CHICAGO BLOG » Intesa http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Profumo, Passera e la grande banca /2010/09/07/profumo-passera-e-la-grande-banca/ /2010/09/07/profumo-passera-e-la-grande-banca/#comments Tue, 07 Sep 2010 18:06:51 +0000 Oscar Giannino /?p=6970 Ci sono due modi di guardare all’apparente crisi di fine estate dei due amministratori delegati delle due maggiori banche italiane. La prima è quella di perdersi nel filo di Arianna delle considerazioni di ordine personale, che tanto vanno per la maggiore nella stampa retroscenista, e non solo in quella politica. E così si sono lette fior di illazioni, su che cosa abbia spinto davvero o quali benedizioni abbiano indotto il Corriere della sera a pubblicare per due giorni di seguito articoli intorno agli investimenti alberghieri della famiglia Passera. E analogamente si sono sprecate le strizzate d’occhio, intorno al mormorio delle fondazioni azioniste raccolte insieme al presidente di Unicredit Dieter Rampl, nel protestare per aver appreso dai giornali che il fondo sovrano della Libia aveva aggiunto un altro due per cento buono di capitale alla quota di poco sotto al 5% già detenuta dalla banca centrale del Paese guidato dal finalmente amicissimo dell’Italia, il colonnello Gheddafi. Senonché chi scrive qui non intende inseguire considerazioni personalistiche. Hanno sicuramente il loro peso, per carità. Perché alla testa di grandi banche lo stile personale del numero uno operativo investe inevitabilmente il modello gestionale, il rapporto con gli azionisti, la scelta della prima cerchia del management alla testa delle diverse unità di business, e la modalità attraverso la quale essi trasmettono valori e procedure dell’istituto nelle attività di cui sono responsabili, a scendere fino all’ultimo sportello. Ma il primario giudizio su questo spetta agli organi e agli azionisti della banca. Tocca a noi tentare di capire invece se le polemiche tardoestive siano anche figlie di peculiarità sistemiche, quelle di cui ci occupiamo qui.

In una certa misura, la risposta è affermativa. Vediamo perché.

Nel caso di Intesa, il modello duale di governance bancaria mostra di non essere sempre automaticamente capace di impedire che, tra chi svolge la propria funzione apicale di gestione, e chi invece quella di sorveglianza, non possano insorgere anche talora equivoci. Nel caso specifico, non riguardano scelte istituzionali o operative della banca, ma le esternazioni personali dell’amministratore delegato, e la sua partecipazione a delibere che in realtà, anche volendo essere cattivi a oltranza nel maneggiare i criteri del conflitto d’interesse, configurano al massimo un caso di opportunità, non di rigorosa osservanza trasgredita. Ma anche se non innanzitutto l’opportunità è una categoria molto delicata, quando si tratta di apparire a prova di bomba di fronte al sospetto del conflitto d’interesse, a proposito della presenza di un fratello dell’ad nella società alberghiera operata da Intesa, quando in parallelo per le operazioni alberghiere della famiglia primari istituti bancari avevano messo a disposizione fior di capitali poi non utilizzati, ma investiti – del tutto legittimamente perché qui non siamo ostili al vantaggio fiscale comparato, su cui tanti demagogicamente ecepiscono in Italia – in Lussemburgo.

Nel caso di Unicredit, il problema è un altro. E’ una questione che questa volta non ha a che vedere con i colpi che ad Alessanro Profumo sono venuti dal guidare la banca più internazionalizzata d’Italia, più esposta in Paesi colpiti da crisi e bolle come l’Europa orientale, e insieme più avanti nell’aver adottato il modello originate to distribute più severamente colpito dalla crisi del modello d’intermediazione anglosassone. Oltre ad aver sottostimato all’inizio della crisi la necessità di ricapitalizzarsi. Tutto questo appartiene ormai al passato, come del resto confermato dagli stress test bancari europei – molto discutibili in verità, ma più per la tutela usata alle banche tedesche  – di qualche settimana fa.

Il problema che riemerge in Unicredit è un altro. Ed è di grande attualità non solo da noi, ma anche nell’Europa dei salvataggi bancari che da noi per fortuna non sono stati necessari, e in cui gli istituti che devono smobilizzare le quote di capitale pubblico d’emergenza pubblico sono alla ricerca di nuovi azionisti dotati di cospicui capitali. Che cosa è davvero oggi una banca nazionale? Basta che fondi sovrani e banche centrali estere ne diventino primo azionista, sommando quote che in teoria però sono distinte, perché sia giusto suonare l’allarme dell’attentato alla sovranità? Spetta all’amministatore delegato avvisare davvero preventivamente le fondazioni azioniste e il presidente, di una quota acquisita sul mercato da un investitore estero nel capitale della banca? Oppure sono gli azionisti, che a quel punto saltano in groppa all’occasione per mandare un segnale all’amministratore delegato che, però con la corretta governance poco o nulla hanno a che vedere? A me pare la seconda, e a voi che leggete?

Sarebbe stato più utile leggere analisi e opinioni intorno a questi tempi più generali, piuttosto che sulle ombrosità personali e inclinazioni politiche vere o attribuite ai due banchieri. Perché è inutile immaginare che gli sviluppi che si producono nei due maggiori istituti di credito italiano non imprimano di sé l’intero sistema bancario nazionale. Eppure, i tanti che hanno sprecato molte pagine per dire che era la Lega in crescita elettorale, e dunque in ascesa nelle indicazioni di amministratori delle fondazioni bancarie, ad attentare a Unicredit e Intesa, su questi aspetti sistemici hanno preferito quasi sempre tacere. Così va per lo più l’informazione su questi temi, in Italia. A conferma che la banca, la grande banca, conta ed è temuta assai più della politica.

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Da vero bastian cuntrari, difendo Chiamparino /2010/04/30/da-vero-bastian-cuntrari-difendo-chiamparino/ /2010/04/30/da-vero-bastian-cuntrari-difendo-chiamparino/#comments Fri, 30 Apr 2010 10:57:50 +0000 Oscar Giannino /?p=5831 Come largamente previsto, stamane Corriere della sera e Stampa si sono incaricati  di sparare a pallettoni sul sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Il Corriere lo accusa di improprie ingerenze politiche in Intesa. La Stampa arriva a dire che non deve più fare il sindaco, che la figuraccia è pessima. Siniscalco –  l’ex candidato di Chiamparino e Benessia alla presidenza del consiglio di gestione di Intesa al posto di Enrico Salza, che a Bazoli e co faceva e fa comodo confermare, come se lo dovessero indicare loro invece degli azionisti torinesi - non è del partito di Chiamparino, non è di nessun partito. Ha fatto più politica nella sua vita Salza, di quanta non ne abbia mai fatto Siniscalco. Dunque l’accusa va tradotta così: sono improprie ingerenze politiche quelli di azionisti che vogliano indicare candidati alla testa delle banche con propria autonomia, invece che allinearsi agli amminisrtratori accucciati che i manager bancari si scelgono da soli. E poiché le banche comandano e la politica balbetta, i giornali dei  quali i manager bancari decidono i direttori – sempre in nome dell’indipendenza dalla politica e da Berlusconi  e dalla Lega, questa è la scusa ovviamente per giustificare il proprio contropotere “etico” a suon di citazioni della Bibbia - massacrano senza pietà  il sindaco che pensa a Torino, invece che a sbattere i tacchi a Bazoli come fa da sempre quasi tutto il suo partito, e chiunque in Italia ne tema la forza.  Non ho la pretesa di convincere nessuno, anche perchè a pensarla così si finisce come dei paria. Capisco che il centrodestra a Torino accusi il sindaco di aver comunque esposto la città a un insuccesso: ognuno fa il suo mestiere, e l’opposizione  a palazzo civico fa il suo. Ma io dico: viva Chiamparino, e la sua ingenua sincerità che lo espone al rogo, perché nelle banche ci sono novelli papi che credono di stare sul Soglio di san Pietro.

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Siniscalco ko sotto il pugno di Bazoli /2010/04/29/siniscalco-ko-sotto-il-pugno-di-bazoli/ /2010/04/29/siniscalco-ko-sotto-il-pugno-di-bazoli/#comments Thu, 29 Apr 2010 17:48:07 +0000 Oscar Giannino /?p=5818 Domenico Siniscalco si è tirato via dalla canddiatura alla presidenza del consiglio di gestuione di Intesa, dopo la pubblicazione odierna da parte della Stampa del verbale del Consiglio della Compagnia di sanpaolo in cui è emerso quanto forti e decise fossero state le pressioni su Benessia per non disallinearsi dalle attese di Bazoli.  Credo ne vedremo delle belle, di qui al 30 prossimo quando si sceglie. Bazoli e Guzzetti hanno reagito alle determinazioni di benessia e del sindaco di Torino Chiamparino come se si trattasse di un’onta da lavare col sangue. Si sono appesi a tutti i campanelli relazionali e politici a loro portata, a cominciare dai vertici del Pd, e ora Chiamparino e Benessia sono sconfessati, il candidato della Compagnia – quello non da loro indicato – resterebbe il professor Beltratti, ma la logica pugilistica vorrebbe a questo punto che si tornasse a Salza, cioè al trionfo dei manager di una banca che si scelgono gli amministratori e li confermano sconfessando anche gli azionisti che dovrebbero esprimerli. Sullo sfondo, è evidente, la guerra irrisolta per il vertice Abi: con lo scontro senza precedenti e sin qui siostanzialmente in stallo paritario tra Faissola bazoliano, e Mussari espressione di Unicredit-Mps. Se davvero volete Mussari, avrebbe detto  il vertice di Intesa al Pd, allora rinuinciate a regalare a un amico di Tremonti la guida del consiglio di gestione di Intesa, e scaricate Chiamparino e Benessia. La vera risposta a chi dice che in Italia l’attacco alle banche viene dalla politica, dalla Lega e Berlusconi: macché, sono i sempre-manager,  a comandare anche sui propri azionisti se necessario.

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Lo spottone tv di Banca Intesa /2010/03/22/lo-spottone-tv-di-banca-intesa/ /2010/03/22/lo-spottone-tv-di-banca-intesa/#comments Mon, 22 Mar 2010 11:42:15 +0000 Guest /?p=5459 Riceviamo da Jack Free e volentieri pubblichiamo.

Il lungo spot pubblicitario trasmesso in tv da banca Intesa sorprende perché tutto ti aspetti tranne che la firma sulla storia di un salvataggio d’impresa sia messa proprio da una banca. Eppure chi conosce bene Corrado Passera, CEO di Intesa, sa che è un suo pallino da anni e che a forza di insistere qualcosa in questo campo è riuscito a ottenere dal suo fedelissimo Miccichè che si è impegnato al fianco delle grandi imprese alle prese con altrettanto gravi crisi finanziarie.
Tuttavia lo spottone a lieto fine crea non pochi mal di pancia all’interno di quella stessa banca dei territori inventata da Intesa con la gestione Modiano, e probabilmente dell’intero sistema bancario. In banca si teme che la pubblicità abbia creato forti aspettative nell’enorme plotone di piccole imprese stremate dalla crisi, incapaci di trovare la liquidità necessaria non solo al rilancio dell’impresa, ma a pagare le fatture dei prossimi tre quattro mesi per evitare lo spettro dell’insolvenza. Aspettative destinate ad essere frustrate perché i bancari stessi sanno che le strutture sono fragili e si sono presentate impreparate all’appuntamento della grande crisi economico-finanziaria sul piano delle risorse, dei meccanismi operativi e non ultimo dei sistemi di rating. Le risorse sono insufficienti per numero e qualità a fare fronte alle piccole imprese già oggi in evidente affanno (quanti in banca hanno competenze sufficienti a giudicare le possibilità di salvataggio di un’impresa in crisi?), i meccanismi mostrano crepe profonde tra chi in banca offre ancora credito e gli uffici che si preoccupano solo di recuperarlo senza curarsi di salvare i debitori, l’applicazione inappellabile del rating sta per mietere molte nuove vittime con all’arrivo dei bilanci 2009.
Se è vero che i fallimenti sono aumentati del 33% e le richieste di concordato dell 61% secondo l’ultimo osservatorio di CERVED, possiamo immaginare che il numero di imprese nei guai con le banche sia più che raddoppiato rispetto a un anno fa e l’andamento delle sofferenze bancarie non fa che confermare questa ipotesi.
Migliaia di imprenditori, le loro famiglie, la famiglie dei loro dipendenti si aspettano veramente di trovare le banche al loro fianco per uno sforzo titanico di salvataggio di attività e conti economici che non quadrano? A sentire i commenti dei piccoli imprenditori pensiamo che la maggior parte di loro non si aspetti né soldi né benevolenza da alcuna banca, grandi o piccole perché l’ombrello è disponibile sempre quando non serve. Qualcuno di loro starà commentando lo spot con ironia o rabbia, sapendo di avere sul tavolo le lettere di revoca dei fidi; qualcuno prenderà carta e penna per scrivere al dott. Passera mettendo in difficoltà i suoi PR.
Ora dobbiamo solo sederci davanti alla tv e attendere la risposta di Unicredit o di Monte Paschi, più melodrammatica ma sicuramente ancora più a lieto fine.

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Quel diavolo di Passera /2009/07/03/quel-diavolo-di-passera/ /2009/07/03/quel-diavolo-di-passera/#comments Fri, 03 Jul 2009 17:51:13 +0000 Oscar Giannino /?p=1357 Vi stavo ammannendo un’articolessa su Keynes eterno nemico del capitalismo, figlio di notturne riletture di articoli del divinizzato che mi han fatto andare per traverso un ottimo Jadot dell’81, e correre dai medici. Ma poi le agenzie mi han fatto sussultare. Ah no, il diavolo è molto più vicino. E come sempre occorre inchinarsi alle sue astuzie, quando fa guizzare a mo’ di coda di frac la sua appendice forcuta.  Perdonate il colore, ma è cosa da Cinquecento del Machiavelli, quella andata in onda oggi sul grande palcoscenico dei poteri bancari italiani. Mi aveva colpito che, del tutto fuor d’opera rispetto al convegno in cui annunciava 5 miliardi 5 di impieghi destinati alla piccola impresa italiana, stamane l’ad di Banca Intesa Corrado Passera avesse speso parole mielate verso il nuovo patto di sindacato “leggero” sottoscritto in Intesa da Generali e Credit Agricole, dopo che quello “pesante” di metà aprile era stato bocciato dall’Antitrust.  A Passera, inevitabilmente, quel patto non può piacere: neither heavy, nor light, nor ultralight. E infatti l’ad aveva anche aggiunto un “i nostri azionisti non creeranno mai problemi alla banca…”, a metà tra l’avvertimento a stare al posto proprio e l’esplicita diffida.

Senonché nessuno aveva dato peso all’ultima righetta: aspettiamo ora che dirà l’Antitrust, aveva concluso Passera.  Naturalmente, quel gran diavolo di Passera sapeva perfettamente già stamane che l’Antritrust, a mercati appena chiusi, stasera avrebbe scomunicato anche il nuovo patto “leggero”. Oggi Passera gli ha fatto marameo, alla Mediobanca geronziana che voleva stringere un pochino le viti a Intesa in vista della partita futura in Generali. Ma riderà bene chi riderà ultimo. Passi per gli schiaffi che Passera ha menato nelle nomine a Corriere, Sole e Stampa. Ma qui la cosa diventa più seria. E chissà che al diavolo alla fine riesca la pentola, ma salti il coperchio.

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