CHICAGO BLOG » Fitoussi http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Quelle due o tre cose che Fitoussi (non) sa sulla crisi. Guardasse South Park… /2009/09/28/quelle-due-o-tre-cose-che-fitoussi-non-sa-sulla-crisi-guardasse-south-park/ /2009/09/28/quelle-due-o-tre-cose-che-fitoussi-non-sa-sulla-crisi-guardasse-south-park/#comments Mon, 28 Sep 2009 17:11:38 +0000 Carlo Lottieri /?p=3009 In un articolo apparso venerdì scorso su Le Monde (“Deux ou trois choses que je sais sur la crise”), Jean-Paul Fitoussi ci ha detto in poche parole quello che pensa della crisi: e in sintesi la sua lettura è la seguente.

Veniamo da anni che hanno visto accrescersi le diseguaglianze: con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. La conseguenza è che quanti sono costretti a consumare tutto o quasi per vivere (la parte più debole della società) ha ridotto i propri consumi, mentre la parte più ricca ha accumulato risorse, che in genere non faceva circolare.

Da qui una crisi della domanda, a cui fortunatamente gli interventi degli Stati hanno felicemente posto rimedio. Così ora l’economista francese è molto allarmato, perché teme la exit strategy, ossia il progressivo ritirarsi dei poteri pubblici dagli spazi ampiamente occupati nel corso degli ultimi due anni.

L’analisi mi appare di una povertà disarmante, ma soprattutto mi sembra veder confluire una “filosofia della miseria” d’antica data (si pensi a Proudhon) e gli schemi più triti della teoria economica dominante, latamente keynesiana. È infatti interessante constatare come il frequente incrocio non sia casuale, dato che muove – in entrambi i casi – dall’aperto rigetto di quell’antropologia che pone al centro l’uomo e la sua libertà, la sua capacità d’azione, i suoi diritti di proprietà, la sua connaturata socialità (intesa quale disponibilità alla cooperazione: nei piccoli gruppi volontariamente adottati, negli scambi di mercato, nelle strutture aziendali, ecc.).

Per capire qualcosa della crisi, allora, invece che guardare agli intellettuali di Francia, conviene volgere l’attenzione allo humour (feroce, e ferocemente libertario) di Trey Parker e Matt Stone, gli autori di South Park, che in un episodio (“Margaritville”) ampiamente celebrato dal pubblico e dalla critica – tanto che ha ottenuto pure un Emmy Award – divertono insegnando. Non lo si prenda per quello che non è, un saggio di teoria economica, ma certo il cartoon americano offre una lettura meno distante dalla realtà di quella data da numerosi accademici celebrati un po’ ovunque.

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Il falso problema del Pil: creatività keynesista /2009/09/14/il-falso-problema-del-pil-creativita-keynesista/ /2009/09/14/il-falso-problema-del-pil-creativita-keynesista/#comments Mon, 14 Sep 2009 19:04:13 +0000 Oscar Giannino /?p=2705 Oggi mi trovo d’accordo con Joe Stglitz quando dice che tra banca e finanza stiamo messi quasi peggio di un anno fa, visto che considerando gli asset attuali di Bank of America e Citigroup c’è da farsi venire i brividi, e non serve la crescita in Borsa propulsa dalla FED a farseli passare. Disaccordo pieno invece per la solita solfa anti-Pil, rilanciata da Stiglitz insieme a Fitoussi, Amartya Sen, e la pomposa commissione per la miglior misurazione del progresso socio-economica istituita da quella delusione crescente e permanente che si è rivelato sin qui il presidente Sarkozy (taglio delle imposte alle imprese escluso, naturalmente). Da anni e anni, i keynesisti predicano che il Pil è roba superata, troppo quantitativa, insopportabilmente premiante gli Stati Uniti e i Paesi mercatisti, mentre invece a contare dovrebbero essere indicatori di armonia e benessere sociale, minor dispersione dei redditi, tutela ambientale, trattamento dei malati e via almanaccando. Naturalmente, l’Europa finirebbe in testa o quasi, ragionando così. Perché il PIB – il prodotto interno di benessere – inevitabilmente alzerebbe la media di chi ha più Stato nell’economia. Da liberista, faccio presente che anche nel PIL attuale tanto odiato lo Stato è purtroppo iperpremiato, visto che più sono  numerosi i dipendenti pubblici e più sono pagati, più il PIL nominalmente cresce, anche se tutto ciò si risolve quasi sempre in crowding out del risparmio privato e nell’abbassamento generale di produttività. Ma di qui ad adottare un criterio per il quale spesa pubblica=civiltà, posso solo sperare che la comunità degli statistici resista con la forza e le barricate.

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