CHICAGO BLOG » liberalizzazioni http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 19:45:09 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Zapatero: Eppur si muove… /2010/12/02/zapatero-eppur-si-muove%e2%80%a6/ /2010/12/02/zapatero-eppur-si-muove%e2%80%a6/#comments Thu, 02 Dec 2010 09:37:14 +0000 Andrea Giuricin /?p=7743 La crisi del debito ha avuto un effetto immediato in Spagna. Il Governo Zapatero ha annunciato ieri una serie di azioni che vanno in direzione della liberalizzazione e della privatizzazione in diversi settori. La Spagna aveva raggiunto due giorni fa, un differenziale record rispetto ai Bund tedeschi di quasi di 300 punti, il più alto di sempre dal momento dell’entrata dell’euro. Dopo Grecia ed Irlanda, la sfiducia dei mercati sembrava andare dritta verso la Penisola Iberica. Il Governo Zapatero ha deciso di non aspettare ed ha deciso di operare misure nella giusta direzione. L’Italia, invece, chiude il parlamento per evitare Vietnam politici, titolano oggi i giornali: c’è di che riflettere, sulle risposte diverse agli spread in salita.

Non che non permangono dei gravi errori nella politica economica del governo guidato dal leader del Partito Socialista, dato che le riforme delle Casse di Risparmio e del mercato del lavoro sono state troppo timide, ma il passo effettuato ieri non è da sottovalutare.

Possiamo distinguere tre categorie di decisioni:

-         Semplificazione e abbassamento delle imposte

-         Liberalizzazioni

-         Privatizzazioni.

Il primo punto è coraggioso, perché si decide di abbassare in parte l’imposta sulle società al 25 per cento per quelle piccole-medie imprese che fatturano meno di 10 milioni di euro annuali (precedentemente era pari a 8 milioni di euro) e la base imponibile per l’applicazione di questo livello di tassazione sale da 120 a 300 mila euro.

Tutte le aziende avranno la libertà di scegliere l’ammortamento dell’imposta sulle società nel periodo compreso fino al 2015, in modo da diminuire in tempo di crisi la pressione fiscale.

Abbassare la tassazione d’impresa è importante per aumentare la competitività. Inoltre, come segnalato anche dalla World Bank nel rapporto Paying Taxes, la riduzione di questa imposta non diminuisce le entrate.

Si elimina inoltre l’iscrizione obbligatoria alla Camera di Commercio, che diventa solamente volontaria. Questo permetterà un risparmio di 250 milioni di euro annuali per le imprese. Si favorirà inoltre la creazione dell’impresa in 24 ore.

Il secondo punto è relativo ad un aumento della liberalizzazione del mercato del lavoro. Si permette un’entrata più libera delle agenzie di lavoro private, in un mercato del lavoro profondamente rigido che vede una disoccupazione al 20,7 per cento e una disoccupazione giovanile superiore al 43 per cento.

Sul mercato del lavoro non viene tuttavia meno una certa “vena socialista”; infatti si rafforza il piano “PRODI” di protezione e inserimento sul mercato del lavoro con circa 1500 impiegati pubblici in più per favorire l’inserimento professionale.

Il terzo punto è forse il più controverso. Il Governo Zapatero vuole compiere privatizzazioni per circa 14 miliardi di euro, che arriverebbero dalla vendita del 30 per cento delle “Lotterie di Stato” e il 49 per cento degli aeroporti (AENA).

Controverso perché il Governo vende senza perdere il controllo, volendo mantenere una politica aeroportuale nazionale e pubblica. E la gestione aeroportuale pubblica non è stata certo delle più brillanti, dato che nel 2009 AENA ha perso circa 340 milioni di euro.

Un punto aggiuntivo, ma non meno importante è il taglio della spesa che arriva dall’eliminazione del sussidio di disoccupazione di lungo periodo (dopo 2 anni di sussidi a circa l’80 per cento dell’ultimo stipendio) di 426 euro mensili.

Il passo di Zapatero è stato certamente coraggioso, ma quasi obbligatorio, viste le condizioni tempestose nelle quali la nave Spagna stava navigando nel mercato delle aste pubbliche. Bisogna ricordare che lo stesso primo ministro aveva portato il deficit all’11,1 per cento sul PIL nel 2009.

Queste decisioni sono importanti, ma le prossime settimane non saranno facili per la Spagna che si ritrova un sistema di “cajas” davvero deboli e che potrebbero “saltare” da un momento all’altro.

]]>
/2010/12/02/zapatero-eppur-si-muove%e2%80%a6/feed/ 4
Autorità per l’energia: Fate quelle fottute nomine /2010/11/16/autorita-per-l%e2%80%99energia-fate-quelle-fottute-nomine/ /2010/11/16/autorita-per-l%e2%80%99energia-fate-quelle-fottute-nomine/#comments Tue, 16 Nov 2010 13:41:32 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7618 L’attuale crisi politica ha completamente sovvertito l’agenda di governo e parlamento, facendo slittare in fondo alla lista alcuni provvedimenti che, peraltro, già non erano considerati di grande urgenza. Tra questi, la nomina del nuovo collegio dell’Autorità per l’energia, che dovrebbe insediarsi allo scadere dell’attuale (composto dal presidente, Alessandro Ortis, e un solo componente, Tullio Fanelli) a decorrere, teoricamente, dal 16 dicembre. Se le nomine non verranno effettuate in tempi rapidi, l’Autorità rischia di trovarsi decapitata.

La legge istitutiva dell’Autorità e successive modificazioni stabilisce che

L’Autorità è un organo collegiale costituito dal Presidente e da quattro membri. I cinque componenti l’Autorità sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle attività produttive. Le designazioni effettuate dal Governo sono sottoposte al parere vincolante, espresso a maggioranza qualificata (due terzi dei componenti), dalle Commissioni parlamentari competenti.

Il collegio scade formalmente il prossimo 15 dicembre. Questo significa che i tempi per i passaggi parlamentari sono scarsi e, probabilmente, insufficienti – ammesso e non concesso che un accordo politico sui componenti sia già stato trovato. L’intervento per decreto è molto probabilmente da escludersi, dato che non si capisce in che modo sia possibile argomentare la “necessità e urgenza” di un provvedimento che da sette anni sappiamo di dover prendere. In questo senso, passa in secondo piano – anzi, in terzo o quarto piano – l’incapacità di tre parlamenti e non so quanti governi di completare un collegio che è rimasto monco da quando, il 14 luglio 2004, Fabio Pistella ha abbandonato l’Autorità per prendere la guida del Cnr.

La situazione è talmente sfarinata che l’attuale collegio, che per legge non può essere rinnovato, ha messo le mani avanti chiedendo al Consiglio di stato un parere riguardo la possibilità di una prorogatio: se sia possibile, a quali condizioni, con quali limiti. La non rinnovabilità è una componente essenziale dell’indipendenza, perché fa venir meno l’incentivo perverso dei regolatori a blandire i loro padrini politici. Allo stesso modo, come abbiamo discusso tempo fa in merito all’ipotesi di proroga del mandato di Lamberto Cardia alla Consob, la stessa prorogatio dovrebbe essere gestita con le molle, ed è accettabile solo se è chiaramente finalizzata a consentire la regolare conclusione dell’iter di conferma del nuovo collegio e, dunque, se è di durata assai ridotta – dell’ordine di pochi giorni o pochissime settimane.

La questione, insomma, non è lana caprina per giuristi, ma rappresenta un momento fondamentale per il funzionamento dei nostri mercati energetici. Infatti, le decisioni dell’Autorità vengono prese dal collegio, non dalla struttura – che ha il compito di istruire le pratiche e dare attuazione alle decisioni. A differenza della Consob – da giugno senza presidente – il collegio decade tutto assieme, quindi non è immaginabile che il regolatore energetico continui a funzionare come sta facendo attualmente il suo omologo borsistico.

Una possibile reazione è: chissenefrega. In fondo, l’unico regolatore buono è il regolatore morto, e noi stessi (per esempio nel saggio introduttivo di Sam Peltzman all’Indice delle liberalizzazioni 2010) abbiamo spesso sostenuto che liberalizzare significa deregolamentare. Poiché un regolatore acefalo significa – se non una attiva deregolamentazione – almeno un minor tasso di crescita della regolamentazione, dove sta il problema? Il problema, purtroppo, c’è ed è grande. E ha almeno due dimensioni.

La prima dimensione riguarda il fatto che la deregolamentazione “pura” è più un traguardo che uno “stato”. Quanto meno perché sussitono ancora troppe asimmetrie tra ex monopolisti e newcomer per lasciare che le cose evolvano in assenza di vincoli. Molto brevemente, queste asimmetrie – che sono l’eredità della precedente stagione di monopolio pubblico – richiedono una vigilanza attenta e un intervento talvolta odioso ma necessario per arginare i conflitti di interesse e i comportamenti abusivi (in particolare nel caso del gas, dove le infrastrutture essenziali restano in mano al non-molto-ex monopolista). Le distorsioni vanno corrette: il first best sarebbe separare le reti dagli incumbent e privatizzare tutti e tutto, ma in assenza di tali provvedimenti – oggi politicamente impossibili – il second best è un cauto ma fermo esercizio della regolamentazione. La seconda dimensione del problema dipende dal fatto che, data l’attuale struttura dei mercati energetici, in alcuni segmenti – quelli in “monopolio tecnico” – una qualche forma di regolamentazione è comunque necessaria, sia sotto il profilo tariffario, sia sotto quello tecnico, sia sotto quello della qualità del servizio.

Far venir meno la presenza del regolatore danneggerebbe l’intero mercato, la sua credibilità e il suo sviluppo, anche se fosse solo una parentesi di breve durata. I danni della regolamentazione, in un momento e in un contesto come quelli attuali, sono inferiori, per ordini di grandezza, ai danni potenzialmente derivanti dal lasciare mano libera ai nemici del mercato. Confesso di non riuscire ad appassionarmi alle questioni di cognati e di cubiste, ma trovo frustrante che tutto questo impedisca di affiancare alla schermaglia politica quotidiana una riflessione seria sui temi che meritano attenzione e serietà.

Lo dico brutalmente: fate quelle maledette nomine, e possibilmente fatele bene, selezionando uomini e donne che sappiano combattere la buona battaglia, che non siano compiacenti verso i monopolisti nazionali e locali. Fatele per evitare che le conquiste faticosamente raggiunte in termini di liberalizzazione regrediscano. Fatele per impedire che il vuoto finisca per premiare quelli che, aggressivamente e colpevolmente e non di rado forti di un supporto politico trasversale e clientelare, in tutti questi anni hanno resistito alle pressioni dell’Autorità e hanno conservato il loro artiglio monopolistico.

]]>
/2010/11/16/autorita-per-l%e2%80%99energia-fate-quelle-fottute-nomine/feed/ 0
Vergogna, la lobby forense si ricompra il Parlamento /2010/10/22/vergogna-la-lobby-forense-si-ricompra-il-parlamento/ /2010/10/22/vergogna-la-lobby-forense-si-ricompra-il-parlamento/#comments Fri, 22 Oct 2010 10:58:05 +0000 Oscar Giannino /?p=7353 Hai voglia a far convegni sugli ordini professionali che andrebbero a)- aboliti b)- quanto meno inibiti dall’assumere misure norme deonotologiche e provvedimenti restrittivi della concorrenza ed espressione del cartellob “un albo a ciascuno per una vita garantita”. I presidenti e dirigenti degli ordinidi solito ti respingono dicendo che non capisci, che gli ordini sono pilastri esseniali e insostituibili e che se poi continuano a proliferare una ragione ci sarà, e che solo dei pazzi malintenzionati affetti da virus ideologico mercatista li scambiano per combriccole anticoncorrenziali. Tanto per aver conferma che non siamo malati noi ma il male sono loro, l’ennesima nostra sconfitta.

Il Senato della Repubblica nella seduta di ieri 20 ottobre ha approvato, nel corso dell’esame e della discussione del testo sulla nuova disciplina della professione forense, il testo emendato dell’art. 12 della citata normativa che prevede la vincolatività  e l’inderogabilità  dei minimi tariffari ed il divieto del patto quota-lite, mentre i massimi possono essere derogati con accordo redatto per iscritto a pena di nullità.

Non so dire se occorra più incazzarsi con politici imbecilli, oppure complimentarsi con la lobby forense che tornando alle tariffe minime taglia le gambe a chi crede che il prezzo sia un’arma ancor più necessaria, in un mercato saturo di avvocati – sia detto senza offesa per nessuno in particolare – mantenuti della giustizia tardigrada e inefficiente.

]]>
/2010/10/22/vergogna-la-lobby-forense-si-ricompra-il-parlamento/feed/ 32
L’acqua è di tutti. O tutti fanno acqua? /2010/10/21/lacqua-e-di-tutti-o-tutti-fanno-acqua/ /2010/10/21/lacqua-e-di-tutti-o-tutti-fanno-acqua/#comments Thu, 21 Oct 2010 17:56:45 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7350 Il Partito democratico ha presentato, questo pomeriggio, la sua proposta sull’acqua – o, meglio, sul servizio idrico integrato. Qui si può leggere un sommario della proposta (presentata dalla responsabile Ambiente del partito, Stella Bianchi, assieme al segretario, Pierluigi Bersani, e ai capigruppo alla Camera e al Senato) e qui il testo della proposta di legge. Cosa dice il Pd? E’ fedele alla vocazione riformista oppure si allinea alla retorica referendaria? La risposta, come spesso accade, è più complessa.

di Luigi Ceffalo e Carlo Stagnaro

Anzitutto, visto che la faccenda dell’acqua è gonfia di richiami simbolici e identitari, la proposta va contestualizzata nello scenario politico. In questo senso, non crediamo si debba dare troppo peso alla precisazione, più volte ribadita dallo stesso Bersani, che “l’acqua è un bene pubblico e sono beni pubblici anche le strutture del servizio idrico integrato”. Non gli diamo peso a dispetto di due cose: (a) non crediamo che la “pubblicità” del bene e delle infrastrutture, e la relativa retorica, portino alcunché di buono: nella migliore delle ipotesi, non introducono miglioramenti, nella peggiore creano distorsioni; (b) lo stesso decreto Ronchi, obiettivo polemico del Pd e dei referendari (e della Lega, a cui si devono primariamente ritardi, ambiguità e incertezze) afferma con forza la pubblicità dell’acqua e delle infrastrutture (acquedotti, fognature, depuratori, ecc.). Dunque, sotto questo profilo, non c’è alcuna differenza tra i due maggiori partiti, e semmai c’è un passo indietro rispetto alla situazione precedente, che tollerava la proprietà privata delle infrastrutture. Altro che privatizzazione!

E’ però sicuramente positivo il fatto che, per la prima volta, il Pd prenda ufficialmente ed esplicitamente le distanze dai referendum. “Ufficialmente” la ragione è lo scetticismo verso lo strumento referendario, che essendo di natura meramente abrogativa è considerato (giustamente) inadeguato a correggere gli aspetti del decreto Ronchi su cui il Pd è critico. Sospettiamo che vi sia anche la consapevolezza che, qualora la logica referendaria dovesse prevalere, il paese farebbe non un passo, ma un salto indietro rispetto ai progressi faticosamente compiuti in questi anni, che in qualche maniera hanno portato quanto meno ad accettare che il servizio idrico ha una irrinunciabile dimensione industriale, che non può essere sacrificata alla mitologia delle gestioni collettive.

Il progetto affronta una molteplicità di temi, di cui non ci occupiamo perché li riteniamo marginali. La ciccia vera e propria, infatti, sta tutta in cinque articoli: il gruppo 4-5-6 (“assemblea di ambito territoriale ottimale”, “partecipazione dei comuni all’assemblea d’ambito”, “autorità nazionale di regolazione del servizio idrico”), il 9 (“affidamento e revoca della gestione”), e il 10 (“tariffa del servizio idrico integrato”).

Gli articoli 4 e 5 reintroducono le autorità d’ambito (chiamandole “assemblee di ambito”), coordinate dal presidente della regione o della provincia (a seconda dei casi) e composte dai sindaci, a cui viene conferito il compito di affidare il servizio, determinare le tariffe (sulla base di una procedura di cui parleremo tra poco), e decidere gli investimenti. Questi soggetti erano stati soppressi dal decreto Calderoli “taglia enti”, che però, passando alle Regioni il compito di individuare cosa e come dovrà prenderne il posto, finisce per risolvere la contraddizione… creando confusione.

La situazione è parzialmente raddrizzata dagli articoli 6 e 10. Il primo – che costituisce il vero punto forte del progetto e il cui recepimento potrebbe, speriamo, rappresentare un elemento di mediazione virtuosa tra il Pd e il governo – trasforma l’attuale Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche – un ente senza risorse e senza poteri – in una vera e propria autorità di regolazione, con poteri di controllo e sanzione. Soprattutto, essa

definisce gli schemi tipo degli atti delle concessioni, delle autorizzazioni, delle convenzioni e dei contratti regolanti i rapporti tra i diversi soggetti (art.6 comma 10 lettera m)

verifica la congruità delle tariffe, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le stesse, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale in modo da assicurare la qualità, l’efficienza del servizio e l’adeguata diffusione del medesimo, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; verifica la conformità ai criteri di cui alla presente lettera delle proposte di aggiornamento delle tariffe eventualmente presentate (art.6 comma 10 lettera n)

con apposito Regolamento definisce la metodologia per la determinazione della tariffa per usi civili e industriali nonché le modalità per la revisione periodica (art.10 comma 2)

L’Autorità è nominata dal governo su proposta dei presidenti delle camere, teoricamente garanzia di indipendenza anche se avremmo preferito il voto a maggioranza qualificata nelle commissioni parlamentari competenti, o qualcosa del genere. Essa, insomma, è contemporaneamente l’ente tecnico di riferimento – che, si spera, verrebbe messo in grado di raccogliere i dati che il Conviri non riesce a ottenere – e agisce in modo tale da ridurre, per quanto possibile, la discrezionalità e i pasticci delle assemblee d’ambito. In breve, la proposta del Pd prevede un quadro regolatorio nazionale di natura relativamente più tecnica e relativamente meno politica, ma rischia di vanificarne o ridurne le potenzialità mischiandone le competenze con quelle delle assemblee, che poi saranno nella pratica chiamate a prendere o eseguire le decisioni rilevanti.

Questo ci conduce all’aspetto più discutibile della proposta: quello relativo alle modalità di affidamento. Mentre il decreto Ronchi fissa il principio dell’affidamento in via ordinaria tramite gara, relegando l’affidamento diretto o in house a una casistica residuale, il Pd torna ad aprire il vaso di Pandora . Infatti, pur salvaguardando (e ci mancherebbe altro!) la possibilità di affidamento a soggetti privati che dovrebbe avvenire tramite procedura a evidenza pubblica, prevede la possibilità di conferire la gestione del servizio

a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano

La clausola del “controllo analogo” è un requisito necessario per la legittimità comunitaria dell’affidamento ma rischia di essere, come è stata fino a ora, l’escamotage attraverso cui può essere fatto passare qualunque cosa – cioè la preservazione di inefficienze, opacità e collateralismi attuali. Ma, se e nella misura in cui questo “qualunque cosa” passa, è davvero difficile immaginare che sia possibile trovare capacità e volontà per ammodernare le reti nel senso che pure gli stessi esponenti del Pd auspicano.

In sintesi, la proposta ha alcuni aspetti positivi (la creazione di un’autorità di regolazione, pur mitigata dal ripescaggio delle autorità, pardon assemblee, d’ambito) e altri negativi (la retromarcia sulle gare). Il migliore dei mondi possibili, per noi, sarebbe impiantare il contesto regolatorio immaginato dal Pd nel tessuto del decreto Ronchi. Di certo, però, la conferenza stampa di oggi ci rincuora perché, al di là delle valutazioni di merito, ci lascia sperare che i referendum – tra la presumibile opposizione del Pdl e quella sperabile del Pd – no pasaràn.

(Crossposted @ www.ilfoglio.it/duepiudue)

]]>
/2010/10/21/lacqua-e-di-tutti-o-tutti-fanno-acqua/feed/ 1
Lo sciopero revocato dei benzinai: una buona notizia? /2010/09/16/lo-sciopero-revocato-dei-benzinai-una-buona-notizia/ /2010/09/16/lo-sciopero-revocato-dei-benzinai-una-buona-notizia/#comments Thu, 16 Sep 2010 15:30:12 +0000 Andrea Giuricin /?p=7055 Potevano essere tre giorni molto difficili per gli automobilisti italiani, ma lo sciopero dei benzinai è rientrato all’ultimo momento. Non è detto sia una buona notizia, però.  Il sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia è riuscito a convincere le maggiori con federazioni dei distributori di carburante a trattare e di non chiudere gli impianti.

La riforma “Saglia” parte da una costatazione che è impossibile da confutare: in Italia ci sono troppi benzinai e quelli che ci sono, hanno una diffusione del self-service troppo limitata. In Italia sono presenti 22 mila distributori e solo 10 mila hanno il self-service. Solo a titolo d’esempio, nel Regno Unito, ci sono in totale 10 mila impianti, ognuno dei quali eroga due volte e mezzo il quantitativo di benzina e gasolio italiano.

Partendo da questo punto il Governo, orfano da troppo tempo del Ministro dello Sviluppo Economico e delle Attività Produttive, ha deciso di porre in atto una riforma che porti ad una diminuzione del 30 per cento del numero dei benzinai e ad un incremento del self-service fino all’80 per cento dei distributori.

Questi obiettivi erano stati concordati dall’ex Ministro Scajola e dalle associazioni dei distributori lo scorso aprile e tale “riforma” era stata accettata grazie alla messa in campo d’importanti incentivi governativi.

Si prevedeva nel provvedimento del Ministero dello Sviluppo Economico l’introduzione del prezzo massimo settimanale, tramite il quale i gestori non potevano aumentare per una settimana il prezzo del carburante, una volta fissato. In questo modo si riduce solo la flessibilità e molto probabilmente questa perdita di capacità di modificazione dei prezzi causa degli aumenti nel medio periodo.

Questa riforma mancava in realtá di un forte spinta liberalizzatrice. In Italia, al contrario di altri paesi Europei, non si è sviluppata la vendita di prodotti non-oil. Questa limitazione è dovuta a leggi che di fatto bloccano la vendita di tutti quei prodotti al di fuori del “mondo auto”. È possibile oggi comprare il ricambio dell’olio dal benzinaio, ma non è possibile trovare un giornale o degli snack.

Questa chiusura deriva dal fatto che in Italia ogni categoria è gelosa del proprio “piccolo mercato” in monopolio e non vuole aprire alla concorrenza. I giornalai non vogliono che i quotidiani siano venduti dai benzinai, i benzinai non vogliono che la benzina e il gasolio siano venduti dai centri commerciali e via dicendo. Così facendo, l’Italia si ritrova bloccata a causa delle piccole posizioni di rendita di monopolio delle diverse categorie.

Questa mancata liberalizzazione della riforma dello scorso aprile era tuttavia “messa in pericolo” dalla legge sulla concorrenza. Se questo provvedimento passasse, ci sarebbe finalmente una spinta liberalizzatrice nel settore della vendita dei carburanti e verrebbe meno quello status quo che tanto va bene a tutte le categorie italiane.

Questa paura è alla base dello sciopero dei benzinai, ai quali va benissimo una riforma nella quale si mette un prezzo massimo inutile e si ricevono sussidi per la chiusura degli impianti (saranno davvero efficaci?). Alla categoria invece non va bene una vera liberalizzazione e per questo motivo era stato convocato lo sciopero di tre giorni che avrebbe bloccato l’Italia.

Solo tramite una vera apertura del mercato dei carburanti, verso una distribuzione libera (centri commerciali compresi) e un ampliamento della gamma dei prodotti venduti (non-oil) si potrebbero abbassare i prezzi nella distribuzione dei carburanti.

Il fatto che lo sciopero sia stato revocato, significa che probabilmente il Governo ha fatto un passo indietro e non ha trovato il coraggio di prendere quelle misure necessarie per liberalizzare il settore.

Non sempre il fatto che sia stato revocato uno sciopero porta con sé una buona notizia.

]]>
/2010/09/16/lo-sciopero-revocato-dei-benzinai-una-buona-notizia/feed/ 3
In Germania crolla il gioco di Stato /2010/09/12/in-germania-crolla-il-gioco-di-stato/ /2010/09/12/in-germania-crolla-il-gioco-di-stato/#comments Sun, 12 Sep 2010 11:28:23 +0000 Giovanni Boggero /?p=7015 Ogni tanto l’Unione Europea torna a fare il suo mestiere. Salvaguardare la libera concorrenza non andrà forse più tanto di moda, soprattutto se di mezzo c’è la Germania, ma talvolta Bruxelles riesce a stupirci. Questa volta, per la precisione, si tratta della Corte di Giustizia del Lussemburgo.

I giudici, riunendo una fitta serie di rinvii pregiudiziali, hanno infatti dato il colpo di grazia al sistema che teneva a galla il monopolio pubblico delle scommesse sportive teutoniche. La giustificazione addotta dal governo tedesco in ordine alla necessità di mantenere la posizione di vantaggio per tutelare i consumatori dalle frodi e combattere gli effetti nefasti del gioco d’azzardo è parsa alla Corte non conforme al dettato dei Trattati ed in particolare agli artt. 43 e 49 ex-TCE. La restrizione alla libera concorrenza è infatti ammessa per ragioni di interesse generale (sic), ma in questo caso i titolari dei monopoli pubblici – leggasi gli esecutivi regionali- hanno attuato campagne pubblicitarie a tappeto pur di massimizzare i profitti delle scommesse. Inoltre “le autorità tedesche attuano o tollerano politiche dirette ad incoraggiare la partecipazione a giochi da casinò e i giochi con apparecchi automatici”. Ancora una volta, insomma, dietro al paravento della tutela della salute o della protezione dei consumatori, si scorge la doppia morale di una mano pubblica che tenta brutalmente di far cassa.

Ora che il Glückspielstaatsvertrag è ridotto in cenere, il mugugno di Berlino, o meglio dei sedici Länder, non ha tardato a farsi sentire. Mentre il Land dello Schleswig-Holstein con il suo vicepresidente, l’avvocato liberale Wolfgang Kubicki, si propone di guidare la liberalizzazione del settore, la Renania-Palatinato, guidata da un governo di colore opposto, pare voler far di tutto per rafforzare il monopolio, in modo da incontrare i requisiti della disciplina europea. D’altra parte, proprio come disse un giorno un simpatico e fantasioso professore di diritto del lavoro a proposito delle pensioni delle donne in Italia: “L’Europa non ci chiede di alzare l’età pensionabile, ci chiede di equipararla”. Con ciò, alludendo al fatto che l’età pensionabile (maschile) sarebbe persino potuta scendere (!!).

Ad oggi il gioco d’azzardo online è proibito, la pubblicità è limitata (ne sa qualcosa il Milan!), mentre la normativa è carente sul versante delle slot-machine, tanto che i casinò avevano denunciato gravi perdite per la concorrenza sleale dei piccoli gestori delle “macchinette”. In poche parole una legislazione che ha favorito il mercato nero e che non ha aiutato più di tanto i monopolisti pubblici. Come spiegano dalle parti dell’FDP, l’emersione non sarebbe solo un beneficio per i consumatori, ma anche per le finanze dei Länder.

]]>
/2010/09/12/in-germania-crolla-il-gioco-di-stato/feed/ 1
Live blogging. Indice delle liberalizzazioni/5 /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni5/ /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni5/#comments Mon, 12 Jul 2010 10:34:30 +0000 Alberto Mingardi /?p=6483 Breve secondo giro di tavolo. Pilati è un “ottimista tecnologico” e invita a considerare la televisione non in se stessa, ma rispetto ai suoi competitori per l’attenzione del pubblico (YouTube, etc). Sulla Spagna, segnala come la tv pubblica senza canone abbia fatto bilanci disastrosi, e così pure i privati in un mercato “frammentato” (quello vantato positivamente da Gentiloni): il finanziamento dei contenuti, nel mondo di oggi, spinge ai consolidamenti. Le economie di scala sono molto rilevanti.

Sulle tlc, Pilati sottolinea differenza fra privatizzazione e liberalizzazione. La liberalizzazione del settore ha funzionato bene (pensiamo al mercato della telefonia mobile). Se mancano gli investimenti sulla rete, dipende dal modo in cui Telecom è stata privatizzata: Telecom non è stata in grado di difendere l’asset che aveva ricevuto in eredità dalla SIP (la rete). Il problema di oggi è che dopo aver caricato il debito delle acquisizioni sul patrimonio della società a Telecom mancano risorse. Gli operatori mobili hanno bisogno di risorse trasmissive in quantità maggiore di oggi: serve un riassetto delle frequenze, che ne sposti dal settore televisivo (dove sono usate in modo inefficiente) alla telefonia. Bisogna “aprire il trading delle frequenze” consentendo agli operatori di negoziare i diritti di uso che hanno accumulato nel tempo. Altrimenti si rischia saturazione reti operatori mobili.

Dopo la richiesta di un commento sulle assicurazioni da Bellasio, Pilati nota come l’indennizzo diretto non abbia fatto scendere i prezzi. Per Pilati, il differenziale di prezzo delle polizze con gli altri Paese va spiegato anche alla luce di una lettura del contesto italiano: troppi sinistri, troppa litigiosità, incertezza del diritto, frequenza delle frodi.

Bellasio nota come il PD faccia tutto fuorché incalzare il governo sulle liberalizzazioni.  Sulla tv, Daniele chiede a Gentiloni se non sia stato sbagliato, per la sinistra, evitare sempre il tema di privatizzazione della Rai. Gentiloni risponde che le forze di centro-sinistra hanno “problemi al loro interno”, e cita la vicenda del referendum sulla privatizzazione (cosiddetta) dell’acqua. Dice però che è dalle parti del Governo che le liberalizzazioni sembrano mordere il freno (“manca pure il ministro del ramo”).

Sul mercato del lavoro, Gentiloni sostiene che per salvaguardare il maggiore grado di apertura del lavoro vanno cambiati gli ammortizzatori sociali (per evitare “effetti boomerang” anche sul piano sociale). Evitare il cortocircuito con una forma di “flexecurity”.

Gentiloni è d’accordo con Pilati sul tema delle frequenze, siamo fra i Paesi più avanzati per accesso alla banda larga sul mobile, vanno redistribuite le frequenze ma c’è un “problema di posizione dominante dei grandi soggetti, che vogliono tenersi le frequenze anche se è evidente che oggi non sanno che farsene”. Gli operatori scommettono sull’innovazione, accaparrando frequenze pensando di potere poi andare all’incasso in un secondo momento. Per questo, il sacrificio non lo possono fare solo le tv locali “deve essere fatto a tutti i piani del palazzo dei televisionari”. La sua proposta è quella di un’asta pubblica delle frequenze (e non libero scambio dei diritti d’uso fra operatori, come proponeva Pilati).

Il dibattito è chiuso, Bellasio auspica che ci rivedremo l’anno prossimo “superando la soglia psicologica del 50%”. Come dalle migliori tradizioni italiche, ora si passa al buffet.

]]>
/2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni5/feed/ 0
Live blogging. Indice delle liberalizzazioni/4 /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni4/ /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni4/#comments Mon, 12 Jul 2010 10:14:47 +0000 Alberto Mingardi /?p=6480 Interviene Gentiloni. Gentiloni comincia notando come le liberalizzazioni purtroppo sembrino inattuali: sembra problematica la “prosecuzione di un disegno”, quello dell’apertura dell’economia, che ha coinvolto “prima la destra e poi la sinistra” fra la caduta del muro e l’attentato alle torri gemelle. “Avverto il pericolo che dopo il trionfo delle idee liberali a fine Novecento si inneschi ora una controtendenza”.

Gentiloni è “preoccupato dalla dottrina dell’antimercatismo del nostro ministro dell’economia” che non è “sufficientemente attenuata dai discorsi sull’art.41″ ma pure dal fatto che il leader del Pse all’Europarlamento, Schulz (sì, il “kapò” di Berlusconi), parli di “riscoprire le radici anticapitaliste della sinistra”. Segnala che il governo non ha licenziato la legge annuale sulla concorrenza “idea che non va mitizzata ma neanche fatta cadere”.

Gentiloni ha un punto interrogativo sul tema della tv: la tecnologia ha abbassato le barriere all’entrata, ma non è convinto sulla scelte del benchmark spagnolo. In Spagna, spiega Gentiloni, c’è un mercato frammentato e un operatore pubblico poco pesante, ma una regolamentazione ex ante fortissima.

Sui servizi pubblici locali, Gentiloni segnala come ci sia una sorta di “union sacreé” contro ogni genere di riforma effettiva. Mancano i regolamenti attuativi del decreto Ronchi, c’era stata la rivolta di mezza maggioranza contro il Lanzillotta. Questo perché, dice Gentiloni, evitando la liberalizzazione in un quadro di crescente devoluzione si può finire per consolidare situazioni ibride, che servono a piazzare persone e in alcuni casi ingenerano fenomeni di corruttela. Il fatto che si vada avanti a non fare nulla, per i veti di poteri locali e forze anti-mercato, è grave.  Il risultato potrebbe essere non “meno Stato, più società” ma “più ingerenza pubblica nell’economia e (di conseguenza, aggiungo io) più fattori corruttivi della politica”.

]]>
/2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni4/feed/ 0
Live blogging. Indice delle liberalizzazioni/2 /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni2/ /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni2/#comments Mon, 12 Jul 2010 09:19:43 +0000 Alberto Mingardi /?p=6474 Stagnaro sottolinea come l’Indice si basi sempre su benchmark che non sono Hong Kong o Singapore, ma Paesi europei, che in qualche senso ci somigliano e dai quali è possibile imparare. Gli indicatori su cui viene valutato, rispetto al benchmark, ogni settore censito dall’Indice sono talora di natura qualitativa, talora quantitativi. A partire dai diversi indicatori, si definisce un “indice di liberalizzazione” per i diversi settori.

Questi ambiti dell’economia sono ritenuti rappresentativi dell’economia italiana e da questi quindici settori si arriva a una definizione del “grado di liberalizzazione” della nostra economia. Dodici dei settori censiti sono propriamente valutabili in termini di liberalizzazione (divisi fra settori infrastrutturati e settori non infrastrutturati), tre invece (PA, fisco, mercato del lavoro) fanno parte del quadro giuridico che influenza l’attività di tutte le imprese.

Quali sono i risultati di quest’anno? L’Italia è in parte un Paese dove vi sono assieme mercati “abbastanza” liberalizzati (sopra il 60% del benchmark europeo) e mercati molto poco liberalizzati (sotto il 40% del benchmark). Un esempio di dinamica positiva è il mercato elettrico: il grado di liberalizzazione è andato crescendo dal 2007 al 2010 (quasi +10 punti percentuali rispetto al benchmark britannico). Il mercato elettrico italiano oggi è radicalmente diverso oggi rispetto a prima dell’avvio della liberalizzazione, dieci anni fa.

In altri settori vale il ragionamento opposto. Per esempio il trasporto ferroviario: l’incapacità di risolvere i conflitti d’interesse in capo a Trenitalia, insieme all’aumento dei sussidi a vantaggio dell’impresa pubblica, ha prodotto paradossalmente un decremento della libertà economica nel settore (nonostante sul piano normativo in realtà esistano regole non peggiore che in altri Paesi europei).

Ci sono settori in cui c’è più libertà d’entrata di quanto si creda: i servizi idrici (il peggioramento rispetto al benchmark è dovuto al miglioramento del benchmark stesso). Ci sono settori in cui dovremmo prepararci alla liberalizzazione (i servizi postali: c’è la spada di Damocle di una direttiva europea), ma la classe politica fa lo struzzo…

ps: avete mai notato che Stagnaro ormai parla come un vescovo? (con l’autorevolezza di un vescovo, ma anche con il brio di un vescovo…)

]]>
/2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni2/feed/ 0
Live blogging. Indice delle liberalizzazioni/1 /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni1/ /2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni1/#comments Mon, 12 Jul 2010 09:02:54 +0000 Alberto Mingardi /?p=6470 All’Hotel Four Seasons di Milano si presenta l’Indice delle liberalizzazioni 2010. Il Presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà ha avuto un problema dell’ultimo minuto, lo sostituisce Antonio Pilati (Componente AGCM). Coordina Daniele Bellasio,  ieri al Foglio ora al Sole 24 Ore, ed introduce dicendo parole belle sull’Istituto Bruno Leoni (grazie Daniele!). Apre il convegno Carlo Stagnaro, presentando i risultati della ricerca di quest’anno.

Carlo sottolinea come le liberalizzazioni siano “parte del gioco”. A dispetto delle oscillazioni del discorso pubblico, in realtà la riflessione sulla libertà economica non è uscita dal campo di gara, durante la grande crisi – e anzi diventa più cogente man mano che si addensano ombre scure sul futuro della finanza pubblica. Siamo alla quarta edizione dell’Indice: non si tratta di un grandissimo numero di osservazioni, ma se non altro cominciamo a poter vedere il “film” dell’apertura (o non-apertuura) di certi mercati, non ci limitiamo più a scattare “istantanee”.

Ma che cos’è una liberalizzazione? È un processo che porta alla rimozione di ostacoli di natura normativa, regolatoria, fiscale o parafiscale in un determinato mercato.  Liberalizzare significa soprattutto deregolamentare: vedasi il bel saggio di Peltzman in apertura dell’Indice di quest’anno.

Attenzione alla certezza del diritto: gestire l’incertezza politico-regolatoria è difficile da parte delle imprese, e aiuta solo quelli che sono in grado di “catturare” gli attori politici e i regolatori.

]]>
/2010/07/12/live-blogging-indice-delle-liberalizzazioni1/feed/ 0