CHICAGO BLOG » iPad http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Andrew Keen e i privilegi della classe creativa /2010/08/25/andrew-keen-e-i-privilegi-della-classe-creativa/ /2010/08/25/andrew-keen-e-i-privilegi-della-classe-creativa/#comments Wed, 25 Aug 2010 11:59:54 +0000 Alberto Mingardi /?p=6846 L’Aspen Forum del Technology Policy Institute si è chiuso con un discorso di Andrew Keen, personaggio di cui ignoravo l’esistenza fino ad oggi  ma il cui libro è stato anche tradotto in italiano. Colpa mia non averlo né visto né letto, e se qualcuno invece l’ha fatto m’interesserebbe molto sapere che ne pensa.

Keen è un personaggio singolare, che alza la bandiera della “cultura del secondo novecento” (in Italia diremmo: post-sessantottina) sostenendo che si tratti del massimo prodotto di sempre della creatività umana. Prodotto che egli legge come in buona misura frutto di un “eco-sistema culturale” che ha consentito ai “creativi” (cinematografari, scrittori, musicanti) di trarre abbondante soddisfazione dal proprio lavoro. Di qui, parte con una filippica contro Internet, che di quella cultura sarebbe l’assassino. Sostanzialmente: lo sviluppo della rete avrebbe segnato una svolta ideologica per cui la qualità nella produzione culturale (si tratti di una rivista o di un CD) non dovrebbe essere più considerata degna di remunerazione monetaria. Questo ingenera una estrema “democratizzazione” della cultura, per cui tutto, non avendo prezzo, ha lo stesso valore: zero. Quei modelli di business che puntavano sulla costituzione di “piattaforme per la condivisione di contenuti” sperando di potere poi remunerare gli autori attraverso la pubblicità (un modello di per sé non certo nuovo: pensate alla televisione commerciale) sarebbero per Keen già obsolete, e in realtà sarebbero state sin dall’inizio votate al fallimento. Perché? Perché, banalizzo, “la qualità si paga”.

È un discorso affascinante anche se di dubbia consistenza. In prima battuta, a me possono piacere molto sia Bob Dylan che Saul Bellow e Philip Roth, ma prima di sostenere che i loro siano prodotti culturali intrinsecamente superiori a, chessò, Richard Strauss o Edvard Grieg piuttosto che Stendhal e Vittorio Alfieri ci penserei non due ma mille volte. Società diverse, in momenti diversi, hanno “pagato” gli artisti, i filosofi, i giornalisti, i musicisti in modo molto diverso. E siccome le preferenze sono individuali, ciascuno di loro può avere una diversa idea della moneta con cui desidera essere pagato.

C’è però un elemento di verità, o perlomeno a me sembra, nel discorso di Keen. Soprattutto grazie ad Amazon (Kindle) e a Apple (iPod/iTunes e giornali/iPad) si stanno affermando su Internet anche soluzioni per cui “la qualità si paga”. Questo vuol dire che tutto ciò che non è a pagamento fa schifo, oppure sia destinato a scomparire, perché dal momento che tutti hanno a disposizione tempo in quantità limitata lo dedicheranno solo ai contenuti “premium” per cui sborsano fior di quattrini? O, ancora, ciò che è gratuito sarà ridotto al rango di “assaggino”, per indurre all’acquisto, per esempio, di file audio o video?

Forse la faccenda è un po’ più complessa. Mi pare evidente che, con buona pace dei discografici, non esiste alcun tabù sociale che metta alla pari il donwnload illegale (com’era del resto ieri, con le videocassette copiate) con il furto. Mi pare altrettanto evidente che, con buona pace dei tecnofili, il libro va bene così com’è, non c’è bisogno di trasformarlo in una sorta di raccolta di link, e iniziative come il Kindle abbiano successo proprio perché ci consentono di procurarci in modo più pratico i cari vecchi libri.

Internet ci ha stupiti sin qui, e ci stupirà negli anni a venire. Non sarà tutta gratis, non sarà tutta a pagamento. I contenuti gratuiti, spiega Keen, danno l’impressione che “tutti siano uguali”, avvantaggiano il dilettante rispetto al reputato professionista delle arti e delle lettere. Ma siccome anche per leggere questo blog uno spende del tempo, davvero pensiamo che i lettori non sappiano giudicare e filtrare da sé i contenuti, investendo come meglio credono tempo e denaro?

È curioso che un “autoritario di sinistra”, come si definisce Keen, pensi che solo un prezzo in moneta possa rendere giustizia al valore di un’opera dell’ingegno – soprattutto perché, in tutta evidenza, anche al di fuori di Internet (pensiamo a libri o cd) i prezzi non riflettono solamente il “valore intrinseco” dell’opera, eterna chimera degli apologeti della “classe creativa”.

PS: Seth Godin sceglie di pubblicare in proprio sul web. La qualità che si paga, o la disintermediazione degli editori?

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