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Posts Tagged ‘imposte’

Germania: due riflessioni su proporzionale e FDP

28 settembre 2009

Prima osservazione sulle elezioni tedesche, se permettete dichiaratamente un po’ provinciale, visto che antepone un classico punto visuale italiano invece che internazionale: hanno di che riflettere, i sostenitori nel nostro Paese del sistema tedesco. Capisco bene che ai più convinti tra loro non farà né caldo né freddo ciò che dico, anzi con ogni probabilità è esattamente ciò che a loro mirano. Ma se il sistema elettorale tedesco di anno in anno caduto il muro sta mostrando qualcosa, è che la presa dei maggiori partiti fatalmente è destinata a cadere insieme alla loro funzione centrale di stabilità di governo. E ciò si deve al proporzionale. La somma di Cdu-Csu e Spd è in caduta libera: da più dell’80% ai tempi d’oro della Germania postbellica, è scesa ormai a poco più del 56%. Per la Spd i voti conseguiti sono il punto più basso della sua storia, ma anche per Cdu-Csu si tratta del secondo peggior risultato. Capisco che i teorici dell’interposizione centrista e sinistrista anche da noi mirino a effetti del tutto analoghi. Io penso invece che più un Paese diventa complesso e poliarchico, meglio sia avere un sistema elettorale solidamente maggioritario che assicuri una buona governabilità. Anche perché il naso mi dice che in Italia non avremmo l’equivalente di un FDP al 14-15% ma una riedizione minore postdemocristiana che guarderebbe a una sinistra che tornerebbe a frazionamenti dei tempi prodiani, più un solido innesto populista-manettaro. Roba un po’ da brividi, se mi passate la sincerità. Veniamo invece al significato del voto tedesco considerando l’economia, e il ruolo leader che la Germania esercita per la sua forza sull’economia dell’euroarea. Prosegui la lettura…

Oscar Giannino energia, fisco, mercato, welfare , , , , ,

Studi di settore, ancora una presa in giro

16 settembre 2009

Lo scorso autunno, al mordere della crisi, cominciò a essere chiaro che gli studi di settore – gli oltre 200 strumenti analitico-sintetici nati per indicare presuntivamente in maniera condivisa cifra d’affari e imponibile di commercianti, artigiani e professionisti, e divenuti sempre più strumento unilaterale di definizione da parte dell’amministrazione finanziaria dell’imposta dovuta, come diceva Totò, “a prescindere” - non avrebbero registrato gli effetti restrittivi del rallentamento delle attività economiche. Di conseguenza, avrebbero aggiunto ingiustizia ulteriore a una violazione patente degli articoli 23 e 53 della Costituzione, in materia di riserva di legge per imporre tributi e definizione della capacità impositiva. Come direttore allora di LiberoMercato, patrocinai una dura serie di proteste da parte delle categorie, che ebbero un certo seguito nel Nord e soprattutto nel Nordest. Non mi fidavo molto della capacità di autocorrezione da parte dell’Agenzia delle Entrate, in un anno nel quale inevitabilmente il gettito sarebbe stato in contrazione per via della crisi. Nella finanziaria per il 2009, il governo a muso duro respinse la definizione di un impegno esplicito alla revisione concordata degli strumenti e relativi parametri. Passarono risoluzioni in aula, in tal senso. E alle categorie il governo promise che si sarebbe proceduto quanto prima alla ridefinizione degli studi. Temo di aver avuto ragione. A dieci mesi di distanza, non è accaduto nulla. Se non di peggio. Prosegui la lettura…

Oscar Giannino liberismo , , , ,

Meno tasse: grazie, professor Giavazzi

16 settembre 2009

Francesco Giavazzi ci ha risposto con un post che trovate qui, a seguire la singolarità che segnalavo sul suo recente paper in materia di tagli alle tasse. Innanzitutto desidero ringraziarlo a nome di noi tutti. Grazie, professore: lo spirito delle nostre osservazioni è “capire”, e la sua risposta ci aiuta a farlo meglio. Chi leggerà il paper che Giavazzi ha firmato con Favero trova infatti conferma di quanto Giavazzi qui ci richiama ad osservare. Le differenti stime del moltiplicatore rispetto ai Romer hanno a che vedere con le diverse “stime di contesto” degli aggregati monetari e reali insistenti nella stessa unità di tempo: e per primo lo avevo segnalato nel mio post, che le valutazioni divergenti dipendono dalla visione “più estesa” assunta fatta assunta da Giavazzi e Favero, rispetto a quella “più ristretta” dei Romer. Su ciò, dunque, nulla quaestio. Ed è per questo che scrivevo: non parlo di contraddizione per evitare strali, ma segnalo la singolarità.
Diciamo allora che siamo d’accordo su tre cose.

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Oscar Giannino liberismo, mercato , , ,

Krugman, Reagan e i tagli alle imposte

15 giugno 2009

Qualche ora fa, sul suo frequentatissimo blog Paul Krugman ha preso per i fondelli i repubblicani e contestato quanti attaccano il piano di stimoli predisposto da Barack Obama poiché non avrebbe prodotto i risultati annunciati, soprattutto in tema di occupazione. Con una certa abilità retorica, Krugman si limita ad esibire un grafico che mostra come durante la presidenza Reagan a seguito dei tagli alle imposte per più di un anno si ebbe un incremento del numero dei senza lavoro.

La polemica di Krugman, che da intellettuale “militante” ed insider di primo livello è uso a schierarsi con una parte e contro l’altra, non sarebbe così interessante se non offrisse l’occasione per considerazioni più generali.

Su un punto l’economista americano ha sicuramente ragione: e cioè che le buone scelte politiche non si giudicano nell’arco di pochi mesi. Non a caso il formidabile crollo della disoccupazione che caratterizzò in America gli anni Ottanta del reaganismo fu ben successivo alla fase ricordata da Krugman.

C’è però un altro elemento, assai più meritevole di attenzione. Bisognerebbe cominciare a ragionare su questi temi senza infatti cadere vittima di troppe ingenuità metodologiche. In una realtà complessa quale è quella dell’economia americana o di qualsiasi altro Paese, non è possibile attribuire ad una scelta politica (sia esso uno “stimolo” keynesiano o il taglio delle imposte) ciò che succede successivamente (ad esempio, l’aumento della disoccupazione). Solo una buona teoria può dirci quale relazione c’è, ceteris paribus, tra una scelta di politica economica e le sue conseguenze sul sistema della produzione e della distribuzione. L’empirismo dei puri fatti non porta da nessuna parte.

In secondo luogo, bisognerebbe capire che è davvero molto sbagliato sposare l’occupazione per se: e che certo questo è tanto più curioso se a farlo sono intellettuali che costantemente dichiarano di farsi ispirare solo dalla realtà, rigettando ogni prospettiva di ordine ideologico e/o morale. D’altra parte, nella vecchia Ddr o nell’Urss d’antan la disoccupazione proprio non esisteva. C’erano invece i lavori forzati.

Non solo. Chi scrive è tra coloro che sarebbe davvero felice di veder crescere di colpo la disoccupazione in Italia grazie a massicci licenziamenti nel settore pubblico. È un’ipotesi del tutto irrealistica e certamente sarebbe una medicina amara (molto dolorosa, in particolare, per chi finirebbe per trovarsi sulla strada), ma aiuterebbe la crescita effettiva del Paese, che ha bisogno di più privato e meno spesa pubblica, più imprese e meno uffici parastatali.

Per sviluppare una qualsivoglia analisi sociale, bisogna insomma evitare non soltanto l’ingenuo positivismo che oggi domina larga parte degli studi economici, ma saper anche includere – con la massima consapevolezza, e con il coraggio di esporre le proprie tesi alle altrui critiche – quelle opzioni culturali ed etico-politiche che comunque sorreggono ogni interpretazione della realtà. Anche quelle di economisti avversi – a parole – ad ogni ideologia e fedeli sacerdoti di un positivismo che si vorrebbe oggettivo e senza partiti.

Carlo Lottieri Senza categoria , , , , , ,