Non credo che occorrano molte parole per ripercorrere le tappe della vicenda giudiziaria di cui è protagonista Giorgio Fidenato, il quale ha seminato lo scorso anno una varietà di mais geneticamente modificato regolarmente autorizzato nell’UE sui suoi terreni in provicia di Pordenone. Chi legge abitualmente queste pagine ne sa già abbastanza. Per gli altri basti dire che il mais Mon 810 è regolarmente iscritto al catalogo comune delle varietà ammesse al commercio e alla coltivazione in Europa, e che l’Italia non ha mai chiesto la “clausola di salvaguardia”, ovvero non ha mai messo in atto l’unica procedura riconosciuta dall’UE per poter vietare sul proprio territorio la semina di una varietà geneticamente modificata, procedura che consiste nel presentare evidenze scientifiche che dimostrino la sussistenza di pericoli per la salute o per l’ambiente.
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Giordano Masini Diritti individuali, ambiente Diritti individuali, fidenato, giustizia, libertà , ogm
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Sarebbe singolare, se non fosse allarmante, che la riforma forense all’ordine del giorno del Senato sia qualificata, non solo negli ambienti vicini all’Ordine ma anche nella stampa e in buona parte dell’opinione pubblica, come un’operazione legislativa di razionalizzazione della professione.
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Serena Sileoni diritto, liberalizzazioni Avvocati, Concorrenza, giustizia, ordini professionali, tariffe
Riceviamo dal Prof. Cesare Galli e volentieri pubblichiamo
La vicenda della sentenza della Corte Costituzionale disattesa da A2A conferma che è più urgente che mai riportare la società al rispetto delle regole e dei diritti dei cittadini-utenti
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 238 del 24 luglio 2009 ha stabilito con estrema chiarezza che la TIA (ex TARSU) ha natura tributaria e non è quindi assoggettabile ad IVA.
Ciò comporta l’obbligo per i soggetti che l’hanno riscossa di restituirla ai cittadini-contribuenti e, prima ancora, quello di non applicarla per l’avvenire: la pronuncia della Corte è infatti immediatamente operativa e non necessita affatto di provvedimenti legislativi di attuazione.
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Guest diritto A2A, Concorrenza, corte costituzionale, giustizia
Riceviamo da Pasquale Annicchino e volentieri pubblichiamo
La lodevole iniziativa del gruppo “Io non voglio il posto fisso, voglio guadagnare†coordinata dall’instancabile Piercamillo Falasca (fellow dell’Istituto Bruno Leoni e vice-presidente di Libertiamo) offre una preziosa opportunità di riflessione sul grado di apertura del mercato delle libere professioni in Italia. Ad essere oggetto di discussione è soprattutto la professione legale.
Occorre però un attimo di franchezza prima di procedere: l’iniziativa, per quanto da apprezzare e sostenere, è destinata a finire nel vuoto. Nessuno prenderà sul serio quel disegno di legge. Che Piercamillo non se la prenda. Esiste un ampio consenso bipartisan a supporto delle posizioni corporative del Consiglio nazionale forense (CNF). L’esercizio non sarà comunque inutile.
E’ da anni che il tema delle liberalizzazioni delle professioni è oggetto di discussione. Gli argomenti sono ormai tutti sul piatto. Costi e benefici. Rischi ed opportunità . La sintesi della tavola rotonda che la Italian Society of Law and Economics organizzò alla LUISS nel 2007 ne offre una preziosa ricognizione. Non è un caso se Guido Alpa, presidente del CNF, regolarmente invitato a quella conferenza decise di non presentarsi. I suoi argomenti sono indifendibili.
Ho collaborato per un paio di anni con l’ANPA (ora Unione Giovani Avvocati Italiani), l’intervista al presidente dell’associazione Gaetano Romano, pubblicata oggi da Libertiamo sintetizza, se ce ne fosse ancora bisogno, la ragionevolezza di una battaglia da non abbandonare.
A meno che non si voglia ammettere che in questo Paese le professioni liberali non hanno ragion d’esistere. Cerchiamo l’introvabile?
Guest liberismo Avvocati, giustizia, liberalizzazione, professioni
Disquisire della riforma del processo civile in questa sede è difficile, tanto più, poi, se si tratta di dare giudizi nell’ambito di una materia già di per sé intricata e complessa. Mi limito perciò ad una breve panoramica e a qualche valutazione sui contenuti della riforma, che lungi dal costituire un isolato ed eccezionale intervento del legislatore (la certezza del diritto non è di questo mondo, né tantomeno di questo paese…), è solo l’ultimo anello di una catena che poco plausibilmente, date le attitudini italiche, può considerarsi davvero esaurita. Partiamo dall’obiettivo assai condivisibile che si è prefisso il Ministro Alfano: dimezzare i tempi abnormi dei processi italiani. Un contenzioso in sede civile si protrae in media per più di sette anni. Di qui una vasta (e meritoria) serie di misure volte a contrarne ope legis la durata. I termini previsti per l’impugnazione sono stati tagliati, così come quelli sulla sospensione del procedimento e sul suo rinvio a seguito di una pronuncia di Cassazione. Nella stessa direzione, volta a tamponare l’emorragia dilatoria che affligge i nostri procedimenti, va anche l’introduzione del calendario delle udienze disposta in tema di istanze istruttorie. Forse, oltre al filtro in Cassazione, qualche taglio più deciso allo strumento dell’appello sarebbe stato auspicabile, in particolar modo laddove non si palesa davvero come elemento imprescindibile di garanzia (mi riferisco alle sentenze del giudice di pace). La spinta alla conciliazione, impressa dalla condanna al pagamento delle spese processuali per chi, una volta avvalsosi di questa facoltà , decida poi di proseguire l’iter giudiziale, conseguendo con la sentenza un risultato meno soddisfacente, rientra nella medesima ottica di decongestionare e abbreviare la via ordinaria per ottenere giustizia. In tale filone di iniziative, si inserisce anche l’allargamento (fino a 5000 e a 20.000 euro) della competenza per valore e materia dei giudici di pace, categoria in realtà già oberata di lavoro e frustrata da bassi compensi. Ecco perché forse, anziché ricorrere ai magistrati onorari, sarebbe stato il caso di incentivare quegli innovativi schemi di ADR (Alternative Dispute Resolution), così come delineati in questo bel paper scritto per l’Istituto Bruno Leoni da Andrea Bozzi. Per rimediare c’è sempre tempo, a partire dal nuovo testo di legge che il governo approverà sulla conciliazione. Ahimè, temo che anche su questo tema si accavalleranno i pensieri di stucchevoli benpensanti, preoccupati –vado a memoria- da uno “Stato che abdica alle sue funzioni†e che “liberalizza beni pubbliciâ€. Il fatto è che chi crede di poter cambiare dalle stanze di Montecitorio la struttura ingessata e dannatamente formalistica del procedimento civile è, per usare un eufemismo, niente più che un illuso. I primi a dover collaborare nell’opera di flessibilizzazione del rito sono i giudici medesimi e questo perché, come è noto, sono loro che nella prassi fanno e disfanno il diritto, anche se nel velo di ipocrisia dei sistemi di civil law ciò non è ai più percepibile. Purtroppo, se è vero che la Cassazione si è arrovellata per anni nel tentativo di “capire” se la procura all’avvocato fatta su foglio separato e unita all’atto per il tramite di spilli e/o listelle di scotch fosse da considerarsi “in calce o a margine” e quindi valida; ebbene se è vero ciò (ed è vero!), bè allora la nostra giustizia rimane irrimediabilmente ancorata ad un astratto e vuoto formalismo. Con o senza riforme del Ministro Alfano.
Giovanni Boggero mercato ADR, angelino alfano, cassazione, diritto, giudici di pace, giustizia, riforma del codice di procedura civile