CHICAGO BLOG » giulio tremonti http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Evasione ed illusione /2010/06/01/evasione-ed-illusione/ /2010/06/01/evasione-ed-illusione/#comments Tue, 01 Jun 2010 07:14:50 +0000 Massimiliano Trovato /?p=6118 Il duro richiamo sull’evasione fiscale lanciato da Mario Draghi nelle sue Considerazioni finali – già opportunamente commentate da Carlo Stagnaro – sancisce il consolidamento ultimo d’un mantra oramai condiviso senza esitazioni dall’intera classe politica italiana, e cioè anche da quei settori che avevano fondato su un certo lassismo tributario una parte non trascurabile del proprio consenso elettorale.

Prescindendo da questioni morali che richiederebbero una troppo ampia trattazione, mi pare che la versione accreditata come dominante presenti debolezze sul piano della logica economica e della conseguente azione politica.

In primo luogo, le stime sull’evasione assumono una condizione di business as usual che appare evidentemente fallace, perché  trascura che l’economia sommersa trova la propria ragione di profittabilità proprio nella possibilità di sfuggire all’occhio dell’erario. Pertanto appare più realistico pensare che il recupero a gettito di quelle attività ne determini, in larga parte, il venir meno.

In secondo luogo, l’intera costruzione prende a fondamento una teoria del prelievo che trova ancora accoglimento – ahinoi – nei manuali di scienza delle finanze, ma che  a ben poco a che vedere con la realtà della formazione del bilancio pubblico. Sopravvive, infatti, la persuasione naif che le attività delle amministrazioni richiedano un determinato fabbisogno di risorse, e che questo venga successivamente ripartito tra i contribuenti – secondo criteri di varia natura. È piuttosto vero, come aveva sottolineato il tremontiano Colbert, che “la tassazione è l’arte di spennare l’oca in modo tale da ottenere il massimo di piume con il minimo di starnazzi”.

In terzo luogo, condizionando la riduzione del prelievo complessivo al recupero dell’evasione fiscale, si sottovaluta l’intima connessione tra l’entità dei due fenomeni. Aliquote da record incentivano l’evasione rendendola più redditizia; ed il modo più ragionevole per aumentare la compliance fiscale consiste nel ridurre le pretese del leviatano.

Infine, tale ricostruzione delle vicende tributarie legittima l’adozione di misure che un leader ora ostaggio dei gerarchi bollava sensatamente come degne di uno stato di polizia tributaria. Se il fisco avanza pretese sul denaro dei contribuenti, è il caso che faccia almeno la fatica di guadagnarselo.

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La tremontata del giorno. Impegno serio o parole in libertà? /2010/05/31/la-tremontata-del-giorno-impegno-serio-o-parole-in-liberta/ /2010/05/31/la-tremontata-del-giorno-impegno-serio-o-parole-in-liberta/#comments Mon, 31 May 2010 06:56:13 +0000 Alberto Mingardi /?p=6096 Al netto delle solite tremontate, e di un ego che ormai è grosso quasi quanto il suo elefantiaco monistero (“Succede che dal copione è venuto fuori il film. Per come lo vedo e lo vivo io, La paura e la speranza era il copione, e quello che sta girando è il film”), oggi nella sua intervista con Aldo Cazzullo Giulio Tremonti dice una cosa interessante, su cui ci sarebbe da prenderlo in parola e attenderlo al varco.
E’ probabile che si tratti di un’uscita in buona misura strumentale. Tremonti parla dopo l’assemblea annuale di Confindustria, e prima delle Considerazioni finali del Governatore Draghi. In un caso, a fronte di una relazione ben più ricca, sui giornali è uscito che la proposta-forte degli imprenditori sarebbe convocare una grande assise coi sindacati per discutere di riforme strutturali. Insomma, l’ennesimo convegno. Nell’altro, il Governatore della Banca d’Italia potrà fare poco di più che offrire una lettura puntuale della crisi italiana:  la sua “camicia di forza” istituzionale gli rende impossibile concedersi grandi salti in avanti sul piano delle proposte.
Ed ecco, quindi, che proprio nel giorno che dovrebbe essere del “nemico” Draghi, arriva il Ministro dell’Economia a rubargli la scena.
Ma, una tantum, gli ruba la scena evitando di discutere di Eraclito e Parmenide e pigliandosi invece quello che in un Paese normale sarebbe considerato un impegno poltico preciso.
Questo il punto di partenza:
Quella della burocrazia è la questione fondamentale. Vede, i paesi poveri soffrono per un deficit di cibo, di mezzi di sussistenza, di mezzi per lo sviluppo. I paesi ricchi, al contrario, soffrono per l’eccesso delle regole che si sono autofabbricati e da cui sono condannati. Le regole giuste sono un investimento; le regole eccessive sono prima un blocco e poi un costo.
A Cazzullo che gli fa notare che “in Italia le liberalizzazioni le ha fatte il centrosinistra”, Tremonti replica che “le liberalizzazioni di Bersani pur nella loro generosa intenzione sono servite a poco, proprio perché erano disegnate all’interno del sistema”. La sua proposta invece sarebbe quella di bypassare un secolo di bizantinismi regolamentari: “una norma rivoluzionaria per cui tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale o europea. Per due o tre anni”. Richiederebbe una modifica costituzionale? “Probabilmente sì. E io, oltre a proporla, vorrei essere tra i firmatari di una legge di riforma così fatta”. Ministro, se non ora quando?
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Ancora una volta, Silvio contro Berlusconi /2010/05/26/ancora-una-volta-silvio-contro-berlusconi/ /2010/05/26/ancora-una-volta-silvio-contro-berlusconi/#comments Tue, 25 May 2010 22:11:31 +0000 Alberto Mingardi /?p=6052 La manovra è stata fatta a tempo di record, ci sono dentro molte cose buone, l’azione di governo è stata incisiva, complimenti al Ministro dell’Economia. Qui trovate i dettagli per come li si conoscono questa sera. Fra i dettagli:
Tracciabilità dei pagamenti. Scende a 5mila euro, dagli attuali 12.500 euro, con possibilità di variazione in relazione alla media europea. il tetto alla tracciabilità del contante.
Senza polemiche, riportiamo un lancio d’agenzia del 16 febbraio scorso, quando il Presidente del Consiglio presentava le candidature “rosa” del Pdl per le Regioni “rosse”:
Il premier ha riconosciuto che il metodo della tracciabilità dei pagamenti – che il governo Prodi aveva attuato tramite un decreto legge poi convertito in legge nel 2006 e abrogato dal governo Berlusconi nel 2008 – possa essere uno strumento utile per il contrasto all’evasione fiscale ma ha aggiunto che «questo sarebbe un sistema da Stato di polizia tributaria».
Ha detto poi che «per la sinistra l’evasione fiscale si potrebbe abbattere introducendo certificazione e individuabilità nei passaggi di soldi. Pensano a renderli possibili in contanti solo fino a 500 euro, per poi scendere alla cifra di 100 euro entro un anno. Dicono che così sarebbe possibile limitare l’evasione fiscale. Forse sì, ma avremmo costruito uno Stato di polizia tributaria.
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Spostare la tassazione dalle imprese alle cose? /2009/10/29/spostare-la-tassazione-dalle-imprese-alle-cose/ /2009/10/29/spostare-la-tassazione-dalle-imprese-alle-cose/#comments Wed, 28 Oct 2009 23:07:32 +0000 Piercamillo Falasca /?p=3489 E’ quasi passata sotto silenzio, perchè sottovoce l’ha lanciata, la proposta di Guido Tabellini di riequilibrare la tassazione italiana abbattendo l’Irap ed alzando alcune aliquote Iva.
“Se potessimo farlo e se non ci fossero ripercussioni internazionali – ha scritto il rettore della Bocconi sulle pagine domenicali de Il Sole 24 ore- sarebbe il momento di sussidiare la produzione nazionale e tassare le importazioni”. Siccome non lo possiamo fare, Tabellini non vedrebbe male una riduzione della tassazione d’impresa finanziata da un leggero aggravio dell’imposta sui consumi, che è un modo indiretto di tassare un po’ di più le importazioni.
Il sottoscritto (che a Tabellini non potrebbe portare manco la borsa ma un po’ di senso politico ce l’ha) non scommetterebbe una lira sulla fattibilità di una proposta del genere: dire agli italiani che si finanza la riduzione dell’Irap alle imprese con la loro spesa quotidiana provocherebbe la prima rivoluzione armata dell’Occidente democratico.
Non andrebbe invece scartata a priori l’ipotesi di uno scambio Irpef-Iva, con la riduzione della tassazione sul reddito delle persone fisiche (abbattimento delle aliquote e irrobustimento di un’area di esenzione per i redditi medio-bassi) finanziata da un ritocco verso l’alto delle aliquote Iva.
Piazzo una piccola bomba carta sotto la sede di Chicago-Blog e scappo via dalla vergogna: la Polonia ha una tassazione del reddito personale a tre aliquote (zero, 18 e 32 per cento), con l’aliquota più alta che scatta sopra gli 85.528 sloty (pari a circa 20mila euro), ed un’aliquota Iva del 22 per cento.

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Contro Tremonti, va bene, ma non per spendere di più /2009/10/22/contro-tremonti-va-bene-ma-non-per-spendere-di-piu/ /2009/10/22/contro-tremonti-va-bene-ma-non-per-spendere-di-piu/#comments Thu, 22 Oct 2009 13:11:11 +0000 Carlo Lottieri /?p=3412 Pare che nel centrodestra sia iniziato un positivo assedio al ministro Giulio Tremonti, affinché inizi a tagliare le imposte, elimini  gli aiuti alle imprese e cominci sfoltire la jungla delle partecipazioni di Stato. È sicuramente una buona cosa, dato che solo se si riduce il peso dello Stato (a partire dalla pressione fiscale) è possibile restituire ai cittadini più libertà, e con essa anche più voglia di fare, intraprendere, costruire. Si tratta di abbandonare un modello colbertista basato sulla centralità del Re e dei suoi consiglieri per passare ad uno schema di società aperta, in cui siano individui e imprese a guidare la danza.

Bisogna però fare attenzione. Nella montante reazione anti-tremontiana c’è un po’ di tutto: compresi chi è scontento perché avrebbe voluto un governo più attivo nella politica economica. In linea di massima, noi di Chicago-blog non siamo dominati da simpatie o antipatie personali (e se le abbiamo non le mettiamo in piazza), ma siamo orientati nei nostri giudizi da un netto pregiudizio a favore della libertà. Tutto qui. Per questo motivo, quando il ministro plenipotenziario si è mosso bene, non abbiamo mai mancato di rendergli merito: e ogni volta che ha evitato di emulare Barack Obama o Gordon Brown sulla strada della spesa facile gli abbiamo reso merito.

Per questo è importante che la reazione anti-Tremonti, che ha visto protagonisti anche i due maggiori quotidiani del centrodestra (Nicola Porro su il Giornale e Maurizio Belpietro su Libero), si sviluppi nella giusta direzione: puntando a ridurre tasse E SPESA PUBBLICA, e non soltanto il peso delle imposte. C’è insomma l’esigenza che il centrodestra individui una propria strategia, sappia anche farsi dei nemici (se è necessario), e si muova coerentemente per ridurre lo Stato e allargare il mercato. Anche perché è chiaro che molti ministri stanno ordendo un complotto, o qualcosa di simile, al solo scopo di veder aumentare il loro personale bottino e i fondi a disposizione del proprio dicastero. Se questo avesse luogo, dal male si passerebbe al peggio.

Qui non è in gioco il futuro personale di un ministro, ma il destino di una società che da molti anni è sulla strada del declino.

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Il posto fisso è orrendo. Ma non è in primo luogo un confronto tra Eraclito e Parmenide… /2009/10/20/il-posto-fisso-e-orrendo-ma-non-e-in-primo-luogo-un-confronto-tra-eraclito-e-parmenide/ /2009/10/20/il-posto-fisso-e-orrendo-ma-non-e-in-primo-luogo-un-confronto-tra-eraclito-e-parmenide/#comments Tue, 20 Oct 2009 10:47:54 +0000 Carlo Lottieri /?p=3370 La minuscola pattuglia dei liberisti (che nel clima culturale in cui viviamo pare ormai quasi pronta a suicidi a ripetizione, sul modello dei dipendenti della France Telecom) ha giustamente reagito inorridita dinanzi all’ennesima esternazione del ministro Giulio Tremonti, ormai uso a farsi più comunista dei comunisti, e solo per tagliare l’erba sotto i piedi dell’opposizione o di ciò che ne  resta. E molti miei amici difensori del mercato hanno reagito sottolineando in primo luogo – l’hanno fatto Oscar GianninoPiercamillo Falasca su questo blog, e quest’ultimo anche intervistato dal Foglio, ad esempio, e pure Alberto Mingardi intervistato sul Giornale da Vittorio Macioce o Carlo Stagnaro su Libero e sul Foglio, e altri ancora – come la vita sia dinamismo e cambiamento, come una società aperta implichi anche e soprattutto mobilità sociale, e infine come sia antistorico e infine del tutto “novecentesco” – per usare espressioni impiegate da Renato Brunetta – questo tentativo di rigettare l’aleatorietà e l’incertezza che caratterizzano ogni società.

Sono argomenti che sottoscrivo interamente, e che mostrano quanto la mentalità comune e lo statalismo intellettuale siano in rivolta contro la vita stessa e la sua complessità. Tutti i dibattiti degli ultimi decenni sul “principio di precauzione” e sull’idea di un’esistenza senza rischi (e quindi, ma questo pochi lo capiscono, senza opportunità) rinviano a schemi difensivi: il welfare State ha prodotto una società chiusa, pessimista, che teme ogni novità perché è persuasa che sarà quasi certamente di segno negativo.

Tutto questo è giusto, ma forse non tocca la questione centrale. Perché in fondo, se non si pretende di costruire su ciò una filosofia politica e una teoria della giustizia che incarichi lo Stato di ingessarci tutti, si può anche prediligere l’Essere al Divenire. Io vivo in una città in cui un anziano professore di filosofia teoretica è fermamente persuaso che nulla muti, mai, e che in realtà la sola idea che qualcosa appaia e scompaia è una fatale manifestazione di nichilismo. Essere parmenidei potrà anche essere bizzarro e certamente espone a molteplici critiche di natura filosofica, ma è del tutto legittimo. A qualcuno piace il movimento, ad altri la stasi: punto e a capo.

La questione del posto fisso è però un’altra, perché l’idea del nostro ministro è che chi oggi ha un posto debba mantenerlo indipendentemente dal fatto che quel posto sia accompagnato ad un servizio. In un mercato libero, un’azienda che avesse deciso di produrre floppy disk o qualche altro prodotto ora uscito di mercato si troverebbe ora di fronte a un bivio: chiudere o fare altro. In un mercato libero, i posti permangono nel tempo se sono “produttivi”, cioè se sono associati a un lavoro che altre persone apprezzano e gradiscono. Sopravvivono se sono “sociali”. Se rispondono a domande e quindi ad esigenze altrui.

Il tremontismo non è tanto una teoria della stasi o della conservazione, e neppure una semplice preferenza (in fondo anch’essa legittima) per i bei tempi andati (le stufe a legna, la famiglia patriarcale, le case senza televisione ma con la toilette all’aperto, e via rammentando), ma semmai è una teoria del parassitismo. È una concezione intimamente violenta dei rapporti sociali, in cui chi ha conquistato una posizione – quale essa sia – pretende di detenerla a scapito degli altri: usando la cogenza della forza pubblica e della redistribuzione economica per sottrarre “valore-lavoro” – usiamo un vocabolo che sta nel linguaggio marxiano: chissà che qualcuno capisca – ad altre persone. (Sulla questione del parassitismo politico si veda questa bella lezione di Alessandro Vitale tenuta di recente a Torino per il Cidas.)

Non è allora questione di stabilità vs. movimento, perché va anche detto che ci sono buone cose anche nella stabilità: purché essa non sia il risultato di procedure aggressive. In linea di massima, gli imprenditori temono moltissimo – ad esempio – la mobilità dei loro dipendenti, perché se uno di loro se ne va, con lui si perde anche un insieme di conoscenze e garanzie. Si deve selezionare e assumere un nuovo dipendente, formarlo, aspettare che cresca. Gli imprenditori che amano la stabilità, però, non possono pretendere di incatenare il dipendente alla propria azienda: sul libero mercato questo non può avvenire.

Nel suo populismo, invece, Tremonti propone qualcosa di simile. Se volesse davvero realizzare la propria utopia statocentrica, dovrebbe costringere chiunque a lavorare perpetuamente per la collettività, affinché chi ha solo un posto, e non svolge alcun servizio al prossimo, rimanga dove è ora. E certo a poco gli servono psicologismi e sociologismi per mascherare la vera natura delle sue tesi.

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Lavoro. La libertà (di mercato) è “partecipazione”? /2009/09/02/lavoro-la-liberta-di-mercato-e-partecipazione/ /2009/09/02/lavoro-la-liberta-di-mercato-e-partecipazione/#comments Wed, 02 Sep 2009 09:57:30 +0000 Alberto Mingardi /?p=2428 Al Meeting di Comunione e Liberazione, Giulio Tremonti ha parlato di “partecipazione dei dipendenti agli utili dell’impresa” come uno strumento per “far ripartire” l’Italia nella crisi. Il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi da Cortina gli ha dato manforte.  I due convergono anche se gli argomenti utilizzati sono sostanzialmente diversi: Tremonti da una parte pare voler utilizzare questo strumento dare una staffilata retorica (?) al sistema capitalistico, cercando di “addolcirne” alcuni tratti in nome di logiche quasi-cooperative. Sacconi sembra invece leggere questa proposta come un tentativo di legittimare una visione del sistema di mercato che superi “la conflittualità fra capitale e lavoro”, e politicamente che contribuisca ancor più ad isolare l’organizzazione dei lavoratori (la Cgil) che sulla quella conflittualità continua ad investire per avere consenso. Le constituency di Tremonti e Sacconi sono diverse, e così il lessico politico. A merito di entrambi, va detto che non coltivano certo il sogno della “co-gestione” alla tedesca, e nelle interviste sono parsi molto decisi, in merito.
Più o meno della stessa idea è Pietro Ichino, nel cui molto discusso disegno di legge rientra anche la possibilità di una compartecipazione agli utili dei lavoratori. Intervistato da Gianmaria Pica sul “Riformista” di oggi, Ichino ricorda che il suo ddl contiene “nove forme diverse di partecipazione dei lavoratori nell’impresa: la partecipazione agli utili è soltanto una di queste nove; e oltretutto non la più innovativa”. Ichino concorda solo parzialmente con le “speranze” di Tremonti. Secondo lui, “la legge, se verrà emanata in tempi brevi, non farà certo miracoli; ma, in qualche misura, può giovare al rilancio della nostra economia anche il radicarsi della cultura della scommessa comune dei lavoratori e dell’imprenditore sul piano industriale, sull’innovazione, sullo sviluppo futuro di una zona”.
Sono argomenti che mi lasciano un po’ perplesso. La partecipazione agli utili viene pensata per stimolare la produttività? E’ difficile argomentare in questi termini. Per incentivare la produttività, gli strumenti sono tanto migliori quanto più sono “vicini” al singolo lavoratore (per esempio aumentare la parte variabile del salario): gli utili di un’impresa possono dipendere da molte cose, a cominciare dalla fortuna, dal caso e da come vanno le cose del mondo.
Si supera finalmente il conflitto di classe? Ma, posto che il problema sia ancora all’ordine del giorno, bisogna anche tenere presente che se una persona fa l’imprenditore, e invece un’altra va alla ricerca di un lavoro salariato, forse c’è qualche motivo. Per “superare” l’idea di imprenditore e lavoratore in lotta come cane e gatto bisogna capire che essi già oggi “cooperano”: che le relazioni fra l’uno e l’altro sono di tipo volontario e mutuamente vantaggioso.
In questo straordinario capitolo delle “Armonie economiche” (in inglese qui sul sito del Liberty Fund), Frédéric Bastiat spiega perché avevano torto i socialisti che ritenevano le associazioni cooperative “superiori” rispetto alle imprese, proprio in ragione del fatto che l’impresa vede emergere una figura specializzata e particolare, l’imprenditore appunto, che prende su di sé quei rischi da cui altri vogliono fuggire, privilegiando la sicurezza di un salario.
Questo non significa che in un mercato libero non possa esservi spazio per gli arrangiamenti i più diversi, dalle cooperative ad imprese nelle quali i lavoratori “partecipino” degli utili in varia maniera, se l’imprenditore lo ritiene uno strumento utile a renderli più contenti, partecipi e produttivi. Ma il falso mito della superiorità della cooperativa sull’impresa (Bonanni sostenne qualcosa del genere rispetto alle banche, all’ultima elezione in Bpm) rischia assieme di creare aspettative eccessive, e, soprattutto in prospettiva, problemi di governance e di chiarezza di ruoli. E’ importante che con la scusa di abbandonare le “ideologie” nei rapporti di lavoro, non se ne fabbrichino di nuove.

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Strategica tua sorella /2009/07/17/strategica-tua-sorella/ /2009/07/17/strategica-tua-sorella/#comments Fri, 17 Jul 2009 15:40:12 +0000 Carlo Stagnaro /?p=1657 Privatizzazioni? No, grazie. Anche quest’anno, il Documento di programmazione economica e finanziaria (approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri) esclude il ricorso alle privatizzazioni, se non in casi marginali. Un paragrafo (p.39) è dedicato espressamente a questo tema, inserendosi nell’analisi che il documento svolge della situazione macroeconomica e degli andamenti della finanza pubblica. In generale, l’aspetto più interessante – che si inserisce nel mix un po’ naif di ottimismo della volontà e pessimismo delle cifre – consiste nel quadro delle misure anticrisi, che effettivamente, almeno dal punto di vista dell’impatto sulla spesa pubblica e quindi delle potenziali conseguenze di lungo termine, si confermano come un saggio tentativo di non incrinare ulteriormente un equilibrio che è già instabile. Ed è dominato dal peso del debito che si fa ancor più ingombrante rispetto a un Pil in ritirata e a un deficit che torna a salire anche a causa degli interessi sul debito stesso. Il contesto, dunque, non viene giudicato maturo per la cessione al mercato degli asset e le società pubbliche. Perché?

Il documento distingue tra le varie attività dello Stato (la maggior parte delle quali abbiamo censito – proponendone la vendita immediata – nel Manuale delle riforme). In riferimento alle società quotate in borsa e partecipate dallo Stato (Enel, Eni e Finmeccanica) il documento dice che “lo Stato intende mantenere l’attuale quota di controllo al fine di presidiare settori strategici per il paese“. In particolare sull’Enel, si legge tra le righe che, per ottemperare all’obbligo di distinguere l’azionariato dell’ex monopolista elettrico da quello di Terna, dettato dall’Antitrust e ribadito dal Consiglio di Stato, il Tesoro cederà le sue quote alla Cdp (oppure a F2I), col non trascurabile side effect di incassare un po’ di quattrini. E’ una partita di giro nei fatti, ma è comunque liquidità che serve più al Tesoro che non alla Cassa. Viene invece dichiarato l’interesse a “proseguire nel percorso di privatizzazione, quale strumento che potrà contribuire… a una riduzione del debito pubblico“. Viene ipotizzata la “cessione di quote di partecipazione” in Poste Italiane e nell’Istituto poligrafico e zecca dello Stato. Più evanescente è la possibilità di “iniziative volte all’apertura ai privati del capitale di Sace“. Viene poi ribadito l’interesse (già manifestato l’anno scorso: quando la coerenza è sospetta…) a vendere un carrozzone come Tirrenia e le sue controllate, processo comunque già avviato a marzo. Infine, viene confermata, a carico di Fintecna, la ricapitalizzazione di Fincantieri, con la possibilità di “procedere al collocamento in borsa di una quota del capitale“, anche questa un’operazione già menzionata nel precedente Dpef.

Insomma, la sensazione è che il governo concepisca il mercato come qualcosa a metà tra il bancomat e la discarica abusiva: si cercano i privati quando c’è bisogno di ragrannellare risorse senza però cedere il controllo (vedi Fincantieri, Poste, e Zecca), oppure quando un’azienda è stata talmente spolpata che ne resta solo la parte bad (Tirrenia). Ora, qualunque privatizzazione, buona o brutta, totale o parziale, rappresenta comunque un passo avanti, specie se interessa società non ancora quotate in borsa. Infatti, essa richiede quanto meno l’adozione di standard più rigidi e di una maggiore e migliore disciplina finanziaria nella sua gestione, come Jacopo Perego ha argomentato su Fincantieri.

Il problema, però, è che fino a quando un’azienda non è decotta (Tirrenia, appunto, o anche Alitalia) la possibilità di privatizzarla integralmente non viene neppure presa in considerazione. Le ragioni “ufficiali” sono le più diverse: il Dpef 2010 spiega in tutte le salse che la congiuntura è sfavorevole (cioè, si farebbe poca cassa), ma quando si sarebbe potuto farne molta, di cassa, si diceva che il flusso dei dividendi era ancora più appetitoso (così, di fatto, Silvio Berlusconi intervistato da Benedetto Della Vedova alla vigilia delle elezioni politiche 2006). Dunque, viene da chiedersi cosa sia davvero strategico: il ruolo che tali imprese occupano sul mercato, oppure la formidabile leva che esse forniscono al governo in termini di influenza sul mercato stesso, potere, e dividendi? In un commento sulla Staffetta Quotidiana, Goffredo Galeazzi mette giustamente il dito nella piaga: “se lo ‘strategico’ settore energetico può trovare adeguata tutela con leggi trasparenti e con la regolazione di Autorità indipendenti, è quanto meno impraticabile (almeno per ora) la rinuncia a ricchi dividendi (quasi 2,5 miliardi da Eni, Enel e Cdp solo quest’anno) e a incassi straordinari da operazioni sul capitale“. Inutile, a questo punto, scoperchiare l’immenso e immensamente inefficiente pentolone delle municipalizzate (qui e qui, per esempio). Il problema è che l’esigenza di incassare soldi per estinguere il debito pubblico può essere una delle ragioni contingenti per cui si sceglie di privatizzare, ma non è né sufficiente né, tutto sommato, necessaria. Il punto vero, che raramente viene compreso e in Italia non è compreso né dal governo né dall’opposizione (che, temporibus illis, le privatizzazioni le aveva fatte proprio sotto lo schiaffo di Maastricht), è che c’è una e una sola ragione per cui è importante privatizzare: far funzionare il mercato. Lo spiega bene Luigi Ceffalo qui, commentando il defunto ddl Lanzillotta, ma l’argomento è in ogni caso generale e generalmente valido. Un concorrente in mano allo Stato distorce il gioco di mercato anche quando, e perfino se, si comporta in modo davvero “privatistico”, perché tutti gli altri giocatori sanno che prima o poi le cose potrebbero cambiare. E’ per questo che, in un momento di crisi in cui il gettito delle cessioni sarebbe relativamente basso, privatizzare non è meno attuale: se vogliamo dare la scossa all’economia italiana, questo dobbiamo fare. Se poi vogliamo raccontarci le favole, pensiamo pure che certi settori siano strategici. Il che è vero, ma solo in un senso: non è che lo Stato debba essere presente in un certo mercato perché il buon Dio, in un attimo di distrazione, l’ha fatto “strategico”. E’ che quel dio malvagio che è lo Stato ne ha deciso la strategicità proprio a tutela della sua presenza.

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Pacs /2009/07/13/pacs/ /2009/07/13/pacs/#comments Mon, 13 Jul 2009 12:50:36 +0000 Carlo Stagnaro /?p=1506 11 – TONI NEGRI: VORREI INCONTRARE TREMONTI, E’ MOLTO ABILE…
(AGI) – “Penso che sia una persona molto abile e che la sua posizione politica lo castri”. Lo ha dichiarato l’ex leader dell’Autonomia Operaia, Toni Negri, intervistato a Venezia da Gigliola Santin e Stefano Golfari per la trasmissione televisiva Iceberg di Telelombardia. “La politica italiana – ha sostenuto – si trova in una generale condizione di miseriaÂà anzi non c’e’ proprio una scena pubblica (alla Habermas, alla Dahrendorf), manca del tutto un dibattito pubblico che agisca in termini di contraddittorio, e quindi la capacita’ di cogliere le emergenze, l’affacciarsi del nuovo, e’ ridotta praticamente a zero.

Ci sono tuttavia personalita’ italiane del mondo della politica, e dell’economia, che mi incuriosiscono molto. Tremonti, ad esempio. So che ha letto Impero, ed ha acquisito da tempo una prospettiva globale nel trattare i fenomeni della finanza. Credo che sia un uomo evidentemente molto abile. Mi piacerebbe incontrarlo una volta o l’altra. Penso che il suo andar vagando fra le varie posizioni politiche espresse in Italia e il fatto di costituire, in fondo, il legame tra la Lega e quel liberalismo confuso, ex-democristiano, che per altro sta attorno a Berlusco… lo castri, diciamo cosi’.”

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