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Posts Tagged ‘Gm’

Troppa politica e poco mercato nella vicenda Opel – GM

4 novembre 2009

Il colpo a sorpresa di General Motors cambia non di poco la situazione del mercato automotive mondiale. Il gruppo americano, dopo aver chiesto il chapter 11 nel luglio scorso, aveva deciso di vendere la filiale europea, Opel.  A distanza di pochi mesi, è arrivata ieri la decisione di non vendere e di attuare una ristrutturazione interna. La lotta tra le diverse cordate era stata vinta da Magna International, leader nella vendita di componentistica e fornitrice di tutte le case automobilistiche. Il paese che maggiormente era stato interessato dal processo di riorganizzazione di GM era la Germania e per questa ragione il Governo tedesco aveva fortemente influenzato la decisione. La soluzione Magna era stata supportata finanziariamente e politicamente da Angela Merkel, in piena campagna elettorale. Non è forse un caso che, dopo aver vinto le elezioni, la Cancelliera abbia avuto meno urgenza nel trovare una soluzione. Bisogna ricordare che il mercato in questa “partita†ha un ruolo molto residuale, in quanto attualmente  il colosso di Detroit è controllato dal Governo Americano. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin liberismo, mercato , , , ,

Nessuno è troppo grande per fallire

25 ottobre 2009

Il professor Ernesto Rossi domanda a bruciapelo se nel contesto italiano sia possibile il fallimento della Fiat. Io escludo l’ipotesi, non perché la Fiat non sia come tutte le cose umane, che possono andare bene o male, ma (a parte a solidità di quella impresa, che vorrei più contenuta e senza tante filiazioni) perché escludo che si debba a priori ipotizzare il caso di un salvataggio statale di un’impresa in fallimento. Fatta l’ipotesi, viene creata di botto la psicologia del pubblico secondo la quale lo Stato è obbligato a garantire tutte le imprese industriali che andranno male. Non ne resterà una in piedi. Prosegui la lettura…

Oscar Giannino liberismo, mercato , , ,

GM si riprenderà prima della Opel “russa”

10 luglio 2009

I media Usa oggi sono tutti dedicati all’uscita di GM dalla procedura di bancarotta, durata a malapena 40 giorni, con le nuove decisioni di tagliare 450 manager, interi marchi, e un calendario che viene annunciato come ”serrato”, per iniziare e restituire le decine di miliardi di dollari pubblici  gentilmente messi a disposizione dall’Amministrazione USA. Un’impresa da far tremare le vene ai polsi, possibile solo se a questo punto Fritz Henderson e i restanti manager davvero incidono il corpaccione dell’inefficienza GM a colpi di accetta. Improbo sì, però comunque un compito meno improbabile di quello che graverà sulla spalle della ormai ex branch europea di GM, la Opel avviata alla partnership con la cordata  austriaca di nome – Magna – ma russa di sostanza - il gruppo automobilistico Gaz più Sberbank. Le follie recenti di Gaz le trovate descritte qui con abbondanza di particolari. Chiedere per favore ai francesi di Renault, che a inizio 2008 hanno speso un miliardo di dollari per rilevare il 25% di Avtovaz. Il gruppo russo ha perso 800 milioni di dollari su 6 miliardi di fatturato nel 2008, le sue vendite a fine giugno da inizio anno sono inferiori del 47% a quelle del 2008, e i revisori del bilancio lo scorso 2 luglio con grande scorno di Putin hanno scritto nero su bianco di avere a questo punto molti dubbi, sulla capacità aziendale di far fronte alle rate del debito pari a 1,7 miliardi di dollari…

Oscar Giannino Senza categoria , , , ,

Obama meglio di Merkel? E perché mai?

2 giugno 2009

Obama nazionalizza Gm con il sindacato UAW. Un male comunque necessario? Una svolta addirittura benefica, verso un nuovo modello americano? Anche stamane, dissento vigorosamente da come Sole 24 ore e Corriere della sera presentano ai loro lettori la decisione Usa su GM. Mi pare i media liberal americani si comportino molto meglio, vedi oggi la vigorosa stroncatura in sette punti che David Brooks verga sul New York Times.
Scrive il direttore del Sole che la Merkel su Opel coi russi sa di ruggine e protezionismo, mentre Obama su Gm guida l’industria dell’auto Usa a un avveniristica accelerazione verso nuove tecnologie ecocompatibili. Sul Corriere Mucchetti, sempre più editorialista di punta del nuovo corso di via Solferino, aggiunge un nuovo capitolo all’esaltazione della presunta superiorità del modello europeo su quello americano, sulla scorta di quanto egli ha sempre sostenuto e recentemente ha anche scritto Mario Monti. Ecco che cosa capita a chi si affida a previdenza e sanità privata, invece che a quelle pubbliche del welfare universalista europeo, è la loro tesi: lo Stato deve salvare tutti dal fallimento del privato, e ben gli sta a tutti così imparano a separare profitto da solidarietà.
Entrambe le tesi non mi convincono neanche un po’. E mi confermano che le povere imprese private italiane, ormai, il nemico intellettuale lo hanno ben solidamente al timone nei loro giornaloni di riferimento. Semmai, il fallimento di GM è il degno e preannunciatissimo – da vent’anni almeno, vedi gli innumerevoli articoli richiamati dai siti americani che seguono ogni giorno il settore dell’auto – esito di un modello totalmente inefficiente di gestione delle relazioni industriali, totalmente sbilanciato dal lato del sindacato UAW per colpa delle pressioni politiche. Quando per vent’anni si incorpora un aggravio di 30 dollari per ora lavorata rispetto ai concorrenti che lavorano in stabilimenti nello stesso mercato Usa, il fallimento è di un sindacato che pretende di imporre costi fuori mercato – fattore che resta totalmente assente dalle analisi “nostrane” – non del modello previdenziale contributivo privatistico. Quanto alla svolta tecnologica, che siano manager di Stato a saperla realizzare a condizioni di efficienza ed efficacia, successo di mercato e di volumi superiori a quelli di imprese e manager privati, sarebbe la prima volta nella storia dell’umanità. Tanto ne diffida la stessa task force dell’auto dell’Amministrazione, che ha dettato le regole della nazionalizzazione di Gm e dello scorporo da essa di Opel, da aver imposto alla stessa controllata tedesca di non attivarsi sul mercato domestico Usa, per evitare concorrenza.
La nazionalizzazione GM non mette alla testa dell’azienda nuovo management privato, come almeno avviene in Chrysler-Fiat. Non focalizza il gigante fallito sul più rapido recupero di profittabilità, diluendo e travestendo lo sforzo necessario attraverso l’obiettivo “verde”. Rafforza nel sindacato la certezza che d’ora in poi a maggior ragione – gettate sulle spalle dei soli nuovi assunti i tagli di retribuzione oraria e di prestazione welfaristiche – Obama non potrà certo mollare GM al suo destino, in caso i risultati siano insoddisfacenti. E obbliga chi guiderà l’azienda a muoversi secondo queste stesse coordinate.
In più, l’obiettivo dell’”azionista pubblico riluttante”, come l’ha definito ieri Obama, cioè uscire al più presto e senza troppo rimetterci da Gm, è del tutto inattuabile. Finora al contribuente Usa il 60% di G è costato 53 miliardi di dollari, e di conseguenza per uscirne senza falò di denari del contribuente bisognerebbe che l’azienda capitalizzasse almeno 80 miliardi di dollari. Mai, nemmeno nei tempi più rosei e cioè ormai molti anni fa, GM ha superato i 52 miliardi di dollari. Figuriamoci se è ipotizzabile un prossimo futuro in cui il fallimento e 180 miliardi di debiti possano tradursi in 100 miliardi di valore. E tutto ciò mentre il debito pubblico Usa passerà dal 41% del Gdp dove l’ha lasciato Bush a oltre l’80% entro il 2013, secondo le previsioni attuali del Budget Independent Office del Congresso.
No, non è una svolta. No, non è il fallimento del mercato che responsabilizza individui e imprese, attraverso liberi contratti, sulla copertura sanitaria e previdenziale. E’ il fallimento imposto da cattivi politici e pessimi sindacalisti, a manager che hanno anteposto la propria sopravvivenza all’etica dei risultati. Esattamente come avviene a Rcs, ed è forse per questo che ai grandi giornali italiani piace così.

Oscar Giannino Senza categoria , , , ,

Auto di Stato: come spiegarla

1 giugno 2009

Quando sono Stato e politica a decidere di imprese private e settori di produzione, i media dovrebbero essere capaci di offrire analisi interpretative diverse dal puro colore, pur necessario e utile, su quali siano le predilezioni ideologiche del ministro zu und von Guttenberg della Csu rispetto ad Angela Merkel della Cdu, e agli esponenti della Spd. Occorrono anche criteri analitici ben più taglienti. Propongo un esempio, da zerohedge.blogspot.com che offre quotidianamente una miniera di dati finanziari. Date un occhio all’ipotesi proposta a http://zerohedge.blogspot.com/2009/05/i-am-marlas-observations-on-artifical.html, intorno alle eventuali inferenze tra potenziali sopravvissuti tra i dealers dell’auto nazionalizzata Usa,e le liste di donors per candidato alle primarie nelle ultime presidenziali.
Senza data di uscita dello Stato dall’auto come da tutti i settori che vengono “salvati”, data che deve essere dichiarata dalle autorità pubbliche in tempo contestuale agli interventi straordinari deliberati e attuati, non si attua solo una distorsione temporalmente illimitata del mercato con effetti a catena su migliaia di imprese che lavorano per il settore, ma si effettua anche una manipolazione sinergica del mercato del consenso politico. Allegria! È più utile elaborare e proporre numeri su questi fenomeni, o continuare a interrogare i diversi eredi della famiglia Agnelli fino al settimo grado di affini e consanguinei, per sapere che cosa avrebbero pensato di Opel i loro zii e nonne?

Oscar Giannino Senza categoria , , , , , ,

Detroit, Urss

28 aprile 2009

Pensavo ingenuamente di essere arrivato nella (bruttissima) capitale dell’auto e di raccontare il riscatto di un’azienda ex decotta e derisa come Fiat che torna in America chiamata da Obama, salva una delle Big Three di Detroit e magari si concede pure il lusso di non sborsare un dollaro. Magari succederà lo stesso. Però nelle ultime ore il clima s’è fatto pesante.
La prima rivelazione riguarda General Motors: il piano di ristrutturazione presentato al Congresso dal nuovo management prevede (in cambio della cancellazione di buona parte del debito) la cessione al governo di un pacchetto azionario pari al 50 per cento. Un altro 39 per cento andrebbe invece alla United Auto Workers, il già potentissimo sindacato dell’auto, quello che negli anni ha portato le case di Detroit ad avere un costo del lavoro doppio – calcolando i benefit previdenziali e sanitari – rispetto ai concorrenti, specie le case giapponesi che hanno aperto i loro impianti negli stati (repubblicani) del sud. Insieme stato e sindacati farebbero l’89 per cento, praticamente tutto.
Se a GM si nazionalizza, a Chrysler preferirebbero sovietizzare. Lo dice il Wall Street Journal: il nuovo piano di ristrutturazione aziendale prevederebbe una quota del 55 per cento in mano all’UAW, a Fiat spetterebbe il 35, mentre il restante 10 per cento se lo spartirebbero il governo federale e le 45 banche creditrici di Chrysler. Vabbè, Fiat avrebbe comunque da guadagnarci – sulla carta – perché le si aprirebbero le porte del mercato americano. Però. Però conviene a Sergio Marchionne impelagarsi in un’impresa del genere e magari diventare il Ceo di un’azienda nel cui consiglio di amministrazione siedono gli stessi sindacalisti che con una mano chiedono più benefit e con l’altra li concedono alla prima occasione utile? Senza contare che lo stesso sindacato si troverebbe ad essere azionista forte in due delle tre “sorelle” di Detroit (con il pericolo di paralizzare la concorrenza)?
Non ho tempo di rispondere a questi interrogativi, devo andare. Bussano alla porta. E parlano russo.

Alan Patarga liberismo, mercato , , , ,