E’ quasi passata sotto silenzio, perchè sottovoce l’ha lanciata, la proposta di Guido Tabellini di riequilibrare la tassazione italiana abbattendo l’Irap ed alzando alcune aliquote Iva.
“Se potessimo farlo e se non ci fossero ripercussioni internazionali – ha scritto il rettore della Bocconi sulle pagine domenicali de Il Sole 24 ore- sarebbe il momento di sussidiare la produzione nazionale e tassare le importazioni”. Siccome non lo possiamo fare, Tabellini non vedrebbe male una riduzione della tassazione d’impresa finanziata da un leggero aggravio dell’imposta sui consumi, che è un modo indiretto di tassare un po’ di più le importazioni.
Il sottoscritto (che a Tabellini non potrebbe portare manco la borsa ma un po’ di senso politico ce l’ha) non scommetterebbe una lira sulla fattibilità di una proposta del genere: dire agli italiani che si finanza la riduzione dell’Irap alle imprese con la loro spesa quotidiana provocherebbe la prima rivoluzione armata dell’Occidente democratico.
Non andrebbe invece scartata a priori l’ipotesi di uno scambio Irpef-Iva, con la riduzione della tassazione sul reddito delle persone fisiche (abbattimento delle aliquote e irrobustimento di un’area di esenzione per i redditi medio-bassi) finanziata da un ritocco verso l’alto delle aliquote Iva.
Piazzo una piccola bomba carta sotto la sede di Chicago-Blog e scappo via dalla vergogna: la Polonia ha una tassazione del reddito personale a tre aliquote (zero, 18 e 32 per cento), con l’aliquota più alta che scatta sopra gli 85.528 sloty (pari a circa 20mila euro), ed un’aliquota Iva del 22 per cento.
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Stamane è stato annunciato l’avvenuto accordo di governo in Germania, tra la Cdu-Csu guidata da Angela Merkel che sarà premier confermata, e la FDP di Guido Westerwelle che andrà agli Esteri. Alle Finanze sarà destinato il vecchio roccioso Wolfgang Schäuble, tosto ex ministro degli Interni. Con ogni probabilità , per “moderare” i liberali, un po’ troppo mercatisti per i gusti della Merkel. Ma il piatto forte dell’accordo è uno: non ci sono solo molti impegni “sociali”, su sanità e previdenza, ma ben 24 miliardi di euro di tagli alle tasse. A partire dal 2011, ma 24. Mediti, il governo italiano alle prese con l’IRAP.
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Se dovessimo tenere un ideale referendum tra le imprese italiane sull’imposta più odiata, non c’è dubbio che l’IRAP vincerebbe la palma. Vincenzo Visco, che la inventò dieci anni fa unificando imposte diverse tra cui l’Iciap e l’ILOR, non è mai stato d’accordo. Il punto che lo lascia senza parole, è che senza Irap non ci sarebbe il pilastro regionale per finanziare la sanità , al di là dei trasferimenti nazionali al Fondo sanitario. Ma alcune caratteristiche dell’imposta l’hanno resa particolarmente odiosa. Colpisce più duramente quanto più manodopera l’impresa occupa. E lo Stato ne pretende il pagamento anche in caso di reddito negativo, quando l’impresa è in perdita. Prosegui la lettura…
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L’intervista di Innocenzo Cipolletta al Corriere, pubblicata giovedì, spiega meglio di tante denunce urlate le ragioni per le quali l’Irap va superata. E lo fa inquadrando il problema da un punto di vista “storico†ed ideologico: a metà degli anni Novanta i sindacati lamentavano il progressivo spostamento delle risorse delle imprese dal lavoro al capitale (che era in realtà un necessario ammodernamento della struttura produttiva italiana) e, con esso, il rischio che i contributi sanitari a carico dei dipendenti non fossero più sufficienti a finanziare il sistema sanitario universale. Visco tirò allora fuori dal cilindro questo ircocervo tributario, mezzo IVA e mezzo Ires (e da qui i continui borbottii di Bruxelles, della Corte di Giustizia Europea e di questa o quella sezione della Cassazione), che includeva nella base imponibile il costo del lavoro e gli interessi passivi a carico delle imprese. Costo della manodopera e costo del capitale, insomma. Prosegui la lettura…
Piercamillo Falasca fisco Bruxelles, federalismo fiscale, federica guidi, Francesco Giavazzi, Innocenzo Cipolletta, Irap, Salvatore Padula, tasse
Sono reduce da un fine settimana nella penisola calcidica, al congresso delle banche di Credito Cooperativo della Lombardia, che a tutti gli effetti è il maggior appuntamento nazionale dell’intero comparto delle BCC nazionale, il terzo pilastro del sistema creditizio italiano insieme alle banche SPA e alle Popolari. È la parte del sistema bancario con i più forti coefficienti di patrimonializzazione, e con un persistente aumento degli impieghi quasi a doppia cifra, rispetto allo zero e poco più per cento delle grandi banche SPA. Vorrei dilungarmi ma lo farò in altra occasione, visto che ho più volte scritto in questi ultimi tempi su Messaggero, Gazzettino e Mattino sul perché sarebbe il momento di fare delle BCC un Credit Agricole all’italiana, sul perché ancora siano più forti al Nord per storia e tecnica gestionale, e sul perché e sul percome il governo pensi di affidasi ad esse per la ormai stra-annunciata Banca del Sud. Qui voglio solo dirvi che le BCC sono giustamente perplesse su quanto finora si è sentito a proposito proprio della Banca del Sud, perché non sono disposte a travasi di raccolta dal Nord verso più impieghi al Sud. Il Sud di raccolta ne ha a iosa, il problema è di innalzare la tecnica e il merito di credito con cui vengono concessi gli impieghi. E quanto all’annunciato sgravio fiscale di 5 punti sulla raccolta reimpiegata al Sud, emerso in tralice dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso, le BCC del Nord chiedono come un sol uomo che un tale sgravio venga dato a tutti, non solo alle meridionali. Hanno ragione, a mio modesto avviso. È l’unica platea bancaria al quale al sottoscritto vengano applausi scroscianti quando, appellandomi alla loro forte tradizione e identità cattolica, dico che se fossi un ministro di Dio ebbene non me la sentirei proprio, di amministrare sacramenti ai capi di Banca Intesa e di Unicredit. Se non dopo prove di redenzione assai diverse dalla lettera che Faissola, il presidente dell’ABI, a loro nome ha mandato al premier la settimana scorsa. Ma qui mi fermo. Perché se dovessi proprio dirvi negli ultimi giorni da dove ho raccolto il più promettente segno di speranza, direi che è da Londra. Prosegui la lettura…
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(anche su Libertiamo.it)
Non si può nascondere una punta di soddisfazione nel sentire Federica Guidi scegliere, tra le proposte di policy che i Giovani di Confindustria hanno lanciato alla politica, una misura che l’Istituto Bruno Leoni aveva inserito un anno fa nel Manuale delle Riforme per la XVI legislatura: l’eliminazione dell’imposta regionale sulle attività produttive – l’Irap, l’imposta rapina – attraverso la sua “scomposizione” in due diverse componenti. Se quella del Manuale era una rivisitazione di un’intuizione di Francesco Forte, quella di Federica Guidi ne è una versione molto concreta e – se si volesse – facilmente attuabile. Le buone idee circolano, insomma. Prosegui la lettura…
Piercamillo Falasca mercato, welfare Confindustria, Guidi, Irap, riforme, sanitÃ