Nota per i lettori: post deliberatamente provocatorio ed anticonvenzionale
Su Econbrowser, Menzie Chinn analizza in prospettiva storica il deficit federale statunitense corretto per il ciclo, per portare argomenti a sostegno della tesi che vuole gli otto anni della presidenza di G.W.Bush come un periodo di sostanziale lassismo fiscale che ha posto le basi per le attuali dissestate condizioni del bilancio pubblico. Tesi che ha (naturalmente) suscitato immediate e robuste polemiche, nel momento in cui si cerca di attribuire responsabilità politiche per la Caporetto del bilancio federale.
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Mario Seminerio Senza categoria deficit pubblico, George W. Bush, Keynes, Stati Uniti
Due letture immediate a commento degli ultimi dati poco confortanti, due visioni diverse – entrambe non ottimiste, comunque, nello stile di questa nostra casa – dei rischi a cui tutti restiamo esposti, al di là degli ottimismi di maniera. Io vi dico subito che sono per la seconda lettura, quella che indica la necessità di un nuovo paradigma macroeconomico, ponendo l’intermediazione finanziaria ben al centro di una profonda revisione dei modelli teorici sin qui seguiti. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino mercato banche, Keynes, politica fiscale, politica monetaria
Non so quanti di voi si siano sciroppati i tre volumi tre dedicati in 25 anni di studio dallo storico Robert Skidelsky a John Maynard Keynes. Per molti versi è “la” biografia di riferimento del vate, una sorta di atti degli apostoli di chi lo considera il messia. Ora Skidelsky non è riuscito a dire no alle preghiere dell’editore, che lo invocava di metter mano a un bel volumetto di fiammeggiante rivendicazione del Profeta, visto che con la crisi tutti i governi tornano al suo decalogo spendi-e-spandi. Skidelsky purtroppo ha acconsentito, così ecco altre 240 pagine per venti sterline, “Keynes The Return of the Master“. La goduria massima oggi è la stroncatura assolutamente feroce da parte della Books Review del Sunday Times. Era Hayek, non Keynes, ad attaccare le politiche che condussero alla Grande Depressione. Erano i discepoli di Hayek, non di Keynes, a criticare i tassi di Greenspan che hanno gonfiato la bolla e ci hanno portato alla crisi attuale. Sono ancora i discepoli di Hayek, non di Keynes, a poter dire meglio come far ripartire crescita e occupazione in un mondo di mercati aperti, non chiusi come quelli di cui parlava il profeta statalista. Leggete e godete, se la pensate come noi. Altrimenti pensateci bene comunque e aprite le orecchie alle critiche, se siete rimasti keynesiani.
Oscar Giannino Senza categoria Crisi, hayek, Keynes
I tempi cambiano, ma le divisioni restano. Due economisti keynesiani, della London School of Economics e di Paris IX Dauphine, in questo paper si preoccupano di ciò che per noi sarebbe invece ottimale. La tendenza generale, in atto da un ventennio, alla graduale diminuzione del prelievo fiscale sulle imprese nell’area OCSE porta a una parallela diminuzione degli investimenti pubblici. A ogni 15% di calo dell’aliquota media, scrivono, corrisponde un calo degli investimenti pubblici che può andare da uno 0,6% ad “addirittura” più di un punto percentuale di prodotto. Conclusione, a prescindere dall’accuratezza dell’inferenza che a me personalmente lascia abbastanza perplesso (ma non è questa la sede per un approfondimento ipertecnico): se siete keynesiano o comunque statalista, penserete che abbassare le imposte alle imprese è due volte sbagliato; se siete un marginalista offertista, un neoclassico o comunque un antistatalista, penserete che abbassare le imposte è giusto non una volta ma due, perché l’investimento degli attori del mercato è per forza di cose più efficiente di quello deliberato e attuato dallo Stato.
Oscar Giannino Senza categoria crescita, Keynes, tasse
Dopo la segnalazione dell’articolo di Steele da parte di Oscar Giannino, eccoci con un altro link: a questo veloce, ma illuminante, post di Jerry O’Driscoll, stavolta su macroeconomia e keynesismo. Che potrebbe venir utile per aprire più vasti dibattiti, sull’effettiva importanza di Keynes nella storia del pensiero economico, sulla sua “vittoria” “più polemica che sostanziale° nei dibattiti di allora (per lo “scontro” sulla scuola austriaca, si veda questo libro, che svolge un po’ la funzione assolta dalla raccolta “A tiger by the tail” curata da Sudha Shenoy: ovviare al “rimpianto” di Hayek, di non aver mai scritto una confutazione della General Theory). Questo il nocciolo del ragionamento di O’Driscoll:
Much of the current debate is really over Smith’s original formulation: does savings add to or subtract from aggregate demand? Smith said savings is its own source of demand, while Keynes postulated that an increase in savings equated to an increase in the demand for money (liquidity preference).
Alberto Mingardi liberismo jerry o'driscoll, Keynes, legge di say, macroeconomia
Sull’ultimo numero di Economic Affairs una brillante stroncatura in punta di penna del moltiplicatore keynesiano, e degli effetti inter- e intratemporali delle variazioni della domanda da parte pubblica, rispetto alle automatiche reazioni di lungo periodo degli operatori di mercato. Drastica la conclusione: riproporre Keynes oggi non costituisce fondamento per alcuna solida politica economica, né di crescita reale né di stabilità monetaria.
Oscar Giannino Senza categoria Keynes, politica economica
Non riesce a persuadermi, l’argomento sollevato da Mario Seminerio nel suo post di stamane, citando l’intervento del presidente della Fed di Dallas Richard Fischer. Mi riferisco al problema posto all’efficacia della politica monetaria da banche e intermediari finanziari TBTF – too big to fail; ormai come insegna l’esempio AIG o delle finanziarie delle case automobilistiche non sono solo le banche a rientrare nella definizione, bensì ogni intermediario finanziario le cui dimensioni e interrelazioni su rischio di controparte possano essere valutati macrosistemicamente imprescindibili, per evitare reazioni a catena. Per scoraggiare l’assunzione di dimensioni monstre, bisogna assumere politiche antitrust ostili alle fusioni? Oppure ratios di capitale variabili al crescere degli asset patrimoniali, pre dichiarati ma inevitabilmente a discrezione del regolatore? O ancora, adottare una disciplina più onerosa delle riserve obbligatorie degli intermediari e dei relativi repos presso le banche centrali? Non mi sfuggono i limiti del gigantismo, ma non ne sono convinto. Un paper molto utile, per quanto di autore a me non molto caro, rafforza ulteriormente i miei dubbi.
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Oscar Giannino Senza categoria banche, Fed, friedman, Grande Depressione, Keynes
Ricordatevene bene, perché oggi torna utile: Keynes non amava affatto il capitalismo, bocciava il comunismo, ma sul socialismo era molto possibilista. Il King’s College di Cambridge pubblicherà tra poco nuovi inediti di John Maynard Keynes, e la lettura di un’anticipazione di alcuni testi curata da Roger Backhouse dell’Università di Birmingham mi ha fatto proprio bene. Di questi tempi in cui tutti o quasi si riscoprono keynesiani, rileggere le parole originali del divinizzato aiuta a tenere gli occhi bene aperti.
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Oscar Giannino liberismo, mercato friedman, hayek, Keynes