CHICAGO BLOG » keynesismo http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Tre ragioni per dire “no” al rinnovo degli incentivi /2010/09/28/tre-ragioni-per-dire-no-al-rinnovo-degli-incentivi/ /2010/09/28/tre-ragioni-per-dire-no-al-rinnovo-degli-incentivi/#comments Tue, 28 Sep 2010 14:43:33 +0000 Carlo Lottieri /?p=7157 Pare che i soldi che la scorsa primavera lo Stato ha messo a disposizione quali contributi a una serie di settori produttivi (motocicli, nautica, gru, macchine agricole ecc.) non sempre abbiano attirato i consumatori, a cui gli incentivi certamente piacciono, ma non per questo sono pronti a disfarsi del vecchio elettrodomestico solo perché c’è un finanziamento pubblico. Insomma, in qualche settore le risorse sono scomparse in pochi giorni (come nel caso dei motorini), mentre in altri casi (i macchinari ad alta efficienza energetica, ad esempio) si è ben lungi dal raggiungere un pieno utilizzo dei finanziamenti. Ma invece che limitarsi a prendere atto della cosa, il governo sembra intenzionato a rilanciare, destinando il denaro risparmiato ai settori che si sono “comportati meglio”.

Non vorrei farlo, e mi vergogno un poco, ma sono proprio costretto a ripetere le solite argomentazioni che ogni persona di buon senso (non c’è bisogno di essere liberali) richiama dinanzi a una scelta tanto irrazionale come quella di stanziare incentivi a favore di questo o quel settore produttivo. Tra i molti argomenti che si potrebbero toccare ne ho scelti tre: uno di ordine morale, uno economico e uno politico.

1. Sul piano etico, gli incentivi al consumo rappresentano una sottrazione di denaro ad alcuni (i contribuenti nel loro insieme) a favore di altri (i produttori di quei beni specifici e i consumatori che li acquistano). Molto semplicemente, si tratta di una rapina legalizzata che non ha alcuna giustificazione. Se vi è chi sia persuaso dell’esistenza di una qualsivoglia eticità in tutto ciò, sono ovviamente pronto a prestare attenzione alle sue parole, ma mi pare difficile che i suoi argomenti possano riuscire persuasivi.

2. Dal punto di vista economico, poi, la scelta è disastrosa per una serie di ragioni. In primo luogo, gli incentivi alterano il sistema informativo dei prezzi e quindi inducono a compiere scelte che, in loro assenza, non si sarebbero fatte. Un esempio può essere utile. Immaginiamo che, in assenza di distorsioni, io sia orientato a comprare un motorino usato. Potrei destinare anche più risorse e comprare un moto di grossa cilindrata e nuova, ma in realtà (per le mie esigenze) un piccolo ”due ruote” motorizzato e di seconda mano va benissimo. Al tempo stesso, però, se un ente pubblico è pronto a darmi altri mille euro in voucher affinché compri una moto nuova, il comportamento muta immediatamente. Sebbene non abbia bisogno di destinare tante risorse in quella direzione, siccome solo una quota viene da me sarei davvero economicamente irrazionale se non ne approfittassi.

L’esempio è triviale, ma l’alterazione per via politica dei comportamenti economici individuali (nel caso specifico: incentivando taluni consumi e disincentivando il risparmio) produce conseguenze rilevanti che abbiamo tutti sotto gli occhi. Pensate a un’azienda edile che avrebbe bisogno al tempo stesso di una scavatrice e di una gru, ma della prima più della seconda. Se però acquistando una gru una parte significativa della spesa è sostenuto dai contribuenti, è possibile che l’impresa faccia la scelta “sbagliata”. Moltiplicate tutto questo per mille o per un milione e avrete il caos irrazionale prodotto dalle innumerevoli interferenze fiscali, normative e politiche che gravano sull’economia del nostro tempo. (Perfino talune quotazioni di borsa, poche ore fa, ha subito alcuni sommovimenti che hanno la loro origine nell’attivismo governativo, con il titolo Piaggio schizzato in alto dopo gli annunci del rinnovo dei fondi per i motocicli).

3. L’ultimo rilievo riguarda la politica, poiché la devastazione in tale ambito derivante dalla logica degli incentivi è chiara a tutti. Quello che viene meno è il confine tra impresa e legislazione, tra economia e potere, con il risultato che se si è alla testa di un’azienda diventa assai più ragionevole investire tempo, risorse e attenzioni nell’influenzare le decisioni del governo, invece che nel curare la qualità delle produzioni stesse.

Ecco: i politici possono farsi belli elencando le oltre 70 mila cucine componibili vendute anche grazie agli incentivi, e poi gli oltre 20 mila motorini, i 1.300 prodotti per la nautica (tra motori e stampi per scafi) e via dicendo. A ben guardare, è solo un insieme di errori morali, economici e politici, che non hanno certo aiutato l’Italia, ma hanno solo aggravato una situazione complessiva tutt’altro che facile.

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Tony Blair sulla crisi /2010/09/03/tony-blair-sulla-crisi/ /2010/09/03/tony-blair-sulla-crisi/#comments Fri, 03 Sep 2010 10:10:23 +0000 Alberto Mingardi /?p=6940 Dopo che altri hanno già insistito sul monito al Partito Laburista contenuto nell’autobiografia di Tony Blair, A Journey, oggi il Wall Street Journal riporta alcuni passi del libro dedicati alla crisi finanziaria che ha contribuito prima a una straordinaria risalita di Gordon Brown nei sondaggi (sembrava “un keynesiano al posto giusto e al momento giusto”) e poi invece alla sua sconfitta elettorale.

Vale la pena di riportarli anche in questa sede. In primo luogo, scrive l’ex primo ministro, “non ha fallito il mercato., ha fallito una parte del settore”. Ma anche lo Stato “ha fallito. Le normative hanno fallito. I politici hanno fallito. La politica monetaria ha fallito. Indebitarsi era diventato eccessivamente conveniente. Ma non si è trattato di un complotto delle banche, è stata una conseguenza della confluenza (apparentemente fortunata) di una politica monetaria troppo facile e della bassa inflazione”.

Blair ha una visione piuttosto disincantata anche della “Obamanomics” neokeynesiana. “In ultima analisi, la ripresa non verrà stimolata dai governi, bensì dalle attività economiche, dalle imprese e dalla creatività, dall’ingegnosità e dall’intraprendenza degli individui. Se i provvedimenti che adotteremo per rispondere alla crisi diminuiranno i loro incentivi, soffocheranno la loro imprenditorialità, indeboliranno il clima di fiducia in cui esis operano, la ripresa diventerà estremamente incerta”. Una formula elegante per non sconfessare in maniera eccessivamente plateale i compagni di partiti, eppure porre in controluce l’interrogativo di Pietro Monsurrò: “Ma esiste uno straccio di prova che gli stimoli fiscali servano a qualcosa?”.

La cosa più interessante dell’articolo del WSJ è però un’altra citazione, dalla quale sembrerebbe emergere che la lettura della crisi di Blair non si allontana troppo da quella  spiegata molto bene da Jeffrey Friedman nella sua introduzione alla special issue di Critical Review sulla crisi. Per Friedman (e per Arnold Kling, vedasi il suo Unchecked and Unbalanced), la crisi non è stata dovuta a un “fallimento del mercato” quanto piuttosto a un “fallimento cognitivo” dei diversi attori in gioco, attori di mercato ma anche (forse soprattutto) regolatori.

Senza la raffinatezza intellettuale di Friedman, scrive Blair:

Quella che è mancata è stata la capacità di capire. Non l’abbiamo proprio vista arrivare. Si può sostenere che avremmo dovuto, ma così non è stato. Per giunta (e questo è un aspetto essenziale per capire in che senso indirizzare la regolazione del settore) non è vero che, se avessimo visto l’approssimarsi della crisi, non avremmo potuto fare niente per prevenirla. Il problema non è stato un fallimento della regolazione dovuto al fatto che le autorità non avevano il potere di intervenire. Se i regolatori avessero fatto sapere ai leader politici che era imminente un’enorme crisi, non avremmo replicato: “non possiamo farci niente fino a che non avremo introdotto nuove normative”. Avremmo agito.

PS: A scanso di equivoci: nulla di quanto sopra vuole esprimere apprezzamento per l’operato di Blair come primo ministro – operato che è molto controverso, contrassegnato assieme da grandi innovazioni sul piano del linguaggio politico e da severe compressioni dei diritti civili, in nome della “war on terror”, che per fortuna il nuovo governo britannico è determinato a rivedere. Ma il fatto che uno dei grandi protagonisti della scena politica mondiale degli ultimi trent’anni dia una lettura della crisi non troppo distante da quella costantemente avanzata su queste pagine e poche altre, pare significativo.

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La crisi farà bene? Come i terremoti, la guerra e il terrorismo /2010/05/19/la-crisi-fara-bene-come-i-terremoti-la-guerra-e-il-terrorismo/ /2010/05/19/la-crisi-fara-bene-come-i-terremoti-la-guerra-e-il-terrorismo/#comments Wed, 19 May 2010 14:09:23 +0000 Carlo Lottieri /?p=6005 Nella confusione culturale del nostro tempo, ci si può aspettare ogni cosa. E così non bisogna stupirsi più di tanto che vi sia qualcuno che sembra rallegrarsi dei disastri finanziari degli ultimi anni, dal momento che “la crisi economica fa bene all’Europa, CO2 in calo dell’11,6%”. E nemmeno è sorprendente leggere che per altri la perdita di valore dell’Euro farà bene all’economia.

Non scandalizziamoci.

Come ricorda un bel video realizzato da Tom Palmer, secondo Paul Krugman perfino l’attacco terroristico alle Torre Gemelle avrebbe potuto comportare conseguenze economiche positive (come già a suo giudizio sarebbe successo con la Seconda guerra mondiale), e qualcosa di simile aveva sostenuto Timothy Noah sul “New York Times” a proposito del terremoto di Kobe del 1995.

Ma il testo di Frédéric Bastiat su Ce qu’on voit et ce qu’on ne voit pas non l’ha proprio letto nessuno? (Qui una presentazione generale, qui la versione originale in francese, e qui la traduzione in inglese).

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