CHICAGO BLOG » General Motors http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Fiat: Marchionne, Fini e l’auto di Stato /2010/10/25/fiat-marchionne-fini-e-l%e2%80%99auto-di-stato/ /2010/10/25/fiat-marchionne-fini-e-l%e2%80%99auto-di-stato/#comments Mon, 25 Oct 2010 14:42:18 +0000 Andrea Giuricin /?p=7367 Le parole del Presidente della Camera Gianfranco Fini verso Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat sono molto forti: “si è dimostrato più canadese che italiano”. Senza dubbio è solo un vantaggio. Ci voleva il canadese Marchionne per cambiare le relazioni sindacali in Italia. Vogliamo davvero che si continui ad avere una Fiat che sopravvive grazie ai soldi dei contribuenti? Né Fini né Marchionne lo desiderano. In realtà le affermazioni del presidente della Camera devono essere prese più come uno slogan elettorale e meno come un attacco a Fiat e al suo amministratore delegato; meglio dunque discutere del modello produttivo italiano, del suo fallimento e degli esempi da seguire o non seguire. E su questo ultimo punto vi è un’analisi di Massimo Mucchetti, che nel suo editoriale del Corriere della Sera sostiene che l’America non ha più nulla da insegnarci nel settore auto motive.

Ma è davvero cosi? Esiste una sola America dell’auto, vale a dire quella salvata da Barack Obama grazie ai miliardi di sussidi pubblici e simile all’Italia anni ‘90?

L’America di cui parla Mucchetti nel suo intervento non è un esempio da seguire. Questo è certo. Salvare l’industria dell’auto di Detroit è stato uno dei maggiori errori dell’Amministrazione Democratica americana e l’unico perdente è stato il contribuente americano.

Sergio Marchionne è stato capace di entrare nel capitale di Chrysler senza sborsare un euro. Fiat possiede giá il 20 per cento delle azioni dell’ex gigante di Detroit e potrá salire al 51 per cento per “soli” pochi miliardi di dollari. Un’operazione politica, perché di questo stiamo parlando, perfetta.

Ha dunque ragione l’editorialista del Corriere della Sera?

L’America, per fortuna, non si ferma a Detroit. Esiste un’altra America, più dinamica, che ha capito da che parte girava il vento dell’auto.

Sono gli Stati del Sud, che sempre hanno avuto uno sviluppo economico inferiore rispetto al Nord e agli Stati della Costa Atlantica. Sorprenderà, ma i grandi Stati produttori di veicoli oggi si chiamano Ohio, Kentucky, Alabama. Qui vi è stata ormai da circa due decenni una rivoluzione silenziosa, che ha saputo riformare il settore dell’auto statunitense. Quattro milioni di veicoli prodotti nel momento di picco, grazie all’arrivo di investitori stranieri e non ai soldi dei contribuenti pubblici. Una sana concorrenza tra gli Stati, che il Governo Obama ha pensato di falsare grazie al salvataggio pubblico di due delle “big three”.

Nel vecchio polo automobilistico di Detroit, le posizioni sindacali e l’incapacità di cambiare di un intero “distretto” hanno portato al fallimento di GM e di Chrysler.

La soluzione adottata da Barack Obama è stata quella di iniettare decine di miliardi di dollari per tenere in piedi un sistema ormai vecchio. Questi miliardi hanno portato ad avere una Chrysler che ancora adesso, è a maggioranza azionaria dei sindacati (gli stessi che hanno portato al fallimento) e il Governo Americano.

Il costo del lavoro negli Stati del Sud degli USA nel settore auto, che producono ormai quasi il 40 per cento delle auto americane, grazie agli investimenti diretti esteri delle case automobilistiche europee, giapponesi e coreane, è inferiore di oltre il 40 per cento rispetto al distretto di Detroit.

Si parla di un settore che genera oltre 81 mila posti di lavoro diretti e oltre mezzo milione di posti di lavoro indiretti.

La concorrenza nel sapere attrarre gli investimenti è essenziale e questo l’Italia non l’ha capito, nonostante gli avvertimenti di Marchionne.

Avere una parte del sindacato che vuole bloccare Fiat, perché l’azienda porta un investimento di centinaia di milioni di euro in Italia (caso Pomigliano d’Arco) in cambio di maggiore produttività, mostra come l’Italia sia destinata a fare ulteriori passi indietro nelle classifiche di competitività citate ieri da Sergio Marchionne nella trasmissione televisiva condotta da Fabio Fazio.

L’America ha ancora tante cose da insegnare all’Italia nel settore dell’auto. L’esempio però arriva da quegli Stati del Sud degli USA che hanno saputo attrarre investimenti esteri e non arriva certo dal modello di “fabbrica di Stato” che è stato alla base della politica di Obama negli ultimi due anni.

“L’auto di Stato” non è il modello americano, è il modello Obama. L’unica certezza è che l’Italia, che per troppi anni ha sussidiato Fiat, con Marchionne ha l’opportunità di voltare pagina.

Saranno capaci i politici e i sindacati a comprendere la svolta?

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Government Motors e i tesoretti della Bad Company /2009/08/03/government-motors-e-i-tesoretti-della-bad-company/ /2009/08/03/government-motors-e-i-tesoretti-della-bad-company/#comments Mon, 03 Aug 2009 07:28:26 +0000 Mario Seminerio /?p=1873 Mentre si discute della apparentemente prossima stabilizzazione della congiuntura americana, almeno per il terzo trimestre, grazie anche al travolgente successo del programma di rottamazione auto “cash for clunkers” (che in realtà “prende a prestito” domanda dal futuro, e crea condizioni di dipendenza strutturale del settore dai sussidi pubblici, come ben sappiamo noi europei), giunge la notizia che General Motors riceverà un prezioso dono dal suo nuovo azionista di controllo, il governo degli Stati Uniti. Alla nuova GM, quella che emergerà dalla procedura di Chapter 11, sarà infatti consentito di utilizzare i crediti d’imposta derivanti dal “tax-loss carry forward”, cioè dal riporto a nuovo delle perdite a compensazione degli utili futuri, fino a 20 esercizi successivi. L’entità di questo dono è pari a 16 miliardi di dollari.

In condizioni normali, le perdite non sopravvivono alla procedura di bankruptcy: esiste, infatti, una sezione del tax code specificamente disegnata per impedire che aziende sane ne acquistino altre decotte al solo scopo di costituire uno schermo d’imposta a protezione dei propri utili futuri. Tale norma prevede che le imprese che cambiano proprietà a seguito di riorganizzazione non possano fruire delle perdite accumulate dalla vecchia società. Questo è esattamente il caso di GM, a maggior ragione perché la riorganizzazione del carmaker è avvenuta attraverso il ricorso all’articolo 363 del Bankruptcy Code, che crea una bad company ed attenua significativamente il processo di protezione dei creditori. Ma la differenza tra una procedura “normale” e quella di GM la fa il nuovo proprietario di quest’ultima, il governo federale.

Secondo alcuni osservatori la procedura non sarebbe realmente rilevante, perché il governo possiede il 60 per cento della nuova società e l’imposizione su futuri utili non schermati si risolverebbe in una partita di giro. Ma questo ragionamento omette di considerare che la concessione accresce il valore economico della società, destinando i benefici anche al restante 40 per cento di azionariato. E in tale azionariato di “minoranza” è presente, con il 17,5 per cento, il fondo sanitario dei pensionati del potente sindacato United Auto Workers. L’aumento di cassa di cui GM fruirà a seguito dello schermo fiscale permetterà all’azienda di disporre di munizioni impiegabili sia per beneficiare i pensionati del sindacato (che sono pur sempre elettori), che per distorcere la concorrenza a danno di altri costruttori automobilistici.

Business as usual: mentre in passato General Motors agiva per interposto lobbying, oggi quella finzione è caduta. Saremo naïf e moralisti, ma ogni volta che leggiamo di queste pratiche riusciamo ancora a stupirci ed indignarci. E sì che noi italiani una certa esperienza in materia dovremmo averla.

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