CHICAGO BLOG » magris http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Alla Scala va in scena la protesta /2010/12/07/alla-scala-va-in-scena-la-protesta/ /2010/12/07/alla-scala-va-in-scena-la-protesta/#comments Tue, 07 Dec 2010 09:25:53 +0000 Filippo Cavazzoni /?p=7792 Studenti, teatranti e cinematografari: tutti insieme questa sera alle ore 17 davanti alla Scala per protestare contro i tagli alla scuola e alla cultura. L’imperativo è unico: opporsi alla cannibalizzazione della cultura! A leggere gli articoli che compaiono oggi sulla stampa, emerge tutto l’armamentario di concetti altisonanti e fumosi (fumosi in quanto altisonanti) che una persona sensibile alle sorti della cultura nel nostro Paese non può esimersi dal pronunciare. Su tutti, naturalmente, il fatto che “La cultura deve essere un bene comune e accessibile a tutti”.

Per il 9 dicembre, invece, grande raduno sindacale a Roma. Come si afferma nei comunicati stampa, “per la prima volta insieme”, Agis, Anica, Cento Autori, Federculture, Slc – Cgil, Fistel – Cisl, Uilcom – Uil. Un evento epocale. Un po’ come se si stesse annunciando, “per la prima volta insieme, i premi Oscar Robert De Niro, Al Pacino e Martin Scorsese”. Il tempo stringe, la tenuta del Governo è appesa a un filo, l’approvazione della Finanziaria è ormai alle porte e molte speranze sono rivolte al cosiddetto “decreto milleproroghe”. Le rivendicazioni sono riassumibili in poche parole: “vogliamo più soldi”. Le variazioni sul tema poi sono infinite, tutte ovviamente volte a nobilitare tale protesta con infiocchettamenti verbali degni dei migliori eredi di Dante.

Voci dissonanti non se ne sentono, anzi: in queste settimane diversi sono stati gli endorsement a sostegno delle proteste. Fra questi anche quello di Claudio Magris, con un suo editoriale (“Il teatro della vita – e della politica”) comparso sul Corriere della Sera del 23 novembre 2010. Il pregio del corsivo di Magris è quello di offrire una profondità storica al dibattito di oggi. Se il teatro ha avuto un ruolo “fondante” nella genesi nella civiltà occidentale, allora possiamo valutare con un occhio rivolto al passato anche il rapporto tra Stato e cultura, tra denaro pubblico e comparto dello spettacolo. Oggi i governi intervengono a sostegno degli spettacoli dal vivo e del cinema. Si tratta di scelte discrezionali, che scaturiscono dal ritenere tali attività meritevoli di sostegno. Ma naturalmente non è stato sempre così.

Come ha scritto Friedrich Hayek, “bisogna ricordare come già ben prima che il governo si interessasse a certi campi, molti beni collettivi, oggi ampiamente riconosciuti come tali, erano forniti dallo sforzo di individui dotati di spirito pubblico, o gruppi privati i quali provvedevano a fornire i mezzi necessari per il perseguimento di scopi pubblici che essi consideravano importanti. La pubblica istruzione, gli ospedali, le biblioteche e i musei, i teatri, i parchi, non furono creati per primo dai governi”.

Lo stesso teatro delle origini era legittimato dall’ampio seguito che riusciva ad attirare. Già nel Seicento, i teatri lirici privati prosperavano a Venezia. Pure il cinema si impone grazie a innovatori e imprenditori, e si afferma in virtù del talento di grandi figure come Buster Keaton, Charlie Chaplin o David Ward Griffith.

L’evolvere della tecnica e delle preferenze individuali hanno decretato il successo o la “decadenza” di determinate attività culturali: dopo i fasti dei secoli scorsi, la lirica è un settore che non gode più delle attenzioni delle masse; lo stesso non si può dire del cinema o della  televisione. Esiste d’altra parte un cinema non “assistito” che non ha bisogno di sussidi pubblici, il quale offre allo spettatore opere di valore. Negli anni cambiano le forme, ma non cessa la produzione culturale.

Nessuno sa quello che potrà accadere in futuro, sta di fatto che gridare alla “morte della cultura” non ha alcun senso. D’altronde, come vorrebbero le persone che protestano a gran voce in questi giorni, si può anche optare per una cultura dipendente dallo Stato e dalle scelte dei politici, che sia sostenuta anche da chi non ne usufruisce direttamente (attraverso la fiscalità generale). In questo caso, però, paternalismo e parassitismo non possono essere considerati quali esiti imprevisti.

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