura puntuale della crisi italiana:  la sua “camicia di forza” istituzionale gli rende impossibile concedersi grandi salti in avanti sul piano delle proposte.
Ed ecco, quindi, che proprio nel giorno che dovrebbe essere del “nemico” Draghi, arriva il Ministro dell’Economia a rubargli la scena.
Ma, una tantum, gli ruba la scena evitando di discutere di Eraclito e Parmenide e pigliandosi invece quello che in un Paese normale sarebbe considerato un impegno poltico preciso.
Questo il punto di partenza:
Quella della burocrazia è la questione fondamentale. Vede, i paesi poveri soffrono per un deficit di cibo, di mezzi di sussistenza, di mezzi per lo sviluppo. I paesi ricchi, al contrario, soffrono per l’eccesso delle regole che si sono autofabbricati e da cui sono condannati. Le regole giuste sono un investimento; le regole eccessive sono prima un blocco e poi un costo.
A Cazzullo che gli fa notare che “in Italia le liberalizzazioni le ha fatte il centrosinistra”, Tremonti replica che “le liberalizzazioni di Bersani pur nella loro generosa intenzione sono servite a poco, proprio perché erano disegnate all’interno del sistema”. La sua proposta invece sarebbe quella di bypassare un secolo di bizantinismi regolamentari: “una norma rivoluzionaria per cui tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale o europea. Per due o tre anni”. Richiederebbe una modifica costituzionale? “Probabilmente sì. E io, oltre a proporla, vorrei essere tra i firmatari di una legge di riforma così fatta”. Ministro, se non ora quando?
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La nuova paura da Goldman /2010/04/19/la-nuova-paura-da-goldman/ /2010/04/19/la-nuova-paura-da-goldman/#comments Mon, 19 Apr 2010 16:59:56 +0000 Oscar Giannino /?p=5730 Come se non bastasse, ci si è messo anche il vulcano islandese con la sua nube, a impedire al sole della ripresa di splendere sui mercati. I danni sono di molte centinaia di milioni di euro al giorno – probabilmente miliardi, ormai -  poiché in ginocchio non è solo il trasporto di persone, ma l’export di beni deperibili che utilizzano appunto il vettore aereo. L’Europa non ne aveva bisogno, aggravata come continua a essere dalla crisi strisciante del debito greco e portoghese, visto che il mercato continua a scommettere contro la tenuta dei due accordi di sostegno ad Atene sottoscritti dai governi europei. In più, l’America con il caso Goldman Sachs ha rivelato al mondo intero ciò che solo alcuni continuavano a dire, per non seminare panico: siamo ben lontani dall’aver messo in sicurezza il problema da cui la crisi è nata, cioè la finanza ad alta leva costruita su montagne di derivati e piramidi di prodotti sintetici.
L’Autorità americana che vigila sui mercati finanziari, la SEC, ha atteso un anno e mezzo dal fallimento di Lehman Brothers prima di dichiarare al mercato di avere aperto un’indagine in cui Goldman Sachs è chiamata a rispondere delle sue scommesse incrociate sui mutui subprime, quelli a bassa solvibilità da cui la crisi è nata. Goldman Comprava e rivendeva con il proprio rating elevato pacchi di quei mutui, e contemporaneamente scommetteva con un grande hedge fund che quegli stessi mutui diventassero insolventi. Con ogni probabilità, dicono gli esperti, rivendeva anche a istituzioni assicurative il rischio di controassicurazione di quella stessa scommessa sul default. Nel giro di pochi giorni, dalle piazze europee si sono subito levate le voci delle banche che ci hanno rimesso carrettate di denari e che oggi dichiarano di essere pronte a far causa a Goldman. Come Royal Bank of Scotland, salvata dal Tesoro britannico a spese dei contribuenti, e che da sola ci ha rimesso più di 800 milioni di sterline.
Goldman Sahcs si difende replicando di non aver violato nessuna norma. Se ci si ferma alla lettera del problema, non è detto che abbia torto. Il quindicennio alle nostre spalle ha visto le grandi banche – non solo quelle d’investimento americane – abbracciare in maniera crescente la prassi per la quale con le nuove tecniche era possibile il reimpacchettamento di acquisti e rivendite di prodotti strutturati, era conveniente poiché coi propri rating elevati si abbatteva il rischio dell’emittente iniziale agli occhi del prenditore, e in più la convenienza saliva ulteriormente poiché si potevano parallelamente emettere sugli stessi prodotti opzioni incrociate di rivalutazione e svalutazione, magari confondendole elaborando sottostanti dei relativi prodotti derivati pressochè incomprensibili non solo ai profani, ma anche ai più tra i banchieri non esperti di tale materia. Come il giovanissimo vicepresidente di Goldman, il francese Fabrice Tourre, che a 28 anni dopo due master di matematica finanziaria presiedeva alla fabbrica di scommesse incrociate su cui oggi indaga Goldman.
Perché il mercato trema, a questa indagine? Perché è consapevole di almeno tre verità, poco rassicuranti.
La prima è che tale prassi non si è affatto fermata, da un anno e mezzo a questa parte. Di nuove regole della finanza in realtà se n’è parlato molto, ma non ne sono state varate ancora né negli Stati Uniti, né in Europa. In Europa abbiamo scelto la via “tecnica” di affidarci alle proposte elaborate dal commissario Michele Barnier, dalla BRI di Basilea, e dal Financial Stability Board guidato da Mario Draghi, che ne ha riferito all’Ecofin lo scorso fine settimana e proporrà il pacchetto finale al G20 entro fine anno. Negli Stati Uniti, la bozza di riforma all’esame del Congresso conta 1336 pagine, ma rolla in alto mare perché l’accordo politico manca.
La seconda è che anche le nuove regole di cui si parla soprattutto in Europa, su come spingere le banche a ricapitalizzarsi se possibile senza restringere gli impieghi prima che sia partita la ripresa, non impediscono affatto che esse continuino nel gioco della finanza derivata incrociata, per accrescere redditività e utili.
La terza è che nessuno ha ancora identificato un criterio condiviso, su come comportarsi con banche e intermediari “troppo grandi per fallire”. Attualmente Bank of America conta asset pari al 16% del Pil americano,  JP Morgan Chhase per il 14%, Citigroup il 13%, Wells Fargo pari al 9%: Sono banche commerciali, e per quella categoria c’è chi negli USA propone di scendere non oltre il 4% del Pil. Le due maggiori banche rimaste più d’investimento che commerciali, Goldman Sachs e Morgan Stanley, hanno asset pari al 7% e al 6% del Pil USA, e c’è chi propone di farle scendere non oltre il 2%. Ma il mercato scommette che politici e regolatori non avranno mai la forza di una simile svolta. Per questo i mercati tremano ancora. E non si può dire “che Dio ce la mandi buona”: perché di questo, davvero, non ha colpa lui ma solo gli uomini.

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