Autocitarsi è sempre un po’ antipatico e va fatto con moderazione e ironia, ma a volte ci vuole. Leggere che i Democratici hanno rinunciato al climate bill, che avrebbe allineato (seppure in modo molto graduale e con le dovute calma e cautela) gli Usa alle politiche energetiche europee, non solo mi riempie di speranza. Non solo automaticamente paralizza tutti i negoziati globali sul tema, visto che è assai improbabile che gli Usa, non potendo raggiungere un compromesso interno, si facciano promotori di un compromesso internazionale. Non solo desta qualche preoccupazione e attenzione per la possibile scelta della Casa bianca di premere il pedale sulla regolazione della CO2 come un inquinante – una follia che nessun economista, che io sappia, considera sensata, ma con la politica non si sa mai. Soprattutto, provo una certa soddisfazione sapendo che – mentre tutti in Europa si sbracciavano per l’elezione di Obama e l’europeizzazione degli States – come Puffo Quattrocchi, l’avevo detto, io – in tempi non sospetti.
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Riceviamo da Corrado Clini, direttore generale del ministero dell’Ambiente, e volentieri pubblichiamo.
Quando nel settembre 1999 il Senato USA, all’unanimitĂ , aveva respinto la proposta del presidente Clinton di  ratifica del Protocollo di Kyoto, e dopo che nel dicembre 2000 si era consumata la rottura tra USA e Europa in occasione della COP6 dell’Aja, la comunitĂ internazionale avrebbe dovuto ricercare una strada diversa da quella del Protocollo per affrontare l’emergenza globale dei cambiamenti climatici: questo avrebbe dovuto essere in particolare l’obiettivo dell’Unione Europea, che aveva la leadership internazionale sui cambiamenti climatici. Prosegui la lettura…
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Come ampiamente previsto, l’amministrazione Obama ridefinisce al ribasso il suo impegno per Copenhagen. Lo spiega, in un articolo zeppo di informazioni e molto ben documentato, David Adam del Guardian, che evidenzia come gli americani abbiano messo nel mirino i due pilastri del ponte che da Kyoto avrebbe dovuto portare a Copenhagen: la definizione di obiettivi sfidanti e l’assegnazione, a ciascun paese, di un target di riduzione delle emissioni legalmente vincolante. Non sorprendentemente, Obama si allinea alla posizione negoziale di George W. Bush e, dunque, di Bill Clinton.
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