CHICAGO BLOG » gas release http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Gas release: teoria del complotto o gioco delle coppie? /2009/09/10/gas-release-teoria-del-complotto-o-gioco-delle-coppie/ /2009/09/10/gas-release-teoria-del-complotto-o-gioco-delle-coppie/#comments Thu, 10 Sep 2009 09:11:31 +0000 Carlo Stagnaro /?p=2614 Per giudicare l’efficacia di un provvedimento, bisogna anzitutto aver chiaro quale sia il suo obiettivo. Se la gas release della settimana scorsa serviva dunque ad aiutare le piccole e medie imprese italiane, strette tra il crollo dei volumi, la riduzione dei margini, e un costo dell’energia comunque più alto di quello dei competitor, i dati diffusi ieri dall’Eni non lasciano spazio a dubbi: l’asta è andata semideserta, i prezzi hanno scontentato venditore e compratori (il che potrebbe essere un argomento per l’equità della scelta, però), e gran parte dei lotti sono andati a grossi utilizzatori o intermediari. Della delusione di tutti dà conto Stefano Agnoli sul Corriere. Dagospia, invece, offre una lettura, diciamo, complottista: forse non del tutto ingiustificata. Ma credo sia necessario aggiungere qualche tassello.

Partiamo, comunque, dai risultati dell’asta: dei 5 miliardi di metri cubi di gas disponibili, ne sono stati ceduti circa un quinto: per i lotti semestrali, ne sono stati assegnati 91 su 340, mentre per quelli di durata annuale si è arrivati a 53 su 285. Tra i maggiori beneficiari dell’operazione, l’Ilva, il gruppo tedesco E.On, e poi Burgo e Phlogas: che da sole avrebbero messo le mani su circa metà del totale venduto. Il prezzo di aggiudicazione è stato pari a circa 20,2 centesimi / metro cubo: sotto il mercato italiano (che viaggia sui 25-26) ma sopra i valori europei (15-17). Ora, i destinatari teorici del provvedimento – da Confindustria ad Aiget – si lamentano, mentre l’Eni minaccia ricorso.

Secondo la ricostruzione di Dagospia, si tratta del risultato di un diabolico disegno del presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis, contro il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ossia colui che più di tutti ci ha messo la faccia. Sebbene tra i due non scorra buon sangue, non credo che Ortis potesse arrivare a tanto; né che, ammesso che ci sia la sua manina, anche a condizioni più favorevoli le cose sarebbero andate diversamente. La gas release è uno strumento da usare con estrema cautela, come avevo scritto tempo fa: in condizioni molto particolari può aiutare a sbloccare il mercato, ma in generale è un intervento a gamba tesa sul mercato. L’Italia ha spesso avuto, nel passato, caratteristiche tali da giustificare manovre autoritative: in fin dei conti, il mercato del gas è dominato da un (ex) monopolista (ex) pubblico, che controlla tutti i punti di accesso internazionali (Rovigo deve ancora entrare in funzione), nonché la rete nazionale e gli stoccaggi. Bene.

Il quadro è stato però alterato dalla crisi: che, tra i suoi portati, ha determinato un crollo della domanda industriale di gas e un crollo della domanda di elettricità (quindi della domanda di gas per il termoelettrico). Per la prima volta, il mercato è strutturalmente lungo: la questione che Paolo Scaroni deve affrontare, oggi, è più come sbarazzarsi del gas che comunque è obbligato ad acquistare dai suoi fornitori, più che ritagliarsi il margine grasso a cui era abituato. Per lui, insomma, come per tutti, contano oggi i volumi: tanto che i maligni, come ha punzecchiato Quotidiano Energia, mormorano che all’Eni avrebbe fatto comodo il successo dell’operazione.

Cosa ha prodotto, insomma, tutto questo tran tran? Direi più feriti che vincitori. Gli unici a guadagnare veramente, infatti, sono i grossi utilizzatori, che giustamente cantano vittoria. Per il resto, però, si vedono macerie. Macerie, anzitutto, a Via dell’Astronomia, che su questo punto aveva minacciato tuoni e fulmini e si ritrova con un pugno di mosche. Macerie a San Donato, che vende poco gas e a basso prezzo: né volumi né margini. E macerie, soprattutto, in Via Veneto, dove alberga il regista politico dell’iniziativa, Scajola, che, volendo giocare di sponda con gli industriali, è riuscito a far incazzare sia Emma Marcegaglia, sia Paolo Scaroni.

Ecco, infine, la possibile coda: l’Eni potrebbe far ricorso contro la gas release. La minaccia è affidata a Domenico Dispenza, capo del Gas & Power, che ne parla con toni bellicosi al Corriere. In questo caso, il principale destinatario sarebbe proprio Scajola, ma inevitabilmente qualche schizzo colpirebbe anche il suo collega-nemico, Giulio Tremonti. Che vedrebbe allargarsi il fronte polemico contro quello che è il più importante gruppo industriale italiano nonché la principale partecipata del Tesoro: lo scazzo sulla gas release va messo in fila con una serie di attriti reciproci, che vanno dal taglio del dividendo (Scaroni contro Tremonti) alla “tassa sulla Libia” (Tremonti contro Scaroni) con annesso possibile ricorso.

In questo contesto, allora, la divergenza tra Tremonti e Scaroni si sovrappone a quello tra Scajola e Ortis, che oltre tutto origina proprio dalla “vivace dialettica” tra Ortis e Scaroni; mentre è nota la scarsa empatia tra Scajola e Tremonti (che ha avuto pure risvolti energetici: come nella riforma della borsa elettrica, voluta da Roberto Calderoli con spalla tremontiana, e nelle osservazioni spedite dal Tesoro al Mse sul ddl sviluppo e in particolare sull’atomo, il più caldo tra i dossier sulla scrivania di Scajola). Facendo un po’ di ordine nel gioco delle coppie, si osserva che gli unici a non essersi ancora incornati sono Ortis e Tremonti, mentre Scajola e Scaroni potrebbero trovarsi, loro malgrado, nella stessa barca.

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Perché la gas release è sbagliata /2009/06/29/perche-la-gas-release-e-sbagliata/ /2009/06/29/perche-la-gas-release-e-sbagliata/#comments Mon, 29 Jun 2009 15:14:03 +0000 Carlo Stagnaro /?p=1242 Creare concorrenza dove non c’è è come creare il mondo. Solo che, a creare il mondo, il Buon Dio ci ha messo sei giorni e il settimo si è riposato: è onestamente poco credibile che un governo e un’autorità di regolazione possano fare lo stesso nello spazio di una notte, senza neppure disporre dei mezzi di Nostro Signore. Per questo sono estremamente scettico nei confronti della “gas release” da 5 miliardi di metri cubi, disposta dall’esecutivo su sollecitazione dell’Autorità per l’energia (che però aveva chiesto un quantitativo molto maggiore, circa 22 miliardi di metri cubi).

Il mercato del gas è, in Italia, relativamente poco competitivo – noi lo abbiamo quantificato al 57 per cento – per una seire di ragioni normative, regolatorie e strutturali, che sono bene illustrate da Massimo Beccarello e Andrea Villa nell’Indice delle liberalizzazioni e da Luigi Ceffalo nel suo capitolo de Il mercato del gas naturale, mentre una prospettiva più ampia è quella adottata da Massimo Beccarello e Francesco Piron ne La regolazione del mercato del gas naturale. Tra queste ragioni, si possono ricordare la pavidità delle istituzioni europee, che non sono riuscite a imporre nell’Europa continentale un modello di mercato ben funzionante e ben oliato sulla scorta dell’esperienza britannica, e in particolare l’assenza ovunque di una precisa scelta di separazione proprietaria delle infrastrutture essenziali dagli incumbent, e le oggettive difficoltà di un mercato che è caratterizzato da investimenti ad alta intensità di capitale e lunghi tempi di realizzazione e di ritorno degli investimenti stessi. In questo contesto, è comprensibile e, con qualche cautela, persino auspicabile che vengano adottate misure “riparatorie”, il cui carattere interventista disturba quelli che come me credono nelle potenzialità della competizione. E’ il caso dei tetti antitrust, con cui si intende comprimere la quota di mercato dell’incumbent per consentire un più rapido avvio della concorrenza. I tetti antitrust sono una porca faccenda, che però è utile a gestire la transizione verso le riforme: solo che, in Italia, le riforme in larga misura non le abbiamo avute, e i tetti, che erano previsti scadere nel 2010, non sono stati prorogati, per volontà dell’attuale governo e nonostante il tardivo richiamo dell’Antitrust.

La gas release è uno strumento ancora più invasivo e distorsivo, in quanto consiste, nella pratica, nell’esproprio di un quantitativo di gas che l’incumbent legittimamente detiene e la sua vendita a prezzi regolati. Può essere accettabile quando il mercato sia in tensione, come è accaduto negli scorsi anni, poiché in quelle condizioni la rendita monopolistica può divenire insostenibile. Ma ha senso a fronte di un mercato depresso, in cui c’è eccesso di domanda a causa del crollo dei consumi determinato dalla crisi? Oltre tutto, la gas release può avere effetti strutturali se è effettivamente massiccia, come richiesto dall’Aeeg, ma se il contingente di gas coinvolto è tutto sommato modesto, finisce per tradire i suoi scopi teorici. Non è, cioè, perché non può esserlo, un provvedimento pro-concorrenziale, ma finisce per essere – al di là della sua dimensione politica, non irrilevante, di cui ha scritto Oscar Giannino guardando anche ai risultanti equilibri confindustriali - un sussidio alle imprese gas intensive. Lo ha denunciato, correttamente, un duro commento di Quotidiano Energia (subscription required), che mi sembra abbia ricondotto la questione nei giusti termini. Se, insomma, lo scopo era aiutare settori che sono gravemente impattati dalla crisi, perché farlo con un intervento mascherato che, oltre a qualche temporaneo sollievo ai suoi destinatari, ha in realtà una portata dirompente sul mercato del gas?

Se, viceversa, il governo intendeva effettivamente promuovere la concorrenza, e ha dato una risposta sbagliata a un problema reale, vale la pena interrogarsi su come agevolare la partenza di un processo che, a un decennio dalla prima apertura del mercato, ancora è lontano dall’essere concluso. Credo che siano tre gli aspetti da considerare: (1) i tetti antitrust vanno prolungati, senza esagerare, per un periodo di 3-5 anni; (2) questo periodo va utilizzato per riscrivere le norme del settore, in particolare riguardo alla separazione di reti e stoccaggi e alla creazione di una borsa degna di questo nome; (3) infine, non bisogna sottovalutare la portata dell’incremento della dotazione infrastrutturale, che comincerà a dare le prime conseguenze già alla fine di quest’anno con l’ingresso in funzione del rigassificatore di Rovigo. Per incentivare la realizzazione di nuove infrastrutture, che sono la vera assicurazione di lungo termine contro lo strapotere dell’Eni, occorre intervenire sui processi amministrativi, che sono il vero freno – non sempre in perfetta buona fede – che ha rallentato ciò che andava e ancora va fatto.

Se non si affronta il tema del gas con quest’ottica vasta, ma si crede di poter aggiustare tutto con misure emergenziali, perfino in assenza di reali emergenze, continueremo a parlarci addosso all’infinito. E l’Italia continuerà a soffrire dei suoi mali, che di volta in volta affliggeranno questo o quello a seconda del relativo peso politico.

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