Ci sono due modi di guardare all’apparente crisi di fine estate dei due amministratori delegati delle due maggiori banche italiane. La prima è quella di perdersi nel filo di Arianna delle considerazioni di ordine personale, che tanto vanno per la maggiore nella stampa retroscenista, e non solo in quella politica. E così si sono lette fior di illazioni, su che cosa abbia spinto davvero o quali benedizioni abbiano indotto il Corriere della sera a pubblicare per due giorni di seguito articoli intorno agli investimenti alberghieri della famiglia Passera. E analogamente si sono sprecate le strizzate d’occhio, intorno al mormorio delle fondazioni azioniste raccolte insieme al presidente di Unicredit Dieter Rampl, nel protestare per aver appreso dai giornali che il fondo sovrano della Libia aveva aggiunto un altro due per cento buono di capitale alla quota di poco sotto al 5% già detenuta dalla banca centrale del Paese guidato dal finalmente amicissimo dell’Italia, il colonnello Gheddafi. Senonché chi scrive qui non intende inseguire considerazioni personalistiche. Hanno sicuramente il loro peso, per carità. Perché alla testa di grandi banche lo stile personale del numero uno operativo investe inevitabilmente il modello gestionale, il rapporto con gli azionisti, la scelta della prima cerchia del management alla testa delle diverse unità di business, e la modalità attraverso la quale essi trasmettono valori e procedure dell’istituto nelle attività di cui sono responsabili, a scendere fino all’ultimo sportello. Ma il primario giudizio su questo spetta agli organi e agli azionisti della banca. Tocca a noi tentare di capire invece se le polemiche tardoestive siano anche figlie di peculiarità sistemiche, quelle di cui ci occupiamo qui. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino corporate governance, credito banche, Intesa, Italia, Unicredit
Come largamente previsto, stamane Corriere della sera e Stampa si sono incaricati di sparare a pallettoni sul sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Il Corriere lo accusa di improprie ingerenze politiche in Intesa. La Stampa arriva a dire che non deve più fare il sindaco, che la figuraccia è pessima. Siniscalco – l’ex candidato di Chiamparino e Benessia alla presidenza del consiglio di gestione di Intesa al posto di Enrico Salza, che a Bazoli e co faceva e fa comodo confermare, come se lo dovessero indicare loro invece degli azionisti torinesi - non è del partito di Chiamparino, non è di nessun partito. Ha fatto più politica nella sua vita Salza, di quanta non ne abbia mai fatto Siniscalco. Dunque l’accusa va tradotta così: sono improprie ingerenze politiche quelli di azionisti che vogliano indicare candidati alla testa delle banche con propria autonomia, invece che allinearsi agli amminisrtratori accucciati che i manager bancari si scelgono da soli. E poiché le banche comandano e la politica balbetta, i giornali dei quali i manager bancari decidono i direttori – sempre in nome dell’indipendenza dalla politica e da Berlusconi e dalla Lega, questa è la scusa ovviamente per giustificare il proprio contropotere “etico” a suon di citazioni della Bibbia - massacrano senza pietà il sindaco che pensa a Torino, invece che a sbattere i tacchi a Bazoli come fa da sempre quasi tutto il suo partito, e chiunque in Italia ne tema la forza. Non ho la pretesa di convincere nessuno, anche perchè a pensarla così si finisce come dei paria. Capisco che il centrodestra a Torino accusi il sindaco di aver comunque esposto la città a un insuccesso: ognuno fa il suo mestiere, e l’opposizione a palazzo civico fa il suo. Ma io dico: viva Chiamparino, e la sua ingenua sincerità che lo espone al rogo, perché nelle banche ci sono novelli papi che credono di stare sul Soglio di san Pietro.
Oscar Giannino credito banche, Bazoli, chiamparino, Intesa
Domenico Siniscalco si è tirato via dalla canddiatura alla presidenza del consiglio di gestuione di Intesa, dopo la pubblicazione odierna da parte della Stampa del verbale del Consiglio della Compagnia di sanpaolo in cui è emerso quanto forti e decise fossero state le pressioni su Benessia per non disallinearsi dalle attese di Bazoli. Credo ne vedremo delle belle, di qui al 30 prossimo quando si sceglie. Bazoli e Guzzetti hanno reagito alle determinazioni di benessia e del sindaco di Torino Chiamparino come se si trattasse di un’onta da lavare col sangue. Si sono appesi a tutti i campanelli relazionali e politici a loro portata, a cominciare dai vertici del Pd, e ora Chiamparino e Benessia sono sconfessati, il candidato della Compagnia – quello non da loro indicato – resterebbe il professor Beltratti, ma la logica pugilistica vorrebbe a questo punto che si tornasse a Salza, cioè al trionfo dei manager di una banca che si scelgono gli amministratori e li confermano sconfessando anche gli azionisti che dovrebbero esprimerli. Sullo sfondo, è evidente, la guerra irrisolta per il vertice Abi: con lo scontro senza precedenti e sin qui siostanzialmente in stallo paritario tra Faissola bazoliano, e Mussari espressione di Unicredit-Mps. Se davvero volete Mussari, avrebbe detto il vertice di Intesa al Pd, allora rinuinciate a regalare a un amico di Tremonti la guida del consiglio di gestione di Intesa, e scaricate Chiamparino e Benessia. La vera risposta a chi dice che in Italia l’attacco alle banche viene dalla politica, dalla Lega e Berlusconi: macché, sono i sempre-manager, a comandare anche sui propri azionisti se necessario.
Oscar Giannino credito banche, Bazoli, Intesa, Sanpaolo
Riceviamo da Jack Free e volentieri pubblichiamo.
Il lungo spot pubblicitario trasmesso in tv da banca Intesa sorprende perché tutto ti aspetti tranne che la firma sulla storia di un salvataggio d’impresa sia messa proprio da una banca. Eppure chi conosce bene Corrado Passera, CEO di Intesa, sa che è un suo pallino da anni e che a forza di insistere qualcosa in questo campo è riuscito a ottenere dal suo fedelissimo Miccichè che si è impegnato al fianco delle grandi imprese alle prese con altrettanto gravi crisi finanziarie. Prosegui la lettura…
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Vi stavo ammannendo un’articolessa su Keynes eterno nemico del capitalismo, figlio di notturne riletture di articoli del divinizzato che mi han fatto andare per traverso un ottimo Jadot dell’81, e correre dai medici. Ma poi le agenzie mi han fatto sussultare. Ah no, il diavolo è molto più vicino. E come sempre occorre inchinarsi alle sue astuzie, quando fa guizzare a mo’ di coda di frac la sua appendice forcuta. Perdonate il colore, ma è cosa da Cinquecento del Machiavelli, quella andata in onda oggi sul grande palcoscenico dei poteri bancari italiani. Mi aveva colpito che, del tutto fuor d’opera rispetto al convegno in cui annunciava 5 miliardi 5 di impieghi destinati alla piccola impresa italiana, stamane l’ad di Banca Intesa Corrado Passera avesse speso parole mielate verso il nuovo patto di sindacato “leggero” sottoscritto in Intesa da Generali e Credit Agricole, dopo che quello “pesante” di metà aprile era stato bocciato dall’Antitrust. A Passera, inevitabilmente, quel patto non può piacere: neither heavy, nor light, nor ultralight. E infatti l’ad aveva anche aggiunto un “i nostri azionisti non creeranno mai problemi alla banca…”, a metà tra l’avvertimento a stare al posto proprio e l’esplicita diffida.
Senonché nessuno aveva dato peso all’ultima righetta: aspettiamo ora che dirà l’Antitrust, aveva concluso Passera. Naturalmente, quel gran diavolo di Passera sapeva perfettamente già stamane che l’Antritrust, a mercati appena chiusi, stasera avrebbe scomunicato anche il nuovo patto “leggero”. Oggi Passera gli ha fatto marameo, alla Mediobanca geronziana che voleva stringere un pochino le viti a Intesa in vista della partita futura in Generali. Ma riderà bene chi riderà ultimo. Passi per gli schiaffi che Passera ha menato nelle nomine a Corriere, Sole e Stampa. Ma qui la cosa diventa più seria. E chissà che al diavolo alla fine riesca la pentola, ma salti il coperchio.
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