Per Copenhagen, le Nazioni Unite si sono appropriate come “inno” di una delle piu’ belle e piu’ note canzoni di Bob Dylan, “A Hard Rain’s A Gonna Fall”. Posto che la “politicizzazione” di Dylan e’ un’attivita’ tanto praticata quanto insulsa, che si tratta sicuramente del cantore piu’ significativo e talentuoso delle migliori istanze del Sessantotto, che lui stesso cerca da una vita di appendere al chiodo la sua casacca di “simbolo di una generazione”, che nel mezzo del primo volume della sua autobiografia si trova una frase spiazzante come “My favorite politician was Arizona Senator Barry Goldwater”, che nella vita ha cambiato volentieri e senza farsene colpa idee e fedi, ammesso tutto questo: Hard Rain e’ una canzone che parla di un olocausto nucleare (I heard the sound of a thunder, it roared out a warnin’ / Heard the roar of a wave that could drown the whole world), infarcito di metafore apocalittiche. Il riscaldamento globale viene quindi apertamente indicato come la causa della prossima fine del mondo. Non come un fattore di rischio, non come un processo problematico da arrestare, non come l’effetto inintenzionale terribile di azioni intenzionalmente volte ad altro: ma come qualcosa che vale, sul piano etico, un’azione militare volta al consapevole e totale annichilimento del nemico.
Ora, quale che sia la vostra opinione su Copenhagen e il “consenso” ecologista, permettete una domanda: da quando in qua l’ “inno” di una conferenza internazionale deve servire a spaventare la gente?
Alberto Mingardi Senza categoria Bob Dylan, Copenhagen, global warming, riscaldamento globale
Il dibattito attorno al clima, specialmente ora con l’apertura del vertice di Copenaghen, si è fatto sempre più serrato e, in Italia, sempre più paradossale. La platea è divisa tra chi descrive scenari catastrofici e chi sostiene che l’effetto serra sia una balla. Ovviamente la verità, ci sentiamo di dire, non sta da nessuna delle due parti.
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Piergiorgio Liberati energia catastrofismo, copenaghen, emissioni, global warming, riscaldamento globale
Come ampiamente previsto, l’amministrazione Obama ridefinisce al ribasso il suo impegno per Copenhagen. Lo spiega, in un articolo zeppo di informazioni e molto ben documentato, David Adam del Guardian, che evidenzia come gli americani abbiano messo nel mirino i due pilastri del ponte che da Kyoto avrebbe dovuto portare a Copenhagen: la definizione di obiettivi sfidanti e l’assegnazione, a ciascun paese, di un target di riduzione delle emissioni legalmente vincolante. Non sorprendentemente, Obama si allinea alla posizione negoziale di George W. Bush e, dunque, di Bill Clinton.
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Carlo Stagnaro energia Copenhagen, emissioni, Europa, global warming, kyoto, USA
Anche Martin Feldstein si schiera contro il capo & trade. L’argomento dell’economista americano è essenzialmente che qualunque sforzo unilaterale americano (o, se è per questo, euro-americano) di riduzione delle emissioni avrebbe un impatto ambientale, cioè un beneficio potenziale, estremamente piccolo, perché comunque le emissioni globali crescerebbero trainate dalle economie emergenti. Esattamente il contrario, quindi, di quanto ha sostenuto un paio di settimane fa Paul Krugman, che ha favoleggiato di possibili accordi globali che gli stessi paesi interessati (Cina e India in primis) hanno esplicitamente escluso. L’altro aspetto evidenziato da Feldstein è ancor più interessante: in pratica, il consigliere di Barack Obama sottolinea che la condizione politica necessaria ad avere uno schema di cap & trade sarebbe quello di distribuire gratuitamente i permessi di emissione, anziché venderli all’asta e utilizzare i proventi per ridurre le tasse o simili. Di fatto si tratta pure della scelta compiuta finora dall’Europa e, per la maggior parte dei settori tranne quello elettrico e a crescere alcuni altri, lo stesso varrà dal 2013 al 2020. Speriamo che le parole di Feldstein trovino una sponda alla Casa Bianca. E magari che anche a Bruxelles ci pensino un po’ su prima che la frittata sia fatta del tutto.
Carlo Stagnaro energia cap and trade, Cina, emissioni, global warming, globalizzazione, india, sviluppo