CHICAGO BLOG » incentivi http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Lo spin-off di Fiat – Parte seconda /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/ /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/#comments Sat, 18 Sep 2010 10:11:25 +0000 Andrea Giuricin /?p=7079 Il Piano industriale di Sergio Marchionne, presentato lo scorso aprile, si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.

I danni dei sussidi europei

Gli aiuti statali dati in tutti i Paesi dell’Unione Europea sono stati molto importanti, in particolare in Germania, che affrontava un periodo pre-elettorale.

Tutte le case automobilistiche subiranno le conseguenze della fine degli incentivi, ma molto probabilmente Fiat ne risentirà di più, poiché molto spesso gli aiuti statali andavano principalmente ai produttori delle auto “piccole”, per motivi ecologici. Proprio in questo segmento di mercato, Fiat è ai vertici delle vendite. Il mercato europeo dovrebbe ridursi di circa il 15 per cento nella seconda parte dell’anno, mentre in Germania la contrazione si è già avvicinata al 30 per cento nei primi otto mesi del 2010.

La seguente tabella mostra la crisi nei principali mercati europei nel mese di agosto, mentre la situazione annuale non è univoca.

Mercato Europeo: la fine dei sussidi
Dati: Variazioni percentuali
Paese Agosto 2010/  Agosto 2009 Gen-Ago 2010/2009
Germania -27,0% -28,7%
Francia -7,9% 2,0%
Italia -19,3% -2,5%
Regno Unito -17,9% 13,2%
Spagna -23,8% 21,9%
UE27 -12,9% -3,5%
Fonte: Elaborazione dati ACEA

Il dato tedesco è il piú preoccupante poiché mostra una caduta continua vicino al 30 per cento, sia in agosto che nei mesi precenti. La Francia, secondo mercato europeo, mostra una diminuzione meno importante delle vendite, mentre l’Italia si avvicina al -20 per cento.

In Spagna e Gran Bretagna  la situazione è differente, poiché gli incentivi governativi sono cominciati nella seconda parte del 2009 e sono finiti più tardi che nel resto d’Europa. È la ragione per la quale nei primi 8 mesi del 2010 si è registrata una crescita nelle vendite. Tuttavia, per tutto il resto del 2010 vi sarà una diminuzione dell’ordine del 20/30 per cento.

In Germania Fiat sta subendo maggiormente la contrazione, tanto che la quota di mercato si è quasi dimezzata. Se questo andamento dovesse confermarsi, la casa automobilistica italiana dovrebbe perdere ulteriori 80 mila veicoli nel solo mercato europeo, che sommati ai 120 mila veicoli in meno del mercato italiano, farebbe oltre 200 mila veicoli.

La quota di mercato di Fiat in Europa è in caduta libera, avendo perso oltre un punto percentuale nei primi 8 mesi dell’anno. Nel mese di agosto il dato è ancora più preoccupante, dato che la market share è scesa al 6,5 per cento.

Il mercato europeo non aiuterà Fiat a raggiungere gli obiettivi del Piano industriale presentato ad aprile.

La situazione americana è un po’ migliore, ma certamente non è brillante, nonostante il lancio di 13 nuovi veicoli nel corso dei prossimi mesi.

La Fiat Americana

Il mercato dell’auto americano sta rimbalzando e Chrysler sembra essere riuscita in parte a beneficiare di questo recupero. I dati a disposizione non sembrano tuttavia suggerire euforia, in quanto la terza delle “Big Three” non si sta comportando molto meglio del mercato. La seguente tabella mostra l’andamento delle principali case automobilistiche.

Mercato USA
Dati: numero di veicoli venduti e quota di mercato
Casa Automobilistica Numero Veicoli Venduti Quota di mercato
Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010 Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010
General Motors 1374780 1461700 19,4% 19,1%
Ford 1077850 1276362 15,2% 16,7%
Chrysler 653319 720143 9,2% 9,4%
Toyota 1170409 1164154 16,6% 15,2%
Honda 806807 815075 11,4% 10,6%
Nissan 524903 599496 7,4% 7,8%
Totale Auto 3765089 3917734 53,3% 51,1%
Totale Truck 3304287 3743858 46,7% 48,9%
Totale Veicoli 7069376 7661592 100,0% 100,0%
Fonte: Elaborazione IBL dati WSJ

La quota di mercato di Chrysler è cresciuta nei primi 8 mesi dell’anno dal 9,2 al 9,4 per cento, grazie soprattutto alla debolezza e ai problemi di affidabilità di Toyoya. La casa automobilistica giapponese ha visto un tracollo della quota di mercato di un punto e mezzo percentuale a causa della campagna di richiamo e alle multe inflitte per mancanza di sicurezza dei suoi veicoli.

Nei prossimi mesi Sergio Marchionne ha annunciato il lancio di vetture Alfa Romeo e Fiat nei concessionari Chrysler. Il momento per il mercato delle auto non è facile negli USA, dato che i “light trucks” stanno conquistando sempre maggiori quote di mercato. Il tracollo della Smart lascia pochi spazi alla 500, in un mercato profondamente differente da quello europeo. Molto dipenderà dall’andamento del prezzo del petrolio; infatti nel 2008/2009 vi è stata la crescita della vendita delle vetture proprio quando il prezzo del gallone cresceva. Nel momento in cui il prezzo del “barile” è cominciato a contrarsi, i light trucks hanno ricominciato a diventare attrattivi, tanto che nel mese di agosto vi è stato quasi il sorpasso ai danni del mercato auto.

Il mercato americano comunque ha visto nel mese di agosto una contrazione del 21 per cento, fronte a una crescita nei primi 8 mesi dell’anno del 8,4 per cento. Anche negli USA i prossimi mesi potrebbero essere molto difficili per il settore auto.

Questa globalizzazione di Fiat non è stata ancora compresa da una parte del sindacato, la Fiom, la quale si è ritrovata a contrapporsi all’investimento di Pomigliano in piena campagna di successione della CGIL.

(continua domani: Pomigliano, la “Caporetto” della Fiom)

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Vuoti normativi e vuoti cerebrali /2010/04/09/vuoti-normativi-e-vuoti-cerebrali/ /2010/04/09/vuoti-normativi-e-vuoti-cerebrali/#comments Fri, 09 Apr 2010 13:25:06 +0000 Giordano Masini /?p=5629

Degli incentivi per l’installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica penso tutto il male possibile. Perché sono antieconomici e producono una quantità risibile di energia, come dimostra il caso della Germania, sempre incredibilmente citato come esempio virtuoso, dove

le installazioni di nuovi moduli fotovoltaici nel solo anno 2009 sono costati ai consumatori oltre 10 miliardi di euro, e così sarà per il prossimo ventennio. E questo per immettere sulla rete elettrica lo 0,3% della domanda nazionale, praticamente nulla. Per tutti i pannelli installati prima, gli incentivi ammontano a oltre €30 miliardi

Rappresentano però, negli ultimi tempi, una valida alternativa ad una agricoltura sempre meno redditizia, e molti agricoltori stanno affittando o vendendo terreni alle tante società che installano pannelli fotovoltaici le quali, grazie al business degli incentivi, possono permettersi il lusso di fare offerte ben superiori ai valori di mercato dei terreni. E sono spesso i terreni più fertili ad essere interessati da queste installazioni, dato che, come si può immaginare, un impianto fotovoltaico deve, per funzionare in modo accettabile, essere posizionato su un terreno pianeggiante e ben esposto al sole. Questo non piace alla Coldiretti, che

segnala il rischio speculazioni sul fotovoltaico e invita gli amministratori comunali, provinciali e regionali a riflettere sull’impatto ambientale dei grandi impianti fotovoltaici che sottraggono terreno agricolo al settore primario e che non possono coesistere con le attivita’ agricole

e , invocando lo spauracchio del vuoto normativo, che sulla politica produce lo stesso effetto di un minimo di pressione atmosferica per le masse d’aria o di un mucchio di letame per le mosche, chiede che si intervenga per vietare l’installazione di pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli.

Ricapitolando: l’agricoltura è ai minimi termini, si regge solo sui sussidi e non può approfittare delle opportunità del mercato grazie al bando degli Ogm voluto e difeso da Coldiretti. Gli agricoltori cercano nuove opportunità dove possono, e le trovano spesso nel demenziale sistema di politiche green volute e difese da Coldiretti. Questo, in qualche caso, significa cambiare la destinazione d’uso di ettari di terreno che, di conseguenza, non riceveranno più i sussidi della Pac su cui Coldiretti mangia a quattro ganasce.

La risposta, ovviamente, non è quella di riconsiderare le cause di questa situazione e di rappresentare gli interessi reali delle aziende, come per esempio rimuovere i divieti e i sussidi che impongono agli agricoltori di cercare profitti in maniera innaturale. La soluzione, ovviamente, è un nuovo divieto, una nuova, ulteriore, insopportabile limitazione della libertà di ognuno di usare i propri terreni come meglio crede.

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Termini Imerese: l’Italia a fine corsa con la politica dei sussidi? /2010/01/14/termini-imerese-l%e2%80%99italia-a-fine-corsa-con-la-politica-dei-sussidi/ /2010/01/14/termini-imerese-l%e2%80%99italia-a-fine-corsa-con-la-politica-dei-sussidi/#comments Thu, 14 Jan 2010 13:11:23 +0000 Andrea Giuricin /?p=4751 Lo sciopero di Termini Imerese nello stabilimento della Fiat è cominciato in concomitanza con l’inizio del Salone dell’Automobile di Detroit, l’appuntamento del settore più importante nel Nord America. La chiusura dell’impianto produttivo siciliano è ormai quasi una certezza e la casa automobilistica non ha intenzione di cambiare i propri piani.Le affermazioni di Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo torinese in risposta alle motivazioni dello sciopero sono molto forti: “Siamo un’azienda privata e non un Governo”. La frase evidenzia la fermezza dell’azienda di fronte all’ennesimo blocco che colpisce gli stabilimenti italiani. Le relazioni tra sindacati e Fiat sono sempre più tese, dato che la casa automobilistica non solo ha annunciato la chiusura dello stabilimento siciliano, ma ha messo anche in dubbio la continuazione dell’attività a Pomigliano d’Arco.
Tutti questi accadimenti molto italiani e molto difficili da far digerire alle parti sociali e al Governo arrivano proprio nel momento in cui Marchionne annuncia il rilancio del marchio Chrysler negli Stati Uniti. Entro la fine del 2010 è previsto il lancio di nuovi modelli e il Salone di Detroit è un po’ il punto di svolta. Il marchio americano, che nel corso del 2009 ha perso ulteriori quote di mercato nel mercato nord americano, dove è sceso all’8,9 per cento, ha bisogno di un cambio molto forte. Il produttore è diventato il quinto a livello statunitense, superato sia da General Motors e Ford, che dai produttori giapponesi Toyota e Honda.
Fiat sta razionalizzando la gestione di Chrysler e il rilancio del gruppo americano sarà molto difficile, nonostante l’enorme sperpero di denaro pubblico che le amministrazioni americane hanno immesso nella casa automobilistica.
La razionalizzazione che il gruppo dirigente Fiat sta compiendo è necessaria in vista di un mercato, che dopo la crisi, sarà ancora più competitivo. Sempre meno gruppi saranno sulla scena di un mercato sempre più globale. Nell’anno in cui la Cina è diventata il primo paese per numero di veicoli venduti è ormai chiaro che le case automobilistiche devono aggregarsi per rispondere alle sfide competitive globali.
E l’Italia e la Fiat non potranno sfuggire a questa nuova sfida che la globalizzazione del mercato automotive impone. Se da un lato Fiat sta provando a diventare un attore globale, il sistema Italia dell’automotive sembra non essere in grado di rispondere ad un mondo sempre più competitivo.
In Italia nel 2008 sono state prodotte 659 mila autovetture, tutte costruite dalla casa automobilistica nazionale. Nessun gruppo straniero ha investito in Italia per produrre autoveicoli e questa tendenza è ormai in atto da diversi anni.
Fiat s’internazionalizza sempre più nella produzione di veicoli, non solo per il costo del lavoro esageratamente alto, ma soprattutto per gli enormi vincoli burocratici che affliggono il nostro Paese. La mancanza d’investimenti stranieri non è, infatti, una prerogativa del solo mondo automotive, ma è una triste costante che percorre tutto il tessuto produttivo italiano.
Nel momento in cui Fiat cerca di agganciarsi alla globalizzazione e si avvicina lentamente ai mercati di sbocco, il nostro paese rimane incapace di reagire. Per anni le uniche politiche pubbliche nel settore, da parte di tutti i Governi, sono state quelle di fornire incentivi per stimolare la domanda. Il 2009 è stato il tipico anno dove i sussidi pubblici hanno dopato le vendite che altrimenti avrebbero visto una caduta molto più accentuata del sostanziale pareggio registrato.
Spendere centinaia di milioni di euro l’anno per sussidiare le vendite serve a poco per rilanciare la produzione italiana che necessiterebbe invece di un cambio di marcia. Riforme generali che aiuterebbero tutto il mondo produttivo – come quelle proposte nel volume “Dopo” (Ibl Libri) – darebbero anche al settore automotive quello slancio per trovare investitori.
I sindacati continuano a chiedere a Fiat e al Governo di aumentare la produzione di autoveicoli, senza capire che il mondo è cambiato. Il mondo sindacale potrebbe porsi una semplice domanda: perché la Repubblica Ceca o il Belgio producono più automobili dell’Italia?
È necessario fare riforme importanti per portare le case automobilistiche straniere a produrre in Italia.
Senza di queste, l’Italia è a fine corsa.

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Ancora sul Cip6. 4.100 megawatt a gennaio, quanti a fine 2010? /2009/12/04/ancora-sul-cip6-4-100-megawatt-a-gennaio-quanti-a-fine-2010/ /2009/12/04/ancora-sul-cip6-4-100-megawatt-a-gennaio-quanti-a-fine-2010/#comments Fri, 04 Dec 2009 08:38:43 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4141 Non sono ancora chiare tutte le conseguenze del decreto Mse sulla risoluzione anticipata volontaria delle concessioni Cip6. Sul Sole 24 Ore di oggi, Jacopo Giliberto parla efficacemente di “uno scivolo agevolato, un prepensionamento incentivato, un’offerta cui non si può dire di no”. Non è ancora chiaro, però, chi ci guadagna e chi ci perde, e dunque chi si adeguerà e chi, invece, proverà a opporsi al caloroso suggerimento che arriva da Via Veneto. Per mettere qualche punto fermo, è utile leggere questo informato e notizioso articolo, pubblicato ieri sulla Staffetta Quotidiana (che ringrazio per l’autorizzazione, qui in originale per abbonati): secondo il decreto, potrebbero chiudersi un massimo di 3.300 megawatt, su un monte complessivo dipotenza assegnabile pari a 4.100 megawatt a inizio anno prossimo. Quanti faranno ricorso alla risoluzione volontaria? E con quali conseguenze per il sistema?

Cip6: 4.100 MW a gennaio, quanti saranno a fine 2010?

Le quote esatte: 17% va ad AU e l’83% al mercato libero. Istanze di risoluzione verosimilmente alla fine del 1° trimestre 2010. Da esse dipenderanno la riduzione del “monte Cip6″ e le modalità di recupero in tariffa Quanti dei 3.300 MW capacità produttiva Cip6 eligibili per la risoluzione anticipata delle convenzioni aderiranno al meccanismo lo si inizierà a capire, almeno in parte, dopo il 21 dicembre, termine per la presentazione delle istanze (non vincolanti) al Gse. E in ragione delle convenzioni che verranno effettivamente interrotte e liquidate in anticipo diminuirà anche il quantitativo di energia Cip6 assegnabile al mercato libero e all’Acquirente Unico nel 2010 – un “monte” di elettricità a prezzo contenuto e prevedibile particolarmente appetito da alcuni grandi consumatori italiani. Le quote esatte previste dal decreto, firmato il 27 novembre scorso dal ministro Caludio Scajola, sono le seguenti: 83% per il mercato libero e 17% per l’AU. Visto il meccanismo di exit strategy dal Cip6, tuttavia, i 4.100 MW iniziali potrebbero ridursi nel corso dell’anno di un massimo di 3.300 MW (le produzioni da gas di processo e combustibili fossili). Secondo il decreto, ogni 20 del mese per il mese successivo il Gse annuncerà il totale di energia assegnabile sulla base delle risoluzioni avvenute fino a quel momento. Queste ultime potrebbero verosimilmente iniziare a dare i loro effetti verso la fine del 1° trimestre. Per il momento infatti è avviata la raccolta delle istanze non vincolanti di risoluzione, che verranno poi trasmesse al Ministero dello Sviluppo entro fine anno. Il Mse dovrà quindi dettagliare le modalità della rescissione delle convenzioni e di erogazione delle liquidazioni (in un unica soluzione o a rate) in un decreto ad hoc. Solo a questo punto, alla luce di tale decreto – che individuerà modalità di chiusura individuali per ogni singola convenzione – i produttori potranno presentare istanze vincolanti di risoluzione. Dalla data delle istanze, le relative convenzioni risulteranno a tutti gli effetti interrotte, e la relativa energia cesserà di far parte del monte Cip6 2010. Da qui ad allora correrà insomma parecchio tempo. Se è verosimile che qualcuno si lamenterà (si può ricordare che proprio sulle assegnazioni annuali del Cip6 scoppiò la “rivolta” degli energivori che portò alla nascita del Tavolo della domanda nel 2007) il mercato è certamente in condizione di prendere le relative contromisure. Altra questione che resta al momento in sospeso è poi come le erogazioni finanziarie legate alla risoluzione delle convenzioni verranno trasferite in tariffa attraverso la componente A3. Su questa gravano oggi gli oneri per sostenere gli incentivi Cip6 vigenti, e la rescissione anticipata “con sconto” permetterà di ridurre l’importo complessivo a carico dei consumatori. Resta però da stabilire, per così dire, il “fattore tempo”.

Quanto rapidamente l’importo delle liquidazioni verrà posto a carico delle bollette? Dipenderà dal numero e dall’entità delle istanze e dalle relative modalità di rimborso scelte. Lo scenario peggiore per i consumatori sarebbe naturalmente che tutti i 3.300 MW siano “risolti” con rimborso in un’unica soluzione. Un’eventualità tutt’altro che scontata però. D’altro canto è anche difficile immaginare che il prelievo A3 resti possa restare del tutto invariato o inferiore rispetto al passato. 

Da Staffetta Quotidiana, 3 dicembre 2009

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Fiat e i sindacati nel pallone /2009/11/30/fiat-e-i-sindacati-nel-pallone/ /2009/11/30/fiat-e-i-sindacati-nel-pallone/#comments Mon, 30 Nov 2009 17:09:53 +0000 Andrea Giuricin /?p=4011 L’incontro tra i sindacati della FIAT e il Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, in merito alla situazione di Termini Imerese, si è aperto nel modo peggiore. Le parole di  Antonino Regazzi, segretario generale della UILM, che ha affermato di ritenere necessario che “Fiat indichi quali siano le condizioni per aumentare la produzione a 1,5 milioni di auto l’anno” indicano che i sindacati sono completamente al di fuori del mondo produttivo italiano.

Lo scorso anno in Italia sono stati prodotti 659 mila autoveicoli, contro i 5,5 milioni usciti dalle fabbriche tedesche, i 2,2 milioni francesi e i 1,9 milioni inglesi. Tutte queste vetture sono state prodotte dalla casa automobilistica torinese perché, in Italia, nessun gruppo straniero ha il coraggio di investire (forse anche a causa dell’atteggiamento dei sindacati).

In Italia si producono meno auto della Repubblica Ceca e del Belgio e il settore automobilistico è in declino. Fiat ormai ha deciso di diventare un gruppo multinazionale e va a produrre dove le condizioni sono migliori. Condizioni migliori non significano solo costo del lavoro, ma soprattutto semplificazione burocratica e facilità nel fare business.

I sindacati non si sono mai chiesti perché in Gran Bretagna o Spagna, dove non esiste più un gruppo automobilistico nazionale, si producano 3 volte il numero di veicoli che in Italia?

Questa domanda è da rivolgere anche ai diversi governi italiani, che per anni hanno incentivato il settore auto dal lato della domanda. Gli incentivi auto 2009, che hanno dopato il mercato perché in gran parte hanno anticipato una domanda futura, sono costati circa 400 milioni di euro, ma non hanno avuto effetti da un punto di vista produttivo.

I governi Italiani hanno incentivato la domanda, ma mai si sono posti il problema di come aiutare la produzione. Questo doveva essere fatto cercando di favorire l’installazione di produttori esteri, con una semplificazione burocratica e con una maggiore certezza nelle condizioni di business. Non è mai stato fatto e ora ci si trova davanti ad un declino che difficilmente potrà essere recuperato.

Questo non significa che sia impossibile invertire la rotta. Ma al posto di spendere centinaia di milioni di euro in politiche di incentivazione alla domanda, il governo dovrebbe fare delle riforme strutturali per favorire l’arrivo di investitori esteri nel nostro paese.

Una di questa riforma strutturale forse riguarda proprio il mondo sindacale, che con le affermazioni di Regazzi ha mostrato di non comprendere le problematiche italiane.

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Quando la politica procura strani compagni di letto: il caso del taglia-incentivi /2009/11/26/quando-la-politica-procura-strani-compagni-di-letto-il-caso-del-taglia-incentivi/ /2009/11/26/quando-la-politica-procura-strani-compagni-di-letto-il-caso-del-taglia-incentivi/#comments Thu, 26 Nov 2009 17:27:34 +0000 Carlo Stagnaro /?p=3979 Ricevo da una persona che segue molto da vicino il dibattito parlamentare sui temi energetici e, per ragioni professionali, non può esporsi col suo nome proprio. Credo però che queste riflessioni siano assai utili a capire le bizzarrie del momento, e del paese, in cui viviamo. (cs)

La semplice notizia di un emendamento taglia-incentivi al Cip6 e alle rinnovabili (appena ritirato) è bastata a far divampare un nuovo incendio in Confindustria. L’allarme lo han lanciato martedì i produttori di energia da fonti alternative e gli ambientalisti. A stretto giro sono seguite le voci preoccupate di viale dell’Astronimia e dei grandi produttori elettrici. Nel frattempo il ministro Calderoli, sospettato di sponsorizzare la proposta per conto di Antonio Costato (bestia nera degli energetici in Confindustria) denuncia adirittura di aver subito minacce di morte.

Chiunque abbia veramente scritto l’emendamento, però, non si è reso conto di un effetto boomerang, che era dietro l’angolo. E che puntualmente è scattato.

Mettere insieme cose diverse, come ha fatto l’incauto estensore della norma fantasma, lo ha indotto nell’errore peggiore per un aspirante giustiziere di incentivi-vergogna. Grazie a lui, infatti, per la prima volta nella storia del Cip6 l’intero fronte delle fonti rinnovabili si è levato compatto in difesa della più vituperata (almeno fino a ieri) delle fonti incentivate: la produzione di elettricità dagli scarti di raffineria.

Difficile capire se Anev (eolici), Aper (rinnovabili), Assosolare (fotovoltaico) ma anche ambientalisti della prima ora come Greenpeace e Legambiente se ne siano avveduti. A chiedergli in queste ore se la cosa gli procuri imbarazzo tendono a cambiare discorso.

Intanto però, nel cercare di affossare le rendite principesche (e garantite per legge) di petrolieri e cogeneratori vari, il misterioso vendicatore gli ha schierato involontariamete a difesa il più puro degli eserciti. Di certo nessuno spin doctor o ufficio stampa avrebbe saputo fare meglio. 

Invece qualche sana distinzione andrebbe fatta. Un conto sono gli incentivi alle rinnovabili e i Certificati Verdi. E’ vero che lo stesso presidente dell’Autorità per l’energia Ortis ha più volte denunciato che costano troppo. E le cifre  in effetti fanno abbastanza paura – a regime si parla di 7 miliardi l’anno con i meccanismi di incentivazione vigenti, almeno se si vogliono raggiungere gli obiettivi europei al 2020.

Tutta un’altra cosa, però, sono gli incentivi Cip6 alle assimilate, che hanno la macchia di essere un meccanismo nato già discutibile e divenuto alla fine un’incomprensibile (a parte per i beneficiari e i loro creditori, s’intende) rendita di posizione – per di più blindata da una legge dello Stato.

In questo senso il percorso indicato dalla Legge Sviluppo 99/09, oggi presentato come soluzione “equilibrata” su cui si abbatte alla cieca la scure del barbaro Costato, non è detto che sia ottimale.

In pratica si tratta di una liquidazione subito, per chi la vuole. Dietro la porta, intanto, già aspetta un nuovo sistema di incentivi, che è tutto da vedere se sarà migliore o peggiore del primo. Il rischio di un nuovo Cip6 è sempre dietro l’angolo. 

Lex Willer

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Auto di Stato, la BCE silenziata /2009/10/15/auto-di-stato-la-bce-silenziata/ /2009/10/15/auto-di-stato-la-bce-silenziata/#comments Thu, 15 Oct 2009 16:47:01 +0000 Oscar Giannino /?p=3295 Nel Bollettino mensile reso noto stamane la BCE boccia senza appello gli aiuti di Stato all’auto. Non c’è un solo giornale italiano che lo riporti nel suo sito. Repubblica ha tenuto la notizia per un paio d’ore, poi l’ha retrocessa.  Inutile chiedersi: come mai? Utile invece interrogare chi ci legge, e che magari è giustamente pronto a strapparsi la camicia in nome della presunta libertà di stampa in materia di politica italiana. Ma invece all’auto-condizionamento rigoroso e assoluto in materia economico-finanziaria – laddove “auto” va letto in chiave polisemica, come fenomeno spontaneo e come mezzo di trasporto – com’è che nessuno fa mai caso? Bisogna dire le cose come stanno: quando si tratta di Fiat e di tutti i direttori che le devono carriera e onori nei media, l’ipocrisia non può che regnar sovrana. Berlusconi se lo sogna, di avere i direttori ai piedi che ha avuto sempre Torino, per il semplice fatto che lui al Corriere e alla Stampa non ha mai – giustissimamente – fatto promuovere o nominato neanche un portiere. Eppure, ripeto, la BCE ha parlato chiaro. Le misure per l’auto non sono solo distorsive in termini di concorrenza: quel che è ancora peggio, deprimono la crescita.

Gli incentivi per l’acquisto di auto in Europa - taglio e incollo dal bollettino - avranno un impatto positivo contenuto sull’attività nell’area dell’euro nel corso del 2009 ed è possibile che diventi negativo nel 2010… in generale dati gli effetti distorsivi generati, tali misure andrebbero attuate con cautela in quanto potrebbero ostacolare l’efficiente funzionamento di una libera economia di mercato e ritardare i necessari cambiamenti strutturali, compromettendo così le prospettive di reddito e occupazione complessive nel più lungo termine.

Certo, la BCE riconosce che gli incentivi auto hanno avuto un impatto al rialzo sui consumi privati con un effetto pronunciato in paesi come Italia, Germania, Francia e Austria. La stima di costo per le finanze pubbliche di questi programmi di rottamazione delle autovetture dovrebbe ammontare a meno dello 0,1 per cento del Pil nel complesso dell’area nel periodo 2009-2010.

Le misure - continua il Bollettino BCE - sembrano aver avuto successo in quanto hanno sostenuto la domanda di breve periodo di autovetture nuove. Ma i programmi di rottamazione delle autovetture hanno anche effetti avversi immediati e futuri sull’attività. Innanzitutto è stata frenata la domanda di altri acquisti importanti (come nuovi articoli di arredamento, ma anche riparazioni di automobili) a causa sia dell’impatto diretto dell’acquisto di autovetture sui bilanci delle famiglie, sia dell’impatto distorsivo sui prezzi relativi. Poiché gli acquisti di nuove autovetture hanno scalzato altri acquisti importanti, l’impatto delle misure sui consumi privati e sull’attività economica complessiva è inferiore a quello diretto sulle vendite di autovetture.

I politici non hanno niente da dire? Certo è ancor più difficile che lo facciano, se lettori di giornali e ascoltatori di tv e radio neanche lo sanno, che cosa scrive la BCE.

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Morals and markets al Seminario Mises /2009/10/11/morals-and-markets-al-seminario-mises/ /2009/10/11/morals-and-markets-al-seminario-mises/#comments Sun, 11 Oct 2009 08:40:40 +0000 Alberto Mingardi /?p=3198 Ieri al Seminario Mises, Benjamin Powell e Ed Stringham hanno presentato due paper molto interessanti, rispettivamente intitolati “The Role of Monetary Profits and Cultural Values in Promoting Productive Entrepreneurship” e “Entrepreneurship as Social Value“.  Entrambi si inseriscono in un filone di ricerca di crescente importanza, che utilizza diversi strumenti analitici (in molti casi, esperimenti di laboratorio) per ampliare la nostra comprensione delle motivazioni che spingono gli attori economici ad agire.
Jean-Pierre Centi ha sottolineato che questi lavori ci riportano ad una qualche versione del “problema di Adam Smith”: la tensione fra la Teoria dei sentimenti morali e la Ricchezza delle nazioni. Scambi personali e scambi impersonali, piccolo gruppo e grande societa’: in molti hanno letto l’Adam Smith di TMS, che tanta attenzione dedica allo “spettatore imparziale” (una sorta di SuperIo) che censura i nostri comportamenti sulla base di giudizi in realta’ non molto diversi da quelli della (piccola) societa’ in cui tutti viviamo, in contrasto con quello che celebra l’ordine spontaneo dei mercati come un grande “meccanismo” nel quale la “mano invisibile” guida l’armonizzazione degli interessi individuali (non dalla benevolenza del macellaio…). A parte il fatto che su “Das Adam Smith problem” sono state scritte intere biblioteche, e a parte il fatto che in realta’ anche nella Ricchezza delle nazioni si legge la propensione allo scambio come insita nella stessa nostra natura, non e’ curioso che queste ricerche partano tutte, in realta’, da una cosa che potremmo chiamare il “problema dell’imprenditore”. Questi studiosi ci dicono, in buona sostanza, che non basta il motivo del profitto a spiegare la “vocazione imprenditoriale”. Per Schumpeter, gli imprenditori sono sostanzialmente “irrazionali”. E Rothbard, ricorda Stringham,  sostiene che l’obiettivo di ogni individuo e’ “not to maximize just monetary income, but to maximize psychic income which is monetary income plus subjective benefits of different endeavors”.
Se le motivazioni degli imprenditori sono le piu’ varie, e’ possibile avere arrangiamenti sociali che “stimolino” l’imprenditorialita’?
Il lavoro di Stringham sottolinea l’importanza di “internal constraints” (lo spettatore imparziale di Smith) per mantenere la cooperazione sociale.
Il paper di Powell, piu’ empirico, e’ l’inizio di una ricerca volta a indagare come l’apprezzamento sociale della figura imprenditoriale possa influenzare al margine la “fertilita’ imprenditoriale” di una societa’.

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Perché parlare solo del banker’s bonus? E quelli dei regolatori? /2009/10/03/perche-parlare-solo-del-bankers-bonus-e-quelli-dei-regolatori/ /2009/10/03/perche-parlare-solo-del-bankers-bonus-e-quelli-dei-regolatori/#comments Sat, 03 Oct 2009 19:42:52 +0000 Oscar Giannino /?p=3107 Beatrice Weder De Mauro, del Consiglio Economico degli Esperti tedesco, ha sollevato un problema essenziale. Perché tutti i politici si occupano con dovizioso compiacimento degli eccessivi bonus dei banchieri, e dimenticano che la crisi è figlia della cattura dei regolatori? Evidentemente, o nessuno di loro ha mai letto quel che George Stigler scrisse sull’argomento, ormai decenni fa, oppure semplicemente preferiscono ignorarlo, perché i regolatori li hanno nominati loro, e sono stati loro a tenere gli occhi ben chiusi di fronte al fatto che diventavano prigionieri delle megainvestment banks. Di conseguenza, più che delle fees dei banchieri bisognerebbe parlare degli incentivi dei regolatori, e di come congegnarli per ottenere che essi siano commisurati al raggiungimento  dei risultati di crescita nella stabilità e solvibilità che essi devono tutelare. La tesi ha suscitato un vasto dibattito, molti dei cui interventi di prestigiosi economisti di tutto il mondo trovate qui.   Personalmente sono più d’accordo con la necessità di discuterne espressa da Alberto Alesina, a cominciare dalla FED e dai regolatori americani ma senza dimenticare la BCE e lo schema De la Rosiere superficialmente modificato di cui si parla in Europa, che con la contrarietà alla soluzioni dichiarata da Luigi Zingales.

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Rottamare la Große Koalition /2009/09/05/rottamare-la-grose-koalition/ /2009/09/05/rottamare-la-grose-koalition/#comments Sat, 05 Sep 2009 15:18:08 +0000 Giovanni Boggero /?p=2525 Come peraltro ampiamente previsto, lunedì scorso il governo tedesco ha chiuso il rubinetto degli incentivi alla rottamazione. Il bilancio, tra l’euforico e il severo, l’ha fatto il settimanale Der Spiegel qualche settimana fa, dedicando la propria copertina e il suo speciale proprio al cosiddetto Abwrackprämie. Cinque i miliardi spesi, quasi due milioni le auto rottamate. Un modo come un altro per dimostrare agli elettori che il governo tedesco si muoveva con decisione per porre un freno alla crisi– e allargare il buco nel bilancio… L’effetto è stato quello di drogare ancora un po’ il mercato dell’auto, che non soffriva certo di una crisi congiunturale, ma di un chiaro problema di sovraccapacità (si veda Opel e la tassa occulta che grava su tutti i contribuenti tedeschi per farla rimanere in vita). Ora che i sussidi sono finiti e la possibilità di mandare i lavoratori in Kurzarbeit -la cosiddetta “settimana corta”- è prossima alla scadenza, la Germania si ritroverà con i medesimi problemi che tali misure puramente elettorali hanno solo ritardato.

Ma il generoso incentivo ha anche sortito l’inevitabile effetto di alterare le preferenze dei consumatori, danneggiando altri settori, in primis quello della riparazione e dell’usato. E così la domanda più ricorrente in Germania è diventata: perché gettare via auto vecchie di nove anni, ma che funzionano?… Segno insomma che la parabola della finestra rotta di Bastiat può essere costantemente riadattata nel tempo. E ancora: perché sussidi solo per le auto e non per i frigoriferi? L’interrogativo trova una facile risposta nell’abile capacità dei regolati, sindacati ed imprenditori del settore auto tedesco, di catturare il regolatore. Il risultato è che fino a luglio le nuove auto immatricolate sono state circa 2,4 milioni, il 27% in più dell’anno precedente, ma di queste solo una modesta percentuale è di fattura teutonica: ad averci guadagnato sono infatti state Fiat, Lada, Hyundai, Kia, Suzuki e via di seguito. L’obiettivo tutto protezionista dell’Abwrackprämie di tutelare i campioncini nazionali si è dissolto in una bolla di sapone; inavvertitamente il programma congiunturale della Große Koalition si è trasformato in un aiuto che ha superato i confini tedeschi, finendo anche nelle tasche di imprese straniere. Ma il bonus rottamazione era stato propagandato anche con quella spruzzatina di verde ecologista. Ma gli ambientalisti attaccano: non si è ancorata la vendita dei veicoli a criteri di emissione più rigida. Risultato? A giovare all’ambiente sarà la mera innovazione tecnologica, se è vero che le auto vendute sinora in Germania sono meno inquinanti di quelle rottamate, non per qualche disposizione legislativa, ma semplicemente grazie al progresso. In ultimo, due parole sugli abusi; secondo informazioni della polizia criminale, intorno all’incentivo rottamazione si sarebbe sviluppato un giro di affari clandestini non da poco: circa 50.000 auto, anziché essere rottamate, sarebbero state vendute sul mercato nero in Africa. Per la serie cornuti e mazziati: lo Stato ha dato via 2500 euro per ciascuna auto e c’è pure chi se li è intascati, guadagnandoci. Chapeau.

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