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Il TREM-Posto e le ragioni di Tremonti

22 ottobre 2009

Confesso di avere un pregiudizio che mi induce istintivamente a reagire in maniera negativa alle proposte e alle analisi di Giulio Tremonti, siano esse la Banca del sud o la difesa del posto fisso: “Mioddio, il posto fisso proprio no…”, come ha titolato su questo blog Oscar Giannino. Subito dopo subentra però il dubbio. Nella controversia specifica chi ha ragione: noi di Chicago-blog che difendiamo a spada tratta la mobilità o Tremonti? In realtà la nostra analisi è normativa: mobilità secondo il merito e ascensore sociale sono strumenti irrinunciabili di qualsiasi società voglia essere equa ed efficiente. L’analisi di Tremonti mi sembra di tipo positivo/descrittivo: qui ed ora (Italia, 2009) il posto fisso è meglio.
Se la mia interpretazione è corretta noi e Tremonti stiamo tuttavia dicendo cose diverse. Perché il posto fisso è meglio? Non è forse nell’interesse delle persone innovative e meritevoli cercare posizioni più elevate di quelle detenute? Si, se le posizioni più elevate sono contendibili, se l’ascensore sociale funziona (e l’olio che gli serve per lubrificare gli ingranaggi si chiama competizione o concorrenza); no, invece, se è stato boicottato degli incompetenti che desiderano rimanere saldamente al loro posto e hanno pertanto necessità di ostacolare i meritevoli che potrebbero sostituirli. Sono loro i più grandi difensori del TREM-Posto (Tengo saldamente Riservato il mio EMerito Posto) e rendono di fatto la mobilità possibile solo in senso orizzontale, impedendo quella verticale. Ma la mobilità orizzontale è priva di senso: perché un agente razionale dovrebbe accettare costi di transizione per ambire a un posto che, nella migliore delle ipotesi, è altrettanto peggio di quello che ha lasciato? Non è sufficiente la propensione al rischio, dovrebbe anche essere masochista (e non poco). Questa è la dimostrazione che, nel caso specifico e in antitesi ai nostri pregiudizi, Giulio Tremonti ha ragione al 100% e che in Italia l’unica mobilità che funziona è quella dei meritevoli verso impieghi in società meritocratiche, cioè verso l’estero.
Tuttavia il Ministro dell’Economia ci ha raccontato solo metà della storia. Se l’avesse raccontata per intero avrebbe dovuto dire “In una società non meritocratica il posto fisso è meglio”. Quindi, in realtà, ha ragione solo al 50%. Poi ci saremmo anche aspettati che aggiungesse: “Una società non meritocratica è inaccettabile per ragioni sia di equità che di efficienza”. Una società non meritocratica diventa immobile e una società immobile perde posizioni relative rispetto alle altre, declina. Purtroppo non solo non la ha detto lui, e quindi in un’ottica normativa ha torto al 100%, ma non lo ha detto neppure nessun altro.
L’Italia è piena di fautori del TREM-Posto e più si sale di livello più se ne trovano: benzinai (un tempo si sarebbe iniziato con i camalli del porto di Genova), taxisti, farmacisti, liberi professionisti, baroni universitari, leader della sinistra e politici in generale, manager, banche, assicurazioni e grandi aziende, meglio se a controllo pubblico (ma rivestite dei panni della SpA e magari anche quotate in borsa). Il massimo risultato ottenibile al livello più elevato da questi fautori del TREM-Posto, personale o aziendale, si chiama monopolio. E i più bravi nel conservarlo si chiamano Poste e Ferrovie (Alitalia non è brava neanche in questo). Ma Poste e Ferrovie sono anche i maggiori soci (per quote contributive) di Confindustria che a parole difende la mobilità (quella solo orizzontale?) ma se la accettasse davvero non ammetterebbe monopolisti tra i suoi soci.

Ugo Arrigo Senza categoria , , , ,

Banca del sud: le ragioni del pessimismo, le condizioni per il successo

17 ottobre 2009

Giovedì sera Oscar Giannino ed io abbiamo postato, quasi in sincronia, due opinioni di segno opposto sul progetto di Banca del sud, ma la mia, che per ragioni temporali di inserimento precede nel blog quella di Oscar, non ha fatto in tempo ad avvalersi della lettura della sua. Ho rimediato solo ieri sera e dopo aver letto peraltro anche la sua analisi più ampia sul Messaggero mi sono posto la seguente domanda: potrebbe funzionare il progetto (e quindi avere ragione Oscar) e a quali condizioni? Che cosa giustifica invece il mio pessimismo, in linea con quello di Francesco Forte? Cerco di rispondere con questa breve integrazione al post precedente.
Inizio col premettere che se l’articolo di Oscar Giannino fosse uscito non sul Messaggero ma su Le Figaro e commentasse un progetto di Nicolas Sarkozy e Christine Lagarde mi troverebbe pienamente d’accordo con lui. Non sarei d’accordo sull’ampliamento dell’intervento pubblico ma non avrei dubbi sulle aspettative di successo dell’iniziativa. Cosa fa la differenza tra un identico progetto proposto in Francia o in Italia e spiega il mio pessimismo? La minore qualità relativa della classe politica italiana e, soprattutto, della burocrazia pubblica.
Il colbertismo in Italia non può funzionare perché si pone obiettivi ‘napoleonici’ ma deve perseguirli con eserciti burocratici nostrani. E’ per questa ragione che gli unici progetti pubblici sui quali posso trovarmi d’accordo a priori sono quelli che prevedono una riduzione del perimetro dello stato e del suo intervento; è anche per questa ragione che sono pessimista sulla Banca del sud e ho riportato nel post di giovedì quella bella citazione da Francesco Forte. Che cosa sintetizza essa se non l’inadeguatezza della classe politica che, quanto più grandi sono i progetti, tanto più si perde su aspetti ridicoli (ad esempio di che regione debba essere il presidente o il vicepresidente o in quale palazzo storico debba avere sede il gestore dell’Expo 2015). L’esempio dell’Expo è particolarmente istruttivo e viene da Milano, non dal sud; per questo sono pessimista, à bien plus forte raison, sulla Banca del sud.
Le qualità personali di Giulio Tremonti sono tuttavia indiscutibili, non risentono del mio pessimismo sulla qualità media della classe politica italiana e non hanno nulla da invidiare alla grande tradizione degli interventisti pubblici francesi. Potrebbe quindi riuscire nel progetto di Banca del sud, a cui sembra tenere molto, ma solo a condizione di seguirne i passi personalmente e prioritariamente e se riuscisse a imprimere una svolta, improbabile ma non impossibile, nel modello italiano di bassa politica e di bassa burocrazia. Estrapolando dal passato la Banca del sud non funzionerà, anzi non riuscirà neppure a divenire operativa; con una drastica rottura rispetto al passato potrebbe anche farcela.

Ugo Arrigo Senza categoria , ,

L’indipendenza dei regolatori serve, nonostante tutto

6 luglio 2009

Su Affari e finanza di Repubblica, Massimo Giannini attacca duramente la scarsa cultura dell’indipendenza dei regolatori che, secondo lui, caratterizza questo governo. A corredo del suo intervento (che non trovo online), sta un ampio servizio sulle surreali dimissioni di Lamberto Cardia, capo della Consob, di cui su Chicago si era occupato anche Oscar Giannino. Forse Giannini esagera nella critica al governo, ma c’è del vero nelle sue parole, che del resto prendono le mosse dal provvedimento con cui l’esecutivo ha respinto le dimissioni di Cardia, che recita testualmente:

[Il Consiglio dei Ministri] ha confermato la propria piena fiducia al Presidente Cardia, esprimendo apprezzamento per il suo operato, in particolare per il suo atteggiamento di rispetto istituzionale verso il Legislatore.

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Carlo Stagnaro mercato , , , , , , , , ,